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Autore: Edelvais    15/10/2013    3 recensioni
But I'll be there for you
As the world falls down.


▪ I: Proprio mentre il mio respiro andò ad abbattersi contro le esili fiamme delle candele, un pensiero mi squarciò il petto in due, lasciandomi con gli occhi sbarrati e il battito del cuore a mille.
Jareth. Nonostante una parte di me fosse orgogliosa di averlo sconfitto e di non avere più nulla a che fare con il Re di Goblin, l’altra scalpitava dalla voglia di rivedere il suo bel viso marmoreo, incorniciato da quella cascata di capelli biondi e stravaganti. Non l’avevo più visto da quell’avventura nel labirinto di quattro anni fa, ma avevo pensato a lui diverse volte.
Dentro di me, sapevo che eravamo destinati a rincontrarci, ma non sospettavo minimamente che potesse accadere così presto e in quel modo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Nuovo personaggio, Sarah
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Underground'
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Sogni di Cristallo

Capitolo VIII - How to save a life



 
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life

                        The Fray, How to save a life


Quando riaprii gli occhi sentii tutti i muscoli intorpiditi.
La prima cosa che mi saltò in mente fu il buio che mi attirava verso di sé, che all’improvviso si ritrovava schiacciato dal suo opposto: una luce fortissima, calda. Poi i volti di Aramis, Jareth e il castello del primo si fecero posto nella memoria. Avevo sognato tutto?
Cercai di tirarmi su a sedere, e appoggiai la schiena al muro. « Accidenti » biascicai portandomi una mano alla tempia. « Dove diamine sono? »
Mi guardai intorno e mi accorsi di trovarmi nella stessa stanza che le ultime immagini sfocate dei miei ricordi ritraevano.  
« Sei a Feanor, il regno di Aramis, fratello di Elberth » esordì una morbida voce femminile. « E no, non stai sognando ».
Mi voltai nella direzione della voce e vidi una donna bellissima, dal volto giovane ma senza età. La sua pelle era scultorea, pallida come un lenzuolo ma candida come la neve; gli occhi somigliavano a due zaffiri incastonati nel bianco marmo del suo viso e brillavano di luce propria. Indossava una veste di un verde chiaro che non aveva altro ornamento che una cinta di foglie intrecciate con fili d’argento. Era l’essere più incantevole che avessi mai visto.
Si avvicinò leggiadra, dandomi l’impressione di star fluttuando, e mi rivolse un sorriso splendente, talmente bello da togliere il fiato. Si sistemò i capelli dietro un orecchio, e in quel momento vidi la sua forma: lievemente a punta. Un solo pensiero sfrecciò nella mia mente: la ragazza che avevo davanti era un elfo.
«Benvenuta a Feanor, Sarah » disse quasi cantando. « Come ti senti? »
« Tu chi sei? »
La sua risata argentina risuonò come un tintinnio di campanelli. « Perdonami, non mi sono presentata ». Si schiarì la voce, tendendomi la mano. « Io sono Amarie, la compagna di Aramis ».
Aramis aveva una compagna? Perché non ce l’aveva presentata?
Le strinsi la mano, e avvertii il calore della sua pelle diffondersi nella mia come se dei raggi di sole mi stessero illuminando. Da quella figura marmorea mi sarei aspettata un contatto più freddo.
« Ero nel mio giardino fino a un momento fa, è per questo che non mi hai vista prima d'ora » spiegò quasi mi avesse letto nel pensiero. « E sì, cara, non ti spaventare, ma sono in grado di leggere nella mente ».
Sgranai gli occhi, incontrando i suoi, più luminosi che mai. « Davvero? »
Ma quante diamine di cose erano in grado di fare le creature del Sottosuolo? Il mio pensiero ricadde subito su Jareth e sulle sue sfere di cristallo.
A proposito, dov’era finito il Re di Goblin? Perché non era lì con me?
« Jareth sta bene, non preoccuparti » rispose Amarie alle mie domande che avevo solo pensato. « È fuori con Aramis, stanno facendo una passeggiata ».
Avvampai, consapevole che in quel momento stesse frugando nel mio cervello e avrebbe visto tutto ciò che legava me e Jareth. Non che ce ne fosse bisogno, però; il battito accelerato del mio cuore a sentir nominare il mago era di per sé una prova inconfutabile.
Alzai lo sguardo, imbarazzata, e incontrai il suo dolce sorriso.
« Sarah », cominciò prendendomi una mano fra le sue. « Conosco i tuoi sentimenti verso Jareth, ma credimi se ti dico che non mi permetterei mai di intromettermi nei tuoi ricordi ».
« Scusami, è che non ho mai conosciuto nessuno in grado di leggere nel pensiero » ammisi con una punta di sarcasmo. Quale umano avrebbe potuto vantare di un tale dono?
« Non è sempre un vanto » rispose Amarie. « Da piccola non riuscivo a controllare il mio dono e sembrava che gli altri mi stessero urlando ciò che pensavano, e non era affatto piacevole. Crescendo ho imparato a controllarlo, e ora posso scegliere personalmente quando leggere nella mente delle persone e quando invece allontanarmi dai loro pensieri ».
« È fantastico » mormorai.
Tutti i Fae e le creature del Sottosuolo che conoscevo avevano un dono speciale: Aramis conosceva le erbe curative e la magia legata alla medicina; Jareth era il mago delle illusioni e poteva accedere ai tuoi sogni più segreti per poi manipolarli a suo piacimento; infine Amarie sapeva leggere nel pensiero.
