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Autore: Skyfall    13/10/2013    0 recensioni
Anche io volevo il cuore che scoppiava d'amore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Katherine’s POV*
 
Chiusi la porta dietro di me, pronta per andare al lavoro, lasciando Elizabeth a casa da sola.
Cliccai il tasto sul telecomando che apriva automaticamente l’auto, mi sedetti al volante, accesi il motore e partii.
Proprio mentre ero ferma ad un semaforo il mio cellulare prese a squillare ed io lo afferrai velocemente portandomelo all’orecchio mentre premevo l’acceleratore, ripartendo.
«Pronto?» risposi accostando dopo poco, sapevo che i vigili erano sempre in agguato quando si trattava di gente col cellulare al volante, non volevo correre rischi.
«Salve signorina, volevo comunicarle che abbiamo già analizzato le sue analisi del sangue effettuate da lei questa mattina..» iniziò.
«Di già?» domandai incredula, interrompendo l’infermiere.
«Sì e vorrei chiederle di passare da noi il prima possibile, il medico vorrebbe parlarle con un po’ di urgenza» mi spiegò.
«Oh, d’accordo..» risposi senza capire e con una leggera preoccupazione per ciò che mi era appena stato detto.
Riattaccai prima che dall’altra parte potessero aggiungere qualsiasi cosa.
Chiamai immediatamente il mio capo dicendogli che mi avevano chiamato urgentemente in ospedale per via di alcuni miei esami, lui capì e mi lasciò il pomeriggio libero.
Finite le chiamate appoggiai nuovamente le mani sul volante e ripartii verso l’ospedale.
 
