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Autore: Swish_    16/10/2013    1 recensioni
Il protagonista in questa storia non è un assassino. Non è un mostro. Non è un quaderno né un Dio sovrannaturale annoiato. Il protagonista in questa storia è una lei, una ragazza normale e semplice che si ritroverà ad un faccia a faccia con la mente più geniale, cinica e calcolatrice dell'intero mondo.
Un caso investigativo avrà proprio lei come punto focale e a farle capire quanto quella situazione sia pericolosa per lei quanto per il resto del mondo, non sarà un'amica, un parente, o un ragazzo bello ricco e famoso. A farle fare la pazzia più grande della sua vita, a farla cambiare, a farla addirittura innamorare sarà un piccolo genio cresciuto nella solitudine di un ruolo ambito e irraggiungibile. Un ragazzo nelle cui mani sono passati i casi più difficili e irrisolvibili dell'intero globo, tra cui anche l'impossibile caso del Death Note, il quaderno della morte.
Ebbene sì, quel ragazzo sarà proprio L.
Lo stesso L che è riuscito a sopravvivere a Light. Lo stesso che è restato a guardare cosa poi gli sarebbe accaduto.
Come avrà fatto a sopravvivere?
E soprattutto come si comporterà di fronte ai nuovi problemi del caso, tra cui l'amore?
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Mello, Near
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una volta vestita e preparata, finalmente mi parve di riconoscere la mia immagine allo specchio. Certo, ero un po’ più pallida e sciupata, ma per il resto ero definitivamente ritornata me stessa.
Uscii svelta dal bagno e mi concessi qualche minuto per sbirciare fuori dalla vetrata a muro. Le sue dimensioni erano spaventose, perciò mi preoccupai di mantenermi comunque a qualche centimetro di distanza, visto anche che il piano su cui mi trovavo era sicuramente almeno il triplo di un normale palazzo italiano.
Wow…” la vista era sconvolgente. Si vedevano palazzi e grattacieli di vetro in lontananza, e, osando un passo in più verso la parete, riuscii anche a scorgere anche un piccolo pezzettino di strada, e la breve sfumatura gialla di un taxi americano in corsa. Era spettacolare.
Fu solo allora tuttavia che cominciai a sentire sulla mia pelle il peso di tutta quella stramba vicenda, e mi sentii sprofondare.
Cosa sarebbe accaduto domani, o dopodomani, o il giorno dopo ancora? Non riuscivo ad immaginarmi il giorno dopo, non sapevo dove avrei potuto essere, cosa avrei potuto fare o cosa mi sarebbe potuto accadere… Come potevo restare calma?
Sentii il terrore agghiacciante dell’ignoto diffondersi dentro il mio corpo, le mie vene, le mie vie respiratorie. Poggiai la mano sul mio petto e chiusi per qualche istante gli occhi, espirando forte. Ce l’avrei fatta. In qualche modo ne sarei uscita fuori, e vittoriosa per giunta. Non potevo lasciarmi prendere dalla paura, non in quel momento. Non in quella situazione.
Mi diedi una calmata e riaprii gli occhi. I grattacieli grigi quasi più non li vedevo; fissai la mia sagoma per intero sbiadita nel vetro.
I capelli ribelli mi ricadevano sulla canotta bianca che indossavo. Mi preoccupai di metterci sopra anche una camicia di cotone a quadri rossi e bianchi, della quale avevo arrotolato le maniche fino al gomito, perché da quel che sapevo, e da quel che avevo provato fino ad allora, il calore italiano non aveva niente a che fare con il clima newyorkese, ancora mite alla fine di Giugno.
O forse è solo colpa della temperatura troppo bassa dei climatizzatori?
Feci spallucce. Beh, finché sarei stata lì dentro non l’avrei mai saputo.
Tastai le tasche dei miei jeans neri, e sentii che c’era qualcosa. Infilai una mano, curiosa, e la tirai subito fuori.
Il mio polsino borchiato!
Erano settimane che non lo trovavo… Era finito lì!
Lo indossai con sguardo perso al polso destro, sorridendo dolcemente.

