Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Himesama    08/04/2008    2 recensioni
Per dirla coi tropes: Crossover, alternate universe, self-insertion e nerd wish fulfillment, mischiati male e versati come capita senza la minima vergogna.
Buon divertimento.
Genere: Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Alternate Universe (AU), Cross-over, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Bel colpo, principessa”.

La pallina da golf, piccola e bianca com'era, andò a finire da qualche parte più avanti nel percorso, confondendosi facilmente con l'erba. Non sarebbe stata difficile da trovare avvicinandosi, cosa che avrebbero dovuto fare comunque.

Reisen trovava bizzarra l'idea di giocare a golf da soli, era uno sport bizzarro quello dove si poteva giocare contro un par, ma era al servizio della principessa da abbastanza tempo per capire che fare domande sulle sue trovate, o su qualunque altra cosa, non portava mai a nulla di buono. Quindi se ne stette zitta e portò la borsa con le mazze come le era stato detto di fare.

Tewi, come al solito, non stava facendo nulla di utile, un peso inutile che non faceva altro che rompere le scatole e combinare guai e fare finire nei guai anche lei per un processo non dissimile da un'esplosione a catena. Non aveva mai capito perché, ma a volte ci rifletteva su e sentiva lo strisciante terrore di avere sviluppato la rassegnazione alle punizioni di una prigioniera di guerra.

Non voleva pensarci oggi, però. Era una bella giornata, erano all'aperto e non aveva faccende di casa che pesavano sulla sua testa. Non aveva nemmeno la più pallida idea di dove fossero, ma le andava bene lo stesso.

La principessa Kaguya procedette con passo baldanzoso fino a dove era arrivata la pallina, era una donna di una bellezza tale da poter spingere schiere di uomini alla disperazione e al suicidio a un suo semplice capriccio (e se quelle che Reisen aveva sentito non erano balle, erà giù successo, più volte), aveva capelli neri lunghissimi, lisci e lucidi come quelli di una modella nelle pubblicità di shampoo, anzi, ancora più belli, e splendevano al sole a ogni suo movimento.

Quando arrivarono, Reisen appoggiò a terra la borsa con le mazze, non era straordinariamente pesante a conti fatti, ma sentiva che avrebbero dovuto fare molta strada. A quanto aveva capito era un percorso di dodici buche, e quel paesaggio abbastanza lungo da poterci fare una pista di atterraggio per biplani era solo una buca. Una. Su dodici.

Sì, avrebbero camminato molto.

Ora, Reisen non sapeva molto di golf, ma era abbastanza sicura che quello non fosse il modo di tenere la mazza, e conosceva abbastanza bene la principessa da sapere che il suo tentativo di discernere la direzione del vento era puramente scenico. Ogni tanto aveva la tentazione di dire qualcosa, di fare notare qualche particolare che credeva di notare solo lei, ma un appropriato e comodo mal di testa, di solito, gliela faceva passare.

“Sai Reisen, pensavo...”, la voce era di Eirin, la donna senza la quale la principessa Kaguya sarebbe collassata sotto il suo stesso peso di NEET, e la ragione principale per cui Eientei non era caduta a rotoli. Questo non la rendeva necessariamente una donna piacevole da avere intorno, era infatti una risaputa e reiterante pervertita, tra le altre cose.

Improvvisamente, un colpo sordo anticipò il volo della pallina da golf, che lanciata con l'insensata violenza di una principiante fece una curva che avrebbe fatto piangere Gauss, prima di cadere fuori dal green di una dozzina di metri.

“Ottimo colpo, principessa”, ripetè Eirin, prima di ritornare al discorso con Reisen, “Dicevo, è un po' di tempo che non visiti la tua famiglia, non ti manca?”.

Reisen rabbrividì, non si riferiva alla sua famiglia di origine, di cui dubitava sapesse alcunché (anche se, c'era da dirlo, Eirin era una donna piena di sorprese. Spesso poco piacevoli), si riferiva alla famiglia originatasi da lei in circostanze di cui preferiva tantissimo non parlare, e su cui tendeva a non far soffermare mai i suoi pensieri.

“Sono sicura che stiano benissimo”. Lo pensava davvero, quel suo figlio, nato in circostanze a metà via tra il tremendamente imbarazzante e ben oltre l'orlo della follia, aveva ereditato la qualità dei conigli terrestri di portare fortuna, sopratutto a sé stesso.

“E io sono sicura che gli manchi”, i sospetti di Reisen continuarono ad aumentare, sopratutto di fronte al sorriso da Just As Planned di Eirin, “Perché non ti prendi qualche giorno libero per fargli una visita?”.

Aveva la certezza che la donna stesse pianificando qualcosa, cercò di scrutare qualche motivo dietro ai suoi occhi blu ma con scarsissimi risultati. Certo, qualche giorno di riposo non aveva motivo di rifiutarlo...

“Beh... Forse dovrei almeno salutarlo...”.

