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Autore: okioki    17/10/2013    3 recensioni
C’è una donna in ogni caso, c’è una donna dietro ogni intrigo politico, e in questo particolare caso sembra esserci Tatiana Villelmo che seminata zizzania tra i suoi figli e il re deve ora raccoglierne tempesta.
3^ classificata al contest "L'antieroe" indetto sul forum di EFP da Shayd e Athenryl.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Regina dell’Anello
 
Nickname Forum (EFP): Layla Ribes (alias rebeccuori)
Titolo storia: La Regina dell’Anello
Introduzione: C’è una donna in ogni caso, c’è una donna dietro ogni intrigo politico, e in que­sto particolare caso sembra esserci Tatiana Villelmo che seminata zizzania tra i suoi figli e il re deve ora raccoglierne tempesta.  “Madre” aveva detto Fausto ossequioso, baciandole la mano. “Madre, verrò da te con la Corona della Vittoria [...] La più splendida e terribile regina che questo regno abbia mai visto sarai”.
Genere: Fantasy, Introspettivo
Rating: Giallo
Avvertimenti: -
Eventuali note: Le riservo per la fine
 
Il y a une femme dans toutes les affaires;
aussitôt qu'on me fait un rapport, je dis:
Cherchez la femme!
 I Mohicani di Parigi, Alexandre Dumas
 
Si trovava nei sotterranei quando le venne comunicato.
«Fausto ha fallito» le disse dama Arella. L’eco delle sue parole si perse nelle profondità della grotta. «Sono profondamente addolorata, mia regina.» Era umido lì sotto, da qualche parte più in fondo si udiva il rumore dell’acqua che sgocciolava dalle numerose stalattiti.
Tatiana Villelmo era circondata dalla statue totem che s’ergevano lungo le pareti, vertiginose, grottescamente erose dall’acqua: erano gli dei la cui dottrina, un tempo, aveva regnato sovrana ad Aspromonte. Sulle pareti si riflettevano ombre guizzanti, in continuo movimento, tenute vive dalle fiammelle delle torce appese.
In un primo momento Tatiana non capì. «Fausto ha fallito?» domandò sussurrando, mentre si alzava in piedi. Prima che entrasse la vecchia dama stava rivolgendo le sue ovazioni agli antichi dei. «È morto?»
Arella, con mano tremante, le passò un minuscolo foglietto consumato. Tatiana lo prese con circospezione, avvicinandosi alle torce. Diceva: “Il principe è caduto. La maggior parte degli uomini periti. Il re sta marciando verso Castel Aviero”.
Il re sta marciando verso Castel Aviero.
«Fausto è morto? O è tenuto prigioniero?» insistette.
«Non lo sappiamo, mia regina. Non c’è stato comunicato nulla che faccia intendere sia vivo, ha detto  il vecchio maestro, ma potrebbe essere tenuto prigioniero. Gli dei lo vogliano, re Alfeo sia misericordioso» rispose Arella, congiungendo le mani in segno di preghiera.
Sentendo quelle parole la Regina piegò le labbra nel moto striminzito di un sorriso, accadeva molto raramente che Alfeo si mostrasse misericordioso, inoltre gli dei che onoravano si dicevano da molto tempo morti. Avevano scelto il momento più propizio per attaccare, re Alfeo era appena provato dagli scontri con i Falcoroctono eppure qualcosa era andato storto.
“Fausto è morto.” Non riusciva a capacitarsene: la morte di Fausto non rappresentava solo il suo cordoglio come madre, ma la distruzioni di tutti i suoi piani per Aspromonte, l’inesorabile declino delle sue ambizioni.
«Quando è arrivata la missiva?» domandò.  
«Appena è giunta al maestro, egli mi ha mandato a chiamare per recartela» rispose prontamente Arella.
 Si guardarono a lungo, nell’oscurità della grotta.
«Tra quegli uomini» aggiunse Arella in tono piatto «c’era anche uno dei miei figli.»
Tatiana soppesò quelle parole, sembrava esserci una sorta d’accusa, ma il rancore di quella donna era l’ultimo dei suoi problemi: Arella era ormai vecchia e piena di rughe, il minore dei suoi figli, se ben ricordava, doveva avere una trentina d’anni e la sua progenie aveva vissuto appieno la sua prima stagione di vita. Fausto invece giungeva alla sua fine  appena ragazzo.
“E sono stata io a mandarlo a morire”. Qualcosa di molto simile al rammarico colse improvvisamente la Regina e la portò a guardarsi le dita.
Aveva trascurato la sicurezza del suo caro figliolo, e, cosa ancora più grave, aveva compromesso il futuro d’Aspromonte. Avrebbe dovuto usare più cautela, diffidare dei consiglieri ed essere paziente, adesso c’era il pericolo che la sua bella terra rimanesse sotto il crudele giogo filo-dragone di Alfeo.
Con la mano accarezzò il profilo di uno dei totem cercando di capire quali fattezze doveva aver avuto in origine, e lo scoprì pieno di piccole porosità nella roccia,
Alcune statue erano stati falchi antropomorfi, cinghiali deformati  e altri animali ancora, ogni tanto quando era di buon umore faceva scendere Eliseo lì sotto con lei e lo istruiva nel riconoscere l’identità dei totem da piccoli dettagli che potevano essere svelati solamente dal tatto.
“Eliseo…” Tatiana gemette, coprendosi la bocca con la mano mentre sentiva l’angoscia salire e ritirarsi nel suo petto. Cominciava a mancarle l’aria. Si fece violenza per non pensare a lui, la sua fermezza e il suo sangue freddo si sarebbero dissolti in lacrime e singhiozzi.
«Quanti uomini sono rimasti alla guarnigione?» domandò ad Arella.
«Non molti, mia regina. Solo i ragazzi e i vecchi, ben pochi uomini d’armi.»
La Regina chiuse gli occhi, lo sapeva già. Quando avevano progettato le tattiche e le strategie di movimento si era lasciata condizionare dall’apprensione che nutriva nei confronti di Fausto, mandando con lui il forte della guarnigione del castello. Sapere che la maggior parte degli uomini era stata spazzata via dalla crudeltà di Alfeo e che non avrebbe fatto più ritorno era per lei un ulteriore conferma di quanto avesse sbagliato.
Ora non le restava che ingegnarsi per qualcosa.
«Dobbiamo… dobbiamo preparare i più giovani a posizionarsi almeno nelle feritoie; i più esperti e i pochi uomini validi potrebbe stare di guardia ai muri e… La vecchia catapulta! Deve essere ordinato al maestro di rimetterla in sesto. Abbiamo massi in abbondanza: questo vecchio maniero cade a pezzi» Sospirò, ma poi con fermezza chiuse i pugni, rimembrando il volto di suo padre. «Ma nonostante ciò difenderemo l’ultima roccaforte dell’antica Valtahir, c’è ancora una speranza. Occorre che qualcuno faccia un armamentario e prenda dalla vecchia armeria tutto il necessario: frecce, faretre, archi e balestre. Per quanto l’idea mi disgusti manderemo un falco all’Alto savio soliano, è pur sempre un rudere Aviero questo, forse intercederà per noi…»
Si accorse solo allora che Arella non si era mossa, ma la guardava come se fosse impazzita. Di un tratto Tatiana sentì una grande irritazione nel trovarsela davanti, lì sotto, al cospetto degli antichi dei. “In questo momento dovrei discutere con il vecchio maestro o l’armaiolo o il maestro d’armi o l’attendente Gambellino , non con questa vecchia inutile!” Fu quasi tentata di andare lì e scuotere la vecchia decrepita, per farle ricordare il suo dovere e farla obbedire.
