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Autore: Kiki87    18/10/2013    4 recensioni
Ognuna di loro era una principessa e sapeva che le avrebbero insegnato qualcosa, seppur ancora non fosse abbastanza grande da considerarsi una di loro. Ma un giorno, le ripeteva la stessa melodica e soffusa voce, anche lei lo sarebbe stata e, finalmente, avrebbe compreso tutto.
Da sempre amante delle favole, Brittany deve affrontare una nuova realtà ben diversa da quella conosciuta e rassicurante. Con le presenze rassicuranti della madre e di Lord Tubbington, incontrerà nuove persone e inizierà una nuova vita. Sarà duro il cammino per sentirsi come le sue principesse preferite? Troverà, infine, quel principe di cui sognava da bambina?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Hunter Clarington, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3
Dimitri: Senti, credo che siamo partiti con il piede sbagliato...
Anastasia: Bè, sì, lo credo anch'io...
Dimitri: Va bene.
Anastasia: Ma gradirei le tue scuse...
Dimitri: Le mie scuse? No, chi ha parlato di scuse; stavo solo dicendo...
Anastasia: Ti prego, non dire altro, Dimitri; finiresti solo per farmi arrabbiare.
Dimitri: Bene, starò zitto se starai zitta anche tu..
Anastasia: D'accordo, starò zitta.
Dimitri: Bene.
Anastasia: Bene.
Dimitri/Anastasia: Bene!
(Dialogo tratto dal film animazione “Anastasia”)


Capitolo 3.


Il weekend non le era mai apparso così seducente e così lontano, dopo quella prima settimana trascorsa in Accademia, tra le grinfie di Kitty. Ma era grata della presenza di Marley e anche di qualche sporadico incontro con Finn, sempre stremato dal carico d’allenamenti extra a cui Hunter Clarington lo sottoponeva. E non solo: il modo in cui gli urlava contro quando arrabbiato, le parole poco carine che gli rivolgeva, rendevano tutto, se possibile, ancora più spiacevole ai suoi occhi.
Brittany e il Capitano non avevano più scambiato parola, ma ogni volta che ne sentiva la voce o ne scorgeva il profilo in refettorio (la sua figura sembrava sempre spiccare, malgrado fossero circondati da persone vestite allo stesso orribile modo) o Finn ne parlava, non poteva fare a meno di sentire quel moto di fastidio e di risentimento. Sentimenti che, nonostante i tormenti di Kitty, la spronavano a non arrendersi. Doveva solo ricordare la persona per cui stava resistendo: sua madre aveva già dovuto rinunciare alla sua passione per la danza quando, poco più che diciottenne, aveva scoperto di aspettare un bambino. Non le avrebbe rovinato il sogno che stava vivendo con Neal.
Lui stesso era sempre gentile e non mancava di chiederle della vita in Accademia: in quei momenti ricordava le minacce di Kitty e (anche per rivalsa personale, nonché la volontà di imparare a cavarsela da sola) si limitava a sorridere e rispondere con un automatico: “Va tutto bene, grazie”.

Era scesa dall'auto di Neal con rinnovata energia: la sola vista della villetta le aveva fatto stringere il cuore. Era una deliziosa casa in stile vittoriano con ampie finestre ad arco, le pareti di un delicato color crema e un portico sotto il quale vi era un dondolo che consentiva di sedersi la sera e rimirare il meraviglioso cielo stellato. Stava ancora percorrendo il vialetto, quando la porta si schiuse e sua madre l'accolse tra le braccia: non avrebbe saputo dire chi delle due avesse raggiunto l'altra ma neppure sarebbe stato rilevante. Ciò che contava, in quel momento, era percepirne realmente la presenza: il suo profumo, il calore di quel contatto e le sue labbra a sfiorarle la fronte e le sue carezze tra i capelli. Erano momenti nei quali le sembrava di tornare bambina e non esisteva nessun altro che lei e il loro mondo. Momenti per cui valeva la pena allontanarsi da casa per una settimana, sapendo chi l'avrebbe attesa al suo ritorno.
Fu il pomeriggio più spensierato e tranquillo da che erano arrivate a Colorado Spings e Neal aveva ben pensato di lasciare che trascorressero del tempo tra loro. Brittany ancora una volta fu colpita dalla sua dolcezza e disponibilità ma era anche vero che, a differenza della ragazza, Neal non aveva alcun obbligo di pernottare nell'edificio.
Rimasta con la madre, gustandosi una cioccolata calda in centro, le raccontò della routine d'addestramento e Shirley ne rimase evidentemente sorpresa, ma non mancò di fare altri commenti al riguardo. Riusciva perfettamente ad immaginarla mentre, nei momenti di noia, trafugava una piantina dell'edificio e la studiava minuziosamente per farle domande al riguardo.
“E hai già visto la sala da ballo?”, le chiese infatti.
Brittany aveva sospirato e scosso il capo. “Kitty non mi ha dato tregua: devo allenarmi duramente fino a quando non riuscirò a fare il percorso rapidamente e senza errori”.
Omise la parte in cui avrebbe dovuto raccontarle delle successive esperienze con l'altura: ogni volta cercava di sconfiggere la sua fobia per l'altezza. Se la salita era divenuta più agevole, la discesa non lo era altrettanto. O vi era Kitty a sbraitarle addosso, oppure il ricordo dell'intervento di Hunter e non era raro che quel momento di distrazione le fosse fatale.
Sua madre le sorrise con aria comprensiva. “Sono sicura che avrai tutto il tempo”.
Si accigliò appena Brittany: non era soltanto il tempo ad esserle poco favorevole. Spesso, a fine giornata, erano le energie che tendevano a mancarle: si lasciava cadere sul letto e sprofondava nel sonno piuttosto rapidamente, malgrado avesse riportato anche lividi ed ammaccature che neppure i parquet di danza le avevano mai inflitto.
“Neal mi ha detto che si terrà un ballo per festeggiare l'anniversario dell'Accademia”, le disse con sguardo illuminato e Brittany ebbe la sensazione che sua madre stesse smaniando di toccare quell'argomento.
Fece una vaga smorfia, tuttavia: non era la prima volta che ne sentiva parlare, in effetti, ma ciò non ne aveva innestato una particolare attenzione.
Tutt'altra cosa per Marley che sembrava più che fremente alla prospettiva e spesso lo sguardo si volgeva ad un tavolo dove erano seduti ragazzi in uniforme. Chi guardasse con precisione, Brittany ancora non lo aveva capito, ma avrebbe atteso che fosse l'altra a farne parola.
Annuì con una vaga scrollata di spalle, molto più concentrata sul semifreddo alla fragola che stava infilzando con la forchetta. Ma sperare che ciò avrebbe placato la curiosità della madre, sarebbe stata una vana ed irrealistica aspettativa.
“E c'è qualcuno di speciale da cui aspetti l'invito?”, la incalzò, infatti, con tono che voleva apparire pacato e casuale ma che nascondeva una reale e fremente curiosità. Non occorreva conoscerla in modo approfondito per cogliere, dal luccichio dello sguardo e dal sorriso allusivo e complice, che fosse molto più interessata a quell'aneddoto, rispetto alla routine di una caserma.
Ciononostante, ancora una volta, Brittany parve cadere dalle nuvole: sbatté le palpebre prima di scuotere il capo e stringersi nelle spalle. “Non so se ho voglia di andarci”. E poiché il ballo si sarebbe tenuto di Venerdì sera, avrebbe preferito di gran lunga partire il pomeriggio per trascorrere il weekend a casa.
“Ma Neal ci rimarrà malissimo!”, protestò Shirley il cui tono divenne più supplichevole nel cingerle nuovamente la mano. “E poi avremo un'occasione d'oro per fare shopping”.
Finse di rifletterci sopra, Brittany, un sorriso che già prepotentemente voleva arricciarle le labbra: avrebbe potuto anche pazientare di qualche ora se significava tornare a fare spese come negli 'shopping day' che organizzavano durante i weekend newyorkesi.
“E poi potremmo andare al cinema e cenare fuori”, propose a sua volta ma Shirley assunse un'espressione dispiaciuta.
“Stasera temo di no, stellina: Neal ha invitato un amico a cena e non vede l'ora di farmelo conoscere”.
Parve spiazzata Brittany ma, dopotutto, Neal aveva concesso loro un intero pomeriggio e non poteva certo negargli quell'occasione cui pareva tenere particolarmente. Annuì per poi farsi pensierosa. “Dovrò restare anche io?”.
“Ovviamente”, rispose lesta Shirley che rubò, con un abile colpo di forchetta, un poco del suo semifreddo. “Non vorrai lasciarmi sola con dei militari?!”, le chiese in tono ironico.
“Va bene”, assentì e Shirley sorrise nuovamente soddisfatta.
“Oggi ti troveremo un vestito da favola e domani sera avremo una serata tra donne!”, annunciò e Brittany si lasciò coinvolgere dal suo entusiasmo, come sempre.
“Promesso?”.
“Col mignolino!”. Shirley rise, porgendole il mignolo che Brittany strinse: una piccola abitudine che avevano preso da quando era solo una bambina e la mamma le prometteva un'ora in più di cartoni, in cambio di una porzione di verdure.