“Ottimo, ottimo”, e accelerò il passo, lasciando Reisen a fissare la sua schiena e la lunga treccia di capelli grigi, chiedendosi cosa dovesse aspettarsi.


La sede militare di Midchilda era più che un semplice alveare urbano sotto il controllo di una struttura che definire imponente sarebbe stato riduttivo, era più che un sogno futurista o una città transumanista, era anche la sede della Divisione per l'Amministrazione dello Spazio-Tempo.

La Divisione per l'Amministrazione dello Spazio-Tempo era incaricata di gestire e sorvegliare tutto quel genere di cose che riguardavano persone come Mokuren, rapporti interdimensionali, criminali ricercati, maghi e quant'altro. Aveva anche, ovviamente, un ufficio per il sanzionamento degli utenti di magia, che si occupava delle licenze per i cacciatori di taglie.

Per i maghi fino al livello B l'esame era relativamente semplice e non richiedeva la supervisione di membri anziani o maghi di classe superiore, quindi Mokuren sarebbe dovuto rientrare, al pelo, tra la categoria dei pesci piccoli. In realtà era abbastanza conosciuto dalle persone sbagliate da assicurarsi attenzioni speciali.

Come il fatto che l'addetto dell'ufficio sanzionamento l'avesse spedito direttamente dal Colonnello della squadra StrikerS, la maga di classe SS+ Yagami Hayate.

L'unica consolazione era che si trovavano di fronte a del tè, e da brava tea bitch Moku non rifiutava mai del buon tè.

“Mi fa piacere rivederti dopo così tanto tempo, Mokuren-san”, era quell'aria da ragazzina spensierata che la rendeva ancora più spaventosa, a conti fatti Hayate non aveva niente di anomalo, i capelli castani corti erano abbastanza ordinari rispetto a certe cose che si vedevano a Midchilda, e salvo una particolare sensibilità alle energie magiche non c'era modo di sospettare quanto fosse effettivamente pericolosa.

“Fa piacere anche a me, Hayate-san”, rispose lui senza dover fingere onestà, “Un po' mi vergogno di questo enorme ritardo, ma la famiglia mi ha tenuto piuttosto impegnato”.

“Non c'è nulla di cui ti devi scusare, è nobile da parte tua mettere la famiglia al primo posto”, quindi si appoggiò coi gomiti sul tavolo e lo fissò con occhi avidi di gossip, “Come stanno le tue bambine?”.

Moku riconobbe quella faccia, era la faccia di chi trovava enorme piacere nel suo status di 'zia', e che trovava l'idea di vedere crescere altre famiglie e parlare con tutti di tutto ciò che riguardava i figli d'altri molto, molto più soddisfacente e gratificante che averne di propri. Non si sarebbe mai aspettato che queste cose imparate nel suo vicinato in un quartiere sperduto di Okinawa sarebbero tornate utili a Midchilda.

“Beh, stanno decisamente meglio di me. Vanno a scuola, mangiano bene, hanno amici, e il massimo delle loro preoccupazioni è seguire i telefilm del dopocena”, in fondo non gli dispiaceva parlare delle sue figlie, era il genre di padre che, se provocato da una donna come Hayate, rispondeva a puntino su tutto, portando a conversazioni più lunghe di quanto non fosse ragionevole.

Difatti, quasi un'ora dopo, una Reinforce Zwei con il broncio e una Nanoha entrarono nella stanza, trovandoli a parlare di aneddoti imbarazzanti riguardanti le infanzie di altre persone, ignari del fatto che, fuori dal loro piccolo mondo privato, il tempo continuava a scorrere.

“Ah, Nanoha-chan, Rein, siete già qui?”.

“E' un pezzo che vi aspettiamo”, Si intuiva che quella non era la normale procedura di rinnovamento della licenza per un mago cacciatore di taglie, Nanoha lo aveva intuito a sua volta, e Mokuren era certo che l'avesse anche riconosciuto, infatti la seconda cosa che disse, sorridente, fu, “Ma guarda se non è Mokuren-san, è questo il modo di spuntare all'improvviso dopo non essersi fatto vedere per un sacco di tempo?”.

“Eheh, hai ragione, Nanoha-san”, in effetti non aveva delle gran scuse in merito, “Da quando ho messo su una famiglia, ho avuto a malapena il tempo di respirare, avere sei figlie da mantenere è pesante”.

“Beh, sono contenta che tu sia tornato a farci visita, sei qui per rinnovare la licenza, vero? Ho avuto quasi paura che avessi abbandonato la professione”.

“Beh, non proprio...”.

“Mokuren-san dice che la sua vecchia compagnia è tornata in affari”, intervenne Hayate, “A quanto pare l'umanità ha dei nuovi nemici”.

“Ma davvero?”, non sapeva se Nanoha fosse davvero interessata o se fosse un sorriso di circostanza, “Meno male che abbiamo un mago provetto di classe B a proteggerci. Quando fai l'esame per passare alla classe A, Mokuren-san?”.

“Ahahah, gentile da parte tua, ma non sono assolutamente all'altezza”.