«Non mi hai udito, cara Arella?» domandò con pazienza. «Qualcuno dovrà pure iniziare a dare la notizia.»
Non ricevendo risposta si avvicinò un poco, accorgendosi che gli occhi della vecchia erano spenti.
«Dama Arella!» la richiamò quasi spaventata Tatiana.
«Che importa di queste cose, mia regina?» si riscosse Arella, parlando in tono corrosivo. «Sono solo supposizioni. Dobbiamo muoverci per cose più urgenti, rammenta: ora che il principe Fausto è stato sconfitto, il re starà sicuramente marciando verso di noi... dobbiamo preparare il principe Eliseo per una lunga cavalcata, e una volta giunti a Lio spedirlo con il vascello più veloce alle Farrins.»
Era vero, ricordò Tatiana, nonostante fosse stata più che sicura della vittoria contro Alfeo, aveva tenuto in serbo un ulteriore piano nel caso i fatti non si fossero svolti nei modi auspicabili. Ma era stata pensata come una possibilità così remota che ora non si trovava pronta a coglierla. Avrebbe dovuto affidare Eliseo a lei per un breve tratto di mare fino all’isola Farrense, a Città del Porto, dove sarebbe stato accolto in incognito e sotto la protezione del loro Primo Cittadino, nel grande e agiato palazzo di un mercante di stoffe pregiate senza che gli fosse mancato nulla. Una volta grande avrebbe potuto tentare di spodestare Alfeo dal suo trono e assicurare pace e prosperità ad una nuova Aspromonte. Tutto questo Tatiana lo sperava profondamente, aveva perfino stretto un patto commerciale con quel mercante, dal quale si faceva fornire ormai da due anni i mediocri e costosi tessuti farrensi. Fin dall’inizio, anche per la faccenda dei tessuti, questa seconda ipotesi le aveva dato l’impressione di essere così sbagliata: sarebbe dovuto essere Fausto a liberare il regno, era lui il maggiore, era lui il predestinato. Se avesse mandato Eliseo nell’Arcipelago delle isole farrensi avrebbe sbagliato un’altra volta. Non doveva scappare… Falco era principe, era suo erede di diritto per tutte le leggi degli uomini… era l’ultimo erede  maschio. E anche lei aveva il diritto di passare i suoi ultimi giorni di vita con il suo ultimo figlio. Gli erano state negate tante cose nel corso della sua vita, non voleva che gli fosse negata quest’ultima prima della sua morte: una possibilità di salvezza. Improvvisamente si sentì mancare.
«No, sospendete i preparativi, è troppo pericoloso. Alfeo è in viaggio a meno di quattro e cinque giorni da qui, e potrebbe intercettarlo. Eliseo rimarrà con me» mormorò placidamente Tatiana.
La vecchia dama la guardò inorridita.
«Ma…» per un momento alla vecchia dama sembrarono mancare le parole.
Tatiana non si aspettava di essere compresa, ma delle opinioni di dama Arella avrebbe fatto di gran lunga a meno.
«Ma… mia signora! Il principe così andrà incontro ad una morte cer...»
Tatiana reagì d’istinto ancora prima che ne avesse coscienza, in un moto di rabbia tirò ad Arella uno schiaffo così violento che questa cadde a terra. Quando capì ciò che aveva appena fatto era troppo tardi per pentirsene, alzò il capo, guardando sprezzante la donna a terra. «Non osare alzare la voce con me! Che madre sarei se lasciassi mio figlio, il principe Falco, a un surrogato come te? No, Eliseo rimarrà qui e affronteremo il nostro destino insieme.» I suoi occhi lampeggiavano d’ira. «E adesso vattene! Non farti più vedere in questo luogo sacro!» gli ordinò, provocando l’ennesimo eco. Non riusciva a sopportarne oltre la vista di quella donna, in qualche modo le aveva ricordato la contessa Clara.
 Toccandosi la guancia gonfia, dama Arella si alzò silenziosa e s’inchinò lievemente, gli occhi se possibile ancora più vacui di prima, ma al contrario di ogni previsione della Regina, si
 concesse delle ultime parole.
«Clarissa aveva ragione a dirti quel che ti disse. Tu non meriti l'affetto dei tuoi figli! Madre snaturata! Il seno della serpe! Regina...» Ci fu una pausa carica di tensione.
“Non può dirlo” si disse la Regina, “non oserà”.
«… Dell'Anello.» Arella si dileguò prima che la Regina potesse schiaffeggiarla ancora.
Quando fu sola Tatiana si lasciò andare in una risata carica di tensione.
“Affidare Eliseo a lei...” si disse con rabbia mista a disprezzo, la mano al petto rigonfio. “Mai. Sono i miei figli, non li cederò a nessun altro.” Non dopo la contessa Clarissa: non avrebbe sopportato di perdere un altro figlio maschio. Ma non era tempo di immergersi nei tristi ricordi del passato, doveva far in modo che Castel Aviero diventasse inespugnabile almeno per un poco, fino a quando non fosse riuscita a richiedere l’aiuto necessario.
“Oh, dei vi prego, datemi la forza per reagire. Come potrò combattere la rabbia di Alfeo?”
Le statue totem scolpite nell'Isola Sacra la guardavano pietose, dall'alto delle loro colonne. Non risposero: non l'avevano mai fatto. Nemmeno quando, secondo i miti di Terossa, l'antico re dragone e deicida era sbarcato nelle coste di Aspromonte per ucciderli e spodestarli dai loro troni nel Limbo degli Elementi.
 
La stanza da bagno era avvolta nel vapore.
La Regina era immersa nella vasca d’acqua calda e profumata, i capelli corvini appiattiti sulla fronte madida di sudore. Con un lungo sospiro si scostò un ricciolo ribelle, andatosi a formare, dietro l’orecchio. Le sudavano le mani.
Tatiana guardò l’anello posto  al suo anulare. Un  gioiello antico, forgiato con i più bassi metalli, ma nonostante ciò, con il passare dei secoli, non si era mai arrugginito: era questa la particolarità dell’Anello Reale. Stringendo le labbra la Regina lasciò riaffondare le dita nell’acqua.
 Regina. Dell’Anello.
