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Autore: Laylath    16/10/2013    1 recensioni
Il suo posto era altrove, la sua fedeltà era per un’altra persona, un altro gruppo.
E ne aveva passate tante prima di giungere a loro…
La storia del nostro amato Maresciallo Falman.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang, Vato Falman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 26.
1914. Decisions that can change your life.


 
La sveglia squillò impietosa alle sei e venti di mattina, come succedeva sempre da quando Elisa era tornata.
I corsi iniziano alle otto e mezza, ma noi dobbiamo essere lì alle sette e mezza per preparare tutto.
Per Falman era così strano vedere la donna che si alzava prima di lui per prepararsi e andare a lavoro: mentre lui restava a letto a poltrire, considerato che doveva essere in ufficio alle otto e mezza e da casa ci impiegava nemmeno venti minuti per arrivare, Elisa si muoveva con silenziosa rapidità ed efficienza.
A conti fatti riuscivano a stare insieme solo dalla cena in poi che, spesso e volentieri, si trovava a dover preparare lui.
I corsi che svolgeva la donna erano infatti altamente intensivi, senza contare che spesso era richiesta la sua collaborazione anche all’interno dell’ospedale. Insomma, Elisa era tornata nel suo campo come un uragano e stava dimostrando di essere un elemento più che valido che la fine della guerra aveva solo messo in disparte per qualche tempo.
A ben pensarci ero davvero egoista a volerla solo per me. Con le sue mani questa donna meravigliosa allevia le sofferenze delle persone e salva vite.
“Va bene, sono le sette meno cinque. – annunciò lei, a voce bassa, per non disturbare la pace della stanza relativamente immersa nel buio – Io adesso vado, Vato: ci vediamo stasera come sempre. Il primo che arriva mette sù la cena, va bene?”
Si chinò per baciarlo, dato che lui era ancora a letto, ma Falman la imprigionò improvvisamente con le braccia, costringendola a sdraiarsi sopra di lui.
“Vato! – protestò lei con una risatina – Devo andare, dai! Non rovinarmi i capelli”
“Andare… - rifletté lui a voce alta – e se ti tenessi in ostaggio qui per il resto della mattina?”
“Devi andare in ufficio pure tu, mi pare”
Le diede un profondo bacio, gustando il sapore delle sue labbra così morbide e poi la lasciò andare.
“Va bene, mi hai convinto… ma un giorno ti imprigiono davvero” promise lui
“Vedremo, maresciallo” ridacchiò Elisa, libera di alzarsi dal letto. Con un ultimo sorriso si diresse verso l’ingresso della camera da letto e dopo qualche secondo Falman sentì la porta di casa chiudersi.
Stiracchiandosi vistosamente il maresciallo si sedette, ormai troppo sveglio per pensare di rimettersi a dormire: al contrario di altri lui era una di quelle persone che non amava stare a letto senza fare niente.
Alzandosi per prepararsi con tutta la calma possibile pensò che in quell’ultimo mese aveva praticamente condotto una doppia vita: il giorno lo passava in ufficio con tutti gli altri, svolgendo il solito lavoro, nonostante lo spettro di Scar aleggiasse ancora sull’intera squadra.
Come usciva dall’ufficio la sua mente dimenticava quasi del tutto di essere un soldato e si dedicava completamente ad Elisa. Quell’anno di lontananza aveva fatto in qualche modo bene ad entrambi: Falman aveva pensato di aver raggiunto l’apice della maturità del loro rapporto il giorno in cui l’aveva sposata, ma si sbagliava. Il matrimonio era stato solo un atto legale: erano altri gli eventi che portavano alla maturazione vera e propria di una vita insieme… l’aborto, la lontananza, il fatto che entrambi lavoravano e dunque dovevano trovare una sorta di equilibrio: erano quelle sfide quotidiane a farli crescere veramente.
Crescere ancora a trentaquattro anni compiuti… incredibile ma vero.
Ma Falman ormai aveva imparato ad accettare i fatti della vita.
 
