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Autore: afep    14/10/2013    1 recensioni
Non è facile ricostruirsi una vita a Skyrim. Soprattutto se non hai altro che una spada ed un segreto nel cuore. Soprattutto se sei straniera.
Ed è quando ti illudi di essere al sicuro che ti accorgi che, per quanto tu possa aver chiuso con il passato, il passato non ha ancora chiuso con te. E che sei in pericolo
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Lars aveva percorso metà della strada che lo separava dalla creatura, quando accadde qualcosa che difficilmente avrebbe immaginato.
Quell’essere grottesco, che ricordava solo vagamente una forma umana, dopo essersi lanciato un’occhiata da sopra la spalla muscolosa abbassò il capo, spezzò la freccia con uno schiocco delle mandibole ed inarcò la schiena, tremando visibilmente, come se fosse squassato violentemente dall’interno. E poi, con suo enorme stupore, cominciò a cambiare.
La folta coda e le lunghe zampe si accorciarono, e così il muso e le orecchie puntute. Il cavallo di Lars nitrì nervosamente e puntò gli zoccoli, recalcitrante, ma l’uomo, seppur atterrito, lo spronò con polso fermo a proseguire. Davanti a loro la creatura vibrò, scossa da un tremito, e lentamente come accade solo negli incubi, nel buio della notte comparve una figuretta umana completamente nuda, dalle membra chiare che si muovevano frenetiche.
A meno di un centinaio di metri da lui, Iselin si rivestiva in tutta fretta, e Lars strinse i pugni, pervaso da una rabbia impotente. Aveva sperato che ciò che gli era stato riferito dal vecchio Kodlak fosse solo un brutto scherzo, ma a quanto pareva l’anziano precursore non si era sbagliato: la ragazza aveva cambiato la sua natura, ed ora non era più umana di un hagraven o di una qualunque altra creatura toccata dai Daedra.
Tremando per la fatica o forse per il dolore, la giovane si levò in piedi, usando la spada di suo padre come appoggio, e Lars sentì la sua collera aumentare. Stretta nell’enorme pugno di Wulfgang, quell’arma aveva falciato le vite di molti soldati elfici durante la Grande Guerra, infrangendo il loro muro di scudi, e portato la pace e la giustizia della Gilda ovunque ce ne fosse il bisogno, quando il conflitto era terminato. Era una lama dal passato glorioso, e vederla trattata come una misera stampella non poteva fare altro che rinfocolare la sua furia.
Reggendosi in piedi a fatica, pallida e con una gamba insanguinata, Iselin sguainò la spada e la sollevò verso il cielo con aria di sfida. Sembrava terribilmente fragile, ed allo stesso tempo incredibilmente forte, come un piccolo falco che lotta contro le fredde correnti del nord.
Mancavano una decina di metri quando Lars decise di arrestare la sua cavalcatura. Con sicurezza ostentata, il Guerriero smontò da cavallo e si diresse verso la ragazza, sguainando la propria arma con uno svolazzo che fece fischiare la lama nell’aria. Si fermò dopo pochi passi, osservandola con sguardo impassibile.
Erano passati anni dall’ultima volta che l’aveva vista così da vicino, e da allora si era quasi scordato di quanto somigliasse ai due genitori. Il suo viso era tanto grazioso quanto lo era stato quello della madre, ma mentre la povera Isobel era stata una pallida creatura della luna, la ragazza apparteneva al sole; in lei ardeva lo stesso fuoco che aveva animato il padre, e negli occhi le covava la medesima brama di lanciarsi in battaglia.
Una fredda goccia d’acqua di staccò dalle nubi sopra le loro teste e precipitò verso il suolo, schiantandosi sullo zigomo di Lars e scivolandogli lungo la guancia, simile ad una lacrima. Cominciava a piovere, e per un guerriero non c’era niente di peggio che combattere sotto gli scrosci di un acquazzone. Avrebbe dovuto finire in fretta.
“Hai una pessima cera.” Commentò l’uomo, osservando la giovane che cercava di reggersi in piedi.
“Avresti dovuto vedermi ad Hammerfell.” Replicò Iselin con una punta di sarcasmo, storcendo la bocca in una smorfia di dolore. La ferita alla gamba continuava a sanguinare, ma non come avrebbe fatto se la freccia l’avesse colpita in un punto vitale.
“Sai perché sono qui?” Le chiese Lars, e la ragazza annuì una sola volta, senza staccargli gli occhi di dosso. “Hai intenzione di combattere?” Era una domanda sciocca, perché lei aveva già sguainato la spada, ma voleva essere certo delle sue intenzioni.
Per tutta risposta, Iselin sollevò la lama e si batté un pugno sul petto, all’altezza del cuore. Il colpo risuonò come un rullo di tamburo, ed il Guerriero della Gilda annuì amaramente, sganciando la spilla di ferro che gli teneva fermo il mantello. La cappa rossa ed oro gli scivolò dalle spalle, fluttuando fino a terra: in combattimento sarebbe solo stata d’intralcio, e se il cielo avesse deciso di scaricare sulle loro teste la sua furia, si sarebbe inzuppata, divenendo un peso ed un impiccio.
Lars fissò negli occhi la sua avversaria che lo attendeva in posizione, immobile, con il peso spostato sulla gamba sana e la punta della spada che sfiorava l’erba. Tenendo la guardia abbassata lo sfidava a farsi avanti, con quel misto di coraggio ed arroganza tipica dei guerrieri Nord.
Insolente.” Pensò l’uomo, e preso un gran respiro per farsi coraggio, strinse la presa sull’elsa della propria arma e si fece avanti, preparandosi a vibrare un fendente contro colei che, da bambina, gli intrecciava ghirlande di fiori tra i capelli.
 