Il vapore esalato dall’acqua che impregnava l’ambiente era simile a nebbia, e le fece ricordare una profezia che aveva sentito una quindicina di anni prima… Ma non era tempo di pensare a quello, ogni sua speranza in quel campo, dopo la disfatta di Falco, era ormai vana. In quei due giorni le cose non erano andate per il meglio. Tutti gli uomini rimasti, compresi i servitori, bastavano a malapena a  coprire un lato delle mura; inoltre erano troppo giovani, inesperti, alcuni non avevano ancora raggiunto la pubertà. Dei falchi che aveva ordinato al vecchio maestro di mandare per tutto il regno nessuno era ritornato indietro, non aveva ricevuto risposta se non da Guido Fioravante dell’Altura, padre della moglie di suo figlio, e nelle sue risposte si era tenuto molto sul vago.  Nemmeno suo fratello Nilvo,  conte di Vetta Antica e signore di Vetta nuova, era corso in suo aiuto. Anzi, non era poco probabile che si fosse unito alla schiera di signore capeggiata da re Alfeo. D’altronde tra di loro non era mai corso buon sangue, anche se aveva sperato che i legami familiari fossero più forti di ogni incomprensione o rancore  passato, ma non era stato così. Nemmeno l’amore e la difesa della fede originaria lo avevano mosso, i principi religiosi che il signore loro padre aveva impartito loro sin dall’infanzia. Ecco come l’Ultimo Baluardo degli re dei veniva tenuto in considerazione…
«Madre!» Il richiamo la distolse da simili pensieri, quella voce entusiasta non poteva se non essere quella di suo figlio. Infatti poco dopo, entrò il giovane Falco a petto nudo, seguito da una bambinaia trafelata. “Non ho un momento di tregua” pensò Tatiana, scrutando i suoi visitatori. Appena la bambinaia si accorse di essere entrata in uno degli alloggi privati della regina mentre questa faceva il bagno, impallidì.
«Oh, mia signora, ti chiedo umilmente perdono. Il principe, lui... non sono propria riuscita a trattenerlo» disse arrossendo, mentre distoglieva lo sguardo dalla vasca. Con una mano teneva  una tunica di lino zerenixiano e con l'altra cercava invano di tenere fermo il piccolo principe e di allontanarlo dagli alloggi termali della regina. 
Nessuno poteva indugiare lo sguardo sulla nudità della regina – tranne il re – era considerato cattivo gusto da quando anche Aspromonte aveva adottato l'etichetta religiosa soliana. Tatiana sorrise divertita dall'intraprendenza del figlio, anche lui non si sarebbe piegato al falso dio dragone. «Lascialo» disse lapidaria all'indirizzo della bambinaia. Sia il principe che la bambinaia si immobilizzarono.
«Eliseo» aggiunse poi Tatiana, creando piccole onde sull'acqua con la mano. «Vieni.»  
 Liberatosi dalla presa molesta il principe giulivo corse avvicinandosi alla vasca, con aspettativa.
“È davvero bello questo mio figlio” si disse la Regina dell'Anello accarezzandolo con lo sguardo.   I soffici capelli castani sul capo terminavano in boccoli incorniciandogli il viso con un allegria appena trattenuta, gli occhi celesti e cristallini donavano al suo volto qualcosa di etereo: anche lui, come Fausto, aveva i tratti tipici dei Falconeri.  Ma la carnagione di Eliseo era candida, delicata come quella di una bambina, le labbra di un rosso intenso invece, come il peccato.
“Ma troppo femmineo” pensò Tatiana, stringendo le labbra.  Anche Fausto, alla sua età, aveva tratti delicati ma crescendo questi erano del tutto spariti dalla sua figura; qualcosa però che le  faceva credere che per Eliseo non sarebbe stato lo stesso. Eppure non gli era rimasto che lui.
Tatiana si alzò, piccoli rivoli d'acqua le scesero dalle spalle seguendo la curva della sua figura, imperlandosi sui seni e la peluria tra le sue gambe.
La bambinaia emise un vero sbigottito, costringendo la regina a rivolgersele ancora. «Tu, aspetta fuori» ordinò, mentre usciva con le gambe dall'acqua. Eliseo la guardava estasiato, come se fosse la reincarnazione femminile di una qualche dea antica.
 Tatiana si chinò a lasciare un bacio sulla guancia liscia di suo figlio, accarezzandogli lievemente il capo.
Eliseo irrigidito, le rifilò un'occhiata irritata, cercando di allontanare quelle mani dai suoi capelli.
«Madre, avevi promesso che andavamo a cavalcare insieme, devi vedere come è diventato docile Tahir.» La pelle del suo petto era immacolata, senza alcuna imperfezione e punto nero, i piccoli capezzoli rosa turgidi per il calore.
La regina lo guardò confusa, domandandosi cosa centrassero gli dei, per poi ricordarsi che Tahir era il falco aspromontese regalatogli da Fausto, il fratello maggiore, prima di partire. “È già riuscito ad ammansirlo”. «“Che saremmo andati a cavalcare insieme”» lo corresse, meditabonda. «Adesso non ho tempo, caro, tua madre ha affari urgenti da sbrigare.» Non aveva alcuna voglia di sporcarsi di polvere e terra dopo quel bagno profumato.
Il principe la guardò cupo, poteva possedere l'aspetto di una dolce bambina, ma aveva tutta la caparbietà dei suoi sette anni. «Avevi detto che saremmo andati oggi» ribatté.
La Regina si lasciò andare in un sospiro prolungato. “Pretende. Da me”. «Non ne dubito mio caro, mio dilettissimo figlio» lo adulò un poco, sperando che servisse a farlo demordere. «Ma per chi credi che sia così occupata? Tua madre non passa il tempo a contare i fior di bosco: deve pensare a te e al tuo futuro, a proteggerti da quel cattivone di tuo padre.»
Il piccolo principe abbassò gli occhi, d'un tratto dispiaciuto, un lieve senso di colpa aveva fatto leva sulla sua testardaggine. «Scusami, madre mia» disse, rammaricato.
Tatiana si sentì stringere il cuore dal tono che Eliseo aveva usato, ma aveva fatto quello che doveva fare. Il principe aveva già cominciato a tirare di spada, ed era stato molto abile ad ammaestrare tutti i suoi falchi in poco tempo, e lei non dubitava che avesse fatto un eccellente lavoro anche con Tahir; tutto ciò che Eliseo voleva era stare insieme a lei per un mero capriccio.
Prendendo la vestaglia di flanella posata sul bordo della vasca, Tatiana chiuse gli occhi mentre si rivestiva. «Bene, adesso vai figlio mio.» L'avrebbe rivisto quella sera, a cena, e forse quella notte gli avrebbe permesso di dormire insieme a lei nel suo letto, per una volta.    
«Ordinerò a Clelia di venire con noi a caccia» la informò il bimbo.
Tatiana si riscosse dai suoi pensieri. “Clelia... deve essere quella bambinaia, sta qui da nemmeno tanto tempo e si ricorda il suo nome?”. Veloce, con la mano ancora bagnata acchiappò il braccio liscio di suo figlio. “Dovrò cambiarla di nuovo, fra poco”. «Aspetta...» La sua voce si fece vellutata, lo sguardo morbido. «Non c'è alcun bisogno Eliseo, lo farò io con te. Potresti aspettare solo un altro paio di ore? Darò istruzione al mastro dei cavalli di posticipare il tutto. Non importa cosa abbia da fare dopo, per mio  figlio posso lasciar perdere» disse.
Eliseo si bloccò e fece un giro su se stesso, fermandosi perfettamente davanti a lei. «Lo faresti?» domandò cercando di fingere scetticismo, gli occhi azzurri spalancati, la felicità che sprizzava dalla sua espressione. Felicità mista a stupore.
“Come se qualche momento prima non l'avesse quasi preteso”.
Fu troppo per Tatiana, l'entusiasmo di suo figlio le fece ricordare che fra meno di cinque giorni avrebbero potuti tutti fare la fine di Fausto. Sentì gli occhi inumidirsi un poco mentre rispondeva: «Sì, mio unico tesoro. Farei di tutto per te, il primo fra tutti i principi della Valtahir per sangue reale.» Gli prese il mento tra le mani, posandogli un lieve bacio sulle labbra. «Ora va’, verrò da te dopo.» Le guance di Eliseo si colorarono di un rossore, e borbotto qualche parola prima d’incamminarsi.
