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Autore: Green_Fairy    14/10/2013    2 recensioni
In un luogo molto remoto dello spazio, tra le galassie conosciute e sconosciute, i viaggiatori sono spiriti a parte, avendo la facoltà di reincarnarsi sulla Terra in qualunque epoca essi scelgano mantenendo il ricordo delle esistenze precedenti. Un privilegio che alla lunga può logorare un’anima: chi vuole vivere per sempre, soffrire e ricordare ciò che ha sperimentato? La catena può essere spezzata in un solo modo: arrivare all’ultimo istante di vita terrena e affermare di esser stati felici.
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I viaggiatori


Ad A., a me e a tutte le persone giuste
che si incontrano nel momento sbagliato.
 
 
Quante volte lo aveva incontrato? Quante vite aveva vissuto, quanti uomini incontrato, quanti figli avuto?... Ogni volta che cercava di contare, di ricordare, ogni maledetta volta le veniva il mal di testa. Adesso viveva nel XXI secolo, ci viveva da ventitrè anni, da quando l’ennesima madre l’aveva messa al mondo, ma si sentiva ancora straniera. Era straniera a New Orleans negli anni ’30, nella Londra vittoriana, nella Firenze del Rinascimento, ovunque, nonostante ogni volta avesse famiglia, nome, onore. Era una di quelle anime reincarnate che avevano tutte le fortune ogni volta che tornavano tra i vivi. Tutte, tranne una: aveva conosciuto un uomo, un’altra anima viaggiatrice del tempo e dello spazio, durante i fasti dell’Antico Egitto. Lui era una guardia del palazzo, lei faceva parte della famiglia reale, essendo nipote del faraone per parte di madre, dunque senza diritti alla successione, ma tuttavia costretta in un futuro non molto lontano a contrarre matrimonio per sancire opportune alleanze. Si erano incontrati quando lei aveva tredici anni e non le avevano ancora trovato un marito. Sperò dal primo momento che scegliessero lui, ambizioso e devoto al sovrano. Si incontravano di nascosto tra i meandri del palazzo, lui si dimostrava sempre dolce e pieno di promesse e lei gli credeva, sempre più innamorata. Poi venne il giorno in cui lui dovette partire per la guerra e lei se ne disperava, aveva pregato tutti gli dei, ma la sua richiesta era rimasta inascoltata. Dopo molto tempo, la guerra finì e di lui non seppe più nulla, arrivando a credere che fosse morto. La sua famiglia decise di darla in moglie ad uno dei consiglieri del faraone e lei non si oppose, convinta che fosse quello il suo destino. Quando era incinta del terzo figlio, venne a sapere che l’uomo che amava era vivo e aveva preso in moglie una numida. La notizia la sconvolse al punto tale che, al momento del parto, preferì lasciarsi morire. Lui l’aveva dimenticata.
A cinque anni, nell’Atene di Pericle, aveva cominciato ad avere ricordi della sua vita precedente. Erano immagini sfumate di una coscienza ancestrale, ma tra tutte quelle immagini solo una era sempre vivida: il volto di lui. Cominciò a cercarlo tra gli allievi del padre, maestro di retorica, ma non ebbe fortuna. Lo trovò un giorno, a quindici anni, nell’agorà, intento a discutere di politica con i compagni. I loro sguardi si incrociarono e lei tentò di comunicargli tutto quello che aveva dentro: aveva atteso tanto tempo, le maree erano mutate migliaia di volte, ma finalmente si erano ritrovati. Lui non sembrò riconoscerla, eppure fu rapito dallo sguardo di quella piccola kore. Cercò di informarsi sulla famiglia della ragazza e un giorno si presentò a casa sua chiedendo al maestro di accettarlo come suo discepolo. Lei lo osservava ogni giorno durante le lezioni e faceva sempre in modo di incrociarlo nel cortile di casa quando andava via. Dietro una colonna del porticato si diedero il primo bacio. Lei era felice, e, anche se non l’aveva riconosciuta, lui sembrava essere innamorato. Non c’erano guerre all’orizzonte e lei avrebbe fatto in modo che non si separassero mai più e che nessun’altra lo portasse via. Riuscirono a sposarsi, ma durante il banchetto lui cadde riverso a terra, poichè il vino che aveva bevuto era stato avvelenato: un avversario politico, in seguito alla candidatura del giovane, aveva ritenuto opportuno toglierlo di mezzo prima delle elezioni. La giovane vedova decise di seguirlo nella morte: si sarebbero ritrovati, ne era certa.
