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Autore: foreverwithyou    17/10/2013    3 recensioni
Tratto dal cap.4:
Per quanto chiusi gli occhi?.. Un secondo, due?.
Ebbene, non so cosa successe in quell’asso di tempo ma io sentii le pareti sgretolarsi fino a formare dei buchi dove entrava una fitta luce.
Alzai il busto e guardai incredula quello che stava succedendo intorno a me.
Non ci potevo credere.. O, forse, sì..
Mattone dopo mattone, roccia dopo roccia e le pareti che mi proteggevano si sgretolarono completamente.
Mi ritrovai in un luogo aperto, tra le verdi foglie degli alberi e, cosa più strana, ero ancora seduta sul mio letto..
Genere: Avventura, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Enchanted.
          di foreverwithyou




Trailer.


Capitolo 1
"Un'inaspettata partenza"



 
Parigi, Francia, 1970

«I sogni non portano il pane in tavola!»
Era l’ennesima lite quella settimana. Ma perché ho mostrato il depliant?.
In casa nostra non regnava mai la pace quando si parlava di “futuro”.
Loro, per “futuro”, intendevano il cibo di domani o del giorno dopo ancora.
Io non ero come loro. Potevo vivere di sogni e di avventure senza preoccuparmi di acqua o viveri.
“L’Accademia dei piccoli esploratori” apriva i corsi estivi a tutti pagando una piccola somma d’ingresso.
«Voglio andarci!» Dissi sbattendo le mani sul tavolo.
Non l’avessi mai compiuto quell’atto così sfrontato.
Lo schiaffo partì dalla mano di mio padre per poi infrangersi sulla mia pallida guancia che, poco dopo, diventò rossa..
Le lacrime mi salirono velocemente agli occhi per poi iniziare a scendere ripide sul mio viso.
Ero veramente stanca. Mi alza dalla sedia e corsi in camera mia abbandonando la calda e stretta cucina.
«Voglio essere grande.» Dissi una volta calmata dal pianto mentre guardavo tutti i pupazzi che mi attorniavano.
«Voglio essere adulta. Badare a me stessa senza l’aiuto di nessuno!» Dissi scaraventandoli, uno ad uno, sul pavimento.

Quelle furono le mie ultime parole quella sera, in quella casa..