“Oh, Mokuren-san, non svalutarti così”, ora lo stava chiaramente adulando per prenderlo in giro... O forse no, forse lei credeva davvero che avesse la stoffa per passare alla classe A. In tal caso era pazza, “I maghi con poteri speciali sono sempre più abili di quanto sembrino”.

“Sono solo fortunato... E ho una discreta resistenza alle illusioni”.

“Dai, Mokuren-san”, Hayate iniziò a dargli dei piccoli calci sulle tibie da sotto il tavolo, “Fai l'esame, così arrivi vicino alla classe di Fate-chan e Nanoha-chan”.

“Mokuren-san, dov'è Haedonggum-san?”, fu la domanda di Reinforce Zwei, che gli ricordò che, in effetti, l'aveva lasciata andare per i fatti suoi e non era ancora tornata.

“Non lo so, ma non credo sia andata molto lontano. In effetti, non posso iniziare l'esame senza di lei”.

“Certo che hai un gadget strano, Mokuren-san”, non era sicuro se Nanoha trovasse Hae un gadget strano nel senso seccante o interessante del termine, “Addirittura in grado di materializzarsi e muoversi da sola...”.

“Credimi, non è neanche la cosa più straordinaria che sa fare”.

“Il potere di controllare le menti, vero?”, civettò Hayate, che evidentemente si era ripassata la sua entry nel database, “E' un potere molto utile, e anche molto pericoloso”.

Lui sorrise, “Non funziona come può sembrare... Non è veramente in grado di lavare il cervello alla gente o controllare persone come pupazzi”.

“Beh, non importa, la faremo chiamare sulla linea interna, ci raggiungerà all'esterno”, Nanoha si spostò dalla porta, facendo strada a Mokuren con un sorriso, “Vogliamo andare? Sono sicura che abbiamo molte cose su cui testarti dopo tutto questo tempo”.

Lui ricambiò il sorriso tentando di celare il disagio, non era certo migliorato dall'ultima volta... Altro che passare alla classe A, era fuori allenamento anche per restare nella B.


Come previsto, Haedonggum li raggiunse all'esterno, in un'area adibita agli allenamenti del gruppo StrikerS; poiché i membri erano al momento a riposo, Nanoha aveva tutta la libertà di progettare qualunque tipo di crudeltà per la prova, e difatti era di fronte a un terminale olografico e stava pigiando bottoni con espressione divertita.

“Dove sei stata?”, chiese Mokuren alla materializzazione del suo gadget, mentre teneva la spada, col fodero, nella mano sinistra.

“Sono andata a salutare Levantein. Sai che è l'unico altro gadget di tipo spada in zona, ogni tanto mi fa piacere risentirlo”.

Lui sorrise, “Ti sei ricordata di salutare anche Signum questa volta, vero? Si è arrabbiata parecchio quando l'hai ignorata, l'ultima volta”.

“Ah, non preoccuparti, sono una donna a modo”.

Moku ne dubitava, era una donna a modo solo quando le faceva comodo.

“A proposito, Mokuren-san”, disse Hayate, da un altro terminale olografico apparso a mezz'aria, “Hai già adocchiato la tua preda?”.

“Uh”, ci pensò un attimo... Non aveva pensato da chi avrebbe iniziato in effetti, era così preso dai preparativi... “No, credo di no”.

“Non hai pensato neanche a chi ti accompagnerà?”.

“Oh, sì, il mio ex collega, l'unico rimasto della vecchia guardia”, l'unico rimasto punto, ma non era il caso di dilungarsi tanto.

Di colpo, Nanoha smise di battere sulla tastiera, quindi riprese sorridente, “Mokuren-san, ti riferisci a qualcuno in particolare?”.

Ack.

“Ah... In effetti sì, Nanoha-san”.

“Mi chiedo come farai”, il suo tono lasciava un alone di tenerezza nell'aria che nascondeva il ribollire di qualcosa di estremamente malefico dentro di lei, “Dopotutto ha l'abitudine di sparire nel nulla e non farsi sentire per un sacco di tempo...”.

“Ah...”, Mokuren lanciò un'occhiata a Hae, che però sembrava troppo esaltata dall'idea di riprendere a combattere sul serio per notare l'atmosfera, “Beh, sono sicuro che avrà i suoi motivi...”.

“E io sono sicura che, essendo sua madre, verrò avvertita quando lo troverai”, mantenne il sorriso, che si fece in qualche modo ancora più inquietante di prima, “Perché dei suoi amici sei l'unico che conosco che può rintracciarlo quando vuole”.

“Ahah... Mi stai sopravvalutando, Nanoha-san, le mie capacità divinatorie sono estremamente limitate”.

“Ciònonostante, sei un bel mago a frittata”, e Nanoha fece comparire su uno schermo l'immagine del database che rappresentava la stima della sua potenza. Era un classico esagono colorato, dove ognuna delle punte rappresentava un'area di competenza, e più il colore si avvicinava alla punta, più il candidato era abile. Mago a frittata era un modo per indicare la gente come Mokuren, che aveva un esagono molto bilanciato, come se qualcuno avesse fatto una frittata sopra lo schema, “Sei così versatile che in un modo o nell'altro riesci a cavartela”.