Parcheggiai non molto vicino, dato che non c’era posto da nessuna parte e mi feci qualche centinaio di metri a piedi entrando poi nello stabilimento.
Domandai informazioni ad un’infermiera che passava di lì e dopo che i miei esami mi furono consegnati dentro ad una busta venni fatta sedere nella sala d’attesa davanti a qualche ambulatorio a me sconosciuto.
Dopo qualche minuto un dottore dall’aria gentile apparve nel corridoio e chiamò il mio cognome. Risposi all’appello e lui mi invitò a seguirlo in una stanza che senza dubbio doveva essere il suo ambulatorio.
Mi sedetti e gli passai le mie analisi, dopo averle tolte dalla busta.
«Mi hanno chiamato dicendo che c’erano stati dei problemi, qualche strano riscontro nelle analisi, ma non ne sono sicura, non ho capito molto bene..» iniziai io.
«Signorina, vuole che sia esplicito oppure no?» domandò in maniera seria il signore di mezza età seduto davanti a me.
Trattenni il respiro per qualche secondo in più cercando di assimilare la sua domanda e poi annuii continuando a fissarlo negli occhi, aspettandomi di tutto.
«Le è stata diagnosticata l’eclampsia virale, mi dispiace molto» disse tristemente continuando a scrutare il mio viso per coglierne una qualsiasi reazione.
Io assunsi un’espressione confusa, non capendo una parola di quello che mi aveva appena detto.
«Cos’è l’eclampsia virale, dottore?» gli domandai con una punta di vergogna nella voce,
rendendomi conto della mia ignoranza.
«E’ una grave patologia che si riscontra solo nella gravidanza. La paziente viene colpita da convulsioni prima, durante o dopo il parto…» iniziò lasciando la frase in sospeso di proposito.
Smisi di respirare per qualche secondo cercando di assimilare le parole che il medico aveva appena pronunciato.
Mi abbandonai con la schiena addosso allo schienale della poltrona su cui ero seduta e guardai con i miei occhi lucidi quelli pieni di tristezza del dottore davanti a me.
«E..» iniziai quasi senza voce, ma il medico mi interruppe iniziando a scuotere la testa, avendo preveduto la mia domanda.
«Nella maggior parte dei casi né la madre né il bambino si salvano» spiegò unendo le mani sul tavolo.
Io chiusi gli occhi e li tenni chiusi più che potei, sperando che una volta riaperti mi sarei ritrovata fra le lenzuola calde del mio letto, rendendomi conto del terribile incubo che avevo avuto, averci fatto sopra quattro risate e dopodiché ricominciare la mia vita con tranquillità.
Più tenevo gli occhi chiusi, più il tempo passava, più mi rendevo conto che tutto ciò era la triste e ingiusta realtà.
Iniziai a riaprire gli occhi molto lentamente e presi un lungo respiro prima di parlare.
Dovevo riorganizzare per bene le idee nella mia testa prima di poter pronunciare anche una sola sillaba.
«C’è qualcosa che si può fare, insomma, una piccola speranza ?» domandai al dottore con uno sguardo quasi supplichevole.
Ero disperata, non avevo idea di come avrei potuto affrontare la cosa. Non sapevo nemmeno chi era il padre del bambino che portavo in grembo.
«Dunque, l’eclampsia si sviluppa mano a mano che i nove mesi passano, cresce col bambino, per così dire, fino a manifestarsi al momento del parto, come le dicevo prima.. lei è ancora convinta di non voler abortire, giusto?» mi domandò.
«Finché c’è una speranza, una possibilità, io terrò questo bambino» risposi convinta, aspettando le indicazioni del medico.
«Ecco.. si potrebbe provare con l’induzione al parto qualche mese prima.. mi dispiace non darle delle certezze, è solo che questa tecnica non va sempre a buon fine.. potrei darle dei medicinali, ma potrebbero fare male al bambino e..» lo interruppi.
«Assolutamente no! Non voglio che nulla faccia del male al mio bambino!» mi alterai portandomi istintivamente le mani sul ventre.
«Ok, la comprendo benissimo.. ora sta solo a lei scegliere cosa fare.. quando avrà deciso dovrà solo farmelo sapere e io inizierò a procedere» abbozzò un triste sorriso. Non doveva essere stato facile nemmeno per lui darmi quella notizia e quelle informazioni che di certo non erano delle migliori.
«Quando.. quando devo farglielo sapere?» domandai quasi in un sussurro passandomi le mani sul viso.
«Non voglio metterle troppa fretta, ma eventuali pratiche per l’induzioni al parto richiedono un po’ di tempo data la sua situazione e se optasse per i medicinali la cura dovrebbe iniziare molto in fretta.. posso darle massimo una settimana, mi dispiace» mi spiegò.
«Ok.. d’accordo.. per il momento la ringrazio.. fra una settimana le farò sapere..» risposi atona alzandomi dalla sedia, mettendomi la borsa a tracolla e iniziando ad avviarmi alla porta.
«Le sue analisi signorina» mi richiamò il dottore.
Io mi voltai e le presi cercando di rivolgere un piccolo sorriso al medico, ma probabilmente il risultato fu solo un orribile smorfia.
Mugugnai un “arrivederci” quasi impercettibile e poi richiusi la porta alle mie spalle.
Uscii velocemente dall’ospedale e salii in macchina rimanendo immobile qualche secondo, poi presi a dare pugni al volante con tutta la forza che avevo in corpo mentre dolorose lacrime iniziavano a scendere dai miei occhi.
«Non è giusto!» sbraitai ad un certo punto coprendomi il viso con le mani e cercando di fermare il tremolio che mi stava scuotendo dalla testa ai piedi.
Feci dei respiri profondi e riuscii a calmarmi un po’.
Afferrai il cellulare e composi il numero della mia migliore amica, avevo bisogno di sentirla.
Dopo qualche squillo la sua voce cristallina rispose.
«Ciao Elizabeth» la salutai cercando di non far sentire che stavo piangendo.
«Ciao Katherine, tutto bene?» domandò per poi mettersi a ridere parlando con qualcuno che era lì con lei.
Riconobbi immediatamente la voce del ragazzo.
«Sei con Jared?» le chiesi in conferma.
«Sì, sono con lui.. Katherine, sei sicura che sia tutto a posto? Ti sento strana..» rispose dubbiosa.
«Sì, tutto bene.. in realtà no.. non va bene proprio niente, ma non è un problema» cercai di abbozzare una piccola risata ma quello che venne fuori assomigliava di più ad un grugnito.
«Kath, che succede?» era seria, aveva capito che la situazione non era delle migliori.
«Niente Beth, ti spiego meglio di persona, nulla di grave comunque, stai tranquilla, a stasera..» riattaccai. Sarei tornata a casa quella sera?
Cosa avrei fatto? Non ne avevo la più pallida idea, l’unica cosa di cui ero sicura era che avevo paura, una paura immensa di tutto ciò che sarebbe accaduto di lì a nove mesi.
Avevo paura del dolore del parto, di scoprire l’identità del padre di mio figlio, del sesso del piccolo che avevo in grembo e sì.. avevo paura anche della morte, che molto probabilmente sarebbe arrivata sia per me che per la piccola briciola dentro il mio ventre.
La risata di qualcuno che passava sul marciapiede accanto all’auto mi risvegliò dal mio stato di trans, accesi il motore dell’auto e partii senza avere una meta.
 