Il pomeriggio era stato meraviglioso: avevano girato nel centro della città fino a scovare boutique d'abiti dal marchio prestigioso. Anche se non avrebbe partecipato al ballo, sua madre aveva desiderato ardentemente rinnovare il guardaroba, persino alludendo alla cena di quella sera stessa. Mentre la osservava nel lungo abito scuro, Brittany richiamò alla mente le immagini dei libri delle favole, quando la splendida principessa trovava l'abito perfetto, quello con il quale sarebbe stata in grado di conquistare il suo principe.
“Sei bellissima”, aveva sussurrato con reverenza mista ad ammirazione e la madre le aveva sorriso.
“Lo so”, aveva commentato giocosamente, ammiccando e guardandola dal riflesso dello specchio, prima di avvicinarsi e baciarne la fronte.
“Ma adesso è il momento di pensare al tuo abito per il ballo”. Le aveva pizzicato il naso e, dopo essersi nuovamente cambiata, era letteralmente schizzata nella zona degli abiti da prom che aveva già occhieggiato appena erano entrate.
Brittany la seguì senza particolare trepidazione. “Mi annoierò tutta la sera”, si lagnò, infatti, ma Shirley, già una mezza dozzina d’abiti appoggiati sul braccio piegato, scosse il capo.
“Non dire sciocchezze”, si era concessa di guardarla e lo sguardo era divenuto più provocatorio e malizioso. “Tutti quei bei ragazzi palestrati che si tireranno a lucido per contendersi le ragazze e le guarderanno come non n’avessero mai vista una, dopo che per una settimana si sono rotolate nel fango, senza neppure farsi la ceretta o sfoltirsi le sopracciglia. Ah, quasi ti invidio!”. Sospirò, immaginando evidentemente la scena con incredibile dovizia di dettagli.
“Io non sono brava in queste cose”. Aveva ribattuto, Brittany, le braccia incrociate al petto e si era appoggiata allo scaffale, apparentemente indifferente alle selezioni accurate della madre.
“I bei ragazzi o i balli di sala?”, le aveva chiesto, il viso inclinato di un lato e l'espressione curiosa ma Brittany era arrossita alla menzione dei ragazzi, soprattutto se ciò significava implicare una tipica interazione da ballo o da occasione vagamente... romantica.
“Tutti e due”.
Shirley si era fermata: la mano sul fianco e l'altra che tratteneva una quantità impressionante di abiti senza neppure stropicciarli. Sembrò scrutarla dall'alto al basso, l'aria più sospettosa. “Ma ce ne sarà uno che ti piace”.
Brittany aveva sbattuto le palpebre per poi farsi pensierosa. “Finn è molto dolce e simpatico”, si sentì dire con tono composto e un sorriso di simpatia al pensiero del ragazzone che probabilmente era la persona più empatica in fatto di punizioni ed esercizi extra.
Parve poco convinta, Shirley: evidentemente nel suo sguardo o nel suo tono non c'era nulla che lasciasse presagire qualcosa di particolare. “E qualcuno di... misterioso o affascinante? O magari misterioso ed affascinante!”.
Si accigliò, Brittany: non aveva guardato molto gli altri ragazzi a dirla tutta. Neppure aveva mai scambiato parola con qualcuno che non fosse Finn. Sapeva che c'era quel tale coi capelli alla Justin Bieber che si litigava Marley con un altro che le sembrava troppo musone1.
Finn aveva sempre quel sorriso da gigante buono, anche se il suo Capitano lo trattava sempre male. Il pensiero si soffermò su quel volto e il momento in cui ne aveva scrutato lo sguardo verde, così tanto da destarle quella fitta allo stomaco. Non c'erano dubbi che Kitty se lo sarebbe tenuto ben stretto quella sera. Lui pareva carino, almeno fino a quando non si comportava in modo scontroso e maleducato.
“Quel ragazzo!”, l'additò la madre con aria trionfante e Brittany quasi trasalì: neppure si era accorta di essersi evidentemente isolata e che la donna la stava ancora scrutando.
“Cosa?”.
“Quello a cui stavi pensando dieci secondi fa, allora? Voglio sapere tutto”, adesso pareva avere un'espressione più battagliera Shirley, quasi offesa perché non ne aveva fatta menzione fino a quel momento.
“Non c'è nulla da dire”, si affrettò a rispondere Brittany che, per qualche motivo, arrossì. “E poi è già impegnato e poi... lui non mi piace!”, terminò la frase con voce quasi strozzata, ma le guance che ardevano maggiormente.
“E' uno scorfano?”, adesso Shirley aveva un'espressione quasi schifata.
“Cos'è uno scorfano?”, le chiese Brittany confusa.
Fece un vago gesto Shirley, quasi ad ignorare la domanda superflua. “E' brutto?”, le chiese a bruciapelo.
“Ha un brutto carattere”, specificò Brittany e Shirley sorrise evidentemente compiaciuta, al che si affrettò ad aggiungere: “Non mi piace, non parliamone più!”.
Arricciò il naso, Shirley, ma si strinse nelle spalle. “D'accordo, d'accordo”, concesse con tono neutrale, prima che lo sguardo azzurro si posasse su un abito e sembrò restare letteralmente folgorata, tanto da lasciar cadere il carico che si era posta sul braccio.
“Guarda quel vestito: devi assolutamente provarlo!”.