Uscendo per andare a lavoro, vide che era ancora presto e decise di fare una lieve deviazione.
Arrivò alla zona transennata che impediva ai cittadini di avvicinarsi troppo a quel tratto di fogne esploso la settimana scorsa. Come lo videro i poliziotti di guardia fecero il saluto e gli permisero immediatamente di passare: era già stato un’altra volta in questo piccolo cantiere e sapeva che c’era una persona in particolare.
“Sottotenente Havoc – salutò, avanzando verso di lui – tutto bene?”
“Ehilà Falman, - sorrise il biondo, lieto di quell’inaspettata visita di prima mattina – sei mattiniero oggi”
“Ho pensato di passare a salutarla prima di andare in ufficio” ammise il maresciallo, mentre si avviava insieme al collega in quel labirinto di macerie dove l’esercito stava cercando di mettere ordine.
Il suo sguardo cadde su alcuni cadaveri coperti da lenzuola e Havoc commentò
“Siamo arrivati a quota dieci, ma nessuno di loro è Scar… di quell’uomo è rimasto solo il cappotto ritrovato il giorno stesso dell’esplosione”
“Non si è ancora arrivati a definire la causa di tutto questo, vero?” chiese il maresciallo
“No – scosse il capo, Havoc, accendendosi una sigaretta. Nonostante fossero appena le otto e un quarto e l’aria fosse ancora fredda, dato che erano in marzo, l’uomo era senza giacca e con una maglietta a maniche corte – Stiamo spostando macerie tutto il giorno, anche per mettere in sicurezza la parte che sta vicino al ponte: gli ingegneri non hanno parlato di rischio crolli, ma non si sa mai. Ma di una cosa il colonnello è certo: qui è stata usata una grande forza distruttrice…” gli occhi azzurri lanciarono una rapida occhiata a quelli di Falman ed il maresciallo annuì, capendo al volo quello che il suo collega voleva dire.
Sì, è stato Scar a provocare tutto questo… ma per quale motivo? Il sangue nella giacca poteva essere relativo alle ferite che ha ricevuto... non per forza mortali. Con chi si è scontrato per arrivare a far esplodere una porzione così grande di fogne, attirando così l’attenzione generale?
“Il colonnello ha davvero una bella gatta da pelare, – commentò con serietà – senza contare che ha gli occhi del Generale Hakuro puntati su di lui… pare che tutti aspettino una sua mossa falsa”
“Che ti aspettavi, Falman? – sorrise furbescamente Havoc – Il nostro superiore ha fatto carriera molto in fretta: quanti altri sono colonnello a ventinove anni? Il vecchio Grumman gli ha permesso di scalare i gradi della gerarchia militare, dandogli così tanta fiducia, ma a molti la cosa non piace. Aspettano tutti di vederlo crollare per la vicenda di Scar”
“Non crollerà” scosse il capo Falman
“No, non lo farà; ma noi dobbiamo dargli tutto il sostegno possibile. Crolla lui e crolliamo noi…”
Falman annuì, capendo bene i sottintesi di quella frase: la squadra era legata al destino del suo superiore.
“Mi sono trattenuto anche troppo – si scusò, guardando il cielo – è meglio che vada in ufficio”
“Salutami gli altri, – disse Havoc, dandogli una pacca sulle spalle – e dì a Breda che stanotte ho proprio voglia di un’uscita per bere. Coinvolgerei anche te, ma so che Elisa ti aspetta a casa… mi toccherà ripiegare su Fury”
“Non lo faccia bere troppo, signore, mi raccomando”
“Certo. Lo terrò solo per farci compagnia” sogghignò il sottotenente
 
“Salve a tutti – salutò, poco dopo, entrando in ufficio – scusate il ritardo e…”
Si sorprese vedendo che c’erano solo Fury e Breda: era strano che non fossero presenti anche il tenente ed il colonnello. Ma era anche vero che potevano esser stati chiamati per qualche motivo particolare e…
“Siamo in autogestione, maresciallo, – annunciò Breda con aria cupa, alzandosi in piedi e andando verso di lui – il tenente ed il colonnello sono partiti stamattina prestissimo. Prima di un paio di giorni non torneranno”
“Partiti? – chiese Falman con sorpresa – E per dove?”
“Central City – spiegò il sottotenente – è successo un imprevisto che rende le cose più complicate per il nostro superiore”
Falman guardò Breda con perplessità e notò che gli occhi grigio chiaro erano più cupi del previsto, come se il suo umore riuscisse a condizionare la gradazione del colore. Spostando l’attenzione verso Fury vide che questi stava seduto alla sua scrivania con lo sguardo basso e triste: le mani erano posate in grembo e sembrava totalmente immerso nei suoi pensieri.
“Che è successo?” chiese Falman con un sussurro
“Ieri notte hanno assassinato il tenente colonnello Hughes” annunciò il rosso col medesimo tono di voce.
 
