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Autore: Thistlerose    06/04/2008    1 recensioni
L’accecante luce del sole le colpì gli occhi e tutti quei suoni ed odori le fecero per un attimo perdere l’orientamento. Trasse un profondo respiro, scosse il capo, e si rimise alla ricerca di Percy. Individuò la panchina in ferro battuto dove s’era seduto, vi era rimasto adagiato sopra il giornale, frettolosamente ripiegato, ma non suo fratello.
“Dannazione.”
Non che volesse parlargli, si disse. Fargli una lavata di capo, sì. Parlargli, no. Forse era meglio per entrambi che avesse tagliato la corda.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Percy Weasley
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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La traduzione di questa fic è stata assolutamente un caso - legato ad un'occasione e una necessità particolare -, ma spero possa piacervi comunque.
Sebbene sia stata scritta prima dell'uscita dei Doni della Morte, si può considerare anche come missing moment del settimo libro.
L'autrice è Thistlerose, e potete leggere questa e altre sue fic nel suo archivo, Thistlefics.

Kit05


Negotiations



Ginny pregò ferventemente che Fleur e sua madre si stessero avvicinando alla fine della discussione con Madama McClan su balze e nastrini; ormai aveva raschiato il fondo e non sapeva più cosa inventarsi per tenere occupata Gabrielle. Aveva già replicato alcuni degli scherzi meglio riusciti dei gemelli e raccontato alcuni degli strafalcioni più divertenti in cui era incorso Ron. Certo, pensò con stizza, sarebbe stato più facile se avesse saputo dire più di un paio di frasi in francese, o se Gabrielle avesse compreso un filo meglio l’idioma inglese.

Con un certo senso di inadeguatezza osservò Gabrielle disegnare dei cerchi sul pavimento del negozio con le punte delle proprie scarpe, mentre giocava con la lunga treccia bionda, lo sguardo rivolto alla Diagon Alley che si stagliava al di là della vetrina.

“Um,” riprese Ginny. “Conosco un’altra storia su Ron.” Non era vero, ma pensava di poter inventare qualcosa che la ragazzina avrebbe creduto. “Ron,” ripeté quando Gabrielle si voltò a guardarla, le sopracciglia arcuate. “Ron. Capito?” Ginny si prese la punta del naso tra le dita e la strattonò.

Gabrielle ridacchiò. “Rrron.” Mimò il gesto di Ginny, poi si voltò di nuovo verso la finestra, picchettò il vetro con le dita e disse, “Altro fratello?”

Ginny seguì la direzione che indicava la mano di Gabrielle. Era un bellissimo pomeriggio di Giugno e all’esterno c’era molta gente, ma non vide né Fred né George – i due che avevano maggiori probabilità di trovarsi nei dintorni – né nessuno degli altri. “Non…”

Gabrielle la fermò, mimando con pollice e indice delle mani un paio di occhiali.

Percy?” l’incredulità era evidente nella voce di Ginny. “Hai visto quell’idiota? Dove?”

Gabrielle indicò di nuovo un punto all’esterno e Ginny sospirò.

“Beh, io non lo vedo.”

Ma poi notò un giornale che si abbassava di un poco, svelando delle ciocche rosso accese. Il giornale tornò a nascondere completamente il suo proprietario un secondo più tardi, ma Ginny era già scattata in piedi. “Pardon, Gabrielle. Torno subito. Mamma! Ho visto un compagno di scuola!” gridò, mentre si avventava all’esterno.

L’accecante luce del sole le colpì gli occhi e tutti quei suoni ed odori le fecero per un attimo perdere l’orientamento. Trasse un profondo respiro, scosse il capo, e si rimise alla ricerca di Percy. Individuò la panchina in ferro battuto dove s’era seduto, vi era rimasto adagiato sopra il giornale, frettolosamente ripiegato, ma non suo fratello.

“Dannazione.”

Non che volesse parlargli, si disse. Fargli una lavata di capo, sì. Parlargli, no. Forse era meglio per entrambi che avesse tagliato la corda.

Ginny scrollò le spalle ed iniziò nuovamente ad avviarsi verso il negozio di Madama McClan.