Quando uscì dal camerino e si fermò di fronte allo specchio, la madre trattenne il fiato. Ma Brittany stessa, seppur non si fosse mai sentita una principessa; non poté fare a meno di rimirarsi con gli occhi sgranati e le guance rosate.
Accarezzò il corpetto del vestito, le mani scivolarono lungo la gonna dello stesso, quasi non riuscisse ad adattare l'immagine riflessa con quella reale che aveva imparato a conoscere giorno dopo giorno. E che l'Accademia sembrava snaturare, togliendole quanto la rendeva più femminile.
L'abito che indossava era semplicemente perfetto. Non riusciva a trovare altre parole per descriverlo e, ciononostante, non riusciva ad accostarlo a ciò che la sua vita era stata fino a quel momento.
“Non è per me, vero?”, chiese esitante, morsicandosi il labbro. “Lo sapevo, dovrei-”, aveva fatto per sollevare il lembo della gonna e rientrare ma la madre le aveva appoggiato le mani sulle spalle e l'aveva indotta a specchiarsi. Con gesti delicati ma decisi, Shirley le modellò i capelli con qualche forcina per farne una pettinatura improvvisata ma più elegante.
“Sembri una principessa”.
Sentì il respiro mancarle: da quanto tempo qualcuno non la definiva così? E mentre si osservava, per la prima volta, provò a dirsi la stessa cosa.
Sono una principessa.
“Sarai meravigliosa ma soltanto se non avrai paura”, le aveva accarezzato delicatamente la guancia e Brittany si era specchiata nel suo sguardo dallo scintillio più dolce e materno. “Tira fuori la principessa che è in te. Lei attende da molto tempo”.
Aveva scrutato un'altra volta il suo riflesso, si era dondolata leggermente prima di compiere una breve piroetta, un sorriso più luminoso a farne risplendere lo sguardo azzurro.
Annuì, infine, e sorrise alla madre. Forse quella sera non sarebbe poi stata così male.2

~
Era valsa la pena affrontare quella terribile settimana e quelle ore trascorsero in modo così piacevole, che sembrò dimenticare che da lì a poche ore sarebbe tornata in Accademia. Aveva respinto il pensiero con veemenza e aveva cercato di serbare ogni singolo istante trascorso con sua madre e in quella casa.
Si contemplò allo specchietto della toeletta: dopo giorni in uniforme – e persino sporca di fango o bagnata per la pioggia – poter nuovamente indossare un vestito o sentirsi femminile nell'applicare un velo di trucco, costituiva un vero e proprio toccasana. Frugò tra i cassetti del suo piccolo portagioielli a forma di scrigno fino a scegliere un paio di pendenti che, una vaga smorfia quando l'ago le pizzicò l'orecchio, riuscì ad appendere ai lobi, prima di volgersi verso la porta aperta che dava sul corridoio.
“Mamma, vieni a pettinarmi i capelli?”, la chiamò a voce alta, cercando di sovrastare il trambusto che proveniva dalla camera matrimoniale. Sua madre aveva accolto l'occasione di una serata diversa per poter, a sua volta, dare sfoggio della sua femminilità, nonché concedersi lo sfizio di indossare l'abito comprato quello stesso pomeriggio.
Giunse pochi istanti dopo: semplicemente incantevole nella veste che ne metteva in risalto l'elegante silhouette e nei capelli trattenuti in una coda alta, un filo di trucco ad impreziosirne i lineamenti, senza tuttavia appesantirli ma risaltandone la dolcezza. Prese la spazzola e si accomodò sul letto, alle spalle della figlia e prese a strofinare i capelli sciolti con le setole.
“Mhm, sono pieni di nodi”, osservò e ciò era desumibile anche dalle smorfie puerili che apparvero sul volto di Brittany nei momenti in cui indugiava sulla stessa ciocca, nel tentativo di districarla. “Il fango non è un buono shampoo”, dichiarò in tono leggero e complice.
“Mi mancava”, sussurrò Brittany con tono addolcito al pensiero di quella loro routine che era rimasta tale, fin da quando era solo una bambina e si mettevano in pigiama (spesso coordinato) e, dopo il bagno caldo e quei trattamenti di bellezza, si concedevano la visione di un film con Colin Firth o Hugh Grant.
“Anche a me: la casa è così vuota senza di te”, era stato il commento altrettanto intenerito e nostalgico. Le appoggiò le mani sulle spalle e la indusse a voltarsi, così da guardarla in viso. “Lo sai che sarai sempre la persona più importante per me e che non farei mai nulla che possa ferirti?”.
Aveva annuito la ragazza, un sorriso più dolce nell'osservarla, il viso inclinato di un lato. “Lo so”. Aveva confermato, pur domandandosi perché in quel momento le stesse ribadendo quelle parole: se qualcosa l'avesse indotta a farlo oppure qualche diceria sulla sua prima settimana all'Accademia che era giunta fino a Neal e, quindi, a lei?
“Non dimenticarlo mai”, era sembrata una sorta di supplica ma, prima che Brittany potesse interrogarla al riguardo, si riscossero al sentire un lieve colpo di clacson e il rombo del motore di un'auto in avvicinamento.
Si guardarono l'un l'altra prima che, uno scatto felino e la medesima curiosità, si appiattissero ai due lati della finestra della camera: fu Shirley la prima a sporgersi ad osservare l'alta figura che stava uscendo dal SUV. Brittany si sporse a sua volta e le mancò il fiato quando riconobbe quella corporatura.
Sembrò impallidire. “E'...è lui il nostro ospite?”.
“Loro”, la corresse Shirley e, anche senza guardare, Brittany seppe che il suo peggior dubbio era stato confermato. Ma fu comunque con sguardo vitreo che ascoltò la spiegazione della madre che, troppo intenta a curiosare da quell'altezza, non sembrò accorgersi della sua espressione.
“I Clarington: Jonathan sarà il testimone di Neal”, sembrò avvedersi del silenzio perché si volse alla figlia. “E' un tuo insegnante?”.
Ma non era lui che Brittany stava ancora scrutando: gli occhi sgranati e le labbra schiuse. E dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non mordicchiarsi il labbro, rischiando così di sbavare il trucco.
“E' un professore così severo?”, insistette Shirley, ma Brittany si era scostata dalla finestra e aveva scosso il capo. Aveva stretto le braccia al petto in un atteggiamento istintivamente difensivo.
“No, non è lui il problema”, borbottò in tono più risentito e Shirley seguì il suo sguardo fino a quando non scorse finalmente il ragazzo.
Un repentino sorriso malizioso le increspò le labbra e sembrò completamente dimentica del fastidio appena manifestato dalla figlia. Al contrario, si puntellò le mani sui fianchi e lo rimirò con il viso inclinato di un lato. “Se è questo il prototipo di soldato, arruolami subito!”.
“Mamma!”, aveva protestato debolmente, Brittany, le guance arrossate. “E poi... poi non è così... bello”, aveva soggiunto. Ma neppure lei pareva credervi realmente. Non che questo cambiasse il suo giudizio sul suo brutto carattere e quel modo di fare che non le piaceva. Semplice ma chiaro.
La guardò con espressione scettica, Shirley ma ammiccò. “E' molto sexy”, rimarcò. Un verso indignato in risposta, da parte della figlia. “E così quello è il Capitano”.
“Dei ragazzi”, specificò Brittany.
“Potresti infiltrarti”.
“Mamma!”, ma non sembrò udirla, Shirley.
“E' quello che farei io”, sembrò soppesarlo con sguardo più critico. “Certo, sembra un po' musone ma scommetto che tra quelle braccia-”.
“Oh, basta!”, Brittany si era portata le mani alle orecchie e Shirley aveva riso, prima di sollevare le mani.
Ma sembrò non resistere all'ulteriore tentazione. “Quindi è lui il tuo uomo misterioso e affascinante”, ribadì le parole di quel pomeriggio.
“Ti ho detto che non mi piace”, protestò Brittany, lasciandosi cadere con uno sbuffo sul pouf di fronte al tavolino da trucco.
“Curioso, perché più lo dici e meno mi convinci”, fu la replica leggera di sua madre che si chinò ad osservarsi allo specchio per controllare gli ultimi dettagli.
Brittany la fissò dal riflesso: le labbra schiuse in un'espressione di indignato stupore ma, prima che potesse ribattere, si riscossero ad uno schiarimento di voce. Si volsero ad osservare Neal, la mano chiusa a pugno che era appoggiato allo stipite della porta aperta. Sorrise ad entrambe.
“Mi spiace interrompere, signore”, esordì in tono leggero, lo sguardo vivace che le scrutò entrambe con evidente adorazione ed orgoglio. “Ma sarebbe carino se la mia fidanzata fosse presente, quando le presenterò il mio testimone”.
“Arrivo”, replicò allegramente, Shirley, che volse un ultimo sguardo ammiccante alla figlia. “Non vedo l'ora”, aggiunse in tono più malizioso.
Brittany sbuffò e affondò il viso tra le mani in un'espressione di stoica sconfitta e di frustrazione, scostandosi con malagrazia i capelli dal viso, prima di voltarsi verso Lord Tubbington, indolentemente steso sul suo letto.
“Deve essere un incubo”, borbottò in sua direzione e il micione la osservò pigramente, socchiudendo appena gli occhi ai grattini sotto il mento. “Non dovrebbe uscire con Kitty nei weekend?”, chiese in tono evidentemente risentito mentre, dal piano di sotto, sentiva il suono attutito dei primi saluti.
Lord Tubbington miagolò in risposta.
“Potrei restare chiusa qui”, e l'idea già sembrava illuminarle lo sguardo. “In fondo potrebbero pensare che non sono in casa, devo solo avvisare la mamma e-”.
“Britty Woman?”.
La voce di sua madre, straordinariamente alta e flautata, a mo' di cantilena, si udì dal piano di sotto e Brittany s’irrigidì impercettibilmente, gli occhi sgranati nel vuoto.
“Ti stiamo aspettando!”, aveva aggiunto e mai come allora Brittany avrebbe desiderato il dono dell'invisibilità.