“Heh... Mi stai lusingando, Nanoha-san...”.

“Hayate-sama”, e a sentire il cambio di onorifico, Mokuren si gelò di colpo, “Richiedo il permesso di rilasciare il sigillo per il livello A+”.

“Permesso accordato”, civettò Hayate con fin troppa facilità e un sorriso fin troppo soddisfatto, “Nanoha-san, Mokuren-san, buon lavoro!”, e tutti i terminali si spensero, lasciando lui e Nanoha da soli a pochi passi da una città virtuale e abbandonata, dove supponeva si sarebbe svolto il suo esame.

“Ah... Nanoha-san...”.

“Oh, non devi preoccuparti”, fece lei con un tono che gli gelò il sangue, “Volevo solo rendere questo esame più interessante, dopotutto non capita tutti i giorni di vedere un mago come te”.

Lui lanciò un'occhiata a Hae, e Hae batté i pugni con un ghigno di sfida che non si vedeva se non negli shonen manga più GAR, “Hai perfettamente ragione. Mokuren-senpai, facciamogli vedere cosa siamo in grado di fare”.

“Non pensare di trattenerti, Mokuren-san”, sottolineò Nanoha in un tono che lo faceva quasi sembrare una minaccia, “Mi aspetto molto da te, e poi non c'è bisogno di preoccuparsi. Dopotutto... Siamo amici, vero?”.

Mokuren suppose che, anche volendo, avere paura non lo avrebbe aiutato.


La pallina da golf si inerpicò su per la collina, rifuggendo dalla battitrice e dalla forza di gravità e dal buonsenso, nonché dalla vista, considerando che l'erba era alta circa mezzo metro in quel punto.

“Oh, che guaio...”, commentò Eirin guardando il taccuino con i punteggi, la principessa sforava i PAR di circa due o tre punti come una principiante che si rispetti, ma perdere di vista la pallina era una gran seccatura.

Sì, Reisen sapeva poco del golf, ma sapeva che se la pallina finiva fuori pista, la si doveva ritrovare e tirare da lì; non sapeva cosa si sarebbe dovuto fare se la pallina fosse caduta da una scogliera e sprofondata nelle profondità di una caverna sottomarina, ma aveva una tale stima del golf che immaginò ci fosse una nota del regolamento che costringeva il golfista a indossare una tuta da palombaro e tirare da sott'acqua.

Si chiese di quanto fosse lecito sforare il PAR prima di dover fare seppuku.

Cercare la pallina era una cosa lunga e laboriosa, perché era piccola in mezzo all'erba, ed era finita abbastanza lontano da rendere difficile riconoscere il punto esatto di arrivo.

“Già che andrai a visitare tuo figlio”, si avvicinò di nuovo Eirin, con un mezzo sorriso di chi cercava scuse per avvicinare Reisen invece che cercare palline da golf, “Puoi portargli le medicine per la nipote? Tanto per assicurarti che le prenda tutte”.

Reisen non aveva bisogno dei suoi istinti di reazione al pericolo, era così assurdamente palese che Eirin avesse in mente qualcosa che non le passò neanche per l'anticamera del cervello di abbassare la guardia; non parlavano mai di lui, non parlavano mai di quella cosa, il più che facevano era darle il pacco con le medicine da spedire per posta una volta al mese, e anche lì era diventata una routine, non aveva bisogno di parole.

Eppure Eirin insisteva, perché?

“Se non le prendesse, non dovrebbe essere morta?”, la logica di Reisen era infallibile, in tutta Eientei nessuna aveva la testa sulle spalle come lei, e nessuna passava più inascoltata, probabilmente per lo stesso motivo, “Credo che mi avrebbero avvertita se fosse morta”.

“La sua è una malattia molto complicata; se tuo figlio non fosse così testardo nel rifiutarle l'elisir Hourai avremmo già risolto tutto, ma se non altro questo è un ottimo esercizio per vedere come reagisce il corpo umano ai tentativi di tenerlo in buona salute quando dovrebbe essere morto”.

Reisen si sentiva a disagio a sentire parlare di medicina in quel modo, non tanto per il fatto che Megu era una sua nipote (nipote? Santo cielo, era così vecchia? Dimostrava circa l'età delle sue nipoti... Ma certi discorsi non contavano molto quando non eri umana) quanto per il fatto che... Eirin era pericolosa quando parlava di medicine.

Dopotutto, si diceva avesse la capacità di creare qualsiasi medicina, ed era proprio questo a rendere tutto più pauroso.

“Eh... Volete che vi mandi una cartolina, una volta che sarò là?”, Reisen ne dubitava, ma tanto valeva provarle tutte.

“Sì, grazie”.