 
 
Stava cominciando a piovere.
Steso in terra sotto la rete che lo intrappolava, Farkas riusciva a sentire le prime gocce martellare sulle foglie.
Doveva sbrigarsi. Lars era sulle tracce di Iselin, ed a quell’ora poteva già averla raggiunta. Grugnendo per lo sforzo, il giovane gonfiò i muscoli e cercò di sollevarsi, ma l’argento gli mordeva la pelle, e non appena tentava di liberarsi, l’incantamento infuso nella rete gli toglieva ogni energia.
Raschiando il terreno con le dita, strinse le mani a pugno e ringhiò per la rabbia. Doveva riuscire a togliersi quella cosa di dosso ma, per la prima volta nella sua vita, la sua enorme forza fisica gli era del tutto inutile.
Spossato, Farkas appoggiò il viso contro il suolo umido e poi, digrignando i denti, cercò di sollevarsi sugli avambracci, ma con scarsi risultati. Sconfortato, sibilò tra i denti un’imprecazione che aveva sentito usare da suo fratello e riprovò, senza però riuscire a smuovere la rete di pelle di horker che lo teneva intrappolato. Era quasi buffo vedere come quella cosa, relativamente insignificante, riuscisse ad avere la meglio su un uomo della sua stazza.
“Ancora una volta.” Disse con una sorta di grugnito, e facendosi forza tentò di nuovo.
Sopra la sua testa arruffata la notte si fece lentamente sempre più buia, mentre gocce fredde e sottili come lame cominciarono a farsi strada tra le foglie, abbattendosi al suolo e sulla sua schiena nuda.
“Ancora una volta.” Si ripeté, e con la cocciutaggine che lo aveva sempre contraddistinto, Farkas riprovò a liberarsi. Doveva riuscirci, perché da qualche parte, lo sapeva, Iselin aveva bisogno di aiuto.
E lui non l’avrebbe lasciata sola.
 
 
 