Quando la memoria cominciò a riaffiorarle, era la figlia più piccola di un arricchito esponente del ceto equestre. Abitavano poco lontano da Roma e il padre aveva appoggiato la scalata al potere di Giulio Cesare. Un giorno bussò alla loro porta un uomo, attendente del padre, e lei lo riconobbe: aveva il viso segnato dalle intemperie ed era più grande di lei, ma era lui, non aveva dubbi. Gli corse incontro e gli pose la piccola mano candida sulla guancia. Lui inizialmente provò un sussulto, poi la guardò bene: gli ricordava la sua bambina, che aveva lasciato con la moglie a Cuma. Lei gli sorrideva e gli trottava sempre intorno, ignorando che lui avesse già una donna e dei figli. Lui si trattenne presso di loro parecchio tempo: ogni giorno notava una strana luce negli occhi della ragazzina, che stava crescendo e diventando una donna. Cominciava a provare impulsi ben poco casti per quel tenero corpo in boccio, ma cercava di resisterle, nonostante lei facesse di tutto per farlo cedere. Giunse il giorno in cui non riuscì più a contenersi: la prese sotto il pergolato che avevano nel giardino, lontano da sguardi indiscreti. Lei si dimostrò docile e ben più donna della sua età. L’uomo riemerse dalle frasche frastornato, con il pensiero fisso di aver violato la figlia del suo signore e aver offeso la moglie legittima e, non vedendo alternative, decise di scappare, lasciando la domus per non farvi mai più ritorno. Tempo dopo, la ragazza si scoprì incinta e il disonore le cadde addosso come un macigno: fu costretta a sposare un uomo ben più anziano di lei per riparare, ma non rivelò mai il nome del padre del bambino, chiusa in un ostinato mutismo. Sperò fino all’ultimo dei suoi giorni che lui facesse ritorno, ma invano.
Durante l'impero di Carlo Magno, la sorte aveva voluto che entrambi nascessero senza titoli onorifici, semplici popolani che non dovevano sottostare al giudizio di nessuno per unirsi in matrimonio. Forse era l’epoca giusta, si sforzava di credere lei. Dopo secoli passati a rincorrersi, quello era il loro momento. Non fece i conti con la pestilenza che seguì la carestia abbattutasi su quel piccolo villaggio alle porte della Foresta Nera: entrambi perirono prima della pubertà e anche questa volta lui non si ricordò di lei.
Per molto tempo, lei valutò, dal luogo remoto del cosmo riservato agli erranti, la possibilità di cercarlo proprio lì. Scoprì a proprie spese una delle regole del popolo dei viaggiatori: non era loro concesso riconoscersi se non attraverso le vite terrene. In quel lasso di tempo che lei aveva trascorso nel cercarlo nella loro dimensione, lui si era reincarnato svariate volte, sentendosi sempre incompleto al termine di ogni esistenza, ma continuava a non ricordare il volto della donna che incontrava ogni volta che albergava un corpo umano. Lei lo osservava, lo vedeva invaghirsi di altre donne, invecchiare e morire, senza perdere mai la speranza che un giorno avrebbero avuto la loro vita perfetta. Ne bastava solo una, si diceva, per spezzare la catena. Lei rimase per molto tempo incerta su quale epoca fosse la più giusta per il loro amore. Alla fine, propense per il Rinascimento fiorentino: la famiglia in cui era nata era composta da mercanti di spezie e lei veniva educata con le sorelle e i fratelli alle lettere, all’arte e alla musica. Lui era proprio il suo maestro di liuto ed era oltremodo contenta di poter trascorrere quelle ore con lui, in cui, oltre a suonare, gli leggeva poemetti di amori classici e ascoltava i suoi racconti di viaggi. Ma nemmeno allora poté coronare il suo sogno di una vita assieme: la sua famiglia allontanò il maestro, col sospetto, non infondato, che insidiasse la giovane. Per timore della prigione, lui accettò la messa al bando e si trasferì in un altro dei tanti Stati in cui era suddivisa l’Italia. La ragazza, restìa al contrarre matrimonio con chiunque non fosse l’amato, preferì prendere il velo.
Di nuovo nel limbo dei viaggiatori, abbattuta per l’ennesima vita sprecata, fu presa da un moto d'ira: avrebbe scelto a caso, non era possibile che dovesse sempre incontrarlo e mai averlo. Voleva incontrare qualcun altro che prendesse quel posto nel suo cuore. Si ritrovò in un quartiere della Londra Vittoriana, figlia di un medico legale. Lavorando come infermiera, seguiva il padre nelle autopsie e, ad una di queste, incontrò lui, poliziotto di Scotland Yard. Sebbene si fosse ripromessa di non riporre nuovamente in quell’uomo la speranza di un amore, non riuscì a sopire i propri sentimenti. Non potevano esserci ostacoli familiari, stavolta: i genitori appoggiavano la sua passione per il ragazzo e lei sedeva ogni giorno in salotto col suo vestito più bello nell’attesa che lui bussasse alla porta e chiedesse di vederla. Attese per settimane, ma lui non arrivò mai: si era fidanzato con un’altra donna. Furente, accettò la corte di un giovane collega del padre, con cui non ebbe quei figli che in qualche modo avrebbero alleviato le sue pene e lei si torturò l’anima per la mancanza di amore, finendo per impiccarsi.
