Anastasia si strinse nel suo cappotto di pelliccia e continuò a camminare nella bufera che imperversava nella steppa. Era a pochi chilometri da Mosca e aveva camminato per circa due giorni. Era stata ospitata da quattro famiglie durante il suo viaggio. Mentre camminava cercando di tenersi al caldo, una slitta le sfrecciò accanto. Il conducente si fermò e le chiese se voleva un passaggio. Anastasia accettò subito con un flebile “da”. Il conducente la portò a casa sua, in un villaggio a circa tre chilometri da Mosca. Le offrì del cibo e una cuccetta dove dormire; ogni volta che poteva Anastasia lo ringraziava. Il mattino dopo Anastasia si svegliò presto e ringrazio ancora una volta il conducente lasciando sulla tavola un foglio in cui lo salutava e una sciarpa fatta a mano. Partì subito e lasciò in poco il paesino. Dopo quasi due ore e mezza, nelle quali si era fermata più volte a riprendere fiato, arrivò a Mosca. L’immensa e imponente città la incantava sempre di più; a ogni passo si sentiva un po’ più regale di prima. Con le mani tremolanti prese dalla tasca un foglietto su cui era scarabocchiato un indirizzo; arrivò al palazzo in circa un quarto d’ora. Aprì il pesante portone e cercò tra le caselle postali l’appartamento 4B. L’abitazione era al quarto piano e Anastasia dovette salire le scale. Arrivata senza fiato al quarto piano, si incamminò al 4B. Suonò il campanello e aspettò. Venne ad aprire un uomo sui trentacinque con capelli castani e occhi nocciola. Indossava un maglione blu scuro e dei jeans; ai piedi portava delle pantofole e al polso un Rolex costoso. Con un fil di voce Anastasia disse “papà” e si lasciò cadere tra le sue braccia, sfinita.