Percy era fermo, in piedi, davanti all’ingresso.

“Cosa vuoi?” gli chiese, dura.

“Cosa state facendo tu e mamma, qua dentro?” chiese.

Ginny alzò lo sguardo al cielo. “Ci stavi spiando. Dovresti saperlo.”

“Vi ho solo visto entrare con Fleur Delacour e sua sorella.”

“Davvero?” commentò Ginny, acida. “Se vuoi, puoi guardarmi mentre entro di nuovo.” Si mosse per aggirarlo, ma Percy si scostò, frapponendosi tra lei e la porta. Ginny gli rivolse un’occhiataccia infuocata.

Non si era mai sentita particolarmente vicina a Percy. Anche negli anni in cui avevano frequentato Hogwarts insieme, aveva sempre pensato a lui come a una sorta di au pair, più un’estensione dell’autorità dei genitori che non un fratello. S’era recata da lui quando aveva avuto dubbi o problemi con i propri compiti, ma se era alla ricerca di un consiglio fraterno scriveva a Bill o a Charlie o – se proprio era disperata – si rivolgeva ai gemelli o a Ron.

Forse era perché l’aveva sempre visto come una figura distante che il tradimento di Percy l’aveva colpita con meno forza che non per il resto della famiglia. Non che la cosa la rendesse più prona al perdono.

“Lasciami andare,” gli ordinò.

“Sei uscita per venire a cercarmi,” sottolineò Percy.

“Ero curiosa, va bene? E annoiata. Ed è meglio che tu te ne vada, prima che mamma ti veda e faccia una scenata.” Tentò nuovamente di sgattaiolare alle sue spalle, ma Percy la bloccò afferrandole un avambraccio. “Posso farti male,” lo avvertì. “Non posso usare la magia, ma so calciare.”

Percy le si avvicinò. Ginny si divincolò, e lui la scosse – anche se non con molta forza. “Ascolta, voglio solo sapere come sta Bill, okay? Deduco che il matrimonio è ancora in agenda.”

“Sì,” rispose Ginny. “Vedi, alcune persone non si vergognano ad essere associate con i Weasley.” Un paio di settimane prima avrebbe riso all’idea di prendere le parti di Fleur.

“Non mi vergogno,” mormorò Percy.

“Oh, ti prego.”

Non mi vergogno. Non che debba difendermi; e voi tutti potreste anche non voler vivere come -”

“Come cosa?” lo interruppe Ginny.

“Non dovete vivere per forza in quella maledetta Tana; se solo papà -”

Ginny gli diede un calcio negli stinchi. Percy imprecò e la lasciò andare.

“Me ne vado,” gli disse Ginny. Ma non si mosse. “Sei uno stronzo, lo sai? E non dirmi che non dovrei usare parole del genere, te le meriti.”

“Non stavo per dire nulla,” replicò Percy, gli occhi che si stringevano dietro le lenti degli occhiali. “Sono felice che Bill si sposi comunque. Fleur è una ragazza a posto.”

“Non la conosci.”

“L’ho incontrata una volta. Al Torneo Tremaghi.”

“Oh,” disse Ginny. “Giusto.”

“Comunque, non sono venuto qui per litigare. Ti ho solo visto e…” scrollò le spalle.

“Giusto,” ripeté Ginny, guardandolo con attenzione. “E io ti ho solo visto, quindi…” Fece un passo verso la porta del negozio. Le sue gambe traballavano, come se fosse appena scesa da una nave. Alla deriva* pensò.

“Non dire a mamma che mi hai visto,” le chiese Percy.

“Non avevo nessuna intenzione di dirlo a qualcuno.” Solo quando finì di pronunciare l’ultima sillaba le occorse che avrebbe potuto dire a Bill che Percy aveva chiesto di lui. Tra tutti i suoi fratelli, era quello che molto probabilmente non si sarebbe fatto prendere dall’ira venendolo a sapere.

Ginny avanzò di un altro passo, poggiando la mano sul pomello della porta. Il suo palmo scivolò inaspettatamente sull’ottone freddo; non s’era resa conto di star sudando. Attraverso la vetrina poteva vedere Gabrielle che girava oziosamente le pagine di un magazine dedicato alle future spose. Sentì il proprio stomaco chiudersi in maniera bizzarra. Deglutì con forza e si rigirò verso Percy, che non s’era spostato.