Negli anni ’30, faceva la cameriera in un locale di New Orleans, dove ogni sera si suonava musica dal vivo. In diciotto anni non lo aveva ancora incontrato e provava un sollievo misto ad angoscia: forse lui aveva trovato un amore perfetto nelle epoche che lei aveva scelto di non vivere e dunque non era più tra i viaggiatori. Aveva sbagliato persona per tutto quel tempo? Una sera, nel locale arrivò la nuova cantante col suo imprenditore. Lei si accorse che, in presenza della cantante, cominciava a provare tutta quella variegata gamma di sentimenti che aveva maturato in anni di amore tormentato. Dopo qualche mese, fu chiaro il perché: la cantante era incinta e il bambino che aspettava era lui. Aveva sbagliato il tempo di reincarnazione e adesso era troppo vecchia per lui. La cantante, intanto, aveva preso una grave decisione: un figlio le avrebbe stroncato la carriera e lo abbandonò sulle scale di un orfanotrofio. Lei lo venne a sapere e andò a prenderlo, decidendo di allevarlo come figlio suo: esistono molti modi di amare qualcuno e lei scelse l’amore filiale, nonostante sapesse che non sarebbe stata felice come avrebbe voluto.
Inverno del 2013. Annoiata dalla solita routine, aggiornò la homepage. Si era reincarnata ancora una volta, non ne poteva più. Si sentiva sempre più fuori posto nel mondo, nonostante quest’ultimo le si presentasse cambiato ogni volta che usciva dal grembo della donna che la partoriva. Gli occhi le si erano fatti sempre più profondi, oscuri pozzi che celavano dolori vecchi di millenni. Vide un messaggio in posta. Incuriosita e tuttavia poco propensa a credere che si trattasse di una qualche novità, lo aprì. Rimase immobile per qualche secondo, poi le labbra cominciarono a tremarle: dopo più di due millenni, lui l’aveva riconosciuta. E le parole erano lì, vibranti oltre le lacrime che le velavano gli occhi: “Sei la donna che aspettavo da sempre”. Si erano incontrati un anno prima, tramite amici comuni, ma entrambi erano fidanzati. In quel momento, aveva realizzato che non sarebbe accaduto nemmeno nel XXI secolo, era evidente. Dopo tutto quel tempo passato senza di lui, aveva cominciato a credere di essere riuscita ad andare avanti: desiderava essere l’amore perfetto di qualche altro viaggiatore, con cui avrebbe potuto annullarsi dopo aver sperimentato la felicità. Quelle parole, però, adesso le facevano scoprire la verità che aveva tentato di negarsi: non lo aveva mai dimenticato, aveva sperato, pregato, pianto e alla fine era stata ripagata. Rispose velocemente: “E tu sei l’uomo che aspettavo da sempre”.
Quello che successe dopo, fu solo la copia moderna di quanto avvenuto in altre epoche. Lui non l’aveva riconosciuta, si era solo adattato alla svalutazione dei valori, dava poco peso alle parole e usava frasi da cinematografo – film, si diceva film nel XXI secolo – come i suoi contemporanei, al solo scopo di rimorchiare le ragazze. Lei ci aveva sperato fino all’ultimo atto di quella farsa assurda, da quel giorno in cui si sentirono al telefono, fino alla prima volta assieme. L’amara verità la colpì infine come uno schiaffo, nonostante avesse provato a raccontarsi tutte le scuse possibili: non la amava e non riusciva a capire che era lei la donna che avrebbe completato la sua vita. La catena non si sarebbe spezzata. Eppure, stavolta era stato diverso, non poteva credere che nemmeno un misero deja-vù lo avesse sfiorato: le aveva detto troppe cose che lei aveva già sentito tutte le altre volte che si erano incontrati. Doveva fare qualcosa, voleva mettere la parola fine a tutto. Saltò sul primo treno e, sotto un metro di neve, si presentò alla sua porta. Lui rimase stordito dalla sua improvvisa comparsa, anche irritato, ma lei interruppe qualsiasi cosa stesse per fare o dire per pronunciare queste parole: “Vorrei poterti dire che saremo felici… ma hai deciso che invece non lo saremo mai, siamo due anime destinate ad incontrarsi in ogni epoca e a separarsi ogni volta. E allora voglio spezzare questa catena… Non tornerò mai più, non voglio più incontrarti. Grazie a te non potrò morire, la mia anima è destinata a lacerarsi a poco a poco fino alla fine dei tempi senza aver mai provato amore, ma ormai non ha più importanza… sono stanca. Addio.” Lo lasciò lì sulla porta con un’espressione di totale confusione. Lei si avvolse nella sciarpa e sfidò il freddo pungente delle strade, finalmente libera dopo quel sacrificio immane, mentre lui, ripresosi, si chiudeva la porta alle spalle e continuava la sua vita a metà, ignaro di tutto.
 
  
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