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Autore: miseichan    18/10/2013    4 recensioni
E’ semplice.
Si riduce tutto a una sola parola: lapalissiano.
Assaporala, contemplala, ripetila; lascia che ti scivoli sulla lingua.
Fintanto che riesci a pronunciarla sei ancora in gioco.
Non dimenticarla. Lapalissiano. 
Lapalissiano, lapalissiano, lapalissiano. Lapalissiano.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lapalissiano

 

“Nel qual caso ti consiglio di stare sopra, mi raccomando”

 

 

Nora rabbrividì, stringendosi nel cappotto tre taglie più grande di lei. 
I jeans e la camicia erano di Martina, ma dopo aver dato solo una rapida occhiata alla nebbia mattutina, aveva afferrato al volo il primo giaccone di Gianluca che aveva visto. 
Strusciò i piedi sul brecciolino, inspirò profondamente, quindi si affrettò a suonare il campanello prima di avere il tempo di cambiare idea. 
Suonò una volta, due, poi una terza. Alla quarta cominciò anche a tempestare di pugni la porta. Dopo cinque minuti cominciò a chiedersi se fosse il caso di passare ai calci. 
Fulmineo poi la colse un pensiero: era un locale, in fondo, forse di mattina non c’era nessuno. Sarebbe stato giusto, no? Ciò significava che non era colpa sua: ci aveva provato.
Annuì, rinfrancata, lasciando finalmente andare il campanello.
Aveva appena dato le spalle al palazzo, la testa incassata nella giacca, quando il grido la raggiunse:
“Cosa?!” strillava la voce “Chi cazzo è all’alba di lunedì?!”
Nora ruotò lentamente su se stessa, sollevando lo sguardo verso la finestra del primo piano e incrociando quello furibondo di Roberto. Arrossì fino alla radice dei capelli, le labbra schiuse che non riuscivano a emettere alcun suono. 
Roberto la fissò per qualche istante senza tuttavia riconoscerla; quando un lampo di comprensione gli illuminò gli occhi scattò all’indietro, sbattendo il capo contro il vetro del telaio. Gemendo e tenendosi la testa con una mano, la salutò timidamente con l’altra.
“Non trovo il mio cellulare” sussurrò Nora avvicinandosi.
“Oh”
“Forse mi è caduto”
“Ah”
“Nel bagno” sfiatò infine lei, deviando lo sguardo.
“Uh! Certo!” fece lui “Scendo subito!”
Nora sospirò, saltellando leggermente sul posto. Maledizione, maledizione! 
Strinse le labbra, le mani affondate nelle tasche; una raffica di vento la investì in pieno, scompigliandole i capelli. 
“Entri?”
“Io...” sbuffò per scostare il ciuffo dagli occhi e sorrise “Non ti avevo visto” aggiunse, raggiungendolo in fretta e oltrepassandolo ancora più velocemente.
“Scusa se ti ho gridato contro” mormorò Roberto, chiudendole la porta alle spalle.
“Oh, figurati”
“E’ solo che la mattina di solito dormo fino a tardi e ora sono solo...” lanciò un’occhiata alla parete d’angolo con la pendola “... sono solo le nove”
“E’ colpa mia, davvero” lo bloccò lei, impegnandosi a guardarlo solo negli occhi.
Roberto se ne accorse e sorrise imbarazzato, allargando le braccia:
“Mi è sembrato avessi fretta” accennò a mo’ di spiegazione “Non ho fatto in tempo a mettere i pantaloni”
“Nessun problema. Almeno hai messo la maglietta”
“Già. E mi pento di non aver infilato anche i calzini” borbottò lui, sfregandosi le mani.
“Cerchiamo il mio cellulare?” 
“Sì. Sì, è un’ottima idea”