In mezzo a tutti quegli esseri meravigliosi e perfetti, cosa contavo io? Non ero altro che un pesce rosso in un banco di squali. Ovviamente, nessuno di loro mi avrebbe sbranata.
Amarie sorrise delle mie riflessioni e mi fece alzare dal letto. « Forza, ti porto nel mio giardino ».
Non feci in tempo a ribattere che la ragazza mi aveva già preso per mano, trascinandomi fuori dal castello. Non capivo cosa mai ci fosse di tanto entusiasmante in un posto come quello; la decadenza segnava qualsiasi cosa nel regno di Aramis… Di certo il giardino di Amarie non poteva essere un’eccezione.
Invece così fu. Mi condusse attraverso un ampio corridoio tristemente spoglio di qualsiasi decorazione degna di un castello e si fermò davanti ad una porta, spalancandola.
All’improvviso un lampo abbagliante di luce m’investì, obbligandomi ad assottigliare gli occhi; non appena le mie pupille si furono abituate alla luce esterna − così diversa dalle lande desolate che circondavano il castello − proruppi in un’esclamazione meravigliata che fece ridacchiare Amarie.
Davanti a me si stendeva un giardino circolare, chiuso alle estremità dalle mura, la cui bellezza strideva terribilmente col grigio pallore del regno; aiuole di fiori dai mille colori, cespugli sagomati in forme bizzarre e al contempo stupefacenti, meravigliose statue di cristallo raffiguranti piccoli angeli disseminate ovunque… Era il posto più bello che avessi mai visto in vita mia.
Davanti alla porta vi era una piccola stradina di sassi bianchi e levigati, che conduceva al centro del giardino, dove era collocata una maestosa fontana di marmo bianco. Notai che non era l’unica, bensì dal centro del giardino partivano diversi brevi viottoli e ciascuno guidava a un’altra porta.
Incantata, mossi un passo verso quella meraviglia così surreale, ma Amarie mi bloccò prima che potessi varcare la soglia.
« Sarah, aspetta » mi ordinò, rigida.
Aggrottai la fronte, perplessa. « Ho fatto qualcosa di male? »
La sua risata argentina mi tranquillizzò, distendendo i miei nervi.
« No, cara » rispose. « Il fatto è che questo posto è alimentato dalla mia magia. Come hai potuto notare, Feanor è tempestata dai segni della disperazione di mio marito dalla perdita del fratello. È una ferita che ancora non è rimarginata e Aramis ne soffre moltissimo. Di conseguenza, dato che il suo regno è una parte di lui, anch’esso subisce la stessa lesione. Questo giardino ti sembra stonare con la desolazione del regno perché è protetto dalla mia magia ».
« E io non posso entrarvi? »
« Certo che puoi, Sarah. Ma soltanto se accompagnata da un essere magico del Sottosuolo. Vedi, tu sei un’umana, e la magia che nutre questo posto sarebbe opprimente per il tuo fragile corpo. Quindi dovrai tenermi per mano, e che non ti salti in mente di lasciarla » si raccomandò.
Annuii, ansiosa di entrare in quel piccolo paradiso.
« Se dovesse succederti qualcosa Jareth non me lo perdonerebbe mai » proseguì sorridendomi. « Perciò niente pazzie! »
« Stai tranquilla, hai la mia parola » promisi con un sorriso.
Amarie mi prese delicatamente la mano e insieme varcammo la soglia della porta, immergendoci nel verde del giardino. Solo in quel momento notai, spostando gli occhi al cielo, che in alto volavano degli uccelli dalle piume dei colori più insoliti.
Continuammo a camminare mentre io mi guardavo attorno, felice come un bambino il giorno di Natale. « È bellissimo » mormorai ammirando un’aiuola di tulipani rossi e blu.
Arrivati al centro, Amarie mi fece sedere nel bordo della fontana di marmo, stringendomi saldamente la mano.
« Tu sei… un Fae? Come Aramis e Jareth? » domandai curiosa.
Amarie spostò lo sguardo verso un piccolo uccello variopinto, che si era posato sopra il ramo di un albero. « No, non sono come loro. Sono una creatura dell’Underground, ma non un Fae; sono un Elfo » disse ripetendo il gesto di poco prima per scoprire le graziose orecchie a punta. « E sono la Melwa di Aramis ».
« Pensavo che solo gli umani potessero esserlo… ».
« Assolutamente no. Persino le femmine Fae possono esserlo. Ma accade raramente che nasca un Fae con questo dono ».
« Come? »
« Jareth non te l’ha detto? » chiese stupita. « In realtà sono molto pochi i Fae che possiedono una Melwa. Aramis e Jareth sono − per ora − gli unici di tutto l’Underground».
Sgranai gli occhi, incredula.
« D-dici davvero? » balbettai.
« Certo. È un bellissimo dono, che purtroppo in certi casi viene condannato, com’è successo ad Elberth ».
« Ovvero solo nei casi in cui la suddetta Melwa è un’umana » borbottai.
A causa mia − una semplice e insignificante umana − Jareth era stato privato della sua città e del suo Labirinto. Nonostante fossi io quella che rischiava la pelle ogni secondo che passava, il senso di colpa mi stava dilaniando.
Lei fece scontrare le sue iridi celesti contro le mie. « Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno » bisbigliò. « Sei fortunata ad avere Jareth, e lui è fortunato ad avere te ».
« Non credo proprio », replicai. «Se non fosse per me, lui ora sarebbe a Goblin, senza doversi preoccupare di dover proteggere una ragazzina ».