“Potresti fare qualcosa di utile,” disse a bassa voce. “Fintanto che rimani al Ministero. Potresti aiutare.

“Facendo cosa?” Sembrava irritato, sensazione confermata dal tono della sua voce.

“Non gettando ad Azkaban innocenti autisti di autobus, tanto per iniziare. Facendo qualcosa che possa aiutare Harry. Scrimgeour voleva che dicesse qualcosa di carino sul Ministero – per dare morale o qualcosa di simile. Che cosa offre in cambio?”

“Non -”

“Sei un pessimo bugiardo.”

“Non lo so.”

Ginny scostò i capelli dal volto, fermandoli con una mano alla base della nuca. Il suo stomaco si strinse di nuovo. Chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, senza successo. Si morse il labbro.

“Non lo so davvero,” continuò Percy. “Andare alla Tana a Natale non è stata una mia idea.”

“Potresti,” disse Ginny lentamente, “fare qualcosa per Sirius Black. Sai che è innocente.”

“Lo so. È anche morto.”

Ginny riaprì gli occhi. “Non importa. Era il padrino di Harry e significa tanto per lui. Ci ha anche dato una mano quando papà è stato attaccato. Era a posto. Ma il Ministero non ha ancora fatto nulla.”

“Ci sarà un’inchiesta,” replicò Percy con stizza. “Non è vero che non stiamo facendo nulla. È solo che con Tu-Sai-Chi di nuovo tra noi, ci sono altre priorità.”

”Harry sta dando la caccia a Voldemort,” scattò Ginny. “Voi cosa state facendo?”

“Abbassa la voce,” disse Percy; Ginny aveva notato che molti passanti erano rabbrividiti davanti al suo uso del nome del Signore Oscuro.

“Cosa state facendo?” ripeté.

“Sono informazioni segrete,” le rispose Percy.

“Capisco.” Si voltò di nuovo.

“No, non capisci,” la contraddisse Percy, senza malizia. “Nessuno di voi lo può capire. Pensate sia facile, sapere che ci eravamo sbagliati per tutto quel tempo, provare a tenere alto il morale della gente -”

“Provate a sforzarvi di più,” suggerì Ginny. “Invece che cercare di usare Harry, fate qualcosa per lui. Non sarà un’arma, ma io so che potrebbe aiutare. Se lo faceste,” aggiunse, mentre girava il pomello, “potrebbe pensare che siate degni di essere salvati.”

“Stai dicendo,” disse Percy, il tono asciutto, “che potrebbe lasciare che Tu-Sai-Chi -”

“Sei davvero un cretino. Potrei dirti il perché, ma balze e merletti mi aspettano.”

“Suppongo di dover essere felice che tu sia minorenne e non abbia potuto usare la magia. Calci forte.”

“Lo so.”

“Farò quello che posso. Sai che non posso promettere nulla.”

“Lo so.”

“Voglio che Harry vinca,” concluse Percy.

Mentre apriva la porta ed entrava nel negozio, Ginny pensò che fosse una cosa stupida da dirsi. Chiunque non fosse un Mangiamorte o un loro simpatizzante voleva che Harry vincesse. Si chiese, mentre si dirigeva nell’angolino dove si trovava Gabrielle – a disagio in un vestito da damigella color blu fiordaliso di diverse taglie più grande del necessario -, se ci fosse qualcosa che Percy non avesse detto. Qualcosa di un po’ meno stupido.

“Ginny?” la chiamò sua madre da dietro un paravento. “Ci sono alcune cose che dovresti provare. Non preoccuparti del modello, stiamo solo valutando i colori per il momento. Vieni qui, cara.”

Gabrielle diede una pacca sul braccio di Ginny. “Tutto a posto?”

“Sì,” mentì.

Fine



* nell’originale I’m all at Sea è una citazione dalla canzone All at Sea di Jamie Cullum.
Grazie alla moglia per esserne venuta a capo :P

  
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