Nora si avviò per prima, sbottonando leggermente il giaccone per adattarsi alla nuova temperatura; con la coda dell’occhio osservò di nuovo il ragazzo e sorrise: sì, erano dei boxer proprio carini, decise.
“Sono ragnatele, quelle?” 
Roberto sussultò, squadrandosi le mutande con occhio tanto critico quanto assonnato:
“Sì. Ci sono anche i ragni se vuoi veder...” si bloccò, lasciando la frase a metà. 
“Non posso vederli, quindi?” domandò la ragazza, il sorriso che andava allargandosi di pari passo con il rossore sulle guance di lui. 
“Di prima mattina non sono al massimo della reattività, sai?” borbottò Roberto, squadrandola con diffidenza “E’ già tanto se sono in piedi, veramente”
Nora annuì, entrando nel bagno e cominciando a guardarsi attorno. 
“E’ un Samsung” disse, dando una prima veloce occhiata al pavimento “Nero”
“Come?”
Nora inarcò un sopracciglio, girandosi in tempo per cogliere il ragazzo nel bel mezzo di uno sbadiglio:
“Dammi una mano, no?”
Roberto annuì, massaggiandosi pigramente il collo e entrando nella stanza:
“Non lo vedo”
“Non hai neanche cercato” lo rimbeccò lei “Non è che ti ricordi in che punto ho lasciato il vestito, ieri?”
“Sto cercando di ricostruire i fatti” continuò Nora “Abbiamo cominciato più o meno qui, no?” meditò, indicando la parete di fronte “E poi...” si inginocchiò sotto il lavandino, le sopracciglia aggrottate.
“Non c’è” borbottò la ragazza nel momento stesso in cui Roberto commentava:
“Sembri stranamente rilassata”
“Come?”
“Forse è sopra”
“Cosa?” balbettò Nora, sempre più confusa.
“Il tuo cellulare” spiegò lui “Forse Mario lo ha trovato e lo ha portato di sopra”
“Oh. E quella parte del rilassata?”
“Di solito non lo siete, no?”
“Rilassate?”
“Bè, sì. Normalmente la mattina dopo siete nervose, vergognose o che so io. Perché ne parli con tanta tranquillità, tu?”
“Non abbiamo ucciso qualcuno, te ne rendi conto, vero?”
“Certo” sogghignò Roberto “Lo abbiamo solo fatto contro la parete del bagno”
Nora arrossì e lui scoppiò a ridere:
“Oh, finalmente! Molto meglio, dolcezza” sorrise “Andiamo al piano di sopra, dai”
“Non c’è motivo di vergognarsi” mugugnò Nora, seguendolo per il resto del corridoio fino a un’adorabile scala a chiocciola “Sono cose che capitano”
“Certo”
Nora roteò gli occhi, infastidita e si morse la lingua per evitare di rispondergli male.
Quando sbucarono nell’appartamento lo afferrò istintivamente per un lembo della maglietta, trattenendolo:
“E’ qui che abiti?” sussurrò, tenendo la voce bassa.
Roberto sorrise, chinandosi su di lei per sussurrarle a sua volta nell’orecchio:
“Sì”
Nora lo fulminò, continuando a bisbigliare:
“Il che significa che ci abita anche lo strogay! Non posso stare qui!”
“Non so che parola tu abbia usato, ma se ti riferisci a Enrico non è in casa” rise Roberto risollevandosi “Non ha proprio dormito qui, veramente. Deve ancora rientrare”
“Oh”
“Più tranquilla, dolcezza?” celiò lui, facendole segno di seguirlo in salotto.
Nora non rispose, limitandosi a guardarsi attorno. Lui sospirò e scosse il capo:
“Un rapidissimo tour della casa?” domandò.
Poi, senza attendere oltre cominciò:
“Questo è il salotto, la stanza più grande che abbiamo” spiegò, indicando la camera in cui si trovavano. Un divano, tre poltrone e un televisore a schermo piatto erano il
solo mobilio presente. Nora inarcò un sopracciglio alla vista dei vari capi di vestiario sparsi in ogni dove e delle bottiglie di birra vuote disseminate sul pavimento:

“E’ una fetta di pizza quella sul telecomando?” chiese.
“Possibile” mormorò Roberto, piegandosi però a controllare “Con i peperoni, sì”
Quando lei fece per aprire di nuovo bocca, lui la precedette:
“Niente commenti, prego. Siamo tre maschi, dolcezza, non puoi pretendere di meglio. Anzi” aggiunse, dando un morso alla fetta di pizza “ritieniti fortunata perché l’altro ieri è stato giorno di bucato”
“Tre maschi?” 
“Già” annuì Roberto “Io, Enrico” e indicò le due porte oltre il salotto “e Mario” e indicò il divano di fronte alla televisione.
“Mario, l’altro barista?”
“Esattamente”
“Dorme sul vostro divano?”
“Sì, acquisizione recente” commentò Roberto “Da questa parte, invece” continuò, spingendola verso sinistra “Ci sono la cucina e il bagno, in cui non ti consiglio di entrare data la sopracitata presenza di tre individui di sesso maschile in questa casa”
Nora lo seguì in cucina, gli occhi che bruciavano. Perché diavolo le veniva da piangere proprio ora, eh? Diamine, avrebbe davvero dovuto farla quella dannata tac.
Roberto aprì il forno e vi infilò la testa dentro:
“Questa è la nostra scatola degli oggetti smarriti” spiegò, la voce che rimbombava “Ora controlliamo se per caso... eccolo!” esultò, girandosi verso di lei con il cellulare in mano.
“Grazie” 
“Stai piangendo” balbettò Roberto, sgranando gli occhi “Perché stai piangendo?”
Nora scosse la testa, facendo solo per afferrare il telefonino. 
Lui glielo passò, continuando a fissarla attonito, una vaga paura nello sguardo:
“Ho fatto qualcosa? Io... non piangere, ti prego” mugolò, sinceramente scosso “Non riesco a guardare una ragazza che piange. Davvero, lo odio”
“Non è nulla” rispose lei, asciugandosi in fretta e furia le lacrime “Scusa”
“E’ colpa mia?” sussurrò preoccupato, porgendole un rotolo di carta igienica.
Nora prese il rotolo e accennò un sorriso:
“Questa non dovrebbe stare in bagno?”
“Non seguiamo le comuni regole” si strinse nelle spalle lui “Se è per questo non dovremmo neanche avere un divano in cucina o...”
“Perché c’è un divano in cucina?” lo interruppe Nora, accorgendosene solo in quel momento.
“Abbiamo rotto l’ultima sedia del tavolo tre settimane fa. Così abbiamo optato per un divano”
“Scelta molto coerente” approvò lei, soffiandosi il naso.
“Stai ancora piangendo”
“Colpa di Mario”
“Il Mario secondo barista?”
“Sì” gemette Nora “Il Mario che dorme sul vostro divano”
“Non riesco a seguirti, dolcezza” sorrise pacato Roberto, sospingendola delicatamente verso il divano della cucina e sedendovisi con lei.
“Io non ce l’ho un divano!”
“Se vuoi ti accompagno all’Ikea” 
Nora lo spintonò malamente, reclinando il capo all’indietro mentre altre lacrime cominciavano a scenderle copiosamente lungo le guance:
“Non avrei comunque una casa in cui metterlo!” sbottò, arrendendosi all’idea che il crollo nervoso dovesse avvenire proprio in quel momento “Perché il nano malefico mi ha sfrattata e ieri notte ho dovuto chiedere asilo politico a un’amica da cui comunque non posso rimanere. E tutto questo perché a quanto pare saper parlare cinque lingue e mezzo non serve assolutamente a niente! Guadagno, quelle rare volte che succede, una miseria e mi ritrovo sempre in rosso: alla fin fine il nano malefico ha avuto anche ragione a buttarmi fuori di casa. C’è di fatto, però, che lo avevo pregato in ginocchio di concedermi ancora un po’ di tempo. Gli avevo fatto gli occhi dolci. E poi... e poi ieri arrivo e lui ha cambiato quella dannata serratura. La signora Pina e Pocho tengono d’occhio le mie cose, certo, ma resta che non saprei comunque dove metterle perché da Martina non mi posso trasferire, no?”
Mentre lei riprendeva fiato Roberto si accomodò meglio, frenando l’impellente impulso di chiederle chi fosse Pocho, o se per caso avesse una foto del nano malefico; contenendosi a stento si piegò piano verso la ragazza e domandò:
“Perché non puoi trasferirti da Martina?”
Nora sgranò gli occhi pieni di lacrime, il labbro tremante, e lo mandò nel panico.
“Perché lei e Gianluca fanno un sacco di sesso!” guaì lei, gettandogli le braccia al collo. 
Roberto restò immobile, il timore che Nora volesse strozzarlo; quando comprese che invece lo stava solo abbracciando ricambiò la stretta senza emettere parola.
Aspettò che i singhiozzi si calmassero, carezzandole lievemente la schiena. 
Per una sfortunata combinazione di eventi, poi, commise un errore madornale:
“Questo divano è libero, sai?” sussurrò “Ci si dorme magnificamente”
Rabbrividì nell’istante stesso in cui quelle parole gli uscirono di bocca. Serrò gli occhi, maledicendosi mentalmente. Colpa sua e del suo terrore delle lacrime femminili. 
“Come?” balbettò Nora, arretrando lo stretto indispensabile per guardarlo.
“Certo, dovresti convivere con tre maschi allo stato brado”
“Parli sul serio?” chiese incerta lei, passandosi le mani sulle guance pallide.
Colpa sua e del fatto che erano solo le nove di un lunedì mattina.
“Per me non ci sono problemi. Non dimenticare, però, che vivresti a stretto contatto con il lui che fino a un quarto d’ora fa avevi il terrore d’incontrare”
Uno strano sorriso piegò le labbra di Nora che, dopo avergli scoccato un rapido bacio sulla fronte, mormorò:
“Ci sto”
Colpa sua, sì, in definitiva colpa sua. 

 

 

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