Tatiana fu sinceramente grata agli dei che non gli avesse chiesto di suo fratello Fausto, ma tra di loro non c’era molto cameratismo, ambedue gelosi delle attenzioni che lei riservava a l'uno o all'altro.     
Mentre Eliseo si allontanava le parve di vederlo avvolto nella nebbia, in un altro posto, in un altro tempo. Le apparve, in una fugace visione, un giovane di spalle, nel sacro Regno delle Foreste, tra i maestosi alberi secolari e i fiumi degli dei, che intraprendeva il viaggio che avrebbe riportato in vita i potenti spiriti-dei prima della venuta del dragone deicida. Fu questione di un battito di ciglia e tutto scomparve. Che fosse Eliseo colui che avrebbe realizzato la visione? Impossibile, si disse scuotendo la testa, il vapore che impregnava l'aria la stava facendo delirare.
Era Fausto il predestinato, era Fausto quello su cui aveva riposto tutte le sue speranze: ma Fausto era morto, o lo sarebbe stato da lì a poco. Tutte le sue speranze erano diventate cenere.
L'uomo ombra gliel'aveva detto, tanto tempo prima, che quella sua visione ricorrente poteva trattare eventi successi secoli, o addirittura eoni prima, oppure potevano far parte di un futuro remoto, o potevano addirittura non significare niente. Ma lei l'aveva visto, l'uomo coperto perennemente dalla nebbia, ed era sicura che sarebbe stato Fausto, perché la prima volta aveva avuto quella visione lo aveva dentro di lei...
Era stanca, se fossero sopravvissuti avrebbe dovuto provvedere a trovare a Eliseo una nuova bambinaia, quella Clelia non andava più bene. Sperò che Eliseo non le si fosse affezionato troppo, l'ultima volta che aveva mandato via una bambinaia a cui era particolarmente affezionato il principino aveva tenuto il muso per un intera giornata. Era stato due anni prima, nel periodo in cui era morto Paride. “Non voleva più stare con te” gli aveva mentito la regina, quando suo figlio aveva cominciato a fare i capricci, tediandola. Davanti a lei non aveva pianto, ma era sicura – tanto che sentiva il cuore come trafitto da tanti aghi appunti – che nella solitudine delle sue stanze l'aveva fatto. Da allora il principino non si era mai troppo affezionato alle bambinaie che aveva dato ordine gli venissero affibbiate, anche perché le sostituiva dopo breve tempo. Le si spezzava il cuore a sapere che Eliseo aveva sofferto per ognuna di quelle donne, ma non aveva altri mezzi; con Fausto era stato tutto più facile, da bambino era stato sempre messo da parte, tutti erano troppo impegnati a occuparsi del primogenito di un anno appena più grande di lui e non aveva avuto altri a cui aggrapparsi che lei. Eliseo invece cresceva in un castello da ballata, circondato da dame e da maestri d'armi, cavalieri, servitori, ognuno dei quali gli prestava sempre l'attenzione da lui pretesa. Era giusto così quindi, doveva imparare a non fidarsi di nessuna donna, doveva capire fin da piccolo che prima o poi l'avrebbero abbandonato e tradito, doveva imparare a non far affidamento su nessuna... tranne lei. 
 
Arrivarono quattro giorni dopo, prima dell’alba. Tatiana  fu svegliata da una delle sue damigelle, quando il cielo era ancora tendente al violaceo e una miriade di stelle costellava il paesaggio. Nonostante il ridotto numero di uomini aveva fatto bene a mandarne alcuni in ricognizione, per scoprire come e quando il re, con il suo grande esercito di fanti e cavalieri sarebbe giunto. Così quando arrivarono si trovava già pronta ad accoglierli dalle mura.
La mura di Castel Aviero erano molte alte, più di molti castelli in tutta Aspromonte sebbene non fossero conservate nelle migliori condizioni, durante gli anni in cui Tatiana vi aveva soggiornato aveva provveduto a rinforzarle con bastioni e a procurarsi tra i più disperati marchingegni bellici. Ma il grosso dell’armamento lo aveva affidato a Fausto e ora tutti quei marchingegni erano andati sicuramente distrutti, o divenuti del nemico dopo la sconfitta del suo secondo figlio. Dall’alto delle mura Tatiana valutò la situazione. L’esercito di re Alfeo era di gran lunga superiore al suo, sebbene non numeroso come si sarebbe aspettata: i soldati a cavallo non potevano essere più di centocinquanta, più altri duecento a piedi, e dietro le macchine d‘assalto. Il forte delle truppe il re doveva averlo lasciato all’accampamento, ma anche così, i duecentocinquanta uomini, bastavano a sferragliare i suoi.
Un uomo a cavallo, proprio in quel momento, stava percorrendo l’intero perimetro che divideva le mura di Castel Aviero dall’esercito del re, garrendo una bandiera bianca al vento. Nemmeno acuendo la vista Tatiana riusciva a distinguere il re dalla massa compatta dei cavalieri, sebbene riuscisse a immaginarsi il ghigno che doveva aver assunto. Doveva apparire molto ridicola lei, a presidiare il lato centrale di un castello mal difeso con pochi uomini, accanto ad un vecchio maestro e un attendente dal passato bisbigliato. Quella mattina nel prepararsi aveva cercato di risultare almeno nell’aspetto il più regale e splendida possibile, ora i suoi capelli neri erano puliti e rilucenti e aveva indosso uno splendido abito di forgia farrense bianco con striature azzurrognole, i colori della regina.   
«Vogliono parlare» le disse il vecchio maestro accanto a lei.
“Ma davvero?”
Sia dal viso del vecchio, sia da quello dell’attendente traspariva un certo sollievo per il fatto che l’esercito reale non avesse voluto darsi subito alle armi - cosa su cui lei invece aveva insistito pesantemente - e questo non faceva altro che irritare Tatiana. Se fosse stato per loro, ne era sicura, si sarebbero immediatamente arresi, ma Alfeo non conosceva compassione.
 Solo una volta, con lei e i suoi figli, l’aveva mostrata, ed era stato un evento così inaspettato in tutto il regno che molti bardi ne aveva addirittura scritto una canzone. Sapeva che molti la considerassero più che stupida: aveva già sfidato il re ed era stata graziata, sfidarlo nuovamente equivaleva ai loro occhi pazzia.
Tatiana si sforzò di sorridere. «Scendiamo, allora» disse. In realtà aveva cercato di evitare proprio una situazione del genere.