*Elizabeth’s POV*
 
Rimasi a fissare il cellulare fra le mie mani con aria confusa.
«Era Katherine ed era molto strana, ho il sospetto che sia successo qualcosa..» spiegai a Jared voltandomi verso di lui.
«Non ti ha detto qualcosa che ti possa far capire che le è successo?» mi domandò.
«Mi parlava in maniera strana e mi ha attaccato il telefono in faccia.. non so nulla, mi ha detto che mi spiegherà meglio stasera quando rientra a casa» mi sedetti su una panchina lì vicino e lui mi raggiunse afferrandomi una mano fra le sue.
«Non ti agitare, magari è solo stanca e poi nelle sue condizioni sono comprensibili alcuni strani cambiamenti umorali» ridacchiò e io lo seguii a ruota, un po’ più sollevata.
«Vado a casa ad aspettarla, vieni con me?» gli proposi con un sorriso.
Lui ricambiò e si alzò dalla panchina porgendomi la mano.
Io la afferrai saldamente ed insieme iniziammo ad avviarci verso quella che ormai consideravo casa mia.
 
Erano le sette e mezza della sera, la televisione accesa su un canale che passava film d’azione, il cartone della pizza sul pavimento del salotto e io e Jared eravamo spaparanzati sul divano chiacchierando divertiti con la televisione che ci faceva da sottofondo.
Katherine non era ancora rincasata, iniziavo a preoccuparmi, il suo turno finiva alle sei e mezza ed era strano che non fosse ancora tornata.
In caso di un così forte ritardo mi avrebbe avvisata, ma stavolta niente.
«Jared, io provo a chiamarla» mi misi a sedere e afferrai il cellulare mentre il ragazzo seduto accanto a me abbassava la televisione.
Tre, quattro, cinque squilli. Niente, nessuna risposta.
Riprovai altre tre volte nella successiva mezz’ora, ma Katherine continuava ad ignorare le mie telefonate.
Iniziavo a preoccuparmi veramente, quando improvvisamente alle otto e mezza un messaggio arrivò al mio cellulare.
“Hanno organizzato una cena di lavoro proprio per stasera, non aspettarmi alzata, ti voglio bene, un bacio”. Questo era ciò che diceva il messaggio inviato da Katherine.
Ero molto confusa, non era la prima volta che Kath andava a mangiare con le sue colleghe, ma per ben due ore cosa diavolo aveva fatto? E perché non aveva risposto alle mie chiamate?
Decisi di tranquillizzarmi e mi voltai verso Jared che mi sorrideva.
«Cena con le colleghe, ha detto che rincaserà molto tardi» gli sorrisi e mi strinsi di più fra le sue braccia.
Le sue labbra si posarono sulle mie e successivamente ci sdraiammo tornando a guardare la tv.
  
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