Eirin tornò a cercare la pallina mentre la coniglia lunare continuò a fissarla per dozzine di secondi, rimasta impietrita e paralizzata dalla totale nonchalance con cui aveva eluso lo spirito della sua domanda. Ora capì che non stava semplicemente tramando qualcosa, stava tramando qualcosa di orribilmente perverso.

Tutto questo mentre Tewi prendeva a calci una pallina da golf, spedendola nella direzione opposta al green.


Un motorino stava candidamente percorrendo le vie della città, la proprietaria era una ragazza delle superiori che si spacciava per studentessa universitaria a causa della sua fisionomia, che la metteva in un'area di età ambigua tra i sedici e i venti anni circa. Poiché stava fumando mentre guidava, una pessima abitudine, molti dei passanti speravano avesse almeno l'età legale per farlo.

Il motorino accostò e la ragazza scese, lasciandolo a fianco di un piccolo albero sul bordo del marciapiede, quindi si tolse il casco senza prima togliersi la sigaretta di bocca e, sempre senza toglierla, iniziò a incamminarsi.

Distrattamente, quasi come se fosse stato orchestrato dal regista di un film di spionaggio, infilò in tasca una mano ed estrasse un cellulare per rispondere a una chiamata.

“Sì, sono io”. E' bene notare che non aveva ancora staccato la sigaretta dalle labbra.

“Sì”, e lo fece soltanto qui, prendendola con due dita e lasciando cadere della cenere sul marciapiede, “Sì, lo so”.

Passò davanti alla vetrina di una gioielleria, dove si fermò per specchiarsi, “Sì, li avevo già visti, sì, niente di nuovo da segnalare”.

Si fermò di colpo, in reazione a qualcosa che aveva sentito dal telefono.

Si girò, fissando la finestra di un edificio dall'altra parte della strada, soffiando una nuvoletta di fumo in quella direzione, “... Davvero?”.

Riprese quindi a camminare, la strada non era molto affollata ed era praticamente in periferia, “Beh, il problema si è risolto da solo in quel caso”, qualunque fossero le notizie che stesse ricevendo, non sembravano in grado di preoccuparla, almeno finché non ricevette di nuovo una qualche risposta strana.

“Che sciocchezza, no che non intendo scoprirlo”.

Allontanò il telefono dall'orecchio, lanciandogli un'occhiata carica di noia, il suo interlocutore non doveva essere molto d'accordo, “Ma se ha eliminato due potenziali problemi non può che essere dalla nostra parte, per quel che mi riguarda può continuare a-”.

Restò ad ascoltare qualcos'altro, poi fissò il display del telefono come si fa quando qualcuno interrompe di netto la chiamata.

“Bah, fai come ti pare”, quindi ripose il cellulare e riprese a fumare; col cavolo che andava a indagare su una misteriosa persona che atomizzava i ragazzi fuori città, per quel che la riguardava poteva anche continuare ad atomizzare gente scomoda che avrebbero dovuto sistemare comunque.

Non lei, lei lavorava solo part-time, ci avrebbero pensato gli agenti al lavoro sporco.

Soffermò lo sguardo su un muro di persone che le passò a fianco, costringendola a schiacciarsi contro un edificio per evitare di essere impietosamente travolta. Divise nere di un istituto superiore maschile vecchio stile, sicuramente una scuola comunale, perché era quel genere di divisa che somigliava alla divisa militare ottocentesca degli occidentali.

“Teppisti”, borbottò lei sottovoce mentre si allontanava nella direzione opposta.

Il gruppetto di teppisti era, in effetti, un gruppetto di teppisti, che indossavano quelle divise scolastiche completamente nere, simili a divise militari ottocentesche ma più noiose, e occupavano quasi tutto il largo marciapiede solo loro, e camminavano con quel passo barcollante da teppisti, e avevano le espressioni perennemente corrucciate, da veri teppisti, e lo sguardo carico di intento omicida, da veri teppisti.

Avevano scritto “teppisti” sopra da qualunque lato li si guardasse, e sembravano pure pericolosi.

“Quei bastardi della Bass ci stanno sottovalutando”, a parlare era un teppista coi capelli tinti di biondo e l'aria particolarmente feroce, “Provocano noi del primo anno credendo di poter fare ciò che vogliono”.

“Ho sentito dire che il capo del primo anno della Bass è molto forte”, intervenne il teppista con il moicano viola regolabile dotato di vita propria, “Abbiamo bisogno di gente forte per dargli una bella lezione”.

“Io sono contrario all'uso della violenza”, asserì il teppista che sembrava un ragazzo normale completamente fuori posto, “Credo che dovremmo metterci tranquilli e risolvere la situazione con le parole”.

Ma il biondo non ne sembrava troppo convinto, e andò a cercare supporto dal quarto membro chiamando “Inaba-san!”, con il tono di voce esageratamente alto e poco cordiale.

Kotomi trasalì, lei non era brava né a camminare come una teppista, né a parlare come una teppista, né a pensare come una teppista... Lei odiava i teppisti, non voleva avere niente a che fare con loro. Fece finta di non aver sentito, nonostante quell'Inaba-san fosse arrivato fino all'estero.