~

Era sceso dall'auto del padre, Hunter, e aveva contemplato la villa illuminata dai lampioni la cui luce fluorescente e quella lattiginosa della luna si posava delicatamente sul vasto giardino. Aveva un'espressione accigliata: in verità si stava ancora domandando per quale motivo avesse accettato di partecipare: l'invito del padrone di casa era stato gentile, ma non era la mera educazione a rendere quella prospettiva più esaltante. Non che avesse in programma qualcosa di più emozionante: fuggire dall'Accademia, lo avrebbe allontanato per almeno quarantotto ore da quella faccia beota e dai movimenti scoordinati di Finn Hudson. Altrettanto era stato sconcertante trovarsi di fronte Kitty, la quale aveva alluso al fatto che dovesse invitarla a cena, a mo' di scuse per essersi intromesso nella sua personale conduzione dell'addestramento delle sue reclute. Ma sapeva che con quella formula, stava riferendosi solo ed esclusivamente alla cosiddetta Barbie che aveva odiato dal primo istante. Checché la giovane – fastidiosamente appiccicosa nello sbattere le palpebre un numero spropositato di volte; dando luce ad un lato più sfacciato e femmineo, rispetto a quello tirannico e più professionale – vi avesse voluto speculare, aveva soltanto adempiuto ad un proprio dovere e senso di responsabilità. A prescindere da chi fossero il Capitano e la recluta coinvolte.
Non si era scomposto, quando era apparsa delusa al vederlo caricare il suo semplice bagaglio nel SUV del padre: si era mossa sinuosamente per poi sussurrargli all'orecchio un “Al ballo sarai tutto mio: lo sappiamo entrambi”. Si era stretto nelle spalle: checché ad un suo coetaneo tali moine potessero risultare invitanti, si scopriva sempre più indifferente. In vero c'era ben poco che sembrava scuoterlo.
Si riscosse allo scorgere il padre al suo fianco e risalirono il vialetto, fino all'uscio d’ingresso.
“Spero tu non avessi altri impegni per stasera, ma sono sicuro che Kitty non avrà problemi a rimandare”, sentì la voce del padre rammentargli.
Sbatté le palpebre, Hunter, evidentemente confuso ma Jonathan sorrise appena, un'increspatura quasi curiosa. “Sembrate andare d'accordo ed è del tuo stesso ambiente, un Capitano severo ed efficiente e-”.
Si strinse nelle spalle, Hunter, senza scomporsi. “Mi ha proposto di andare insieme al ballo dell'anniversario della fondazione”, ma dal tono non traspirava alcuna aspettativa. Sembrava essere un dato di fatto: un altro compito che dovesse assolvere per adempiere ad una lista di doveri che competevano al suo ruolo.
Sospirò, Jonathan, nell'osservarlo. “Cerca di nascondere l'entusiasmo: potrei preoccuparmi”.
“Sto bene”, Hunter scosse appena il capo, prima di indicargli la porta. “Suona il campanello”, lo incoraggiò ed affondò le mani nelle tasche dei pantaloni.
Il padre, seppur dubbioso della veridicità di quelle parole, allungò il braccio ma lo scrutò con espressione corrucciata. Sembrò in procinto di aggiungere qualcosa, ma la porta si schiuse e Neal sorrise ad entrambi.
Con il consueto calore, li esortò ad entrare. Al suo sorriso poteva fare concorrenza soltanto quello della sua biondissima fidanzata, constatò Hunter. Suo padre si era sporto per un saluto più confidenziale e la donna, senza remore, si era allungata a baciarne la guancia come se lo conoscesse da tutta una vita. Quando si volse a lui, tuttavia, Hunter allungò la mano che ella strinse, ma ebbe la sensazione che i suoi grandi e vivaci occhi azzurri lo stesso letteralmente “scannerizzando”. Ma senza espressione guardinga o preoccupata, al contrario: era più che entusiasta. Quasi fuori luogo, a dirla tutta.
Fu allora che Neal si volse interrogativo ad osservare la compagna.
“E Brittany?”.
“Sta finendo di imbellettarsi e tornare donna dopo una settimana da soldato”, commentò allegramente, strappando un guizzo divertito nei due adulti, prima di richiamarla a voce alta.
Hunter aggrottò le sopracciglia al sentirne il nomignolo: davvero la stava associando ad una prostituta, protagonista di una commediola insulsamente romantica con Julia Roberts e Richard Gere?
Evidentemente dovevano attendere la sua discesa per potersi accomodare e privare dei cappotti, considerò con un vago sospiro e un sollevare gli occhi al cielo, prima che lo sguardo saettasse alla rampa di scale, quando scorse un movimento.
E la rivide. Ma, al contempo, era qualcosa di nuovo: ricordava la ragazza con un vestito estivo dal colore acceso almeno quanto quello del trolley. Quell'alone più puerile sembrava parte di lei, persino in quell'abito da sera, malgrado movenze più femminili.
Non vi era traccia di quella tipica goffaggine con la divisa che sembrava soffocarne il corpo esile e strapparne l'allegria (nonché la coordinazione mano occhio e l'equilibrio), o di quelle macchie di fango e quel rossore che riusciva ad intravedersi laddove la pelle era ancora candida. O quella scintilla di disappunto e di risentimento nello sguardo che la faceva irrigidire.
Era come vederla per la prima volta in una parvenza disinvolta nell'abitino rosso, i capelli che scivolavano morbidi e fluenti – e lunghi, non vi aveva fatto caso finora – sulle spalle. Il viso era ulteriormente colorato dal trucco, ma non vi era quell'aria maliziosa di Kitty, ma soltanto una nuova grazia e sicurezza.
Rivolse un cordiale saluto al padre, chiamandolo “Professore”. Fu il suo turno di salutarla, le mani affondante nelle tasche dei jeans, il viso inclinato di un lato.
“Pierce”.
La ragazza gli restituì lo sguardo ma gli rivolse un cenno del capo: si era stretta le braccia al petto, quasi in atteggiamento ostile. Quasi si ricordasse soltanto in quel momento che si trovava ad avere a che fare con lui e che, evidentemente, nulla era cambiato dalla loro ultima interazione.
“Come sei formale, Hunter, sono sicuro che non le dispiaccia essere chiamata per nome”, aveva sorriso Neal e soltanto allora il ragazzo tornò ad osservare i padroni di casa. Ma cercò di ignorare l'insistenza di un paio d’occhi azzurri e quell'aria più maliziosa, persino quando fu proprio la stessa Shirley a prendere parola.
“O Britty Woman”, si era chinata all'orecchio della figlia. “Rovinerai l'abito”, l'aveva blandita ed ella era arrossita ulteriormente, ma aveva lasciato ricadere le braccia lungo i fianchi. Appariva ancora impettita. Sembrava sentirsi intrappolata, nello stesso modo in cui lui stava vivendo la prospettiva di quella serata.
Shirley si volse nuovamente ai due adulti. “Accomodiamoci per l'aperitivo, che ne dite? Prego, Jonathan”, ne aveva preso il braccio con una confidenza che parve divertire l'uomo che la conduceva bonariamente, Neal alle loro spalle.
Hunter, che aveva seguito la scena con lo sguardo, sbatté le palpebre prima di tornare ad osservare la ragazza. Le fece cenno con il braccio perché potesse passare per prima e la giovane sussurrò un educato “grazie”, ma neppure lo guardò. Si affrettò a seguire gli adulti, non volendo evidentemente intrattenersi in sua compagnia.
E per qualche motivo, Hunter ne sorrise divertito mentre ne studiava le movenze fluide, nonostante calzasse scarpe dal tacco alto: sembrava che in quelle vesti o nel contatto con le persone care, avesse recuperato il suo portamento.
Un guizzo divertito e la superò facilmente. Si era chinato al suo orecchio, quando le era passato accanto. Aveva avuto un sussulto, Brittany, ma lo aveva guardato confusa. E poi insospettita.
“Hai la lampo abbassata”, le aveva fatto presente ma non aveva atteso di vederla trasalire e arrossire, cercando di rimediare goffamente a quell'inconveniente.
Si era diretto verso il salotto ma, doveva ammetterlo a se stesso, continuava ad essere curiosamente soddisfacente spiazzarla a quel modo.

