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Autore: randomdreamer    13/10/2013    0 recensioni
"Ma, come in ogni storia, per far arrivare l’arcobaleno bisogna superare la tempesta. Ed è proprio da essa che ho intenzione di iniziare il mio racconto."
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio nome è Danielle, ma tutti di solito preferivano chiamarmi “cosa”. Nacqui durante una fredda notte d’autunno durante la quale ci fu una fortissima tempesta. O così diceva mia nonna, prima di morire, per giustificare la mia tendenza al ribellarmi a qualsiasi proposta mi venga fatta.
All’epoca dei fatti che vi sto per raccontare avevo solo quattordici anni ed ero totalmente prima di qualsiasi esperienza in qualsiasi campo. E sì, intendo dire che non sapevo fare nulla. Dalle equazioni allo sbucciare una mela. Ero praticamente inutile al mondo: non avevo particolari talenti o ambizioni, avevo pochissimi amici e nessun ragazzo era interessato a me. Non che avessi mai amato qualcuno in quel modo, a dirla tutta. Fin da piccola avevo paura di morire sola, non sapendo le cose fantastiche che la vita mi avrebbe riservato. Ma, come in ogni storia, per far arrivare l’arcobaleno bisogna superare la tempesta. Ed è proprio da essa che ho intenzione di iniziare il mio racconto.
 
Il mio primo giorno di scuola fu a dir poco drammatico. Non trovai la mia classe e finii col perdermi nella scuola, nella disperata ricerca di un’aula che avesse la più vaga somiglianza con quella che doveva essere la mia. “Secondo piano”, mi aveva detto la vecchia che stava in portineria. Già, peccato non ci fossero aule in quel dannato secondo piano. Dopo venti minuti di ricerca, venni a sapere che avevo sbagliato edificio e che quello era riservato alle attività extra scolastiche. Un buon inizio, quindi. Entrai in classe in ritardo, cosicché da dare una buona ragione a tutti per guardarmi male per il resto della giornata. Non legai con nessuno, la prima settimana. E neppure la seconda, la terza o le settimane a venire.
 
Capii subito che fare amicizia a scuola non era una delle cose migliori e più facili, così decisi di trovarmi dei passatempi. Provai di tutto: andai a fare corsi di tennis e nuoto, feci pattinaggio e suonai persino il trombone, ma niente di tutto questo faceva per me. Mi sembravano cose così inutili… Allora decisi di leggere. Iniziai con un libro a caso, preso dalla libreria di mia nonna. Andavo tutti i pomeriggi al parco con un libro diverso, per scordarmi di ciò che era successo durante la giornata. E funzionava. Oltre tutto, mi portò a conoscere anche quella che divenne poi la persona più importante della mia vita. Ma non corriamo troppo, andiamo con ordine.
Le settimane passavano ed io stavo sempre peggio. La mattina mi alzavo col sorriso sulle labbra e tanto coraggio, che svaniva poi con il passare delle ore. Arrivavo alle quattro di pomeriggio a malapena, poi sentivo il bisogno di dormire, preferibilmente per tutta la vita. Ero diventata l’ombra di me stessa, ormai. Non mangiavo, parlavo pochissimo rispetto ai mesi passati e sorridevo poco.
La scuola era diventata un vero inferno: tutti, e dico proprio tutti, mi evitavano. Neppure il più sfigato della scuola, un tale idiota da essere paragonabile ad un ragazzino brufoloso delle medie, trovava interessante una qualsiasi interazione con me. Niente. Ero sola come un cane, o peggio. Dopo un po’ iniziarono gli insulti. All’entrata, all’uscita, al cambio dell’ora, a mensa. Ovunque, persino nei bagni, c’era qualcuno pronto ad urlarmi dietro “checca” o cose di questo genere. Mi chiedevo quanto tempo ci mettessero a pensare ad un insulto, data la loro scarsa intelligenza. Una notte? Due? O forse veniva loro così naturale da dirlo come un semplice saluto? Questo non lo sapremo mai. Ciò che però ritengo ancora degno di nota è invece quel senso di smarrimento che provavo. All’inizio trovavo divertente rispondere alle loro prese in giro, era quasi appagante vedere persone stupide tentare di superare la mia forza. Ma poi iniziarono i veri problemi, quando credetti che loro avessero ragione. Ero davvero una “checca”, una ragazza orrenda ed inutile. Ecco perché nessuno mi voleva… Dio, quanto ero stupida a cedere alle loro parole. Certamente era la cosa più sbagliata e col tempo riuscii a capirlo. A quei tempi, però, era tutto diverso. Se qualcuno veniva riputato uno sfigato, rimaneva tale fino alla fine. E questo mi distruggeva tantissimo, non essere nessuno, perché io sapevo di essere qualcuno. Qualcuno di davvero importante, anche.
Per questo iniziai a scrivere, volevo sfogarmi. Cominciai con stupidissime ed inutili pagine di diario e, magicamente, mi aiutò. Credevo di non saper fare nulla e invece? Rileggendo quelle pagine mi resi conto di essere davvero capace e che finalmente stavo bene con me stessa. Non superai del tutto quel senso di tristezza e solitudine, ma fu almeno l’inizio.
Così, ogni giorno, insieme ai miei fidati libri, portavo sempre un blocco per appunti ed una penna per potermi sfogare basandomi sulle persone che passavano al parco. Erano tutte diverse ed era rilassante e liberatorio provare ad immaginare cosa stesse passando nelle loro menti. E fu proprio così che conobbi il mio grande ed unico amore, quello di cui mi preme parlare dall’inizio, colei che mi ha fatto vedere la luce. Ora voglio portarvi al nostro incontro, sperando di riuscire a descrivere quanto magico ed imbarazzante fu.
 