Amarie sospirò, chiudendo la mia mano fra le sue. « Certamente, lui ora sarebbe a Goblin, circondato dai suoi sudditi e tra le mani ancora il Labirinto. Avrebbe tutto questo, ma sarebbe solo ».
Solo. Fin dal primo istante che lo vidi, quella sera di quattro anni prima, riuscii a cogliere nei suoi occhi una tristezza che soltanto le persone senza nessuno da amare possono avere. Ma quando era piombato di nuovo nella mia vita, soltanto pochi giorni prima, avevo scorto nei suoi occhi una luce diversa, che illuminava il suo sorriso sghembo che tanto mi faceva innervosire.
« Lo so, ma se dovesse morire per colpa mia... »
« Vi salverete, Sarah. Finché rimarrete insieme non vi accadrà nulla di male, e potrete fare qualsiasi cosa » replicò Amarie. « Fidati di me. Io amo Aramis più della mia stessa vita e so che insieme possiamo vincere contro qualsiasi sortilegio. Accade questo, quando un Fae incontra la sua Melwa ».
Non risposi, continuando testardamente a fissare il vuoto. Dentro di me aveva luogo una lotta estenuante fra il desiderio di rimanere con Jareth e abbandonare la mia vita da umana e fra quello di continuare a vivere normalmente, con la mia famiglia e i miei amici.
« Sarah, conosco i tuoi sentimenti. Che tu lo voglia o no, li stai gridando con tutta l’aria che hai nei polmoni, nonostante ti ostini a reprimerli. Devi imparare ad accettarli. Jareth ti ama ».
« Lo so » sospirai, abbassando lo sguardo.
« E allora cosa c’è che ti preoccupa? »
Esitai, prima di liberare il mare di pensieri che mi martellavano la testa. « Amarie, io non voglio ferirlo. So che non potrei mai diventare sua regina abbandonando la mia vita nel mio mondo e assecondandolo finirei per illuderlo, e non voglio questo ».
« Se vi amate davvero − e so che è così − sacrifici del genere non saranno nulla in confronto a ciò che potrete vivere insieme. Io ho accettato di stare con Aramis nel suo regno e ho lasciato il mio, di cui ero regina. Ma non sei obbligata a diventare sua regina per stare con lui. Ci sono delle alternative ».
« Il fatto è che sono confusa » ammisi spostando lo sguardo sulle mie scarpe.
Prima che Amarie potesse ribattere, la vidi raddrizzare le spalle, tendendo le orecchie. I suoi occhi indagavano sulla fonte del rumore che si avvicinava e quando anche il mio udito umano riuscì a recepirlo, capii che era un suono di passi.
Allarmata, cercai qualche spiegazione nello sguardo di Amarie. Lei sembrò percepire la mia preoccupazione e mi tranquillizzò stringendomi forte la mano. « Non è nulla, tranquilla », bisbigliò con voce melodica. « Sono solo Jareth e Aramis che tornano dalla passeggiata ».
In quel preciso istante dalla stessa porta che avevamo varcato noi per entrare nel giardino, ecco spuntare le inconfondibili figure slanciate dei due Fae.
Riconobbi subito il suo volto, solcato dall’immancabile sorriso sghembo che mi irritava così tanto, ma che avevo imparato ad amare. Jareth si avvicinò alla fontana, seguito da Aramis, senza staccare per un istante i suoi occhi da me. Istintivamente feci per alzarmi e corrergli incontro, ma la stretta di Amarie mi bloccò in tempo, prima che potessi commettere chissà quale idiozia.
« Amarie » esordì Aramis con un tono di dolce rimprovero. « Ti avevo detto di lasciarla riposare nella sua stanza ».
L’elfa rise. « Mi dispiace, non ho saputo resistere alla tentazione di portarla qui ».
Poi, sotto un’occhiataccia di Jareth, lei alzò le nostre mani congiunte. « Tranquillo, barbagianni. Con me è al sicuro ».
Vidi il Fae sogghignare, fermandosi proprio davanti a noi. « Lo spero per te, orecchie a punta ».
Quello scambio di frecciatine amichevoli mi fece sorridere, e in quel momento desiderai solo potermi lanciare tra le braccia di Jareth. Ora che non ero più sotto l’effetto del veleno e che lui era così vicino a me, mi sembrava terribilmente ingiusto privarmi di questo.
Amarie parve ascoltare i miei pensieri e mi rivolse un dolce sorriso. Si alzò dal bordo della fontana facendomi cenno di imitarla, e con cautela appoggiò la mia mano su quella di Jareth, attenta a non lasciarmi nemmeno un secondo senza il contatto di uno dei due.
Il mago piantò il suo sguardo nel mio, studiando ogni singolo centimetro della pelle del mio viso.
« Stai bene? » domandò.
Senza rispondere, strinsi la sua mano e lo strattonai senza troppe cerimonie verso di me e gli lanciai l’altro braccio al collo, affondando la testa nella sua spalla. Mi costrinsi a ricacciare indietro le lacrime, per evitare l’ennesima figura da bambina frignante. Jareth appoggiò la sua mano sulla mia nuca, mentre l’altra lasciava la mia e andava ad accarezzarmi la schiena.
« Non avrei dovuto lasciarti sola nemmeno un secondo ». Avvertii nel suo tono di voce il senso di colpa che lo stava dilaniando.