- Credo proprio che dovrai farti vedere tu da un bravo psicologo… -
Mi voltai di scatto verso la porta della mia stanza con aria sorpresa e la trovai lì, appoggiata allo stipite in leggins e felpa, che inalava un’ennesima boccata di fumo.
- Sarah! Mi hai spaventata… - le dissi con un sorriso, volgendole di nuovo le spalle per dedicarmi al riflesso della mia immagine nello specchio.
- Scusa… - borbottò lei, con aria stanca.
Sentii il suono dei suoi passi avanzare nella stanza, e poi un morbido tonfo. Distolsi di nuovo lo sguardo dal mio sobrio make-up e lo volsi verso il mio letto, dove trovai Sarah appollaiataci sopra come un gatto.
- Lo sai che ho un’indole felina… - disse poi, stiracchiandosi pigramente.
Sbuffai rumorosamente, cercando di mantenermi seria.
- No cara, tu sei un felino. In effetti ero indecisa… Sarebbe il caso di comprarti una cuccetta? -
La sentii espirare un’altra boccata di fumo, mentre la mia vista tornò a concentrarsi sul mio abbigliamento: jeans e canotta scollata, con Convers rosa ai piedi.
- Naah, il letto è più comodo. E poi la mia caratteristica felina principale è un’altra… -
Mi diedi un’ultima occhiata: poteva andare. Lo abbandonai definitivamente e mi voltai di nuovo verso la mia adorabile eccentrica coinquilina Sarah. Ora teneva la sigaretta fumante con una mano,mentre l’altra la teneva sotto il capo.
Inarcai le sopracciglia in modo interrogativo, con tanto di pugni chiusi sui fianchi.
- E quale sarebbe? -
- Vieni qui… -
Mi permisi un’alzata d’occhio al soffitto e la raggiunsi sul letto.
- …Sono le coooccooleee!! -
- Aaaahh! Sarah! -
Si catapultò su di me in due secondi, stringendomi forte in un abbraccio soffocante.
- Sarah! La sigaretta! – urlai tra una risata e l’altra.
Sarah si scostò e mi diede di nuovo il cosiddetto agio di respirare:
- Oh non preoccuparti, sono allenata. Oramai sarei in grado persino di scopare con una Marlboro Gold tra le mani! -
- Mhh… Intendi con la scopa o con un uomo? -
Sarah tirò un’altra boccata e mi fissò languidamente.
- Entrambi. Contemporaneamente. -
Ci bloccammo entrambe per dei secondi, fissandoci immobili, poi scoppiammo insieme in una grossa risata.
- Sei la solita! – le dissi poi, rialzandomi dal letto per recuperare le chiavi della moto.
- Dove stai andando? -
- A prenotare un esame… -
- Oh, il solito 18… - le sentii dire con tono sarcastico.
- Già! – mi limitai a rispondere, sovrappensiero.
- Comunque davvero, studi psicologia, ma credo che tu sia la prima ad aver bisogno di un buono psicologo! -
Mi voltai verso di lei, con le braccia incrociate in petto, una spalla appoggiata alla porta ed un casco nero penzolante in mano.
- Perché? -
- Hai un chiaro disturbo della personalità! -
La guardai a metà tra la confusione e il divertito.
- Non capisco… -
-Suvvia non fare la finta tonta! “Signor Bustri, le lascio gli archivi… Signor Bustri, gnegnegne…” E poi vieni qui e fai la metallara! In ufficio sembri una donna in carriera, con camicetta e tacchi a spillo, e fuori invece sei… -
- Una rompipalle? – la interruppi, sarcastica.
- No, un’adolescente figa e alternativa. – rispose Sarah, seria.
Mi bloccai per qualche istante. Non mi aspettavo una risposta del genere.
- Beh… - cominciai, volgendole un sorriso affettuoso.
- Invece tu… Sei tu. E non puoi immaginare quanto sia bello e ammirevole per una persona; restare sé stessi, qualsiasi cosa accada… E ne sono davvero felice, Sarah. -
La vidi ricambiarmi il sorriso, lievemente arrossita sulle guance.