Poche cose le avrebbero fatto meno piacere nella vita che rivedere di nuovo il volto di Alfeo Falconeri; sebbene  fosse uno degli uomini più belli che avesse mai visto, e nonostante fosse sicura che l’età non gli avesse apportato grandi cambiamenti, sentiva un gran disprezzo per lui. Avvolte, quando era più giovane, si era ritrovata a pensare a come un volto così bello potesse racchiudere un animo così vile. La maggior parte delle disgrazie accadute a lei e ai suoi figli e ad Aspromonte era stata per colpa di quell’uomo. La sera prima, percependo già da allora il gran pericolo, aveva messo lei stessa a letto Eliseo, e incapace di trattenersi mentre gli sistemava le coperte era scoppiata a piangere, turbando non poco il piccolo principe. “Madre, madre” gli aveva chiesto Falco con voce spaventata, “perché piangi? Cosa ti hanno fatto? Cosa ti hanno fatto?”. Non si era dato pace finché lei non gli aveva assicurato che non era niente, ma anche allora i suoi occhi azzurri erano rimasti scossi. Non era niente infatti, era qualcuno. Qualcuno che l’aveva relegata nei territori più isolati del regno, le aveva strappato il suo primo figlio, ucciso il secondo e minacciava di fare la stessa cosa con il terzo.
Scortata dall’attendente e da un paio di vecchi veterani discese in fretta la scalinata delle torri di difesa, senza proferire parola con i ragazzi spauriti appostati alle feritoie e alle mura. Avrebbe voluto dire loro qualcosa  ma non le sovvenne in mente niente, quindi passò avanti. Quei ragazzi dovevano avere più o meno l’età di Fausto, ma nei loro occhi non aveva scorto la fierezza e il coraggio di suo figlio, qualità che comunque l’avevano condotto a una misera fine. “Tutta per colpa mia” si disse Tatiana, e istintivamente si guardò il grosso anello che portava all’anulare. L’Anello Reale. Si era costretta perfino a rinunciare un poco alla sua influenza su di lui, cedendolo in matrimonio alle attenzione di una scialba ragazzina Fioravante, unione che peraltro era servita a ben poco. Se fosse potuta tornare indietro, ancora prima di salvare Fausto da una morte certa, avrebbe evitato di darlo in sposa a Giuditta.
Quando si trovò insieme ai suoi uomini nel cortile interno fecero sellare i cavalli, e una volta pronti uscirono a cavallo dalle porte di Castel Aviero fermandosi a metà strada tra le mura del castello e lo schieramento del re. In poco tempo videro farsi avanti altrettanti cavalieri di ugual numero al loro, in groppa a massicci cavalli, e fra questi Tatiana riuscì finalmente a scorgere il re.
Era in groppa ad un cavallo dal pelo fulvo, con addosso una pesante armatura laccata di bianco e con striature blu, portava sul capo un elmo che aveva le fattezze e il becco della testa di un falco, non poteva essere che lui. Degli altri uomini in armatura a Tatiana sembrò di riconoscerne qualcuno - per lo più per gli stemmi - mentre gli altri proprio non gli sovvenivano in mente. Ultimo di tutti questi portava lo stendardo con lo stemma reale: un falco che con gli artigli aperti brandiva due spade chi s’incrociavano, su di uno sfondo color cielo.
Quando si fermarono un poco distanti da loro, Tatiana si sentì mancare, e dovette farsi forza per reggersi sulla montatura del cavallo. Da lì  aveva l’impressione di intravedere lo sguardo freddo e celeste di Alfeo posato su di lei.
Il primo a parlare fu un cavaliere dalla lucente armatura nera, che aveva disegnato sullo scudo due piume bianche che si soprapponevano: era un Gilberti, sebbene Tatiana non avesse chiaro quale.
«Sei Tatiana Villelmo?» domandò in tono austero.
Tatiana chinò un poco il capo, sorridendo. «Ho questo onore.»
Cavalier Gilberti non sembrò cogliere la sua vena di sarcasmo. «Sono Aicardo Gilberti, signore di Covo degli Angeli e duca di Ceeta, comandante in secondo dell’esercito reale. Tatiana Villelmo, sei accusata di alto tradimento ai danni alla corona e di tentato assassinio della mia maestà. Ognuno tua proprietà è ora sequestrata e appartiene a sua maestà il sire» continuò burbero. «Siamo qui per comandarti di arrenderti e inginocchiarti davanti al tuo re, di non opporre alcuna futile resistenza. Ti condurremo a Ternova dove sua maestà ti condannerà a morte insieme a tutta la tua perversa genia. Così che tu possa essere d’esempio a tutti.»
«Già un tempo fui condotta davanti al giudizio reale, e come tutti sapete sua maestà si mostrò misericordioso. Fu un lungo viaggio, lo ricordo bene, e nonostante continui a conservare la bellezza di un tempo, duca Gilberti, ormai il mio corpo è ben lungi dal vigore giovanile. Non vorrei sottopormi a un altro lungo viaggio per poi scoprire di essere stata di nuovo… graziata» rispose Tatiana, inclinando la testa.
I suoi uomini, alle sue spalle, si lasciarono andare a qualche risata.
Aicardo Gilberti fece un gesto furioso con la mano, ma prima che potesse di nuovo proferire parola anche il re si fece avanti, ridendo sonoramente.
Ad ogni suo riso la Regina sentì il cuore perdere un battito.
«Dici bene Tatiana Villelmo. Nonostante la tua bellezza rimanga immutata negli anni, splendida fra tutte le dame, il tempo comincia per te a regredire e le tue ossa si fanno stanche. Dimmi: è per questo che hai mandato avanti un ragazzo per proteggerti? Un ragazzino nemmeno abbastanza maturo da saper impugnare una spada?» La sua voce, resa ferrosa attraverso l’elmo, suonava divertita.
Tatiana strinse le redini del cavallo, sforzandosi di mostrarsi in un sorriso accattivante.  «È mio figlio e vale più di tutto il tuo misto sangue dragone» disse lentamente, in tono sfegnoso. «I nostri termini sono conclusi. Ci siamo detti tutto ciò che avevano da dire. Alle armi!» Fece per andarsene, ma mentre stava per girare il cavallo si accorse che i suoi stessi uomini non si erano mossi, a salvarla tempestivamente fu di nuovo l’intervento vocale del re.
 «Attenta Tatiana Villelmo! Hai udito il rombo della tempesta che ha portato la tua azione scellerata! Inginocchiati e chiedi perdono al re per le tue colpe, o altri pagheranno per te! E questo vecchio rudere Aviero, Baluardo dell’antica religione, che ti è tanto caro, raderà al solo con tutti gli uomini che vi sono dentro, tuo figlio compreso!» disse.
Spalancando gli occhi Tatiana non riuscì a trattenere la sorpresa: Alfeo si stava di nuovo mostrando misericordioso, con lei. Non avrebbe mai creduto che l’avrebbe fatto, e a seconda delle reazioni degli stessi accompagnatori del re, nemmeno loro lo credevano possibile.
“Arrendermi a te, mai!” pensò Tatiana, presa da un improvviso senso di euforia per la piega che aveva preso la situazione. «No! Tre volte no!» disse, sottolineando il suo rifiuto con la massima formula di negazione. Aprì le braccia e rise alzando il capo al cielo. «Fu un re dragone ad uccidere gli antichi dei, re Alfeo. E nelle tue vene non ne rimane che un rimasuglio di quella stirpe. Cerca di radere questo vecchio rudere se puoi, ma ricorda la radice del tuo stesso sangue! Non è facile uccidere un dio» sputò con disprezzo.
Eppure mentre stava dicendo quelle parole sapeva che c’era qualcosa che stava andando irrimediabilmente storto: i suoi uomini non l’avrebbero seguita in quell’impresa che lei stessa sapeva suicida, ma arrendersi ad Alfeo… non poteva, nei percorsi del suo cuore la bestia dell’orgoglio si aggirava libera e ruggiva.