Le due lame cozzarono con un fragore simile ad un rintocco di campane, ed Iselin si sentì quasi sbalzare all’indietro per il contraccolpo.
La gamba ferita non sanguinava più come prima, ma l’argento l’aveva indebolita e resa insensibile, così che la ragazza rischiava di cadere da un momento all’altro. In un combattimento in campo aperto come quello, l’agilità era tutto, e dal momento che lei non poteva muoversi si sentiva già condannata a morte.
Con un movimento repentino parò un fendente di Lars, che si voltò rapido e cercò di colpirla sul fianco, ma all’ultimo istante la sua lama cambiò direzione, puntando verso il braccio che reggeva la spada. L’intento del Guerriero era di reciderle i tendini, in modo che non potesse difendersi, ma Iselin aveva previsto quella mossa, e con una rotazione del polso riuscì a parare il colpo.
Con la fronte aggrottata, Lars si allontanò di qualche passo e cominciò a girarle lentamente attorno, facendo roteare la spada nella mano. Era calmo, perfettamente lucido e sicuro di sé, un manovale della guerra che sapeva di poter avere la meglio sulla sua avversaria, quando e come avesse desiderato.
Un passo dopo l’altro, l’uomo iniziò a piegare sempre più alla sua sinistra, come se intendesse spostarsi alle sue spalle, ma la ragazza tenne lo sguardo fisso avanti a sé, seguendone i movimenti con le orecchie tese. Sopra di loro, alle prime gocce di pioggia andarono ad aggiungersene altre, bagnandoli gli abiti e tamburellando sulle loro teste.
All’improvviso udì lo scricchiolio del cuoio, e voltandosi di scatto deviò l’affondo di Lars, cercando di ferirlo in viso mentre ritraeva a spada. Ma si era mossa in maniera troppo brusca. Per un istante la vista le si appannò, come se fosse sul punto di perdere i sensi, e mentre barcollava per riprendere l’equilibrio non riuscì ad evitare la lama dell’avversario, che le aprì un lungo taglio sul fianco.
Iselin sentì l’acciaio morderle la carne e sibilò tra i denti per il dolore, mentre il sangue cominciava a scorrere, intridendo le parti di pelliccia dell’armatura. Fu in quel momento che comprese davvero quanto poco le mancasse da vivere. Lars era un guerriero esperto, con numerose battaglie alle spalle, mentre lei aveva dalla sua solo la propria gioventù ed un’agilità di cui non avrebbe potuto servirsi, perché era stremata e ferita. Ma poteva ancora vender cara la pelle.
Aggrappandosi a quel pensiero, la ragazza si voltò a fatica, facendo forza sull’unica gamba sana e trascinando quella trafitta dalla freccia d’argento, e dopo aver scrollato il capo per riacquistare lucidità, prese fiato ed ululò verso il cielo un grido di battaglia.
 
 
 