Avrei tanto voluto rassicurarlo, dirgli che lui era stato per me l’unica ancora alla vita nella mia lotta contro le tenebre, invece dalle mie labbra uscirono solo due insignificanti parole: « Va tutto bene ».
Quel momento sarebbe potuto durare per sempre − e a me non sarebbe dispiaciuto − se solo la voce di Aramis non avesse spezzato il silenzio. Lui e Amarie avevano lasciato il giardino ed erano tornati dopo minuti, a quanto pareva portatori di cattive notizie.
« Jareth », esordì il Fae. « Mi spiace disturbarvi, ma c’è una persona che desidera vederti ».
Jareth si sciolse dalla mia stretta, senza però dimenticarsi di tenermi per mano, e mi costrinse a seguirlo fino alla porta, dove ci attendeva la coppia.
Lui e Aramis si scambiarono un fugace scambio di sguardi, che colsi come un avvertimento.
Che Zephit ci avesse scovati? O magari era persino riuscito ad arrivare fin qui? Era già pronto ad ucciderci? Il regno di Aramis non aveva un esercito e Zephit avrebbe potuto sottometterlo quando voleva.
« Cosa succede? » domandai, ma nessuno si degnò di rispondermi finché non arrivammo all’entrata del castello, nel cortile di accesso alla struttura dove poche ore prima Aramis aveva spiegato a me e Jareth di come ci avesse portati a Feanor.
All’improvviso tutti si fermarono e a causa dei miei scarsi riflessi andai a sbattere contro la schiena del Re di Goblin, prorompendo in un’imprecazione sottovoce.
Jareth mi fulminò con lo sguardo, intimandomi di restare dietro di lui, ma quando scorsi a pochi metri da noi chi era la persona che desiderava vederci, non resistetti e mi feci spazio fra lui e Amarie. Sgranai gli occhi quando il mio sguardo cadde su una figura femminile decisamente simile a Jareth: una pioggia di capelli ramati le ricadeva lunga e liscia sulle spalle, mentre le sue iridi di ghiaccio ci scrutavano con una certa impazienza. Era vestita con un abito simile a quello di Amarie, solo di un blu scuro come la notte. Notai solo dopo aver esaminato con stupore la somiglianza con il Re di Goblin che portava due orecchini con la stessa forma del ciondolo di Jareth.
Allora capii: era sua madre. Avrebbe potuto essere persino sua sorella, dato che il suo volto da Fae era senza tempo, ma qualcosa nel suo sguardo confermava la mia prima tesi.
« Zaphira » sussurrò Jareth al mio fianco, con una nota di stupore impressa nella voce.
« Figlio mio » rispose quella, accennando un debole sorriso. « Sono felice di vederti sano e salvo ».
« Strano, fino a poco tempo fa avrei scommesso che stessi aiutando mio padre a trovarci » ringhiò Jareth.
Zaphira fece un passo ma Aramis la bloccò, puntandole contro la spada. « Non ti avvicinare ».
La donna allargò le braccia, lasciandosi sfuggire un gemito di esasperazione.
« Oh, andiamo. Non sono venuta qui per conto di mio marito. Voglio aiutarvi. Voglio aiutare mio figlio. Purtroppo ho capito troppo tardi quale fosse il mio dovere, troppo accecata dal potere di cui tuo padre si stava impossessando; troppo occupata a preoccuparmi di quella stupida Alleanza per pensare a ciò che era realmente giusto fare: difendere mio figlio ».
Mentre parlava, sembrava veramente pentita e segnata dal dolore, e aveva osato avvicinarsi a noi, fino a fermarsi a poche spanne da me e Jareth.
Mi rivolse un lieve sorriso. « Non permetterò a tuo padre di privarti dell’amore ».
Il mago non rispose, limitandosi a sfiorare la mia mano con la sua per mettermi in guardia.
« Figlio mio, io non conosco i piani di Zephit; ha sempre cercato di tenermi all’oscuro di ogni cosa, poiché sicuramente dubitava sin dal principio che sarei rimasta fedele a lui, così ansioso di uccidere il proprio figlio pur di evitare l’invasione del suo regno » proseguì Zaphira, osando persino posare una mano sulla spalla del figlio, il quale rimase impassibile al suo tocco leggero. « Tuttavia posso aiutarti a prevedere le sue prossime mosse e suggerirti un piano per riuscire a sconfiggerlo, se tu me lo permetti ».
Con la mano sinistra tentò di sfiorarmi la guancia in un sincero gesto di affetto, ma Jareth le afferrò saldamente il polso, allontanandola da me. Nonostante ormai fosse chiara la sua resa e la sua proposta di aiuto, lui non si fidava. Non si fidava di sua madre.
Ora cominciavo a capire di quali differenze parlava Jareth quando, raccontandomi la storia della ribellione del Labirinto, affermò che nell’Underground nella maggior parte dei casi veniva considerato veramente un figlio dai genitori solo in faccende politiche.
Nel frattempo, Aramis e Amarie erano rimasti fermi a guardare, sempre pronti a intervenire in caso di attacco inaspettato da parte della nuova comparsa, ma ormai sembravano tranquilli, soprattutto perché l’elfa avrebbe sicuramente avvertito il pericolo nei pensieri della donna.
« Non ti azzardare anche solo a sfiorarla » sibilò il Re di Goblin.
Zaphira ritrasse il braccio, scuotendo impercettibilmente il capo. « Mi rendo conto che ancora non ti fidi di me » biascicò con amarezza. « Ed è giusto così; in fondo, solo ora mi accorgo di non essere stata una vera madre per te ».