“Oi, Inaba-san, mi stai ignorando?”.

“Aspetta, Maeda”, Hayashida, con il suo moicano viola rotante, aveva colto cose che a Maeda erano sfuggite, “Non trovi che sia strano usare quel nome?”.

“Cosa? Ma non è il suo nome?”.

Il ragazzo quasi forse normale intervenne, “Inaba-san ha due cognomi, è una moda che arriva dall'estero, dare ai figli i cognomi di entrambi i genitori”.

Hayashida continuò, “Forse, preferisce essere chiamato Kazami-san”.

Si soffermarono a pensare, “Kazami-san... Sembra più figo, forse è per quello che ignora tutti quando lo chiamano Inaba”.

Kotomi aveva le mani che tremavano, non sapeva mai come comportarsi in una scuola composta unicamente di teppisti della peggior specie, oltretutto era una scuola maschile. Suo padre sembrava non accorgersi del problema, anzi, le diceva sempre “Non preoccuparti, rilassati e cerca di farti degli amici, andrà tutto bene”.

Solo a lei sembrava così difficile? Forse doveva solo sforzarsi...

“Oi, Kazami-san!”, riprovò Maeda allo stesso modo.

Kotomi trasalì di nuovo, quindi setacciò tutta se stessa alla ricerca di qualunque anche minimo frammento di coraggio per fare uscire la sua voce, “S... S-sì?”.

I tre batterono i pugni sul palmo contemporaneamente, “E' proprio così!”.

Kotomì non riusciva a capire cosa stesse succedendo, né se dovesse prendere quella reazione bene o male, ma decise che le andò bene.

“Kazami-san, cosa facciamo con quei bastardi della Bass?”.

Ecco, un'opinione da teppista, lo sapeva che le avrebbero chiesto una cosa simile. Ma non poteva tirarsi indietro adesso, ormai aveva risposto, non poteva fingere di non aver sentito.

Tentò di combattere la vergogna, la paura, l'imbarazzo e di non pensare di fuggire, il che le lasciava pochissime risorse per pensare a cosa rispondere. A lei neanche interessava niente della Bass, non sapeva nemmeno dov'era.

“I-io...”, deglutì, faceva veramente fatica a parlare, “Non credo... Che do-dovremmo andare l-lì...”.

“Ha ragione!”, Hayashida lo colse come una rivelazione, “Anche se ci stanno provocando, andare nel loro territorio sarebbe come cadere nella loro trappola!”.

“Nonostante trattenga a stento la rabbia nelle parole, Kazami-san sa ragionare a mente lucida”, anche il ragazzo normale era d'accordo, “E' davvero una persona matura”.

“Molto bene, allora andiamo a casa di Maeda”.

“Perché siete sempre da me?!?”.

Kotomi non voleva andare da Maeda, voleva andare a casa sua e continuare a far finta che questa scuola fosse solo un piccolo incubo quotidiano, ma era già abbastanza contenta di non essere andata a una battaglia tra teppisti di scuole diverse in un posto che neanche sapeva dov'era.

E poi erano sempre a casa di Maeda, ormai ci si stava abituando.


“Grazie, torni ancora!”.

Kirino sospirò, era parecchio tempo che non aiutava in negozio e non ricordava quanto tempo libero fosse in grado di portare via una cosa del genere. Per fortuna la signora che aveva chiamato in mattinata aveva assicurato che da domani sarebbero arrivati i sostituti, lasciare scoperto il negozio a lungo non era una buona idea, era un po' un punto di riferimento per il vicinato.

Le sue sorelle non erano di grande aiuto in queste cose, Kotomi era spesso fuori per questioni di scuola (o amici? Non era chiara la differenza), Megu non lo avrebbe fatto neanche sotto pagamento, Suiginto c'era e non c'era, Wriggle pure e Rumia... Rumia aiutava volentieri, le piaceva tantissimo, il problema era il suo contributo.

Però era moé, e il moé vende.

Alzò la testa di nuovo quando sentì il campanello della porta, e fu decisamente felice di vedere Hae.

“Hae-san! Hae-san!”, uscì da dietro il bancone per andarle incontro, “Hae-san! Bentornata! E...”, fece una breve pausa, cercando di capire qualcosa senza aiuti, ma fallì miseramente, “... Hae-san, che è successo a papà?”.

“Ah, niente di che”, Haedonggum sembrava così contenta da non trovare per niente grave, o strano, il fatto che Mokuren fosse caricato sulla sua schiena come una scolaretta a cui facevano male le gambe, soltanto che era bruciacchiato, fumava ancora, aveva gli occhi a palla vuoti e l'anima che stava tentando di uscirgli dalla bocca, “Stavamo andando alla grande prima di prendere uno Starlight Breaker in faccia. Comunque la licenza è a posto, ce l'hanno rinnovata con la condizione di promettere di fare l'esame per passare alla classe A”.

Kirino non era sicura di cosa fosse la classe A, ma sembrava una cosa carina, “Wow, allora è tutto a posto! Sono contenta che siate riusciti a risolvere tutto”.