- Prima che vai… Voglio darti una cosa che ho comprato apposta per la mia coinquilina adolescente… Che non ha niente a che vedere con la donna in carriera, ci tengo a precisare! Quella mi sta antipatica… - si alzò dal letto e si avvicinò a me, con timidezza.
- Tieni, questo è tuo. -

Ed era lì, nella tasca di quel vecchio paio di jeans, che solo settimane dopo tornai ad indossare, da quella sera. Un semplice polsino borchiato, ma che per me era diventato il simbolo della mia intera esistenza. Il simbolo della mia amicizia con Sarah, e soprattutto, di ciò che ero.
Forse Sarah aveva ragione, forse ero davvero affetta da una sindrome della personalità multipla e non me ne accorgevo. O forse era semplicemente la cosa più normale del mondo, e non ero l’unica. In fondo ognuno di noi ha infiniti spiriti dentro di sé, perché non dirlo?
Sarah…” quanto mi mancava.
Diedi un’ultima sistemata al polsino e mi voltai, diretta decisa verso la porta. Dovevo agire. Dovevo raggiungere Ryuzaki e darmi una mossa.
Uscii svelta dalla stanza e mi guardai attorno: il corridoio era deserto.
Dov’è Smithers?
Adocchiai delle grandi ante metalliche, ad un capo del corridoio.
Un ascensore!
Lo raggiunsi in pochi secondi.
Cazzo! 50 piani!?
Non appena premetti il pulsante, le grosse ante metalliche si spalancarono e lasciarono che entrassi in quelle enormi quattro mura luccicanti e splendenti, che riflettevano tutte l’immagine di una Sofia curiosa e spaventata allo stesso tempo. Vidi alla destra tutti i numeri da zero a cinquanta allineati uno sopra l’altro.
Trentesimo piano…
Puntai il dito sul numero trenta e le ante metalliche si richiusero alle mie spalle in un attimo, silenziosamente. Poco dopo sentii l’ascensore muoversi verso l’alto con forza, e seguii i numeri in rosso scorrere dal numero venti al trenta, di fronte a me, al ritmo di un secondo ciascuno.
…24…25…
Quanto andava veloce quel dannato ascensore? Alzai nervosamente gli occhi al cielo, cercando di non pensarci.
Driiinnn.
“…30. Trentesimo piano.

Sentii salirmi il batticuore a mille. Cosa ci avrei trovato dietro quelle enormi ante grigie? Ryuzaki? L’avrei trovato ancora là?
Sentii il sottile fruscio della ante scorrevoli, di nuovo, che al contrario della prima volta adesso di spalancavano. Uscii decisa dall’ascensore, proseguii di qualche passo e poi mi fermai, confusa.
Mi ritrovai in un enorme appartamento dall’aspetto lussuoso. Tanto grande quanto accogliente. Le alte pareti erano rosse corallo, tra cui una era composta da alti vetri limpidi e trasparenti, che davano sullo stesso grigio paesaggio della camera dov’ero stata fino ad allora, solo che lì si scorgeva un pezzo di cielo un po’ più grande.
I mobili erano anch’essi  lussuosi e di buon gusto; al centro della stanza erano disposti due lunghi divani di pelle neri uno di fronte a l’altro, e tra loro vi era un tavolino basso di vetro rettangolare, elegante e moderno.
Sulle pareti erano stati disposti alcuni quadri astratti, e su quella alla mia destra era stato posto anche un pianoforte a muro altrettanto lussuoso e lucente, nero.
Certo non era proprio quello che mi aspettavo.
Non credevo che Ryuzaki potesse seguire le indagini in un appartamento così lussuoso ed accogliente.
Me lo immaginavo in una grande sala cupa e professionale, piena zeppa di computer, schermi, radiotrasmittenti, agenti in divisa…
Forse i polizieschi mi avevano dato alla testa?
Non capisco…
- Who are you? -
Scattai lo sguardo verso l’entrata di un lungo corridoio di fronte la vetrata, dove avevo sentito provenire quelle parole, pronunciate con quel tono così delicato quanto minaccioso e ostile.