Sembrava sincera. Anzi, sicuramente lo era e anche Jareth se n’era accorto da un bel pezzo. Tuttavia gli leggevo negli occhi che ancora non riusciva a fidarsi.
« Possiamo parlare in privato? » domandò il Fae.
Aramis e Amarie si congedarono con un cenno del capo, mentre io esitai sul posto, incatenando il mio sguardo a quello del mago. Non voglio lasciarti di nuovo, avrei voluto dirgli.
Lo vidi sorridere appena, sfiorandomi la guancia con la mano guantata. « Vai a riposare, mia preziosa. Ti sei appena rimessa da un avvelenamento » mi ricordò.
Invece io non mi sentivo affatto stanca. Una nuova e strana energia ribolliva dentro di me, e sospettai che la magia che teneva in vita il giardino di Amarie mi avesse aiutata a guarire più in fretta, donandomi persino rinnovate forze.
Tuttavia acconsentii, temendo già il momento in cui lo lascerò solo con il suo passato.
Annuii impercettibilmente e mi voltai, lasciando che Amarie e Aramis mi guidassero fino alla mia stanza. Prima che entrassi, Amarie mi strinse in un delicato abbraccio.
« Ci vediamo domani, Sarah » mi sussurrò all’orecchio. « Io devo andare a curare i malati del villaggio ».
Annuii, sciogliendomi dalla stretta. « A domani, allora ».
Mi rivolse un ultimo sorriso per poi voltarsi, camminando a fianco del marito che le cingeva le spalle con fare protettivo. Nel loro regno era sopravvissuto solamente un villaggio ed entrambi facevano del loro meglio per aiutare i loro sudditi. Mi chiesi che aspetto avessero questi ultimi, se fossero elfi, fate o altri esseri magici del Sottosuolo, poi scossi la testa, concentrando i miei pensieri sulla madre di Jareth. Senza dubbio voleva sinceramente aiutarci, dato che Amarie avrebbe potuto avvisarci del contrario servendosi del suo dono di leggere nel pensiero; nonostante ciò, il Re di Goblin esitava ancora a fidarsi di lei.
Non conoscevo il passato di Jareth, ma qualcosa mi diceva che questa sua titubanza derivava da eventi che potevano avergli sconvolto l’infanzia.
Straripante di energia, decisi di recarmi nella biblioteca del castello, che avevo intravisto dietro una porta socchiusa mentre Amarie mi guidava verso il suo giardino.
I corridoi erano talmente deserti e silenziosi da farmi venire i brividi.
Camminai finché non riconobbi la fila di porte tra le quali dovevano esserci quelle per il cortile di Amarie e per la biblioteca di Aramis. In quel momento due voci distinte giunsero al mio orecchio, ma erano troppo intrecciate e confuse perché ne potessi identificare i proprietari.
Sembrava che, chiunque fossero, si stessero gridando addosso sottovoce, attenti a non farsi scoprire da nessuno. Incuriosita, mi avvicinai finché non riconobbi le voci: erano Jareth e sua madre.
Sbirciai attraverso lo spiraglio della porta socchiusa e li vidi in piedi, l’uno di fronte all’altro, che parlavano con tono nervoso e preoccupato. Jareth stava camminando avanti e indietro, sbattendosi ritmicamente il frustino contro la gamba, mentre Zaphira se ne stava ritta sul posto con espressione impassibile, senza scomporsi.
« Jareth, non c’è alternativa » proseguì la donna. « Zephit invierà qui le sue truppe entro domani e il regno di Aramis non può rispondere all’attacco: Feanor non ha più un esercito ».
Il sangue mi si raggelò nelle vene quando le immagini di quei demoni che assalivano Feanor mi occupavano la mente. No, non potevano attaccare Aramis e Amarie. Loro non avevano fatto nulla.
« E allora cosa possiamo fare?! Hai detto che sei venuta qui per aiutarci, ma ancora non mi hai suggerito nulla di utile per fermare Zephit! » gridò il Fae, furioso.
« Calmati » s’impose Zaphira. « Calmati e ascolta la mia teoria ».
Jareth si fermò, stringendo convulsamente i pugni.
« Conosco solo un’alternativa alla morte di quell’umana per liberarci da questa condanna: dobbiamo radunare un esercito ».
Sgranai gli occhi quando le sue parole giunsero alle mie orecchie. Dobbiamo combattere? Con quale esercito? Anche se Aramis riuscisse a convincere i pochi abitanti del suo villaggio a imbracciare le armi contro le truppe di demoni di Zephit, non sarebbe comunque bastato a vincere.
Ci avrebbero annientato. Ormai era solo questione di tempo.
« Ti ha dato di volta il cervello? Non ci riusciremo mai! Abbiamo poche ore e nessuno si farebbe avanti per aiutarci » ribatté Jareth.
« È l’unica alternativa che abbiamo per salvare Sarah » esordì Aramis, che spuntò da dietro uno scaffale della libreria. Come poteva essere d’accordo con lei? Preferiva andare incontro a morte certa con i suoi sudditi per proteggere me? No, non potevo permetterglielo.
« Zephit vuole la sua morte, Jareth. Solo quando il suo cuore cesserà di battere, l’Alleanza revocherà la minaccia d’invasione al regno di tuo padre. Potremmo temporeggiare, in modo da aspettare che i Tre Regni lo sconfiggano prima di noi, ma poi sarebbero loro a darle la caccia, perché se non muore lei, i loro territori continuano a cambiare, modellandosi ai suoi sogni », continuò il Re di Feanor.