«Pensate a vostro figlio, il Falco» accanto a sé la voce flemmatica dell’attendente la portò a riflettere. Doveva aver capito ciò che le passava per la testa.
Era vero, si rese allora conto Tatiana e questo bastò a smorzare la sua decisione. Non aveva fatto altro che pensare a se stessa, sia quando aveva mandato Fausto allo sbaraglio, sia quando aveva deciso di tenere Eliseo con lei. Poteva considerarsi davvero una buona madre? Guardò per un ulteriore volta l’Anello Reale, e i suoi pensieri era già focalizzati oltre i suoi figli.
«Va bene» demorse infine. In realtà, si rese conto, non l’aveva fatto per Eliseo.
«Va bene, mi arrendo» sussurro ancora Tatiana, digrignando i denti. Poi si rivolse al suo re: «Re Alfeo, una sola richiesta: un'udienza privata» disse freddamente.
«Un'udienza privata?» Il ghigno del re era compiaciuto. Trottò con il cavallo un poco avanti. «Ora? Mia signora?»
«Sì, mio re» Tatiana cercò di mostrarsi nel sorriso più accattivante che potesse fare, sebbene ogni sua parola fosse piena di odio.  
Gilberti s’intromise nuovamente. «Maestà, invito a ricon….»    
«Tacete Gilberti. Tacete» sibilò Tatiana in sua direzione. «Siete miei ospiti questa sera e non ci saranno ulteriori discussioni.» Lo folgorò con una saettata verde, e poi si volse indietro, verso i battenti di Castel Aviero, senza che nessuno ostacolasse più il suo destriero.
 
 
Riuscì a ottenere ricevere il re soltanto a tarda notte. Purtroppo Alfeo si era portato dietro numerosi nobili, molti di cui Tatiana non ricordava il nome, e ognuno di questi aveva avuto la pretesa di essere presentato e di avere una qualche importanza.
“L’etichetta soliana è qualcosa di enormemente stupido, suntuoso e fastidioso, rispecchia appieno quei lussuriosi dei savi” penso Tatiana buttandosi nel suo grande letto a baldacchino. La stanza che aveva scelto per il loro incontro notturno era una delle più belle degli appartamenti a lei adibiti. Era pieno di mobili e reliquie antiche, il pavimento era un mosaico intricato dai mille colori, che raffigurava il Regno del Cielo, Taamirel, con una particolarità minuziosa, posate sui portacandela dorati le candele illuminavano l’ambiente con una luce calda e soffusa, donando una lucentezza arcaica ai mobili della stanza. Sulle pareti erano stati appesi vari ornamenti di ferro grezzo che nella loro forma ricordavano il segno della pace.
Tatiana stava rimuginando, sdraiata sul letto. Cosa avesse mai fatto per essere perdonata da Alfeo, non l’ho aveva capito. Non che volesse il suo perdono, ma quella misericordia la inquietava ben poco. Per quell’incontro aveva scelto di cambiarsi d’abito, indossando una leggere vestaglia di seta che le lasciava scoperte le gambe e un poco i seni, nell’ovvio tentativo di stuzzicare Alfeo. Si era anche fatta portare una caraffa di vino speziato, perché lo gustassero assieme. Poco tempo dopo una sua dama le disse che il re era fuori dai suoi alloggi.
«Fallo entrare» ordinò la Regina, mentre si preparava mentalmente a vederlo nuovamente. Quando Alfeo fu entrato  Tatiana lasciò scorrere lo sguardo sui suoi tratti: ogni volta che lo vedeva si sentiva in inquieta, odiare il volto di una persona così simile ai suoi figli. Sia Fausto che Eliseo aveva ripreso appieno da lui: di lui avevano gli stessi occhi celesti, la capigliatura castana e liscia e le labbra rossicce. Alfeo portava i capelli lunghi fino al collo, dove terminavano in boccoli castani, la mandibola era ricoperta da una barbetta ispida e brizzolata, mentre le labbra erano rosse come il sangue. Si era nuovamente cambiato abito, tunica e brache era azzurre con filamenti dorati, le cui rifiniture ricordavano un falco.
Guardandolo Tatiana realizzò, non doveva aver fatto niente di grande: tutte le volte che l'aveva perdonata Alfeo, lei non aveva fatto niente.
«Non sei cambiata. Sei sempre disinvolta e puttana» le disse il re, passando lo sguardo dai suoi seni alle sue gambe nude.
Tatiana coprì un poco le gambe con la coltre di velluto. «Ti danni, per ciò che non puoi avere» costatò, un sorriso ferino sulle belle labbra. Prese la caraffa di vino aspromontese da terra, porgendogliela. «Vino?» domandò.   Il re annuì versandosi una grande quantità di vino, dopodiché bevve d’un fiato e si sedette su di una sedia lì vicino.
Trasse un lungo respiro e disse: «Tuo figlio è morto.»
Tatiana si sentì cadere sui cuscini, e si portò la mano al cuore guardando il re, allibita.  Non proferì parola, non disse niente, sebbene si sentisse sommergere dal senso di colpa. “Davvero sei arrivato a tanto Alfeo? Sei stato davvero capace di uccidere il tuo stesso sangue?”
Le labbra sottili di Alfeo si aprirono in un ennesimo sorriso, accentuato da una piega amara, mentre riempiva nuovamente la coppa con altro vino.
 Tatiana in un primo momento non capì, non aveva mai creduto che Alfeo provasse affetto per suo figlio, ma forse avrebbe dovuto rivedersi.
“Eppure l’hai ucciso con le tue stesse mani…” Un gemito le sfuggì dalla bocca.
«Tuo figlio Paride è morto ormai da due anni» le fece notare in seguito.
Tatiana gli lanciò un’occhiataccia, aveva pensato in un primo momento che si parlasse di Fausto. Il  re si stava facendo gioco di lei.
Si rizzò di colpo, arcuando la schiena e bevendo un sorso di vino, e si ricompose mostrando un’espressione senza emozione.
«Lo so. Di cosa è morto precisamente?» domandò, guardando il re di sottecchi.
Paride, al contrario di Fausto, aveva esercitato sul re una qualche influenza emotiva, lo si poteva intendere dall’espressione cupa che il sovrano aveva assunto, sostituita a quella sbeffeggiante di prima.
«Febbri invernali.»
Tatiana annuì gravemente. «Avevo sentito, ma non credevo fosse morto per una simile sciocchezza...»  Per un attimo le passò per la mente l’immagine di un giovanotto smilzo, dai mossi capelli neri come la pece e gli occhi di un colore verde smeraldo. Prima di raggiungere quasi la pubertà Paride era stato abbastanza in salute, sebbene avesse sempre avuto la carnagione pallida e l’aspetto malaticcio.
«Ne parli come se non ti toccasse minimamente. Anche Paride era tuo figlio, non rammenti?» le chiese il re, severo.
“Non più” pensò la Regina, ma non lo disse. L'aveva perso tempo prima, quando l'aveva lasciato alle attenzioni di una delle sue dame di corte troppo trafelata per dedicargli tutto tempo che meritava, la contessa Clara, che con i suoi fazzoletti ricamati aveva succhiato come una zanzara tutto l'affetto che Paride avrebbe dovuto riservare a sua madre. “Non mi obbediva mai quel figlio, era sempre 'La contessa Clara ha detto, il re crede'; era lei l'unica donna a cui dava ascolto”. C'era stato un tempo, Tatiana non voleva ricordarlo, in cui aveva amato Paride più di Fausto: era stato l'unico tra i suoi figli maschi ad aver ripreso il suo aspetto.