Era stato un ragazzo a parlare, apparso dal nulla e nel silenzio più assoluto. Alto e dal fisico slanciato, era dall’aspetto alquanto strambo, notai, con quei pantaloni aderenti di pelle nera e il panciotto sbottonato abbinato ai pantaloni, che lasciava intravedere i lineamenti dei suoi muscoli ben incisi sulle pelle. Restai ad osservarlo in silenzio quasi un intero minuto, e lui a sua volta rimase immobile come una statua a fulminarmi con lo sguardo in posizione di allerta, nemmeno fossi il suo peggior nemico.
- Kanade. You? -
Vidi il ragazzo rilassare la postura delle spalle, socchiudere gli occhi e sbuffare:
- Ah, allora sei soltanto tu, Sofia.- disse con tono riluttante, in un italiano ben più chiaro di quanto un normale americano potesse esibire. Si avvicinò lentamente ad uno dei due divani con fare annoiato, e si lasciò cadere con non molta grazia.
- Come fai a conoscere il mio vero nome? – gli chiesi, infuriata.
- Riponi le armi, ragazzina. Non sono io il tuo nemico. – mi rispose lui, distogliendo il suo sguardo annoiato dai miei occhi.
- Che ci fai qui, piuttosto? – continuò, guardando di fronte a sé e poggiando con fare spavaldo entrambi i gomiti sullo schienale.
Osservai per qualche istante il colorito rossiccio dei suoi capelli lisci, che gli ricadevano tutti sulla stessa cavità alla base del collo in un taglio netto, e quando lo vidi abbassare lo sguardo sulle bottiglie di vetro sopra il tavolino, osservai anche la sua stramba frangetta ricoprirgli gli occhi.
- Tu? -
- Beh, io ci vivo… Cara. -
Arretrai istintivamente di un passo, sorpresa e accigliata.
- Come? I… Io credevo… - balbettai.
- Cosa credevi, tu? – disse ad un certo punto lui, alzando il suo sguardo sprezzante di nuovo su di me; restò così  per dei minuti forse, a fissarmi come si potesse mai fissare un moscerino, o una mosca: con una certa sfumatura di noia e fastidio ben visibile.
Cercai presto di riprendere il controllo di me stessa. Non avevo la minima idea di chi potesse essere quell’uomo, ma una cosa era certa, non gli avrei mai dato la soddisfazione di mostrarmi in difficoltà.
Tirai un sospiro veloce, per darmi forza:
- In verità mi avevano riferito che Ryuzaki si trovasse qui, al trentesimo piano. -
- L’hai mancato allora. E’ andato via da un pezzo. -
- Oh. – risposi solamente, non sapendo cos’altro aggiungere.
- Oramai sei qui, comunque… Siediti, accomodati. E che non si dica che manchi di ospitalità! -
- Non accetto l’ospitalità di una persona di cui non conosco nemmeno il nome. – sibilai con tono ostile.
Vidi il ragazzo alzare di nuovo lo sguardo sul mio viso, stavolta con una piccola sfumatura di stupore.
- Ah sì? -
- Già. – risposi acidamente, continuando a fulminarlo con gli occhi.
Lui restò a fissarmi ancora per qualche secondo, con l’accenno minimo di un sorriso sulle labbra sottili, poi sospirò di nuovo con aria annoiata:
- E va bene. Accetteresti dunque l’ospitalità di un certo Mello? -

Esitai solo pochi istanti, poi risposi:
- Okay. – mi avvicinai con cautela al divano di fronte a quello dove si era placidamente accomodato lui, senza togliergli mai gli occhi di dosso… A differenza sua, che invece era già tornato sulle bottiglie di vetro. Ne afferrò una senza tappo e se la portò alla bocca senza tante cerimonie.
Io mi accomodai educatamente al centro del divano, accavallando compostamente le gambe e continuando a fissarlo freddamente.
- E così… Tu sei un’altra vittima del caro Bustri. Mh, nemmeno il fascino di una così bella giovane non lo trattiene dai suoi affari… - pronunciò l’ultima parola con un’evidente nota di sarcasmo.