« Quindi mi stai dicendo che o Sarah muore oppure dobbiamo combattere contro gli eserciti demoniaci di Zephit? E poi cosa accadrà, una volta sconfitto mio padre? L’Alleanza continuerà a bramare la sua morte? » lo interruppe Jareth, sbattendo furiosamente i pugni sul tavolo di legno al centro della sala.
« Sai cosa succederà » intervenne Zaphira. « Tu diventeresti il nuovo re di Xanthi e Sarah la tua regina. Solo a quel punto sarete entrambi al sicuro ».
Il cuore fece una capriola nel mio petto. Regina di Xanthi? Quindi sarei diventata come loro… Immortale e destinata a un futuro accanto a Jareth.
« Comunque non riusciremo mai a procurarci un esercito alla pari di quello di Zephit ».
Non avevo mai visto Jareth più abbattuto di così. E mi dispiaceva terribilmente essere la causa di tutto quel disastro, anche se effettivamente non ero stata io a sovvertire l’ordine del tempo e a mettere sottosopra l’intero Underground.
Sentii Aramis sospirare rumorosamente, mentre si sedeva a sfogliare un libro.
« Mentre curavi Sarah dall’avvelenamento hai detto che se vogliamo sconfiggere mio padre dobbiamo farlo insieme… Cosa intendevi precisamente? » domandò il Re di Goblin.
Aramis alzò gli occhi dalle pagine del vecchio tomo. « Intendevo proprio affrontarlo insieme, voi due soli. Ma so che non lo permetteresti mai, perché esporrebbe Sarah a un rischio troppo grande: non è sicuro che possiate farcela e non so nemmeno in che modo potreste vincerlo. Ma quando siete arrivati qui, ho intuito subito che siete irrimediabilmente legati come lo siamo io e Amarie, e insieme potreste fare qualsiasi cosa ».
Jareth scosse la testa. «No, Sarah se ne andrà domani con Amarie a cercare protezione dagli Elfi ».
« Potremmo chiedere aiuto a loro » propose Zaphira.
« Non accetteranno mai ».
« Invece sì, Jareth. Potrebbero, se sarà Amarie a chiederlo. In fondo lei era la loro regina e loro sono rimasti ancora fedeli a lei » replicò Aramis.
« Che aspettiamo? Mandiamo tua moglie a chiedere aiuto! »
« Hai ragione, Zaphira. Dobbiamo aspettarci un attacco domani, e forse se io e Amarie partiamo questa sera riusciremo ad arrivare in tempo con i rinforzi ».
Aramis si alzò di scatto. « Vado al villaggio ad avvertirla. Se tutto va bene, ci vedremo domani all’alba ».
« Fai attenzione », si raccomandò Jareth. « E grazie di tutto ».
L’altro Fae sorrise e gli batté una mano sulla spalla, per poi dirigersi a grandi falcate verso la porta.
Verso di me.
Realizzai in quel momento che dovevo nascondermi se non volevo essere scoperta a origliare, perciò costrinsi le mie gambe a muoversi. Anche se mi fossi messa a correre non avrei raggiunto l’angolo del corridoio, quindi decisi di infilarmi nella stanza adiacente alla biblioteca, socchiudendo la porta senza far rumore.
Un secondo dopo Aramis vi passò davanti e ringraziai il cielo di aver avuto la prontezza di eclissarmi. Uscii subito dal mio nascondiglio e decisi di non ascoltare oltre la discussione tra Jareth e Zaphira, così me ne tornai nella mia camera.
Mi sedetti sul letto e mi portai le mani ai capelli, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
Ero un disastro. Un completo disastro.
Era assurdo come una semplice umana come me avesse potuto scatenare quel putiferio.
Non solo Zephit mi dava la caccia con le sue schiere di demoni assetati del mio sangue, ma adesso c’erano di mezzo anche Aramis e Amarie, e tutti gli abitanti del loro regno e molto probabilmente persino gli Elfi. Oltre che Jareth, ovviamente.
Questo pensiero mi mozzò il respiro, che diventò affannoso e irregolare, come se stessi per andare in iperventilazione. E, in effetti, c’ero molto vicina.
Okay, calmati, Sarah, mi ordinò il mio cervello. A quindici anni hai risolto il Labirinto del Mago delle Illusioni. Non puoi arrenderti così; devi trovare una soluzione.
Cercai di ascoltare quel poco di ragione che mi rimaneva, ma ormai il panico aveva messo radici nel mio animo e a quel punto sapevo di non avere speranze di salvare gli altri.
A meno che…
M’illuminai improvvisamente, mentre le parole di Aramis mi rimbalzavano nella mente: « Zephit vuole la sua morte, Jareth. Solo quando il suo cuore cesserà di battere, l’Alleanza revocherà la minaccia d’invasione al regno di tuo padre ».
Quindi ero io la chiave. O meglio, la mia morte era la soluzione di tutto.
La mia vita era il prezzo da pagare per allontanare la minaccia che incombeva su Jareth e gli altri. E mi sarei sacrificata volentieri, se solo non fossi stata certa che mi sarei trascinata nella tomba anche il Re di Goblin; perché se fossi morta, anche i miei sogni si sarebbero spenti con me, e di conseguenza anche lui.
Ma forse avevo una possibilità: rinchiudere i miei sogni in un cassetto. In un cassetto blindato, a prova di bomba, per proteggere Jareth.