Per tutto il giorno non fecero niente: rimasero in quell’ufficio seduti alle loro scrivanie aspettando una telefonata o una qualche comunicazione da parte del colonnello o del tenente. E tutti loro riflettevano sulle implicazioni che quell’omicidio avrebbe avuto.
“E’ tutto collegato, vero?” chiese Fury a un certo punto, alzando finalmente gli occhi scuri dalla scrivania
“Certo, ragazzo – annuì Breda, andando a sedersi accanto a lui, nella scrivania di Havoc – a quanto pare qualcuno ha deciso di eliminare il tenente colonnello Hughes e la sola motivazione per compiere un gesto simile è chiara: aveva scoperto qualcosa che non doveva scoprire”
Falman annuì.
Il tenente colonnello faceva parte del reparto investigativo e lui, più di tutto il resto della squadra, sapeva benissimo quanto potesse essere rischioso quel mestiere. Il pericolo di incappare in qualcosa che doveva restare nascosto era sempre dietro l’angolo e spesso si andava a pestare i piedi a pesci troppo grossi.
I suoi pensieri tornarono a Mc Dorian e alla sua abilità nel muoversi in quel campo.
Il tenente colonnello era coetaneo di Mustang: non aveva ancora l’esperienza e la discrezione giusta…
Era un pensiero freddo e impietoso, ma il Falman che aveva lavorato otto anni a fianco di Mc Dorian si risvegliò improvvisamente, andando ad analizzare quelli che erano stati gli errori del migliore amico del colonnello.
Nemmeno dieci giorni fa la prima sezione della biblioteca di Central City è misteriosamente bruciata e lì c’era tutta la documentazione militare a cui attinge il reparto investigativo… poi l’esplosione vicino al ponte con la giacca di Scar… e ora l’assassinio di un tenente colonnello che si occupava di quel caso.
La sua mente rapida collegò i vari fili tra di loro: ovvio che era tutto collegato.
Tuttavia c’era un filo che Falman aveva paura di tirare in ballo, ma non ne poté fare a meno, perché il suo istinto gli diceva che era un elemento che non poteva permettersi di tralasciare.
I fratelli Elric… l’alchimia…
Ecco, quello era proprio un qualcosa che non era in grado di affrontare: finché si trattava di organizzazioni criminali, terrorismo, traffico illecito d’armi, aveva molto da dire a riguardo. Ma se entrava in gioco l’alchimia allora Falman era tentato di battere in ritirata: l’unica alchimia che era arrivato ad accettare era quella di Mustang. No, non era corretto: era arrivato ad accettare che Mustang la usasse perché era pienamente convinto dei propositi del suo superiore.
Non aveva alcun dubbio nemmeno sull’uso che ne facevano i fratelli Elric, certo… però…
Colonnello, in che cosa ci stiamo andando ad immischiare?
“Falman?” lo riscosse Breda
“Sì?”
“Andiamo a prenderci un the assieme, va bene? – disse il sottotenente,  la robusta mano posata sull’esile spalla di Fury – Ne abbiamo tutti bisogno”
Il maresciallo annuì distrattamente, notando lo sguardo leggermente sconvolto del sergente.
Era un momento di crisi e dovevano dimostrare di essere uniti più che mai.
 
Il colonnello ed il tenente tornarono due giorni dopo.
Il rientro in ufficio del loro superiore fu abbastanza destabilizzante: per quanto sembrasse che Mustang fosse normale come al solito, sebbene più taciturno, tutti intuivano che il lutto gravava pesantemente sulla sua persona. E quello era un bel problema.
Falman e gli altri avrebbero voluto in qualche modo aiutarlo, ma non sapevano come. Pareva quasi di essere tornati nei primi faticosi giorni di socializzazione tra di loro, quando nessuno voleva sbottonarsi più del dovuto: solo che in questo caso un simile atteggiamento era tenuto solo dal colonnello… e per gli altri era difficile da sopportare.
Il tenente aveva fatto loro un cenno del capo, avvisandoli che era meglio non tentare alcuna mossa di quel tipo. Roy Mustang non voleva che i suoi subordinati lo vedessero in un momento di debolezza.
Sì, colonnello, capisco che si voglia mostrare forte. – sospirò Falman, accettando quel silenzio – Ma essere una squadra significa anche essere uniti in simili momenti.
Mustang non disse niente riguardo all’omicidio del tenente colonnello: spiegò soltanto che era stato promosso Generale di Brigata per essere morto in servizio… e c’era stata una cattiva ironia nel pronunciare quell’ultima frase. Certo, quelle promozioni post mortem facevano più bene ai vivi: servivano a placare le coscienze. Ma a Mustang di certo non bastavano.
Furono tre giorni circa di silenzio quasi totale, in cui spesso Falman coglieva lo sguardo del loro superiore fisso a turno su ciascuno di loro, anche sulla scrivania dell’assente Havoc. Era come se, dopo aver tralasciato quel profondo lutto che l’aveva colpito, l’alchimista avesse deciso di soffermare la sua attenzione sui suoi sottoposti.
Sta rimuginando su qualcosa, eppure c’è anche una lieve nota di preoccupazione sul suo sguardo… è come se fosse estremamente indeciso su qualcosa.
 
