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Autore: Aurency    09/04/2008    0 recensioni
Introduzione rimossa perchè non presenta nessun riferimento alla trama della fanfiction.
Inserirne al più presto una valida.
Rosicrucian e Nami, assistenti ammnistratrici.
Genere: Avventura, Science-fiction, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4: Eventi di casuale Provvidenza

Il grande complesso sotterraneo di abitazioni, laboratori, ambienti di sostentamento e l'intera rete di gallerie comunicative venivano martellati da onde sismiche di eccezionale potenza che si intensificavano sempre di più, compromettendo qualsiasi cosa ne venisse colpita.
I secondi oltrepassavano i minuti e sembrava durassero ore. Il tempo scorreva inesorabilmente e con lui il sangue che in quei rigidi attimi si riversava sul pavimento di ogni locale occupato.
Fanny aveva riaperto gli occhi dopo quella breve quanto istintiva preghiera, ma presto fu costretta a richiuderli poiché una polverosa nube di detriti le si stava riversando tutt'attorno.
Quasi non riusciva più a respirare a causa della polvere e dell'angoscia, ma si fece forza e si scansò quel che bastava per evitare la cassaforte, che era in procinto di fare breccia nel soffitto abbattendosi su di lei.
Affrontò il dolore delle ferite alle mani e consumò le sue ultime forze per strisciare sul pavimento cosparso di frammenti di vetro. Vedeva nell'angolo del bagno l'unica e ultima possibilità certa di non essere travolti dal pesante forziere e, graffiandosi tutto il corpo, raggiunse l'angolo della stanza. Da lì riuscì a gettare un ultimo sguardo al soffitto che ad attimi sarebbe franato, poi perse conoscenza. Un istante dopo la terra smise di emettere le assillanti urla di disperazione che per decenni vennero assorbite dagli abissi del globo. Ma il pianeta insofferente e sconvolto non sarebbe potuto sottostare all'oppressione dell'artificioso impero del caos, instauratosi da quando la pecrossite infettò il ciclo naturale del mondo. Da decenni Madre Natura anelava all'armonia e all'equilibrio del creato, nei secoli sfigurato dall'uomo e in quegli ultimi anni dalla sua creazione ultima.
Ci furono periodi in cui Madre Natura sfogava i propri impeti di rabbia in devastanti cataclismi che si abbattevano in ogni parte del mondo; tuttavia nessuno che appartenesse alle comunità di sopravvissuti ne era mai stato vittima o anche solo testimone. Le tuonanti scosse si erano interrotte, pennellate di luttuosi minuti si susseguivano sulla tela della dissoluzione, dipingendo l'effigie della Morte in una cornice intagliata nella speranza e adornata dall'inganno. Chi riuscì a scampare alla catastrofe si aggirava ininterrottamente per la città in cerca di altri sopravissuti, finché i propri polmoni glielo avrebbero permesso. Molte tubature che portavano l'aria esterna, tanto irrespirabile quanto fondamentale, erano state recise e le fuoriuscite interessavano la maggior parte della città. I condotti di ventilazione diffondevano il gas letale nei luoghi dove questo non poteva arrivare a causa delle barriere tagliafuoco, che isolavano gli ambienti in caso di emergenza. Ma questa risultava una trappola mortale per chiunque non avesse altre vie di fuga, e anche per chi ne aveva. L'unica soluzione era giungere alle serre che disponevano di un sistema di filtraggio e di circolazione dell'aria molto più efficiente rispetto a quello degli altri locali; se la miscela aerea avesse raggiunto le piante queste sarebbero morte asfissiate.
Non era facile però recarsi ai vasti vivai: gran parte della città aveva subito un blackout, diverse strutture erano allagate, i tunnel di collegamento risultavano impraticabili a causa delle barriere tagliafuoco e delle macerie, anche se quest'ultimo disagio permise l'isolamento di alcune gallerie dal gas tossico. Ma anche se qualcuno fosse riuscito a raggiungere i vivai cosa avrebbe fatto poi? I filtri di quell'ambiente, pure potenti, non furono progettati per depurare l'aria. Quel compito spettava ai purificatori, che tuttavia non avrebbero potuto svolgere il loro compito senza elettricità.
Venticinque secondi. Tanto bastò a decimare gli abitanti, da diecimila che erano a un migliaio. Tuttavia numerose vite furono stroncate nei successivi dieci minuti a causa delle lesioni, dell'atmosfera, della disperazione...
Le probabilità che qualcuno riuscisse a salvarsi da una situazione simile erano una su un milione; neanche se tutta la popolazione della città fosse sopravissuta ci sarebbero state possibilità apprezzabili di mettersi in salvo.
Passò più di un'ora dal disastro e, se fino ad allora si sentiva qualche sordo passo, qualche soffocato colpo di tosse, qualche urla straziante implorante aiuto, ora vigeva la quiete e l'oscurità più totali.
Fanny incominciava a riprendere conoscenza. Riacquisì per primo il senso della vista, poi quello dell'udito e infine l'olfatto. Il tatto in realtà non lo aveva mai perso, continuamente sottoposto a dolori lancinanti com'era; furono proprio quei dolori a risvegliare la ragazza. I suoi occhi erano offuscati e a malapena distingueva i colori, si sentiva frastornata e non riusciva neppure a rialzarsi. Si fece coraggio e si adagiò con la schiena al muro. La testa le girava ancora, ma le forme si stavano delineando e i colori riprendevano tonalità. Aspettò ancora qualche istante prima di portarsi in piedi, mentre si copriva con una mano il profondo taglio che si era procurata sul braccio, strisciando tra i vetri. Appoggiò la testa alla parete piastrellata che la fiancheggiava, chiuse gli occhi e fece qualche respiro profondo; quindi si alzò reggendosi a un radiatore. Muoversi le era difficile: il pavimento era seppellito sotto più di mezzo metro di travi, blocchi di roccia, lamiere e l'arredo del piano superiore. L'imponente cassaforte era piombata di sotto pochi secondi dopo la fine del sisma, incastrandosi con uno spigolo nel pavimento per poi abbattersi contro la porta, sfondandola.
Fanny si fece faticosamente strada tra le macerie, salì sopra la cassaforte per poter uscire dalla stanza ma notò che la serratura del forziere era sbloccata a causa dell'urto. Esitò qualche istante, poi aprì lo sportello. Vi trovò una dozzina di custodie metalliche, alcune contenenti documenti cartacei, altre gettoni metallici colorati: i "crediti" che venivano utilizzati come denaro. Vide una scatola in particolare, diversa dalle altre perché di plastica; racchiudeva dei rotoli flessibili di un materiale che non aveva mai visto. Ne prese uno, lo distese e si accorse che lungo un'estremità si collegava ad un cilindro ricoperto di pulsanti sottilissimi di ogni genere. Uno riportava il simbolo di accensione tipico dei dispositivi elettronici, così lo premette: il rotolo diventò luminoso e su di esso iniziarono a scorrere parole ed immagini di qualità e fluidità formidabili. Capì subito che era uno di quegli arnesi iper tecnologici di cui i vecchi al bar parlavano per ore e si ricordò che furono fondamentali per trasportare con facilità dati di ogni tipo, quindi avrebbero potuto esserci anche filmati e fotografie della guerra. Fanny si trovava davanti a una pila intera di carta elettronica, ideata ancora prima del Duemila e progettata per funzionare anche con quantità di energia minime. Divenne funzionale ed economicamente accessibile a tutti solo dopo un quindicennio di miglioramenti e implementazione di applicazioni sempre nuove, fino a diventare un eccellente calcolatore mobile dotato di tutte le funzioni di un normale computer, e forse anche di più. Come la maggior parte dei consegni elettronici, venne deteriorato a causa della pecrossite e reso inservibile. Tuttavia i superstiti riuscirono, tra le altre cose, a conservarne qualcuno di ancora funzionante ma rimasero dimenticati, forse di proposito, in una scatola rinchiusa in una cassaforte. Fanny spense la pergamena digitale e la rimise nella custodia, che aveva intenzione di portarsi appresso finché gli sarebbe stato possibile, per esaminarne i contenuti con più calma. Ancora non poteva immaginare però cos'era realmente successo alla città e ai suoi abitanti, compresi i suoi genitori. Dolorante e ancora un pò confusa, si muoveva barcollando per il piccolo salotto in soqquadro gettando lo sguardo dappertutto, nella speranza di ritrovare la madre. Cercò in ogni stanza della casa, anche in cucina, dove si legò uno straccio umido intorno alla profonda ferita sul braccio. Cominciava a sentirsi debole, non riusciva a chiamare aiuto e il fatto di non essersi imbattuta in Franciska appena uscita dal bagno la rendeva agitata e maldestra nei movimenti. Il cuore stava accelerando il proprio battito, gli occhi stavano lentamente appannandosi e si sentiva la testa esplodere. Si apprestava a girare la maniglia della porta d'uscita ma il groviglio di dolori e sensazioni non glielo permise; collassò nuovamente ad un passo dalla soglia.