~

Non aveva parlato molto: sua madre sembrava raggiante ed era entrata rapidamente in confidenza con Mr Clarington. Non che ciò la sorprendesse: la madre non aveva la benché minima difficoltà a rompere il ghiaccio con quel suo naturale brio e lo scintillio azzurro dello sguardo. Aveva persino arrischiato qualche battuta, cercando di coinvolgere Hunter, ma questi sembrava taciturno come sempre: soltanto un solco tra le sopracciglia sembrava rivelarne l'attenzione rivolta alla donna.
Neppure in quei momenti Brittany aveva sollevato lo sguardo dal suo piatto: era ancora imbarazzata dalla sua ultima gaffe. E – cosa persino più umiliante – dal commento della madre (mentre erano in cucina e le sollevava la cerniera) sull'avere sprecato un'occasione accattivante: chiedere al ragazzo stesso di sollevarle la zip.
Si era riscossa e aveva cercato di concentrarsi sulla conversazione in corso: Mr Clarington aveva chiesto a Neal come lui e Shirley si fossero incontrati. Era un aneddoto che Brittany già conosceva, ma c'era qualcosa di particolare nel sentirlo raccontare da lui: aveva alluso al matrimonio della sorella che lo aveva letteralmente obbligato a prendere lezioni di danza, vista la sua totale inettitudine in quell'ambito. Il caso volle che scegliesse proprio la palestra nella quale Shirley impartiva lezioni serali. Neal non aveva mancato di raccontare le sue prime goffe performance.
“Non lo avevo capito di primo acchito ma quando l'ho vista ballare per la prima volta, è stato tutto evidente e cristallino. Il suo portamento, la sua eleganza, il sorriso che le sfiorava il viso: era come se in quel momento non esistesse altro e fosse completamente se stessa. E' stato come scrutare in quegli occhi e comprendere che la mia vita era cambiata. E che non le avrei permesso di congedarmi, fin quando non lo avesse saputo, anche a costo di essere cacciato o scambiato per uno squilibrato”, aveva raccontato Neal che, malgrado il sorriso sbarazzino, era parso ancora visibilmente emozionato.
Non avrebbe saputo identificarne precisamente il motivo, Brittany, ma qualcosa di quelle parole s’incuneò nella sua mente: era l'armonia che univa quella nuova coppia, spiegata anche in un racconto così semplice. La realizzazione di quanto profondi fossero i sentimenti di Neal. Di come sua madre fosse riuscita a mostrare la sua vere essenza, oltre quella scorza più giocosa e sbarazzina, in quel lato più dolce ed incantevole.
Da amante della danza, era inevitabilmente rapita all'idea che proprio in quel contesto, Neal avesse compreso di esserne innamorato. Aveva sospirato letteralmente, attirando l'attenzione del ragazzo che le sedeva di fronte, ma si era affrettata a distogliere lo sguardo.
Rise lei stessa quando la madre raccontò della sua risposta all'invito a cena. “Cominciavo a sospettare che venissi davvero per imparare a ballare”.
Stava sorseggiando la sua acqua, quando Jonathan Clarington si era voltato ad osservarla.
“Allora, Brittany, come è stata la tua prima settimana? So che Kitty ti dedica molto tempo: è severa ma un eccellente soldato”.
Se essere un soldato vuol dire fare la strega cattiva; pensò tra sé, ma gli rivolse un sorriso e si passò una mano tra i capelli.
“Kitty è molto... attenta a me”, non aveva trovato un aggettivo adatto a descriverla e sapeva che, anche volendo, non avrebbe potuto raccontare delle minacce subite. “Sto facendo del mio meglio”, aveva aggiunto, ma aveva assolutamente evitato di incontrare lo sguardo del ragazzo.
“E come sono i professori?”, aveva chiesto Neal, facendo saettare lo sguardo verso l'amico, dandogli una stretta sulla spalla. “Critica pure: per questa sera Jonathan ti concederà l'immunità”, aveva commentato allegramente.
Non aveva idea di cosa fosse l'immunità, ma non era sicuramente il caso di raccontare delle “storiche” dormite durante le sue ore di lezione.
Ma, con sua grande sorpresa, Hunter prese parola e fu lui stesso rivolgersi al padre. “Mi stava giusto raccontando della tua prima lezione di storia a cui ha assistito: ne era molto soddisfatta”, dichiarò con tono saccente che fece sorridere il padre con aria lusingata.
Shirley rise divertita.“Britty Woman detesta la storia!”, aveva ribattuto, guardandola con lo scintillio malizioso nello sguardo, immaginando che l'entusiasmo fosse rivolto a ben altro soggetto.
“Mamma!”, aveva protestato, le guance arrossate. Era già abbastanza frustrante avere a che fare con Hunter Clarington che stava evidentemente facendo del suo meglio per metterla in imbarazzo. Tra l'altro era davvero molto meschino da parte sua, approfittare di una confidenza che Brittany gli aveva fatto a cuor leggero. Soprattutto considerando che si fosse scusata più di una volta. Perché sembrava davvero divertirsi a prenderla in giro?
Si strinse nelle spalle, Shirley. “Magari in Accademia c'è un fascino del tutto particolare”, malgrado il tono cospiratorio, la sua voce era stata abbastanza limpida da attirare l'attenzione generale e Neal quasi si strozzò con il suo bicchiere di vino. Jonathan sorrise appena nello sporgersi a dargli qualche pacca sulla schiena.
“Prego? Oddio, stiamo parlando di ragazzi? No, non sono pronto”. Aveva levato le mani e Brittany sarebbe voluta scomparire per non dover continuare a sostenere quella conversazione.
“Parla per te”, aveva ridacchiato Shirley. “Io ho già le mie quotazioni”. Aveva lanciato un'occhiata davvero poco implicita ad Hunter il cui bicchiere rimase sospeso in aria: per un istante parve incapace di proferire parola. Il solco tra le sopracciglia si approfondì e poi posò bicchiere, fissandola tra l'inebetito e l'incredulo. Ed evidentemente senza più alcun bisogno di bere.
Brittany si drizzò bruscamente dalla sedia, alludendo al bagno. Fu immensamente grata a Jonathan Clarington che, con grande garbo, sviò la conversazione, chiedendo a Shirley dei suoi progetti per la sua nuova vita a Colorado Springs.