«Figlio della contessa Clarissa più che mio» rispose, chiudendo gli occhi di un tratto umidi.
Non voleva mostrarsi turbata davanti ad Alfeo e non voleva che quella donna fosse oggetto della loro conversazione.
«Clarissa gode di ampia fama nella corte dragone, pare sia diventata la dama d’onore della regina Desdemona» la informò il re, mostrandosi in un sorriso da belva che imbruttiva un poco le fattezze del suo viso. Bevve ancora una volta tutto d’un fiato e mentre faceva ciò il suo sguardo di fermò per lungo tempo sui seni accentuati della regina.
«Non sapevo» disse Tatiana, per nulla compiaciuta. “Quella ruffiana dall’animo serpentino e dal grembo sterile, ha trovato qualcun altro a cui rubare l’affetto dei figli…”
«Sapresti invece, se due anni prima fossi stata ancora a corte, invece di ordire piani contro di me in questo vecchio rudere degli Aviero... A proposito, le tue figlie ti mandano i più sentiti saluti. Mi hanno pregato di essere misericordioso, con te
La regina si alzò in piedi, di scatto: era sorpresa, non se lo aspettava, forse anche nella corte del re poteva contare su qualche alleato.
«Gaine, Liviana e Alia...» mormorò quei nomi per lei ormai quasi sconosciuti. Era vero: aveva anche delle figlie femmine, ma a loro, stranamente, non pensava mai.
Alfeo alzò la coppa ormai vuota, omaggiandola questa volta con un gran sorriso che gli assottigliò ai lati gli occhi. Quando parlò il suo tono era pieno del sarcasmo che le riservava sempre. «Vedo che ti ricordi perfino i loro nomi, ammirevole. Peccato che spetti a me il difficile compito di maritarle, Liviana ti assomiglia un poco nel carattere ma almeno lei avrà la soddisfazione di essere chiamata regina, non Regina dell'Anello. Vuoi sapere di loro?»
Tatiana impallidì, fu come se le avesse gettato una secchiata di acqua gelida in faccia.    
«Che ne è di Fausto? L’hai ucciso?» domandò la Regina riservandogli uno sguardo freddo, era lì la radice di tutto il suo odio: nel volto di quell'uomo, così simile a quelli dei suoi figli.   
Alfeo scrollò le spalle. «È pur sempre mio figlio, uno sciocco figlio, che si lascia manipolare da una donna dall'anima serpentina.»
«L’hai ucciso, quindi?» lo aggredì Tatiana, il tono aveva subito un’incrinatura isterica.
Alfeo questa volta prendendo la caraffa bevve direttamente da lì.
«L'ho mandato in esilio.»   
«Esilio.»  Anche Tatiana bevve, si sciacquò la bocca col vino, prima di mandarlo giù insieme a una gran parte di rimorso. «Peggio della morte. È vissuto in questa bella terra per tutta la sua vita e tu lo mandi in esilio, addirittura lontano dalla penisola, nelle tetre Farrins o in quel deserto polveroso dell'impero tyaisiano, dopo averlo tormentato con l'idea della morte? È tuo figlio, vero, ma ti sei dimostrato ancora più crudele di quanto lo saresti stato uccidendolo, Alfeo... l'Atroce.»  Sputò quelle parole con il più sentito disprezzo. Sperò in vano di ferirlo, che le sue parola per una volta lo turbassero quanto a lei turbavano le sue, questo però non accadeva mai. Nemmeno dai primi giorni del loro incontro.   
«Credo, che ancor più dell'idea della morte, lo tormentava il pensiero di averti deluso» replicò il re, divertito probabilmente dal nomignolo che gli aveva affibbiato. «Quale punizione migliore se non quella dell'esilio? O forse preferivi che te lo rimandassi intero, senza torcergli un capello, per punirlo da te stessa. Non avevo interesse di Fausto, è vero, né di Eliseo: avrei voluto mettere sul trono Dante Aldisio facendolo sposare con Liviana, i legami di sangue tornano dopotutto. Ma non avrei mai dovuto lasciarteli anche se erano ormai creature più tue che mie, è incredibile il terrore che incuti ai nostri figli, Tatiana... Regina dell'Anello.»  
Tatiana si morse il labbro, ricordandosi le ultime parole che le aveva rivolto suo figlio.
“Madre” aveva detto Fausto ossequioso, baciandole la mano. “Madre, verrò da te con la Corona della Vittoria, non ti chiameranno più Regina dell'Anello, ma regina. La più splendida e terribile regina che questo regno abbia mai visto sarai”. E lei ci aveva creduto in quel momento, aveva visto il futuro roseo che suo figlio le stava costruendo, aveva pregato che Fausto non cambiasse mai, che amasse solo lei in tutta la sua vita, che non s'innamorasse mai della scialba Giuditta che gli aveva dato in moglie; non gli era mai sfiorato il pensiero che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta che vedeva suo figlio. Tutta per la nomina.
Guardò il grosso anello dalla forma irregolare e dal colore ramato, fatto con i più bassi metalli, posto al suo indice: la Regina dell'Anello. C’era una storia vecchia almeno di qualche secolo che raccontava come l’Anello reale dei Falconeri fosse diventato un cimelio della famiglia Villelmo: una bella regina Villelmo aveva tediato il re d’Aspromonte fino a essere ripudiata, e mentre tornava nei suoi terreni si era portata dietro l’Anello Reale, l’anello di cui poteva avvalersi solo la regina, da lì il nomignolo Regina dell’Anello. Era stato un cimelio costudito con cura per generazioni nella sua famiglia e dopo più di trecento secoli, finalmente lei, Tatiana Villelmo, aveva potuto riportare l’Anello alla casata Falconeri, come legittima sposa di Alfeo; ma tutto questo era durato poco, dopo non più di dodici anni era stata ripudiata. Il suo sogno, la più grande ambizione a cui può aspirare una donna, le era stata rifiutata; odiava sentirsi chiamata Regina dell’Anello.
«Fausto avrebbe fatto di me la regina» rispose Tatiana, arcigna. Avrebbe voluto mantenersi su un tono divertito come quello del sovrano, ma quella nomina la faceva vedere rosso.
Sardonico, Alfeo Falconeri continuò implacabile. «Ti danni, per ciò che non puoi avere.  Tu eri regina, regina sia dell'Anello che della Corona della Vittoria ma hai osato sfidarmi. Non ricordi quando aizzasti il conte Delio, marito della tua carissima contessa Clara, contro di me?» Il re si alzò, barcollando per poi cadere ai piedi del letto posando la testa in grembo alle gambe di Tatiana, la sua barba rada le pungeva le gambe e il fiato caldo faceva accapponare la sua pelle nuda. Doveva aver cavalcato per molte leghe Alfeo e doveva essere molto stanco.