Mezz'ora dopo.

Jacob non rispondeva. Ma Nathan insistette, continuando a chiamare il suo nome.
«Rispondi, maledizione! Passo.» La voce di Nathan stava assumendo tratti di nervosismo e paura, ma egli andò avanti a chiamarlo.
Avanti, amico, rispondi. - pensò, fissando la ricetrasmittente che stringeva nella mano tremante, poi ritentò.
«Jacob, sono Nathan, mi ricevi? Passo.»
Alla radio giunse un segnale disturbato dal quale si potevano distinguere urla e colpi di fucile. Nathan ascoltava terrorizzato, poi all'improvviso la trasmissione cessò. Nathan urlò il nome dell'amico alla trasmittente, ma non riceveva risposta. Si aspettava il peggio, quando dalla radio giunsero dei respiri affannati, seguiti dalla voce di Jacob.
«Nathan... sono io... Passo...» disse a fatica.
«Jacob! Grazie al cielo... Sei ancora vivo! In che condizione ti trovi? Ce la fai a raggiungermi? Passo.»
«Sto bene, non ti preoccupare... Quell'ammasso di latta l'ho fatto accomodare... all'inferno. Ho qualche lieve graffio, ma... non è nulla in confronto alla testa... crivellata che quel robot si è guadagnato. Passo.»
«Ah Ah! L'umorismo è l'ultima cosa che abbandoneresti, vero? Ora, l'armatura gli si sta schiarendo? Passo.»
«Lo sta facendo proprio ora. Passo.»
«Cavolo, la nostra sala dei trofei traboccherà se andiamo avanti così. Bene, ora sbrighiamoci, raggiungimi nel settore... Dannazione!»
«Nel settore cosa? Nathan, che diamine sta succedendo? Passo.»
«Ho una traccia di calore sullo schermo! E' molto debole, devi fare in fretta! Settore... eh... settore DQ-24, ala est! Vado a controllare, tu muoviti con quel maledetto primo soccorso! Passo.»
«Nathan, a che piano? Passo.» Jacob attese qualche secondo, «Nathan, sei ancora lì? Ah, al diavolo.»
Ma Nathan aveva già riposto la radio ed il visore a infrarossi nello zaino e, indossando la maschera antigas, correva verso l'obiettivo. Jacob si diresse alla successiva barriera tagliafuoco che doveva manomettere per poter raggiungere l'amico e soccorrere la persona che Nathan aveva individuato.

  
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