Aveva sperato che, una volta riuniti in salotto per il caffé (era un buon segno: entro poco sarebbe tutto finito, no?), sarebbe stato tutto più semplice. Si era appoggiata sul bracciolo della poltroncina sulla quale sua madre era comodamente affondata: Neal sedeva sulla poltroncina davanti alla sua e i Clarington sul divano. Era indubbiamente Neal il più soddisfatto della riuscita di quella cena. Da parte sua, Brittany, avrebbe voluto trovare un espediente per sottrarsi alla compagnia ma nel modo meno esplicito possibile o almeno avere un potere magico per poter accelerare lo scorrere del tempo e saltare direttamente alla parte dei congedi o, meglio ancora, il momento in cui Hunter sarebbe uscito dalla sua casa.
Continuava a ridere e sorridere ad intervalli regolari mentre pizzicavano qualcosa dal vassoio con salatini e altri pasticcini messi a disposizione dalla madre ma il momento tanto atteso, seppur si stesse avvicinando, sembrava tardare. Fin troppo per i gusti di Brittany.
Fu quando la madre le si rivolse che si riscosse, un battito di palpebre al sentirla appoggiare la mano sul suo ginocchio.
“Perché non porti Hunter a fare una passeggiata in giardino? Sono sicura che vi sarete già annoiati abbastanza”.
Cominciava a chiedersi come sua madre riuscisse a procurale così tante occasioni di disagio e sfoggiando così sfacciatamente quegli sguardi innocenti. Si era stretta nelle spalle, ignorando il ragazzo seduto sul divano. “Certo che no, mammina”, calcò il nomignolo. “Mi piace stare qui e sono sicura che-”.
“Visto che me lo chiede così gentilmente, non mi dispiacerebbe sgranchirmi le gambe”, era stata la risposta pacata di Hunter che, sotto lo sguardo curioso del padre, si era drizzato in piedi e si era avvicinato alla poltroncina, dopo aver volto un sorriso alla donna. Un gesto del braccio con il quale invitò Brittany a precederlo. Quest'ultima lo guardò dal basso all'alto: gli occhi sgranati e le labbra schiuse mentre sua madre le dava una lieve spintarella perché si alzasse.
Incrociò le braccia al petto, gli occhi stretti in due fessure e la voglia di allungare la scarpa con il tacco per dargli un calcio nello stinco.
Chi si credeva di essere, Hunter Clarington per decidere per entrambi? Soltanto perché era l'ospite, non significava che lei doveva accontentare i suoi capricci. E poi non era stata lei ad invitarlo! Sarebbe dovuto uscire con sua madre visto come le aveva sorriso, togliendosi quell'espressione musona, una volta tanto.
“Un soldato gentiluomo”, lo lodò la madre, levando il calice verso di lui. “Combinazione irresistibile, non trovi-”.
Si era drizzata bruscamente, Brittany e (dopo aver cercato di guardarsi la schiena per assicurarsi che la zip fosse ancora sollevata) si era rivolta al ragazzo con un cenno. “Andiamo”.
Profittò del fatto che Hunter le avesse aperto la porta per volgere uno sguardo risentito alla madre che aveva trillato un sonoro: “Buona passeggiata!”.
Sbuffò un'altra volta, Brittany, la postura più rigida ed uscì senza attendere il ragazzo: in fondo volevano entrambi una scusa per allontanarsi. Il fatto che fosse stato accondiscendente con la madre, non significava che dovessero farsi compagnia.
Ma si accorse fin troppo presto che il ragazzo la stava davvero seguendo ma se non poteva certamente correre coi tacchi, cercò di non rallentare il passo. Ciononostante Hunter ci mise fin troppo poco a raggiungerla e ad adeguarsi al suo ritmo.
Sospirò Brittany ma lasciò vagare lo sguardo sull'ampio giardino: uno degli aspetti più piacevoli di quella città era che, rispetto a New York, sembrava vivere in comunione con la natura a giudicare dal paesaggio collinare e dalle catene montuose che si scorgevano in lontananza.
Camminò tra le siepi e le aiuole dei fiori e inspirò l'aria notturna: era davvero una bella serata, fresca e limpida. Le stelle che punteggiavano il cielo e si vedeva la luna piena. Contemplò il tutto e sembrò per un istante dimenticare il fastidio e il disagio.
Lo guardò con la coda dell'occhio ma non pareva provare il suo stesso sollievo. Appariva... tediato e pensieroso. O almeno era la sua solita espressione quando non sbraitava contro le sue reclute – Finn, Finn e ancora Finn – quindi poteva dirsi tranquillo (?) per i suoi standard.
Dovette essersi accorto del suo sguardo o probabilmente stava concedendole di partecipare ai suoi pensieri, perché l'attimo dopo la sua voce ruppe il silenzio e Brittany s’irrigidì d’istinto.
“Non mi sorprende che Neal sia così entusiasta, ma che tua madre non capisca che sei fuori posto, questo sì, a dire il vero”.
Brittany lo fissò incredula e sbatté le palpebre. Dunque era quello il motivo per cui aveva acconsentito ad una passeggiata? Probabilmente anche l'unico divertimento che aveva tratto dalla serata: poter constatare, ancora una volta, che aveva ragione. Persino alludendo a sua madre.
“Io non sono fuori posto”, si sforzò di mantenersi calma e pacata. Non voleva dargli la soddisfazione di vederla nuovamente arrabbiata. “Mi sto abituando e comunque non capisco perché-”.
“Dico solo che il tuo sacrificio, per quanto nobile, è inutile: persino Neal dovrà aprire gli occhi. Loro saranno felici a prescindere, che tu stia in Accademia o no”. Non sembrava volerla deridere e neppure giudicare. Ma era un'osservazione limpida, quasi volesse realmente... consigliarla. Come quella prima sera quando le era apparso gentile, seppur sempre nel suo modo tanto pacato.