Di certo avrebbe dovuto sembrarmi un complimento, il suo… Ma allora perché invece, nel modo in cui l’aveva detto lui, mi sembrava un insulto bello e buono?
- Tu… Sai chi è? -
- Ahimè, sì. – rispose Mello, poggiando di nuovo la bottiglia sul tavolino nello stesso ed identico posto in cui si trovava prima.
- Come vanno le ferite? A quel che vedo non sono tutte guarite… -continuò, indicando con un rapido gesto del mento la  mia fronte.
Mi riportai istintivamente la mano sulla ferita.
- Sai cosa mi è successo? -
- So tutto, Sofia. O preferisci che ti chiami Kanade? -
- Come ti pare. – risposi, irritata.
- In verità questa storia dei nomi falsi, personalmente, la trovo una vera e proprio stronzata. Kira è morto, mi dico! Il caso è chiuso! Da due anni, per giunta! E Ryuzaki invece ha ancora questa fissa… A volte penso che il caso Kira l’abbia traumatizzato. Altre volte rido dei miei stessi pensieri. Con lui non si sa mai con certezza! – esibì un’altra alzata d’occhi al soffitto e poi tornò a guardarmi, con quei suoi occhi… Di che colore? Azzurri? Dorati? Non si capiva molto bene.
- E così… Tu sei il nuovo punto interrogativo di L… -
- Ancora non capisco, né tu mi hai detto, come fai a sapere tutto questo… -
Lo vidi sorridere come se avessi appena fatto una battuta divertente sui poliziotti newyorkesi:
- E tu come mai fai tutte queste domande? -
- Forse perché ne ho motivo. E il diritto. -
Mello alzò un sopracciglio, sorpreso.
- Mh… Una ragazzina dalla lingua lunga e biforcuta entra nel mio appartamento, senza che nessuno la invitasse… Non ha voluto dirmi il suo vero nome di sua spontanea volontà… Si accomoda sul mio divano… E pretende anche il diritto di sapere la storia della mia vita? -
- Non ti ho chiesto la storia della tua vita. Ti ho solo chiesto come fai a sapere tutto di me, mentre io non so nemmeno il tuo vero nome. -
- Te l’ho detto, mi chiamo Mel… -
- Non crederai davvero che sia così ingenua? Non dovresti mai sottovalutare chi ti ritrovi davanti… Mello. – pronunciai il suo nome come tra virgolette.
Mello mi fulminò con gli occhi, improvvisamente serio e minaccioso. Pareva quasi che da un momento all’altro potesse balzarmi addosso e uccidermi, e invece se ne restò lì dov’era, in quella posizione così spavalda e intimidatoria, limitandosi alla letale violenza delle parole. Repressi un brivido.
- E tu come l’hai capito? – sibilò, portandosi una mano sul mento con aria curiosa.
- Ho notato la posizione delle tue braccia tese e il movimento del tuo sguardo, che è subito caduto verso il basso proprio mentre mi dicevi il tuo nome. Ti sei anche toccato i capelli, gesto ben evidente. Confesso che in situazioni normali però, non l’avrei nemmeno notato probabilmente… E magari, chissà, ti avrei anche creduto sulla parola. Ma, viste le circostanze… -
-Studi psicologia… -
- Esatto. -
- E immagino sarai una di quelle studentesse brillanti, dal cento e lode al diploma italiano e trenta ad ogni esame… -
- In verità dal liceo sono uscita con settanta… Ma per quel che riguarda l’università, hai ragione. Ho la media del trenta. -
- Settanta, eh? Ragazza ribelle, allora. -
Esibii una smorfia di disappunto.
- Quando serve, direi. -
Mi appoggiai allo schienale, incrociando le braccia in petto. Mello, a differenza di come aveva fatto all’inizio, adesso mi fissava assorto. Ero riuscita a conquistarmi la sua attenzione, allora.