Avevo paura, non lo nego. Ma sapevo che era la cosa giusta da fare e questo mi aiutava a combatterla.
In quel momento Jareth spalancò la porta della mia stanza, e in un silenzioso attimo mi ritrovai il suo viso a pochi centimetri di distanza dal mio. Per un istante che mi parve meravigliosamente infinito, rimase a osservare i miei occhi, ed io mi persi inevitabilmente nei suoi.
Poi appoggiò una mano sulla mia guancia e con l’altra mi cinse la vita, attirandomi a sé. Le nostre labbra si incontrarono per una seconda volta, e in quel momento desiderai solo che quel momento non finisse mai.
Era un bacio decisamente migliore del primo e fu proprio questo a convincermi della giustezza della mia scelta: avevo finalmente capito di amarlo e avrei dato la vita per lui a tutti i costi.
Persino spezzargli il cuore.
Ringraziai il cielo che Amarie non fosse lì a leggere i miei pensieri, altrimenti avrebbe saputo del mio piano e mi avrebbe impedito di attuarlo. Ma a quanto avevo capito lei sarebbe tornata la mattina dopo all’alba, quindi dovevo fare presto.
La consapevolezza della mia morte imminente e del fatto di non poter mai più rivedere Jareth, mi spinse a prolungare quel bacio. Un bacio meraviglioso, ma che mi riempì d’angoscia.
D’un tratto avvertii i miei occhi inumidirsi e un secondo dopo mi resi conto di star piangendo sommessamente. Il Re di Goblin allontanò di poco il suo viso, sfiorandomi la guancia tempestata dalle lacrime con dolcezza.
« No, non piangere, mia preziosa » sussurrò. « Andrà tutto bene ».
Mi attirò di nuovo a sé, questa volta in un soffice abbraccio.
« C-che cosa ti ha detto Zaphira? » domandai fingendo ingenuità.
Lui esitò, stringendomi contro il suo petto con fare protettivo. « Mi ha avvertito ».
« Di cosa? »
« Zephit vuole invadere Feanor per scovarti e ucciderti. Crede che non opporremo resistenza perché ormai il regno di Aramis non ha più un esercito e i pochi abitanti sopravvissuti non sono in grado di reggere le armi. Ma quello che non sa, è che molti anni fa Amarie era la regina degli elfi, e secondo Aramis accetteranno senza esitare la sua richiesta d’aiuto ».
« E noi dove andremo? Combatteremo? »
« Durante la battaglia Amarie ti porterà al sicuro nel regno degli elfi »
« E tu? »
«Aiuterò Aramis a difendere il regno» fece una pausa, scostando una ciocca di capelli dalla mia fronte. « E a difendere te ».
Prima che potessi ribattere, avvertii le sue labbra premere di nuovo contro le mie, soffocando quelle parole che avrebbero salvato la vita a tante persone innocenti, compreso lui, ma che sarebbero state la causa della mia morte. Il suo profumo m’invase le narici, e ne rimasi talmente assuefatta da lasciarmi completamente in balia del Fae. Dopo una manciata di secondi mi resi conto di essere stesa nel letto, mentre avvertivo le labbra di Jareth sfiorare il mio collo, facendosi strada fino alla mia bocca. Il bisogno impellente di lui s’impose contro la necessità di agire subito, al fine di evitare una guerra che senza dubbio ci avrebbe annientato. Senza dubbio gli elfi avrebbero accettato di difendere la loro vecchia regina, ma qualcosa mi diceva che non avrebbero potuto nulla contro i demoni di Zephit. E probabilmente anche Jareth se n’era reso conto e, sapendo che non mi avrebbe più rivista, il suo desiderio era trascorrere la sua ultima notte con me.
Quel pensiero mi travolse come un’onda anomala, e mi costrinsi a ricorrere a tutta la mia forza di volontà per allontanarmi di pochi centimetri dal suo viso.
Ansimai, tuffandomi nelle sue iridi che rispecchiavano i miei stessi sogni.
E allora capii. Io sono quel che tu vuoi che sia per te.
Le sue parole echeggiarono nella mia testae finalmente colsi il loro senso: lui era tutto ciò che rappresentava i miei sogni, i miei desideri, e quando essi cambiavano, cambiava anche lui.
Ecco perché mi sembrava così strano. Ecco perché mi risultava difficile credere che il mago che aveva ammesso di amarmi e quello che rapì il mio fratellino quattro anni prima fossero la stessa persona.
Presi coraggio, sicura di star facendo la cosa giusta, e le parole mi uscirono di bocca tremolanti, come se stessero camminando su un filo sospeso a un centinaio di metri da terra.
« Aspetta » dissi, cercando di controllare la mia voce. Lui scrutò il mio sguardo, interdetto.
Non parlò, e qualcosa mi suggerì che sapeva dove volevo arrivare. Sperai solo che non avesse previsto il mio piano, perché altrimenti mi avrebbe persino rinchiusa in una cella sotterranea pur di evitarlo.
« Jareth, tu hai detto che noi due siamo legati ». Attesi il suo cenno di assenso prima di continuare. « Be’, in questi giorni ho pensato molto a questo e a come potrebbe influire sulla mia vita normale, nell’Aboveground. Tutto questo non mi appartiene, Jareth, e non sono più la ragazzina fantasiosa di una volta; io voglio vivere con i miei coetanei, svegliarmi presto la mattina per andare a scuola, divertirmi con gli amici, stare con la mia famiglia… E tutta questa storia della guerra mi sta sconvolgendo ». Feci una pausa, quasi orribilmente teatrale. « Insomma, voglio che tu spezzi il legame che c’è fra noi, come Elberth avrebbe voluto fare per salvare Rosalie. Non ho ancora visto niente del mondo e non voglio lasciare la mia famiglia. Mi dispiace, Jareth. Ho capito di amarti, ma non voglio illuderti che starò con te nel Sottosuolo per sempre, lasciando che la mia vita da umana mi scivoli via dalle mani ».