Era un caldo pomeriggio d’estate, quando la vidi. C’era tanto vento ed i miei capelli, solitamente ritti come spaghetti, si muovevano furiosamente nell’aria, facendomi sembrare a dir poco una pazza. O una pessima copia di Medusa. Stavo scrutando come sempre i passanti che, stanchi dopo una lunga giornata, facevano un giro con il proprio cane o con il fidanzato. Era tutto così deprimente, vedere coppiette appiccicate ovunque, mentre io ero seduta su una panchina tentando di fermare le mie ciocche di capelli impazzite. Ed ero sola, soprattutto, cosa che mi feriva più delle altre. Ad un certo punto vidi qualcuno che finalmente attirò la mia attenzione. Era una ragazza alta, capelli lunghi e scuri, una bellezza anticonvenzionale, ma pur sempre degna di nota. Aveva uno sguardo perso nel vuoto, gli occhi velati di lacrime. Sentii qualcosa nel petto, quando la vidi. Sentii il suo dolore. E questo mi fece stare male, molto più di quanto non stessi prima. La fissai per qualche minuto, anche se mi sembrò un’eternità. Non ero attratta da lei, ma c’era qualcosa che catturava la mia attenzione. Mi sentivo bene. Di solito a quell’età succedeva a tutte le ragazzine, per un ragazzo particolarmente carino. O almeno così diceva mia nonna, nelle sue importanti lezioni di vita. Io, invece, ero diversa. Non mi era mai piaciuto nessun ragazzo ed ora? Che mi fossi presa una “sbandata” per una ragazza che nemmeno conoscevo? Quant’è strano l’amore.
Ad un certo punto smise di camminare e mi guardò. Abbassai subito lo sguardo sulle mie scarpe e subito un pensiero mi attraversò la mente. Merda, ho ancora indosso le ciabatte. Come potevo essere così stupida? Perché non me ne ero accorta prima? E perché nonna aveva permesso che uscissi conciata così? Arrossii violentemente. Poi fece qualcosa che mi fece agitare ancora di più: si sedette accanto a me.
“Hey.”                                                                                                                            
Diventai ancora più rossa dall’imbarazzo, se possibile.
“Ciao.” risposi. E così iniziò la nostra amicizia.
  
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