Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Panny_    13/10/2013    7 recensioni
E se Marco, anche se per un secondo, tornasse da Jean?
Dalla storia:
"«Devo...»
E un petalo di ghiaccio sembrò posarsi sulla mia bocca."
Spero vi piaccia, Panny_
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ero nel mio letto, non riuscivo a togliermi l’immagine del cadavere di Marco davanti ai miei occhi.
Era smorto, senza vita, gli occhi scavati. In un primo momento non avrei mai paragonato quella figura a lui; ricordavo ancora il modo in cui mi sorrideva, le piccole lentiggini che gli comparivano sul naso, la sua pazienza, la sua sincerità.
Non mi arrendevo ancora alla sua morte, non potevo. L’avrei vendicato come meglio potevo, ammazzando uno ad uno quei mostri che tutti chiamavano “giganti”.
Mi alzai dal letto, non riuscivo a prendere sonno. Il mio dispositivo per la manovra tridimensionale era accuratamente messo sulla sedia.
Un silenzio agghiacciante quanto piacevole rimbombava, sordo, nella mia testa.
La indossai; mi piaceva averla addosso, anche se mi ricordava lui.
Non era un compagno qualsiasi, io Marco lo amavo e non era sicuramente bello veder morta la persona che ami, che ti dava la forza di andare avanti e con cui hai chiacchierato e condiviso bei momenti.
 
«Jean»
 
Mi sembrava quasi di sentire ancora la sua voce che chiamava, vivido, il mio nome.
Ricordo a malapena il suo sorriso così puro e innocente, per poi venir subito sovrastato dall’immagine del suo corpo senza vita, proprio lì, davanti ai miei occhi.
 
«Jean Kirschtein... »
 
Non sembravano neanche pensieri, pareva che mi stesse chiamando per davvero.
Ma io ormai l’avevo visto che giaceva atterra, morto, abbandonato da tutti.
Avevamo bruciato il suo corpo... non era rimasto nulla di lui. Solo un lontano e, al contempo recente, ricordo.
 
Un brivido gelido mi attraversò il cuore... riscaldandolo.
Sorrisi. Qualcosa aveva baciato il mio cuore, facendo allontanare dalla mia mente quei pensieri e lasciando spazio a quelli che avevamo passato insieme con i nostri compagni o da soli.
Una volta dormimmo anche insieme.
E pensare che lì fuori alle Mura Sacre, i giganti dormivano, aspettando il Sole per riappropriarsi delle attività celebrali.
E pensare che, nonostante tutto, io piangevo. Piangevo di gioia però... Marco, per lo meno, probabilmente si trovava in Paradiso, tranquillo.
Quella sera sembrava fare particolarmente freddo. In continuazione, venivo scosso da leggeri brividi.
 
«Jean... mi senti?»
«Sì!» risposi d’impulso, maledicendomi da solo, credendomi pazzo. Ma stavolta lo avevo sentito chiaro e tondo, mi aveva chiamato.
Respinsi indietro alcune lacrime che minacciavano di uscire, ingoiando con un sorso d’acqua anche il magone colmo di tristezza che si era formato all’altezza del cuore.
«Jean, Io sono qui...»
«Non tornare nei miei pensieri, ti prego!» dissi, alzando un po’ la voce.
Avevo le mie ragioni: il suo pensiero mi rendeva forte, ma quando ero solo, mi distruggeva l’animo.
Sentii qualcosa accarezzarmi il viso. Mi girai e con i luccichii agli occhi, incontrai la sua figura per un secondo.
Era bianca.
Puro.
Era la purezza in persona.
Ma era tutta un’effimera illusione ottica; non poteva essere lì accanto a me.
Oppure sì?
«Marco?»
«Finalmente mi chiami per nome...»
O ero ufficialmente pazzo, oppure... no, ero ufficialmente fuori di testa.
«Dove sei?»
«Avanti a te»
«Provamelo» gli risposi. Ero fermamente convinto di aver mandato a puttane la mia rimanente sanità mentale quando sentii freddo, tanto freddo.
Un freddo caldo.
«Ti sto abbracciando, mi senti?»
Quella era la prova che lì non c’era Marco, bensì il suo fantasma.
Era congelato.
I morti erano tutti così freddi?
Senza rendermene conto, una lacrima bollente e pesante, si infranse lungo il mio dispositivo per la manovra, senza però che producesse alcun rumore.
«Ti... Ti sento...» provai a dire, anche se il pianto troncava la mia fluidità nello esprimermi.
«Sono felice di rivederti, sai?»
Il suo era un dolce sussurro.
Tutto del suo essere pareva puro e ingenuo.
Era forse per questo che la sua anima era così bianca?
«Vorrei farlo anche io...» sussurrai, cercando di abbracciarlo, ma era inutile, non era possibile farlo.
«Posso farlo per pochi istanti... ma così ridurrò il tempo a disposizione per stare un po’ con te.»
«Ti prego... fallo...»
E mi sentii lasciar andare.
Una figura bianco latte mi si prostrava davanti. Un angelo. Aveva il dispositivo per la manovra tridimensionale e gli angoli della sua bocca erano piegati in un dolce e amorevole sorriso.
Mi abbracciò ancora, ma stavolta non riuscii a trattenere le lacrime copiose che avevano rotto qualsiasi barriera pur di scorrere a fiumi.
Era ritornato trasparente, ma l’avevo visto e mi aveva sorriso. E quello mi era bastato.
«Come stai?»
«Mi manchi...»
«Perché mi ami, vero?»
«Come fai a-»
«Anche io ti ho amato in vita e continuerò ad amarti da morto»
E in quel momento, sentii il cuore spaccarsi in due. Io lo volevo toccare, non volevo accontentarmi di una visita di tanto in tanto.
«Sono venuto per dirti addio...»
Quelle parole mi trafissero il petto come una spada.
Non poteva andarsene per sempre, una volta per tutte.
«Non voglio che te ne vada»
Lo pregai, cercando di abbracciarlo.
Stavolta, però, sentii qualcosa sotto i miei palmi, anche se solo per un secondo.
«Devo...Ti amo, Jean»

 
E un petalo di ghiaccio sembrò posarsi sulla mia bocca.
Era un bacio. Un bacio d’addio.
 
 
  
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