- Quanti anni hai, Sofia? -
- Ancora non mi hai risposto, Mello. -
- Suvvia, Sofia! Ci stiamo appena conoscendo! Dammi tempo! -
Sbuffai rumorosamente, alzando gli occhi al soffitto con lo stesso fare annoiato e irritato che lui aveva esibito fino a poco tempo prima.
- Se c’è qualcosa che non ho adesso, Mello, è tempo da perdere. Per cui… - mi alzai educatamente.
- Chiederò spiegazioni a Ryuzaki, sul tuo conto. Visto che tu hai solo voglia di giocare. -
Mi avviai verso l’ascensore, con passo lento ma deciso.
- Peccato. Stavo giusto per raccontarti qualcosa di molto importante… Su Bustri. Ma se vuoi vedere se il tuo già caro e fidato Ryuzaki sarà disposto a raccontartelo al posto mio, va’ pure. Avrai il beneficio del dubbio. -
Mi bloccai di fronte le ante grigie dell’ascensore, in silenzio.
- Sempre che tu riesca a trovar… Oh, ma guarda! Sono già le sei del pomeriggio! Dovrebbe arrivare qui a momenti, per giunta! Ma non sei obbligata a restare, comunque… Puoi aspettarlo al ventesimo piano… -
Restai immobile per dei secondi, a riflettere. Diceva sul serio? Oppure era tutta una farsa?
Poco importava. In fin dei conti Ryuzaki a quell’ora avrebbe già dovuto scoprire della mia “scomparsa”…
Mi starà cercando, quindi indipendentemente dalle bugie di Mello, a momenti lui sarà davvero qui.
Sospirai in silenzio.
- Ventuno. – risposi, piano.
Mi voltai di nuovo verso di lui, e lo trovai a fissarmi ancora con quell’ambiguo sorriso sulle labbra.
- Come, scusa? – gli sentii chiedere, mentre tornavo al mio posto di fronte a lui sul divano.
- Ventun’anni. Mi chiamo Sofia De Ludi, ed ho ventun’anni. -

- Come immaginavo… - rispose lui, pensieroso.
- La seconda vittima di Bustri… Ha ventun’anni. – continuò, quasi tra sé e sé.
- Seconda? -
- Già. Bustri ha sperimentato su due sole persone fino ad oggi… -
Due?” sentii i pensieri tornare a  volteggiarmi velocemente nella testa, e l’ansia aumentare paurosamente insieme ai battiti del mio cuore.
- …Tu sei la seconda. – continuò.
- E… la prima vittima… chi… - sussurrai, confusa.
- Sono io. - rispose lui, in un sibilo divertito.










ANGOLO AUTRICE
Saaaaalve. Ehm. Ci tenevo a scusarmi per il mio imperdonabile ritardo, ma ahimè, io sono una ritardataria cronica anche nella mia vita reale, per cui... Portate pazienza, se potete. Quei pochi lettori che seguono la storia sono ben consapevole di averli trascurati, in tutto questo tempo, ma ci tengo a farvi sapere che non è del tutto colpa della mia svogliatezza, ma bensì anche della mia salute cagionevole, che fino ad oggi mi sta dando problemi. Vabbè, è Ottobre, chi è che non si ammala ad Ottobre?
Per il resto, pregherei chiunque si trovasse a passare tra le righe di questa storia, a lasciare un piccolo commento. 
Non m'interessa delle recensioni in sè, chiarisco. Di quelle non me ne faccio nulla. E' solo un bisogno che credo ogni piccola autrice senta nel profondo, di sapere e conoscere cosa il "lettore" pensa di ciò che scrive... Anche per migliorare, per creare qualcosa di più bello, in modo costruttivo. Per cui... Anche e soprattutto, direi, agli autori che seguono la mia storia, se per cortesia, solidarietà tra scrittori, o anche solo per un po' di tempo da perdere, come si suol dire, spendereste un paio di minuti a scrivermi il vostro pensiero su questa storia... Io lo apprezzerò molto. 
Grazie invece a chi già recensisce, spero continueranno a farlo. Sono le loro piccole considerazioni a darmi la forza di continuare questa storia. :')

 
   
 
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