“Falman, tua moglie è tornata qui ad East City, vero?” la domanda di Mustang fu così improvvisa che il maresciallo alzò il capo con sorpresa.
Erano solo loro due nell’ufficio, considerato che gli altri erano già andati via ed il tenente era andata in un altro ufficio a procurarsi alcune cose per il giorno successivo.
“Sì, colonnello – annuì lui – è tornata da quasi un mese”
“Ma se non erro non resterà qui per molto”
“Dovrebbe ripartire tra cinque mesi per South City, signore”
“Cinque mesi…” Mustang fissò la propria scrivania
“Signore, – si trovò a dire Falman – mia moglie è un’infermiera e questo l’ha spesso portata lontana da me. Allo stesso modo io sono un soldato”
Sapeva che con quella frase stava dando il suo assenso a quell’uomo per disporre della sua vita come preferiva. Era una conclusione a cui Falman era arrivato due giorni prima: era chiaro che Mustang stava per tentare qualcosa di grosso e che la sua famosa indecisione era su quanto coinvolgere la propria squadra.
Ma tutti loro avevano fatto una scelta ben precisa nel momento in cui gli avevano detto di sì e lo sapevano benissimo. L’ambizione dell’alchimista di fuoco era molto alta e solo loro osavano saperlo…
Comandante Supremo… è questo il vero inizio della sua ascesa, signore?
In quell’eventualità, la squadra doveva essere al suo fianco.
Mustang lo guardò con penentranti occhi neri: aveva recepito appieno il sottinteso di quella frase
 
Quella notte lui ed Elisa fecero l’amore.
Falman si era accorto di aver provato una passione molto simile a quella della loro prima volta, quando il distacco era così vicino. Involontariamente si era voluto ancora una volta imprimere ogni singolo centimetro di lei nella mente e nell’anima.
“Che cosa c’è?” gli chiese dolcemente la donna, dopo che il marito si fu abbandonato ansimante sulla sua spalla
“Che vuoi dire?” rispose, baciandole i capelli castani
“C’è qualcosa che vuoi dirmi – mormorò Elisa, accarezzandogli la nuca – ma hai paura di farlo”
No, non le poteva nascondere nulla.
“Se ci fosse la possibilità di un mio trasferimento…” iniziò debolmente
“Chi te l’ha detto?”
“Nessuno. Ma credo che…”
Non terminò la frase e lasciò che fosse il silenzio a parlare. Non aveva bisogno di pronunciare il nome del colonnello: Elisa sapeva troppo bene quanta fiducia lui avesse riposto in quell’uomo.
“Ti fidi di lui?” gli chiese dopo qualche minuto di silenzio
“Sì”
“Allora lo seguirai, non ho alcun dubbio in merito” sorrise debolmente la donna, baciandolo in fronte
“Potrebbe essere prima della tua partenza… prima di quanto crediamo”
“Dicono che la lontananza rafforzi l’amore” dichiarò lei, cercando una consolazione a quella nuova separazione.
La guerra, il tuo lavoro, ed ora questo… quanto ancora lo dobbiamo rafforzare?
“Fra cinque mesi tu ripartirai e starai via un altro anno… - mormorò Falman – Ma dopo, Elisa, giurami che non  ci lasceremo mai più per così tanto tempo.”
La donna fissò la mano dove portava il delicato anello di fidanzamento che non si levava mai.
“Te lo giuro, amore mio… ti raggiungerò ovunque tu sarai” promise prima di baciarlo di nuovo con passione.
 