Dopo aver lasciato Farkas, Vilkas si era diretto in tutta fretta verso il punto dove suo il cavallo attendeva pazientemente, legato per le briglie ad un ramo d’albero.
Non gli era piaciuto tendere quella trappola al fratello, ma la rete con cui l’aveva imprigionato, sottratta da Skjor ai Mano d’Argento diversi anni prima, lo avrebbe trattenuto, tenendolo al sicuro.
Il giovane guerriero non era ancora certo di sapere da cosa volesse proteggerlo, se da Lars, da Iselin o da tutta quell’assurda situazione. La verità era che era successo tutto troppo in fretta, per dargli il tempo di comprendere: un giorno prima la ragazza era un membro dei Compagni, e quello dopo una pericolosa fuggitiva.
Durante i giorni passati al suo inseguimento, Vilkas si era chiesto spesso se fosse davvero colpevole di ciò di cui veniva accusata, ma non sapeva se i suoi dubbi fossero alimentati dal dubbio o, piuttosto, dalla bestia, che ruggiva sempre più forte dentro di lui, spingendosi sempre più in superficie, tanto che una volta, durante la notte, il giovane aveva dovuto allontanarsi in fretta e furia dall’accampamento, temendo di non riuscire a controllarsi.
Ogni minuto che passava sentiva l’istinto del lupo rafforzarsi, e vedere come suo fratello avesse ceduto al richiamo selvaggio di Hircine non lo aveva di certo aiutato.
Anche Farkas l’ha fatto.” Gli bisbigliava suadente la belva intrappolata nel suo corpo. “Non gli è successo niente di male, giusto? Allora perché non ci trasformiamo? Ne abbiamo bisogno, e tu lo sai.
Ed ora, mentre camminava nel bosco sotto le prime, gelide gocce d’acqua, quei sussurri incalzanti erano tornati, sorgendo dal profondo della sua anima e dando voce ai suoi istinti più bestiali.
Lascialo qui.” Gli mormorò il lupo, quando Vilkas, raggiunto il cavallo, cominciò a liberarne le briglie. “Anzi, meglio: trasformati e sbranalo. Abbiamo bisogno di energie, se vogliamo riprenderci la femmina.”
Con un enorme sforzo di volontà il giovane ignorò il richiamo della sua parte più selvaggia e montò in sella, spronando l’animale verso est, lungo la scia lasciata da Lars.
Le sporadiche gocce di pioggia si trasformarono presto in una cortina d’acqua che prese a battergli insistentemente sulla testa e le spalle, rendendolo ancora più nervoso. Dopo diversi minuti riuscì finalmente a raggiungere Aela. La donna si ergeva alta, sottile e forte sull’orlo di una ripida scarpata, simile ad una betulla solitaria che resiste alle ingiurie del tempo e delle stagioni. Alle sue spalle, abbandonato in mezzo all’erba fradicia, giaceva un lungo arco che il giovane era sicuro non le appartenesse, accanto ad una faretra di frecce dall’impennaggio bruno.
“L’avete trovata?” Chiese Vilkas, smontando ed andando a raggiungere Aela sul ciglio fangoso del declivio. Senza una parola, la Cacciatrice sollevò un braccio per indicargli la piana sottostante.
Laggiù, oltre le raffiche di pioggia sempre più fitta, due figure duellavano con la spada in pugno. Gli occhi del giovane scorsero subito Iselin, che cercava disperatamente di parare le rapide stoccate di Lars. Ma, per quanto si sforzasse, era chiaro che qualcosa non andava. Il suo modo di combattere era diverso da quello che Vilkas aveva imparato a conoscere durante i loro incontri mattutini, quasi innaturale.
“Perché è così ferma?” Chiese il giovane, parlando più a sé stesso che ad Aela. Non aveva senso: Iselin era abbastanza agile e svelta da tener testa all’anziano Guerriero, eppure non si muoveva, come se si fosse radicata in quel punto e non intendesse spostarsi.
“Lars aveva frecce d’argento.” Ripose la donna, tenendo gli occhi chiari fissi sul combattimento. La pioggia le scendeva in rivoli sottili lungo la chioma rossa, lustra d’acqua. “Le ha trafitto una gamba. È spacciata.” Tutto il suo corpo era scosso dal fremito della lupa che spingeva per liberarsi, e la bestia che covava nell’animo di Vilkas se ne accorse e tornò alla carica.
Lasciami uscire.” Gli sussurrò. “Sbraniamo quell’infame. È magro, avrà poca carne, su quelle sue vecchie ossa, ma è tanto tempo che non assaggiamo il sapore del sangue.” Il mormorio assunse un tono sornione, allettante. “Cosa aspetti? Dobbiamo andare a riprenderci la femmina, ci serve!
No.” Il giovane strinse i pugni, opponendosi con tutte le sue forze al richiamo selvaggio della brama di sangue.
Ne abbiamo bisogno per accrescere il branco. È il volere di Hircine, e tu lo sai.” Ribadì il lupo con un ringhio. “La femmina è nostra. Dobbiamo andare a riprendercela. Noi…
“Dov’è Farkas?” La voce di Aela scacciò per un istante quella della bestia, e Vilkas ne fu così sollevato che per poco non si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
“L’ho lasciato nel bosco. È al sicuro.” Le disse. La pioggia si era fatta più insistente, e schiaffeggiava il viso dei due Compagni con insolenza, accecandoli ed impedendogli di vedere con chiarezza il combattimento che si svolgeva più a valle. Tutto intorno a loro premevano le tenebre, e Vilkas, per un istante, ebbe come l’impressione che quella notte non avrebbe mai avuto fine
 
 
 