Ma non riusciva a provare la stessa gratitudine di quel momento, Brittany: il fatto che lui sembrasse capire meglio di chiunque altro, al contrario, la innervosiva. Sembrava essere quella vocina in fondo alla sua mente che voleva spronarla a dire la verità quando, di fatto, giorno dopo giorno respingeva quell'impulso.
E poi, a prescindere da quanto potesse avere ragione, era una propria decisione che non avrebbe dovuto giudicare. Checché ne pensasse, non era una bambina.
“Non è inutile: saremo una famiglia”, rimarcò e riprese a camminare a passo più rapido.
“Da quando l'essere una famiglia è definito da una scelta scolastica?”, la guardava apertamente, Hunter, che si allineò subito al suo nuovo passo.
“E tu, allora?”, si era fermata e si era voltata a guardarlo. “Non lo hai fatto per tuo padre?”
Si accigliò Hunter ma scosse il capo. “E' il mio posto”. Sembrava pensarlo seriamente.
“Eppure non sembri felice”, era stata una constatazione che aveva sorpreso persino Brittany nell'esplicarla: aveva riposto quello stesso pensiero che aveva formulato quella notte eppure vi era un'istintiva sicurezza. Che non aveva mai sentito così intensa nel pensare a qualcuno. Soprattutto qualcuno di cui aveva una così superficiale conoscenza.
“Anche se ti piace comandare tutti a bacchetta”, aggiunse quasi a correggere il tono della conversazione.
Se aveva ignorato volutamente quel riferimento alla sua felicità, parve realmente spiazzato dall'ultima osservazione. Sbatté le palpebre, prima di affondare le mani nelle tasche dei pantaloni. “Sono il Capitano”, lo disse a mo' di spiegazione.
“Puoi essere gentile”, ribatté, Brittany, il tono limpido.
“E tu dovresti cambiare scuola”, ribatté con lo stesso tono fintamente casuale.


“Mhm, bisogna raffreddare gli animi”, constatò Shirley, osservando i loro gesti e le posture dalla finestra del salotto. Si avvicinò cautamente all'ingresso: in alto, affisso al muro vi era il quadro elettrico e l'azionamento degli irrigatori.
Un sorriso vispo le affiorò alle labbra nell'azionare la leva, giusto in tempo prima di sentire i passi di Neal. Rapida, riuscì a schizzare in cucina come un felino.
“Questo caffé?”, le chiese con espressione allegra.
“Arriva subito”, aveva ammiccato nel prendere il vassoio, gettando un'ultima occhiata al giardino: entro pochi secondi il getto si sarebbe azionato.
Un vero peccato non poter assistere alla scena.


“Perché ti interessa, scusa?”, il tono risentito e polemico: il broncio più infantile ma l'aria stizzita.
Aveva sorriso, Hunter, evidentemente soddisfatto nello scrutarne il cipiglio. Strinse le spalle e in tono pacato, rispose: “Curiosità”.
“Beh, sei fin troppo curioso e-”, non finì la frase e trasalì quando un getto d'acqua fredda, alle sue spalle, la colpì in pieno. Incredula, fissò gli irrigatori che, automaticamente, si erano sollevati e stavano facendo sprigionare quei zampilli d'acqua che avrebbero dovuto annaffiare le piante.
Sentì il ragazzo soffocare un'imprecazione ma prima che potesse sgridarlo, l'aveva afferrata per il braccio e si era ritrovata a correre con lui tra le siepi, cercando di fuggire agli schizzi.
“Dov'è il comando degli irrigatori?”, le aveva chiesto, trattenendone ancora il braccio.
“Non lo so!”, gemette la ragazza, cercando di nascondersi dietro la sua schiena, prima che un nuovo zampillo affiorasse di fronte a lei, spruzzandola nuovamente.
“Come fai a non saperlo?! E' casa tua!”, era la prima volta che lo vedeva perdere quell'espressione sempre pacata e composta, ad eccezione di quella sfuriata a Finn, il giorno in cui era arrivata in Accademia.
Si era svincolata dal suo braccio, Brittany, ormai completamente fradicia ma i piedi puntati al terreno e lo sguardo torvo. “Perché ero in quella STUPIDA Accademia!”, gli rispose ma l'altro non parve udirla. Si erano fermati quando Hunter aveva individuato il comando dell'impianto.
Lo stava studiando con sguardo concentrato, mentre Brittany restava alle sue spalle, aspettando che riuscisse a fermare il getto.
Si era voltato in sua direzione e Brittany aveva esalato incredula mentre il getto d'acqua continuava a erompere violentemente, ma Hunter non si scompose. Apparentemente incurante del grande alone sulla sua t-shirt che stava dilagando, delle gocce d'acqua che cadevano lungo il volto, colandogli lungo i lineamenti fino allo scollo, lo sguardo verde la scrutò intensamente.
Non riusciva a comprendere a cosa stesse pensando, ma la faceva sentire decisamente a disagio: una contrazione all'altezza dello stomaco. Sbatté le palpebre ma trasalì ad un nuovo getto d'acqua che ne colpì la schiena.
“SPEGNILO!”, gemette.
Un sorriso s’increspò sulle labbra del giovane. “Allora lo ammetti che odi l'Accademia”.
Sgranò gli occhi, Brittany e per un attimo valutò l'idea di schiaffeggiarlo. Strinse i pugni lungo i fianchi e sbuffò. “E va bene!”, digrignò i denti all'ennesimo schizzo d'acqua, il viso inclinato di un lato. “Soddisfatto, adesso?”.
“Estasiato”, sorrise affabile, chinandosi verso la manopola e, dopo pochi istanti, mise fine all'annaffiatura.