Gli attimi che seguirono furono come delle schegge di vetro conficcate in ogni parte del mio corpo, che mi provocavano dolori lancinanti. Jareth aveva indossato una maschera d’impassibilità per celare alla mia vista le emozioni che gli sfrecciavano attorno, e i suoi occhi sembravano vuoti, spenti come non li avevo mai visti.
« Per favore » mormorai. Non c’è tempo, avrei aggiunto.
Soppesò le mie parole, e solo quando si alzò dal letto capii che aveva abboccato. Il dolore che sapevo avergli provocato mi stava dilaniando, e in quel momento desiderai solo farla finita.
« Non posso farlo, Sarah; Zephit ti prenderà » disse con voce atona. « E a quel punto non potrò più proteggerti ».
« Se spezzerai il legame, non potrà più trovarmi, lo sai » gli ricordai con insistenza. « Voglio tornare a casa ».
Eccolo, il colpo di grazia che fece piegare le sue labbra in un’impercettibile smorfia di dolore.
« Perché? » sibilò facendo un passo indietro. Pareva che la mia vicinanza lo riluttasse.
Piantai il mio sguardo nel suo, e in quell’istante mi resi conto di avere gli occhi umidi di lacrime.
« Ti fidi di me? » sussurrai.
Silenzio.
« Ti prego » insistei.
« Se è questo che vuoi, ogni tuo desiderio è un ordine, per me » concluse, evocando una sfera di cristallo fra le sue dita e lanciandomela addosso.
Vidi la mia pelle farsi sempre più trasparente, mentre Jareth studiava per l’ultima volta il mio viso, quasi volendo imprimere nella memoria i miei lineamenti.
Un attimo prima che sparissi del tutto, una voce acuta e carica d’angoscia raggiunse il mio udito, e dalla porta fece capolino la figura di Amarie, seguita da Aramis. Quando il loro sguardo si posò su di me, entrambi sbiancarono di colpo.
« No! » gridò Amarie, che sicuramente aveva appena letto i miei pensieri e capito al volo le mie intenzioni. Non fece in tempo a muovere un passo verso di me, che un vortice di luce mi risucchiò, trasportandomi via dal Sottosuolo.
Da Aramis e da Amarie. Da Hoggle, Dydimus e Ludo.
Da Jareth.
Per sempre.
 
***
 

Quando la confusione e il disorientamento sparirono, un’occhiata attorno a me mi bastò per capire di trovarmi nel soggiorno di casa mia. Con passo incerto, mi diressi verso l’orologio a pendolo appeso al muro, che indicava con i suoi due bracci le sei e mezza di sera.
Il mio sguardo si posò sul giornale abbandonato sul tappeto della porta, che il postino aveva lasciato lì la mattina stessa. Lo presi tra le mani tremolanti e notai che nel mio mondo era sabato 20 Marzo.
L’Equinozio di Primavera.
Appoggiai la schiena contro la porta e mi accasciai al pavimento, con la testa tra le ginocchia.
Il pensiero della morte imminente mi martellava nella testa, opprimendomi.
Non fare la vigliacca, mi rimproverai. Se non troverai il coraggio, tutte quelle persone innocenti moriranno per colpa tua.
Deglutii a vuoto, stringendo convulsamente le mani a pugno. Sicuramente Amarie aveva già raccontato tutto il mio piano a Jareth, che a quel punto si doveva essere già strappato tutti i capelli per essere caduto nel mio tranello.
Sperai solo che capisse le mie ragioni e che sapesse che lo amavo più della mia stessa vita.
E tutto questo lo avevo scoperto troppo tardi.
Sapevo che nel suo cuore sarebbe rimasta una ferita che non si sarebbe cicatrizzata con il tempo, ma almeno sarebbe sopravvissuto.
Senza nemmeno accorgermene, le mie gambe mi guidarono malferme al camino, davanti alle foto della mia famiglia sistemate con cura nella mensola.
Le studiai una a una, e man mano che i loro particolari si rivelavano al mio occhio, sentivo le lacrime rigare sempre più le mie guance.
Linda, Robert e una me in miniatura nata da poche settimane… Karen con Toby fra le braccia… La mia famiglia riunita attorno all’albero di Natale insieme ai miei zii e a mia cugina Marley pochi anni prima…
E fra poco ai miei genitori non sarebbe rimasto altro di me, se non ricordi che si sarebbero sbiaditi nel tempo.
Presi tra le mani l’ultima foto, quella che ritraeva la mia famiglia solo un anno prima. Posai un bacio sopra di essa e trassi un profondo respiro.
Sparire senza lasciare alcuna traccia ai miei genitori non faceva che appesantire il mio compito e addolorarmi. Ma anche loro sarebbero sopravvissuti, come Jareth, anche se feriti nel profondo.
Feriti ma vivi.
Chiusi gli occhi e un impeto di coraggio ed energia mi travolse, facendomi pronunciare le parole che avrebbero contrassegnato per sempre la fine della mia esistenza.
«Desidero che il Re di Xanthi mi porti via. All’istante».

 
   
 
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