Il giorno dopo c’era solo lui in ufficio quando arrivò Mustang.
“Dove sono gli altri?” gli chiese il colonnello. E Falman notò che c’era una nuova decisione nella sua voce e nel suo atteggiamento.
“Il sottotenente Havoc è come sempre al cantiere, il sottotenente Breda credo che sia in sala ricreativa; Fury è stato chiamato a riparare un telefono vicino al deposito, mentre il tenente è al poligono di tiro”
“Va bene: vai a chiamare Breda e digli di venire qui; agli altri ci penso io”
Falman annuì, alzandosi in piedi, e dal tono di voce del colonnello capì che il momento era arrivato.
Mentre camminava per i corridoi si sentiva incredibilmente calmo: sapeva che le loro strade stavano prendendo una direzione molto pericolosa, ma era altrettanto sicuro che non si potevano tirare indietro.
Se si era fatto qualche problema era stato per Fury: sapere che anche il piccolo della squadra sarebbe stato coinvolto in quella storia…
Ma lui ha il diritto ed il dovere di esserci come tutti noi.
Come entrò in sala ricreativa vide che Breda stava esultando per una vittoria contro un altro soldato: il sottotenente rosso era una vera e propria macchina da guerra nei giochi di strategia. Falman l’aveva sfidato diverse volte, ma il risultato migliore che aveva ottenuto era stato metterlo in difficoltà, allungando la partita più del previsto.
“Un soldato perfetto deve avere questo!” stava dicendo il sottotenente con un ghigno soddisfatto, indicandosi con l’indice la testa
“Ehi, che succede qui? – chiese Falman avanzando e guardando la scacchiera sul tavolo – Oh, ma che gioco sarebbe questo?”
“Si chiama Shogi – rispose Breda, girandosi a guardarlo con un sorriso – è una specie di scacchi che viene da un’isola dell’est”
“Certo, lo conosco. – scattò subito il maresciallo, ricordandosi come la spiegazione di quel gioco fosse presente nel vecchio libro che gli aveva dato Elisa tantissimi anni prima – Shogi: gioco strategico per due sfidanti svolto su una scacchiera composta da ottantuno quadrati con venti pedine per lato. I giocatori muovono a turno le pedine in accordo alla loro funzione e devono cercare di prendere la pedina del re avversario. Sembra che sia stato inventato nel…”
“Va bene – lo bloccò Breda annoiato – Il prossimo.” disse poi, rivolgendosi agli altri soldati presenti, cercando un nuovo sfidante
“Ops! – esclamò Falman, rimproverandosi di essere scivolato nel suo solito vizio di iniziare ad elencare le definizioni di qualcosa – Stavo dimenticando perché sono venuto qui. Il colonnello vuole vederti e ha chiesto che io venga con te”
“Io e te?” chiese Breda perplesso
“Sì…”
 
Dieci minuti dopo erano tutti e cinque schierati davanti alla scrivania del colonnello: entrando nella stanza si erano scambiati rapide occhiate, ma dietro la perplessità tutti sapevano quello che stava per succedere.
“Allora… - iniziò Mustang, alzandosi in piedi e squadrando ciascuno di loro – Sergente Maggiore Kain Fury…”
“Sì” mormorò il giovane
“Maresciallo Vato Falman…”
“Sissignore”
“Sottotenente Heymans Breda…”
“Si”
“Sottotenente Jean Havoc…”
“Eccomi”
“Tenente Riza Hawkeye…”
La donna si limitò a chinare lievemente il capo in segno di rispetto
“Voi cinque sarete trasferiti con me a Central City. Non voglio sentire obiezioni. Seguitemi
Scattarono tutti e cinque sull’attenti, all’unisono, pronti a seguire quell’uomo per tutta la vita.
Il momento fu così solenne: era il punto di non ritorno, quello in cui avevano ufficialmente deciso di porre davanti all’esercito stesso il loro superiore. A conti fatti stavano ballando sul filo del tradimento, ma nessuno di loro se ne stava pentendo.
Erano davvero una squadra e…
“Ah! – fece all’improvviso Havoc – Colonnello, avevo dimenticato: c’è un problema”
Tutti rimasero perplessi davanti a quell’improvvisa dichiarazione: che cosa era successo?
“Cosa?” chiese Mustang contrariato
“Ecco… mi sono appena trovato una ragazza!” dichiarò il sottotenente con orgoglio
“Lasciala! – lo congelò Mustang – Trovatene un’altra a Central City”
La faccia di Havoc divenne immediatamente funerea… la solennità del momento rovinosamente distrutta da quell’assurdo imprevisto.
Girandosi verso la finestra, Mustang continuò ad infierire
“Siete ancora all’inizio del vostro rapporto. Il vostro amore è sicuramente all’acqua di rose. Considerati fortunato: non soffrirai tanto”
Fury quasi lacrimava per quella prova di crudeltà, non così strana considerato che le prese in giro per gli amori di Havoc erano ormai conosciute. Invece Breda, il tenente e lo stesso Falman, batterono delle pacche sulla schiena dello sconsolato Havoc…
Nel bene e nel male erano sempre una squadra… anche in queste “emergenze”

 
  
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