Il mattino seguente mi svegliarono delle voci.
Aprii gli occhi lentamente e oltre la mia frangia castana vedevo la mia collezione di fatine liberamente esposta sulla mensola, dei libri fantasy e qualche quaderno.
Mi strofinai gli occhi per rendermi conto, più o meno, della situazione caotica che si stava creando fuori. Neanche il tempo di tirarmi a sedere che la porta della mia stanza venne aperta da mia madre.
Era più arrabbiata che mai, le sue sopracciglia aggrottate me ne davano segno. Si avvicinò a me velocemente e mi prese per un braccio trascinandomi in bagno.
Mi calò con forza nella vasca.. Sebbene pesassi quanto una piuma, il mio corpo era alquanto rigido quella mattina.
Sentivo che qualcosa non andava.
Una parola, una vocale.. nulla uscì dalla bocca di mia madre mentre strofinava la spugna sulla mia schiena nuda graffiandomi leggermente.
Così feci anch’io.. non domandai, non sibilai un bel niente in quei lunghi minuti.
E la cosa era più che strana: io sono sempre stato un tipo molto curioso.
Mi tirò via da quel getto d’acqua repentino e freddo e mi avvolse in un ruvido asciugamano rosa.
Me lo tirò via prima che io fossi completamente asciutta e mi infilò con forza la biancheria.
«Aspetta qui.» Disse con il più truce degli sguardi.
Lasciò la stanza sbattendosi ferocemente la porta alle spalle.
Durante l’assenza di mia madre mi guardai attorno. Fissai ogni particolare di quel piccolo bagno.
Avevo la sensazione che non l’avrei più rivisto. Quella stanza a me tanto preziosa, testimone dei miei tanti sfoghi..
Quando mamma e papà litigavano io mi rifugiavo lì, serravo la porta e sprofondavo in un pianto isterico tappandomi le orecchie per non sentire le numerose urla che riecheggiavano per tutta la casa.
Ero solo una bambina.
Quale bambina è così forte da non sentirsi male davanti ad una situazione familiare che si sta, lentamente, distruggendo a causa di insufficienze economiche?.
La debolezza della mia famiglia era nota a tutti in quel medio quartiere parigino, e io non passavo di certo inosservata.
Nei miei bei vestitini economici color pastello e le mie scarpe nere lucide facevano invidia a tutti. Forse.
La porta si aprì di scatto facendomi sussultare. Nelle mani, mia madre, teneva ben stretta una salopette e una maglietta grigia.
Un look insolito e cupo.
Non mi legò i capelli, li fece scendere lisci e liberi sulle spalle. Strano, aveva abitudine di dividerli in due trecce o raccoglierli in una coda.
«Non credo che ti riconoscerebbero vestita in questo modo.»
Mi voltai, ancora in silenzio, ancora inconsapevole del destino che mi sarebbe toccato e, iniziai a fissarla.
Capelli biondi, occhi celesti. Il mio esatto opposto.
Quella era la mamma che mi volevo ricordare. Forse con un’espressione meno arrabbiata, ma sarà un po’ difficile.
Uscimmo dal bagno e rimasi ferma nel corridoio per qualche secondo..
Rivolsi il mio sguardo verso la cucina e vidi che, sul tavolo, c’era ancora il depliant dell’Accademia dei miei sogni.
Feci le spallucce con le lacrime agli occhi mentre vedevo il mio sogno infrangersi in mille pezzi.
E il non poter fare nulla mi distruggeva, il non ribellarmi mi faceva stare davvero male..
In undici anni di vita non mi ero mai sentita più debole di quella volta.
Come un condannato si reca al patibolo così feci io verso la porta d’ingresso raggiungendo i miei.
Mio padre attendeva impaziente con una valigia stretta in una mano.
Prima di uscire di casa mi adagiò sul capo un cappellino da baseball.
Era il suo capellino, il cappellino della sua squadra preferita.
“Se ne sarà accorto che mi ha dato la sua reliquia più preziosa?!.” Mi domandai.
Nonostante il mio dubbio, decisi di non dirgli nulla e di eseguire solo i suoi ordini.
Così, mi recai alla macchina parcheggiata nel vialetto e vi salii.
Papà fece sbattere il cofano in modo così violento da farmi sussultare. Aveva depositato il mio bagaglio.
Partimmo senza guardarci indietro, verso una meta, a me, sconosciuta..
Dopo una mezz’ora di tragitto, dopo aver revisionato, forse per l’ultima volta, tutte le prelibate bellezze di Parigi mi feci forza e domandai ai miei dove ci stessimo recando.
La risposta fu nulla. La prima volta.
La seconda fu come la prima e anche la terza.
Mi iniziai a spazientire, non sopportavo più quei misteri celati in quel silenzio.
«Voglio sapere dove stiamo andando.» Dissi abbandonando la vocina stridula e benevola.
«In un luogo che ti piacerà, Elene. Un luogo che ti piacerà!» Disse mio padre con una calma da far gelare il sangue nelle vene mentre mi guardava dallo specchietto retrovisore con i suoi occhi brillanti e castani.
Scossi la testa inorridita per poi addormentarmi mentre la città si allontanava da me, o meglio, mentre io mi allontanavo dalla città.. Dalla mia città.


Spazio Autrice.

Buonasera, fanciulle! Con una dose - non indifferente - di coraggio
ho pubblicato il primo capitolo di "Enchanted".
Spero vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito abbastanza da proseguire

la lettura con il secondo capitolo che posterò la settimana prossima.
Se vi va lasciate un piccolo segno del vostro passaggio.

                                                                           Umilmente vostra

                                                                            foreverwithyou
   
 
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