“Davvero?”, Rumia spuntò fuori dal nulla con il grembiulino bianco e il cappello da chef, aveva in mano un vassoio di pagnotte appena sfornate (alle sei e mezza di sera) dalla forma poco rassicurante e un odore che era a metà via tra il pane caldo e una tintura di magnesio per pavimenti.

“Eh, direi che è andata bene, sì. Oh, Kirino... Hai dovuto saltare kendo per tenere il negozio?”.

“Ah, non preoccuparti, Hae-san, è soltanto un giorno...”.

“Allora non avrai nulla in contrario se ti faccio recuperare io?”, Hae fece un sorriso stranamente rincuorante, “Anche se non è proprio kendo...”

“Oh? Hae-san, mi insegnerai a tirare di spada?”, Kirino in realtà non era tanto una patita di kendo per sé quanto una patita del kendo come sport e amicizia, ma a forza di impugnare shinai aveva sviluppato un ragionevole interesse all'idea di una scherma reale.

“Sarei molto felice di poterlo fare”, quindi appoggò a terra Moku, “Se non hai problemi, possiamo iniziare adesso intanto che aspettiamo le altre, e che tuo padre si riprenda”.

E le due andarono in giardino mentre Rumia trascinava allegramente Moku su per le scale, era contenta che suo padre avesse riavuto la licenza, qualunque cosa fosse; certo, non si aspettava che gli chiedessero di entrare in un forno per ridargliela, il mondo degli adulti delle volte era strano.

Anche perché sembrava essere stato un forno particolarmente violento.

La principessa mise la pallina da golf sul tee, attenta che non si spostasse per via del forte vento che veniva dal basso, risalendo la scogliera per un alto strapiombo che dava al mare schiumante contro la roccia.

Il green era poco lontano, oltrepassando un ponte di corde che si agitava come una bandiera per arrivare su un'altra isola nelle nuvole, il cui prato verde ridente non aveva molto a che fare con il picco su cui si trovava, c'erano persino due zolle di sabbia per aumentare la difficoltà.

Reisen fissò il paesaggio, e fissò la principessa che si accingeva a tirare.

Questo aveva smesso di essere golf da un pezzo.


Mokuren si svegliò di scatto, ritrovandosi nel futon della sua stanza e fuori dal mondo di budini danzanti e pesci ninja.

Per quanto era rimasto svenuto? L'ultima cosa che ricordava era danmaku, danmaku, danmaku, e Starlight Breaker.

Ah, ecco cosa. Starlight Breaker.

Nanoha era pazza. Ma lo sapeva anche prima, quindi si rilassò, era una cosa normale.

Ora, suppose, aveva una licenza rinnovata, si alzò (con un po' di acciacco) e rovistò tra le sue cose in camera per cercarla. Non si stupì di non trovarla, doveva averla Hae, quindi scese a cercare Hae.

Scoprì che tutte le sue figlie erano tornate a casa, Megu stava guardando un telefilm del dopotelegiornale alla TV, Wriggle leggeva una rivista di... Non era sicuro di cosa, era una di quelle riviste per ragazzi(e?) di cui non si riusciva a capire il senso logico nemmeno dopo averlo letto, e lasciava con questa sensazione di aver letto qualcosa di assolutamente inutile e privo di senso, ma che aveva tenuto impegnato del tempo. Wriggle aveva, infatti, la faccia di chi stava leggendo senza realmente leggere.

“Bentornato, papà!”, Rumia aveva ancora cappello da chef e grembiule, ed era uscita dalla cucina a salutarlo con in mano un mestolo di ferro. In effetti, c'erano i forni accesi.

La prima cosa che gli venne da pensare fu perché nessuno la stesse fermando, ma riflettendo un attimo, e giudicando dall'odore che non c'era ancora nessuna sostanza nociva al genere umano nell'aria, dedusse che stesse solo aiutando qualcun altro a fare la cena. Forse Kirino.

“Ciao Rumia”, quindi si rivolse alle altre, “Dove sono Kirino e Kotomi?”.

“Kotomi dovrebbe arrivare, Kirino si è allenata con Hae e stanno facendo il bagno”.

Il tono piatto e monotono di Megu non fece nulla per attutire l'impatto della parte “... e stanno facendo il bagno”. Dovette usare tutte le sue forze residue per sopprimere le immagini che stavano saltando alla sua mente, “A-ah... Sì, capisco”, quindi sorrise a Rumia, “Allora, cosa stai preparando in cucina?”.

“Curry!”, esclamò lei. Perché la prima cosa che le ragazze giapponesi dovevano imparare a cucinare negli anime era il riso al curry? Beh, non era certo una cosa sbagliata, e nemmeno così complicata. Di sicuro, persino una come Rumia non poteva fare dei gran disastri con del semplice riso, anche se non si sa mai...

“Ma che brava... Andiamo a vedere come sta venendo?”. Per fortuna aveva appena iniziato, quindi era ancora in tempo per riparare agli eventuali disastri (come quello di tentare di stufare la carne insieme al riso).