Tatiana si chiese perché non avesse avvelenato il vino anche se sapeva benissimo che con Fausto fuori dalla penisola e con Aldisio e Liviana a Ternova sarebbe stato inutile, anzi no, sarebbe stato come regalare il regno a loro. Lentamente Alfeo lasciò andare la coppa ormai vuota a terra, con un tonfo sordo, cominciando a baciare le gambe della regina. Tatiana lo lasciò fare, degustando a piccoli sorsi il vino aspromontano rimasto a fondo della propria coppa.
“Non ero la regina che volevo essere. Se Fausto ti avesse ucciso invece sarei stata la regina assoluta di tutta Aspromonte, avrei ripristinato gli antichi dei della mia famiglia, lavando l'onta del sangue dragone dai miei figli”.
Si ricordava benissimo di Delio Guarino, era stata per colpa della sua inadeguatezza che era cominciato il suo inesorabile declino, anche se grazie alla sua stupidità, sua moglie adesso giaceva in esilio nelle lande ghiacciate di Terossa. Ripensandoci, avrebbe preferito che anche a suo tempo Clarissa fosse stata mandata in esilio al di fuori della penisola.
Con un sospiro di piacere misto a esasperazione calciò con i piedi, nel tentativo di sottrarsi ai baci molesti di Alfeo che erano saliti alle cosce.
L'uomo con cui era stata unita in matrimonio ridacchiò, alzando il capo e guardandola dritta negli occhi. «Sei meravigliosamente bella Tatiana Villelmo, nonostante siano passati gli anni e tu abbia avuto sei miei figli... talmente bella che potrei perdonarti tutto.»
Tatiana socchiuse le labbra senza però ricordarsi quello che voleva dire difronte ai magnetici occhi azzurri di sua maestà; era come se quell'uomo, il re, Alfeo Falconeri, avesse appena ammesso di amarla.
Forse l'amava, a suo modo, ma non era  quello l'amore di cui aveva bisogno. Non  aveva fatto altro che contraddirla, sbeffeggiarla, ignorarla e non prestare la minima attenzione ai suoi consigli nella loro breve stagione d'amore, dicendole a chiare lettere di non metter bocca nella politica di Aspromonte; questo aveva posto fine ad ogni affetto che avrebbe potuto provare per lui. Era l'amore dei suoi figli l'unico che le serviva, più la certezza che non avrebbero amato altra donna al di fuori di lei. Che sarebbero morti per lei, che sarebbero morti con lei. Era stata quell'unica certezza a darle la forza per ordire la rivolta.
Lentamente Alfeo si issò sopra di lei, i loro visi si fecero più vicini. Con una mano il re le cinse la vita, stropicciandole la veste, mentre con un dito dell'altra premeva il contorno delle labbra di lei.
Tatiana sentiva l'intenso odore di vino nel respiro del re, e la durezza dei calli della dita sul suo labbro.                 
Si chiese come riuscisse a sopportare il corpo di quell’uomo sopra di lei, lui che le aveva causato tanti dispiaceri. Lasciò che le scostasse la veste lascivia, mentre continuava a tastarle il corpo. Alfeo era un bell’uomo, quando erano giovani non vi era uomo più bello in tutta Aspromonte, ma come il suo corpo riuscisse a provare ancora qualche brivido a suo contatto non riusciva a capirlo. La sua mente, in contrapposizione con i desideri della carne, era nauseata dall’uomo  che le aveva portato via i suoi due figli, Fausto e Paride. Ora non le rimaneva che l’ultimo, il figlio effemminato e cocciuto: Eliseo. Eliseo che…
Poi capì.
Tatiana sentì gli occhi illuminarsi di una nuova speranza. Era senz'altro lui, Eliseo, il bambino della  visione. Colui che avrebbe vinto le fitte nebbie del Regno della Foresta, riportando nel mondo non cosciente gli antichi dei, ripristinandoli. La vista fu colpita ancora da nuovi dettagli che le si affacciavano: l'uomo alla spalle, pronto a  intraprendere il cammino tortuoso non aveva corona, ma un falco sulla spalla. Era Eliseo, il Falco, il suo splendido bambino, il più diletto tra i suoi figli. Prima avrebbe ripristinato gli antichi dei, cacciando da Aspromonte i falsi idoli: il dio-che-è-tre e il dio dragone, poi sarebbe diventato re, uccidendo suo padre e facendo ammenda in questo modo del cattivo sangue dragone che scorreva nelle sue vene.
«Sei un uomo saggio Alfeo, saggio e magnanimo.» La voce di Tatiana era volutamente vellutata e melensa. Fingeva di provare piacere dei baci del re, ma il suo piacere era appieno concentrato sulla nuova prospettiva della visione.  «Anche tu capisci quanto sia crudele strappare un figlio dal seno della madre. Lasciaci vivere qui, in pace e tranquillità, non pretenderemo più niente.» “Almeno per un poco.”
Il re fece una smorfia con la bocca,  avvicinò il volto a quello di Tatiana, quasi volesse baciarla.
«In modo che tu mi mandi in carica la forza di un esercito guidato da un altro mio figlio? No. Mai. Non voglio più correre rischi. Fausto è stato soprannominato La Furia per l'impeto con cui ha attaccato la mia avanguardia: non aveva mai visto nessuno provare un attacco diretto, così fulmineo e anche così suicida, in un primo momento ci hanno sopraffatto, con tuo figlio in prima fila a gridare “A me il re! A me il re!”» le sue labbra si piegarono per un attimo in un sorriso pieno di malinconia, ma poi tornò subito serio. «Eliseo verrà con me»
Tatiana dilatò le pupille e si lasciò sfuggire un lamento acuto. “No, l’ultimo dei miei figli. Non mi togliere anche lui Alfeo, te ne prego. Ne morirei” pensò la Regina, ma non fu quello che disse. L’unica possibilità che aveva di persuadere Alfeo era in quel momento d’intimità che il re aveva bramato.
 Posando la mano sulla guancia ispida del re Tatiana prese ad accarezzarla.
«Eliseo ne morirà, non puoi sperare di cambiarlo. Lui ormai è mio. Mi appartiene e mi ama dal profondo dell’anima. Ti guarderebbe sempre e solo con odio per averlo privato del piacere di passare con me ogni suo singolo giorno» gli disse, in un sussurro tremolante. Le lacrime pungevano ai lati degli occhi nel tentativo di uscire, ma non avrebbe pianto davanti a  lui, sebbene i suoi occhi rossi rivelassero ogni sua attenzione. «Faresti prima ad ucciderlo.»
«Così che possa meritarmi appieno il soprannome di Atroce? Eliseo non ha colpa di avere per  madre una donna tremenda come te.»
Tatiana cercò di allontanare il re spingendogli indietro il petto con le braccia. Qualcosa simile al rimorso le aveva attanagliato per un mero
“Una madre tremenda mi dici… ma sia Fausto che Eliseo non vedono che me!” Improvvisamente il contatto con Alfeo era diventato più che irritante.
«Alfeo non fare questo» gli sussurrò. «Non lo fare. Te ne pentirai, te ne pentiresti» mormorò ormai più a se stessa che a lui.
Il sorriso che le concesse Alfeo prima di posare un bacio desideroso sulle sue labbra le diede l’ennesima conferma.
“Ho trovato il principe eletto… e non posso già perderlo!”
Tatiana poteva sentire già gli spilli della solitudine che da li a poco le avrebbe continuamente trafitto il cuore. Aveva perso tutti i suoi figli.           
   
   
 
 

 
  
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