Combattere sotto quel diluvio era un vero tormento. L’acqua inzuppava le vesti, rendeva il terreno scivoloso e gocciolava fastidiosamente lungo il viso magro di Lars, scorrendo sopra l’orbita vuota ed offuscando la vista del suo unico occhio.
Era stanco per il lungo inseguimento, snervato dalla pioggia battente e bagnato fino al midollo, ma la sua avversaria se la passava decisamente peggio. Iselin era visibilmente stremata, tremava per il freddo e la fatica, ed il dolore le aveva contratto il viso pallido in una smorfia sofferente e determinata; faticava a reggersi in piedi, e a Lars sarebbe bastata una semplice spinta per farle perdere l’equilibrio e porre fine allo scontro con un semplice colpo di spada. Eppure esitava.
Da diversi minuti, ormai, le danzava intorno, ferendola, ma senza l’intenzione di ucciderla; il sangue che sgorgava dai tagli veniva subito lavato via dalla pioggia, e disperso in sottili rivoli nel terreno fangoso e sdrucciolevole .
Avrebbe dovuto finirla da tempo, e lo sapeva, ma non riusciva a trovare il coraggio per vibrare il colpo decisivo. Con gli occhi della mente continuava a rivedere stralci della vita passata a Bruma, quando i dolori del tradimento erano ancora lontani: Iselin appena bambina, che rideva con la gonna raccolta intorno alle ginocchia mentre saltava nelle pozzanghere, insieme ai suoi rumorosi fratelli; Iselin qualche anno più tardi, con il visino serio e concentrato mentre rammendava a lume di candela; ed ancora, Iselin ragazza, con le trecce bionde ornate di fiori per la festa del raccolto ed il piccolo della famiglia aggrappato al grembiule sdrucito, oppure con la schiena dritta e gli occhi asciutti, mentre ascoltava l’elogio funebre del padre morto in battaglia.
Lars sbuffò e piroettò sotto la pioggia, vibrando un fendente che la ragazza parò a fatica, ondeggiando paurosamente sull’unica gamba salda. Stava diventando un maledetto sentimentale, e la cosa rischiava di penalizzarlo. Per esperienza, sapeva che erano l’odio e la rabbia a muovere il braccio di un guerriero in combattimento, e nient’altro; farsi sopraffare dalla nostalgia lo avrebbe solo reso debole, condannandolo a morte certa.
Stringendo l’elsa nella mano guantata, Lars balzò in avanti, sferrando una stoccata alla sua avversaria. La lama la colpì alla spalla, ma il terreno bagnato era traditore, e l’uomo sentì un piede scivolargli di lato, facendogli perdere l’equilibrio. Iselin se ne accorse e tentò un affondo, ma Lars sollevò la spada, parandolo mentre cadeva su un ginocchio.
Lo schianto delle due lame venne coperto dal rombo di un tuono, che squassò il cielo con tale fragore da far pensare che le montagne che torreggiavano su di loro si fossero aperte in due.
Accecato dall’acqua e dal lampo che aveva preceduto il boato, il Guerriero della Gilda fece scattare la mano sinistra in avanti; le sue dita cozzarono e si chiusero attorno alla caviglia della ragazza, e con uno strattone la attirò sul terreno fangoso.
Iselin scivolò in terra con un urlo sorpreso, che si trasformò in un grugnito di rabbia e dolore quando cadde sulla gamba ferita. Lars intravide la lama dell’avversaria muoversi ai margini del suo campo visivo, e senza pensarci si lanciò fuori dalla sua portata, rotolando nel fango.
Mentre si rialzava, lanciò una rapida occhiata alla giovane attraverso la cortina di pioggia e la vide in ginocchio, mentre scrollava la testa e tentava a fatica di rimettersi in piedi; ogni istante che passava, diveniva sempre più pallida, ed i suoi occhi conservavano uno sguardo vacuo e vuoto, nonostante lottasse con tutta sé stessa per mantenersi lucida. La gamba aveva ripreso a sanguinarle copiosamente, così come le molte ferite che le aveva inferto, e per un attimo Lars provò pena per lei.
Ma poi un altro lampo illuminò la notte, e l’uomo scacciò quel pensiero dalla sua mente. Iselin non era più la bambina che aveva amato e visto crescere; ora era una creatura inumana, maledetta dai Daedra, e capace di uccidere e rubare senza provare alcun rimorso. Era una minaccia per chiunque le capitasse a tiro, ed un disonore per la Gilda. Andava eliminata.