Mentre stava spiegando a Rumia quali spezie andassero sminuzzate nel curry e che no, le patate non andavano gettate con la buccia, il telefono di casa squillò, e prese la cornetta.

“Inaba-Kazami, con chi parlo?”.

“Mokuren-san!”.

Era la voce di Milfie, non si aspettava di risentirla così presto. Non si aspettava proprio di risentirla, ma in effetti se lo sarebbe dovuto aspettare, forse stava iniziando a risentire delle troppe cannonate magiche in testa prese nella sua carriera.

“Milfie-san, è un piacere risentirti”.

“Ah, Mokuren-san, oggi ho visto mio marito, ma non c'era nessuno in casa, allora ho pensato di richiamarti adesso”.

“Mh, vuoi dire che è già ripartito?”.

“Sì, ha detto qualcosa a proposito di essere braccato da qualcuno e poi è sparito di nuovo. Mi dispiace Mokuren-san”.

“Ah... Non importa”, stava avendo una mezza idea di cosa fosse successo, ma preferì tacere, “Sono sicuro che riuscirò a rintracciarlo a breve, comunque”.

“Mokuren-san, stavo pensando ad un giorno per organizzare un picnic con le nostre famiglie. Tu hai qualche giorno libero la settimana prossima?”.

Oh, già, è vero. In effetti, aveva una gran voglia di fare questo picnic, era da tanto che non vedeva la sua famiglia, e non si erano mai incontrati tutti quanti, “La settimana prossima? Vediamo... Credo soltanto la domenica, tutte le mie figlie vanno ancora a scuola”.

“Allora va bene per domenica prossima. Mokuren-san, hai una qualche preferenza?”.

“No, mi va bene qualsiasi posto”.

“Mhhh... Così non so decidermi”, restò a pensare con tono di indecisione moé per un altro po', quindi concluse con un “Ah, ti va bene se ti richiamo quando ho risentito mio marito?”.

“Sì, non c'è nessun problema, Milfie-san”.

“Allora ci risentiamo presto, Mokuren-san!”.

Sospirò e riattaccò, almeno avrebbe avuto modo di rilassarsi. A ogni modo, il suo collega gli serviva prima, che gli piacesse o meno.

“Allora, come sono andata?”.

“Bene!”, ormai era così abituato a vedere Suiginto spuntare dal nulla che neanche si stupiva più, era arrivato al punto di poter percepire la sua presenza con il sesto senso, “Continua così e sarà in mano nostra”.

“Posso usare un po' di violenza?”, lo scongiurò lei, “Un poco poco? Giusto per fare un po' prima...”.

Avrebbe voluto dirle no, assolutamente no, non devi farlo, poi ti fai prendere la mano e chissà come finisce, ma lei aveva quello sguardo a cui non era assolutamente in grado di dire di no.

“Va bene... Ma solo un poco poco”.

“Grazie papà!”.

Ovviamente lo chiamava “papà” solo quando le faceva comodo. Ma era moé anche per questo.

Kotomi tornò di lì a poco, aveva l'aria stanchissima come sempre, era spesso fuori quasi tutto il giorno e qualunque cosa facesse tornava emotivamente esausta. Però la divisa maschile le stava benissimo.

“Ah, Kotomi, bentornata”, disse lui, “Se vuoi rinfrescarti un attimo e riporre le tue cose, è pronto”. Quindi arruffò i capelli a Rumia, le disse “Intanto prepara la tavola” e si avviò verso il bagno per bussare alla porta e avvertire le altre che potevano anche uscire.

Non aveva ovviamente intenzione di entrare o sbirciare o che, sopratutto considerando che c'erano dentro sua figlia e la sua kohai (anche se sì, l'idea di vederle insieme era... No, lasciamo perdere).

Le sue orecchie, però, iniziarono a captare cose strane da oltre la porta.

“Hae-san, credi che riuscirò a maturare come te?”.

“Ah ah ah, devi farne ancora di strada”, tutto questo accompagnato dal moto ondulatorio dell'acqua che accompagnava i loro movimenti, “Ma sei ancora giovane, hai tempo. Ti stai formando bene, però”.

“Hae-san, così mi metti in imbarazzo, mi sento ancora abbastanza acerba”.

“Secondo me un po' ti sottovaluti, Kirino, è vero che non hai ancora esperienza ma... Sono qui per insegnarti”.

“Hae-san... Posso davvero affidarmi a te?”.

“Sì, ti tratterò con la dovuta cura”.

Rumia vide Moku tornare, con la faccia colore rosso cremisi e gli occhi a girandola, e lo sentì dirle, “Ru-rumia... Puoi andare tu a... Chiamarle, per favore? Ci penso io a... Preparare la tavola”.

“Sì!”, e Rumia saettò verso il bagno. Per fortuna lei era troppo piccola per fraintendere, e troppo stupida per avere un'idea di cosa fraintendere comunque.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Himesama