Non seppe cosa fosse. Il fatto che da arrabbiata sembrasse una bambina. O il fatto che malgrado fosse fradicia, avesse ancora abbastanza stizza da non abbandonare quel precedente risentimento.
O forse era il riverbero della luna sui suoi capelli bagnati, il viso arrossato e il modo in cui si stringesse le braccia al petto per un reale tremore che la faceva apparire persino più esile e bisognosa di una protezione.
Non era (soltanto) un divertimento malsano alle sue spalle o il volerla torturare per stabilire chi avesse ragione e chi no. C'era quel qualcosa che lo induceva a continuare ad osservarla.
Si passò una mano tra i capelli e contemplò i propri abiti fradici, sapeva che se non si fosse asciugato presto, avrebbe rischiato di prendere freddo. Eppure si sentiva... leggero. Ed era qualcosa di così insolito che non riusciva a spiegarlo ma neppure ad ignorarlo.


“Grazie”, sussurrò appena, stringendosi le braccia al corpo.
Aveva inarcato le sopracciglia, realizzando che la stava ancora osservando: non capiva né come né perché ma aveva la sensazione che cercasse qualcosa.
Lei stessa lo studiò stranita: in quel momento non riusciva realmente a ricordare perché fosse tanto arrabbiata con lui. Probabilmente era divenuta una disposizione d'animo quasi istintiva.
C'era il suo sguardo, il suo viso illuminato dalla luna che rendeva i lineamenti meno rigidi. Erano entrambi zuppi, ma non davano segno di volersi allontanare dal giardino.
“Dovremmo rientrare”, si sentì dire, ma fu come se quelle parole provenissero da un'altra realtà. Sbatté le palpebre.
Si strinse nelle spalle, Hunter. Probabilmente aveva solo immaginato tutto. “A meno che tu non voglia fare un'altra passeggiata, ma dubito che le tue scarpe la gradirebbero”.
Aveva abbassato lo sguardo Brittany ed aveva emesso un gemito a vedere le macchie di terra: perché doveva sempre accorgersi dei suoi errori?
Scrollò le spalle e le tolse: malgrado tutto provò sollievo al sentire il contatto tra la pianta del piede e l'erba umida.
“Non è una mossa molto intelligente”, la stava scrutando con le sopracciglia inarcate.
“Non è un tuo problema”, aveva ribattuto con un sorriso fintamente cortese nel voltarsi e parve sollevata che tornassero ad una pseudo discussione come quelle precedenti.
Si sentì cingere il braccio e trasalì.
Quando si voltò ad osservarlo, notò che Hunter pareva esasperato.
“Perché sei sempre così-?”.
“Una bambina?”, chiese sferzante.
“Permalosa: volevo dire permalosa”. Sembrava volerlo davvero precisare.
“Perché devi sempre dirmi dove sbaglio?”, rimarcò.
Sbuffò, Hunter, e scosse il capo, levando le mani. “Farò finta di nulla”.
“Te ne sarei molto grata”, gli sorrise serafica.
“Bene”, sancì il giovane, apparentemente indifferente.
“Bene!”, rimarcò lei e lui soffocò una risata.
“Benissimo”.
Sbuffò, Brittany, e lui sorrise: per qualche strano, assurdo e incomprensibile motivo, sembrava davvero... naturale. Era fradicio, avevano appena bisticciato e avevano trascorso una serata ora evitandosi ed ora imponendo l'un l'altro il proprio punto di vista.
E adesso sorrideva, come se fosse realmente sereno. E non era un ghigno e neppure un gesto canzonatorio o ironico. Era autentico e persino il suo viso sembrava... diverso. Lo sguardo più vivace e il suo volto completamente sfigurato e così quei lineamenti che sembravano sempre contratti per le espressioni di disappunto o di stoica insofferenza.
E Brittany non comprese perché le fossero mancate le parole e provasse quell'improvvisa aritmia o non riuscisse a distogliere lo sguardo.
“Eccoli qua: i due fuggiaschi”, aveva commentato allegramente Neal.
Lui e Jonathan parvero restare totalmente basiti, quando si avvidero delle loro condizioni. L'unica che sorrideva era Shirley, le mani a puntellarsi i fianchi.
“A quanto pare hanno avuto una serata caliente ma, per dovere di cronaca, abbiamo una comoda vasca da bagno al piano di sopra”.
Sembrarono fin troppo empatici, Brittany e Hunter, nello scambiarsi uno sguardo, un vago cenno di rossore sul volto mentre Jonathan si avvicinava al figlio.
“Sono sicuro che avrai una spiegazione più che pittoresca ma l'ascolterò in auto.
Shirley, Neal, è stato un piacere”.
“Oh, il piacere è stato tutto nostro”, trillò allegramente Shirley.
Neal si affrettò a togliere la giacca e posarla sulle spalle di Brittany che emise uno starnuto ma lo osservò grata. Il suo sguardo incrociò un solo istante quello di Hunter che, un brusco cenno del capo, entrò nell'auto.
Shirley le cinse le spalle e la condusse verso l'ingresso, sussurrandole un: “Poi mi racconti tutto!”.
Gemette, Brittany. Avrebbe dovuto immaginare che non si era affatto trattato di un incidente.


To be continued...

1 Nel linguaggio di Brittany, si tratta rispettivamente di Ryder e di Jake :D
2 Se vi ho incuriosito sulla vaga descrizione dell'abito, devo pregarvi di avere pazienza:arriverà il momento in cui sarà approfondita :)

Posso ben dire che questo sia stato uno dei capitoli più divertenti da immaginare, soprattutto per la descrizione di un personaggio tanto vitale e brioso quale Shirley :)
Ma diamo un'occhiata al prossimo capitolo:

Ho del grasso in faccia?” “Ti sta benissimo!” “Dovrò fare una doccia o Kitty-”. “Vieni al ballo con me!”.
Gran bel passo di tip tap. Certo, l'atterraggio sul tuo piede è stato superbo”.
E' questo che pensi, allora?”. “E' quello che fai vedere”. “Liberissima di crederci: è un tuo problema”.


Come sempre, ringrazio di cuore chi mi sta seguendo, in particolar modo le mie fedeli recensitrici che rendono ogni pubblicazione ancora più entusiasmante. Vi mando tanti cuoricini (ma non li disegno perché l'editor di EFP mi odia :D) su unicorni galoppanti.
Non mi resta che augurarvi buon weekend e una buona settimana.
A presto,
Kiki87




   
 
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