Con un rapido passo, il Guerriero raggiunse la ragazza che si stava rialzando e la spinse nuovamente in terra con calcio. Non poteva permettersi di mostrare alcuna pietà.
“È finita.” Le disse, alzando la voce per farsi sentire attraverso lo scrosciare della pioggia.
Iselin lanciò un grido di protesta quando le strappò la spada di mano, e tentò di riprendersela, ma era troppo debole e stanca per opporsi.
“Lasciamela.” Lo pregò, con la voce rotta dalla disperazione. “Se devo morire, voglio farlo con la spada in pugno.”
“E darti la possibilità di accedere a Sovngarde?” Ringhiò Lars, sprezzante. Conosceva bene la credenza Nord sul destino che attendeva gli eroi dopo la morte, e sapeva quanto fosse importante per i loro guerrieri cadere sul campo di battaglia brandendo le armi.
“Non succederà comunque.”
“Certo che no. Shor non accoglie gli omicidi ed i traditori.” L’uomo della Gilda sentiva l’acqua sgocciolare oltre il bordo del cappuccio di cuoio ed infilarsi in rivoli gelidi sotto la corazza, ma non si mosse.
Inaspettatamente, al suo commento la ragazza si mise a ridacchiare, una risata mesta e senza allegria. Sapeva che era la fine, e di non poter più sfuggire al proprio destino.
“Non è per quello, che non mi accoglieranno.” Disse, sollevando il capo, ed in quel momento un lampo saettò sopra le loro teste, illuminandole gli occhi verdi di una luce feroce ed animalesca. Nel vederla, Lars sentì un brivido di terrore scorrergli lungo la schiena, mentre l’immagine della mostruosa creatura dal pelo chiaro gli attraversava la mente.
“Non avrai la spada.” Decretò l’uomo, ed Iselin scrollò tristemente la testa con rassegnazione. “Sai cosa sta per accadere, vero?” La ragazza annuì e strinse i pugni, grattando il terreno fangoso. “Hai intenzione di piangere?” Le chiese ancora Lars, squadrandola dall’alto.
La giovane rimase per un istante in silenzio, poi scosse la testa. Una sola volta, con fermezza, e l’uomo scacciò il ricordo di tutte le volte che glielo aveva visto fare.
“No.” Rispose Iselin, con un tono appena udibile nel fragore della pioggia,
“Perché?” Domandò il Guerriero, senza riuscire a cancellare una punta di soddisfazione dalla propria voce, e la ragazza sollevò il capo, fissandolo con occhi asciutti e battaglieri.
“Perché le lacrime di un guerriero sono sacre…” Cominciò lentamente.
“… E nemmeno agli Dei è dato vederle.” Terminò Lars per lei, con un’espressione triste e solenne. Era stato lui ad insegnarle quelle parole, e per un attimo sentì tutto il peso del gesto che stava per compiere. “Mi dispiace, bambina.”
“Anche a me.” Iselin, coperta di sangue e fango, strinse forte la mascella e fece un profondo respiro.
Il Guerriero rinsaldò la presa sull’elsa scivolosa della propria spada e sollevò il braccio. Gli sarebbe bastato solo un rapido fendente in direzione del collo, e la ragazza lo sapeva, perché teneva il viso rivolto verso l’alto, esponendo la pallida gola; era pronta ad accettare il proprio destino, nonostante fosse scossa da capo a piedi da un tremito incontrollabile.
“Mi dispiace.” Ripeté Lars con un filo di voce, cercando il suo sguardo, e mentre il cielo veniva scosso da un rombo tirò il braccio all’indietro, pronto a vibrare il colpo finale.
La sua spada tracciò un arco elegante verso il basso, fendendo l’aria carica di gocce di pioggia. La lama brillò nel buio di una luce sinistra, in risposta all’ennesimo lampo, calando con decisione verso il collo scoperto della ragazza.
Fu allora che dalla notte emerse una creatura di tenebra, che si avventò sull’uomo, scaraventandolo a terra con il proprio peso. Lars sentì un dolore acuto al fianco e rovinò in mezzo al fango.
E quando sollevò il capo, si ritrovò a fissare due feroci, pallidi occhi, che lampeggiavano nell’oscurità sopra una chiostra di zanne affilate.
 
 
 



 
Sì, avete capito bene, vi devo infierire un’altra, ennesima mazzata tra capo e collo nel nome della suspense.
Per sapere cosa sta accadendo dovrete attendere ancora altri sette giorni, ma vi prometto che questa è l’ultima volta che lo faccio (più o meno).
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima :)
 
  
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