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Autore: _Safyra    18/10/2013    3 recensioni
Wanda si era salvata. Adesso era rinchiusa in un altro corpo. Felice. Amata dall'uomo che non aveva mai pensato potesse innamorarsi di lei.
Aveva ricominciato una nuova vita, la sua decima vita, ed era ora di iniziare a godersela. Ad imparare che in quel mondo non esistevano soltanto la compassione, il dolore e l'indulgenza, ma anche il piacere, il desiderio... l'amore di una famiglia, di un uomo.
Non sapeva che là fuori, oltre quelle caverne e quel deserto, c'era un mondo pronto ad accoglierla.
Wanda non sapeva nemmeno di essersi fatta un altro nemico... Ma non c'era fretta. Doveva scoprire molte altre cose oltre a quello.
Dalla storia:
Incrociai lo sguardo di Ian per un interminabile istante. Un istante interrotto da un colpo di scena.
Rimasi impietrita quando vidi esplodere il capannone che avevo di fronte.
Avevo cantato vittoria troppo presto [...]
Avevo promesso. Non lo avrei mai abbandonato.
«Wanda... non c'è più niente da fare, capisci? È andato ormai» singhiozzava Brandt dopo avermi preso il volto fra le mani.
«No» dissi «No. Ian non è morto»
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian, Jared, Melanie, Quasi tutti, Viandante
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Up In The Sky - the serie '
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8



Inizio

 

Il resto della giornata lo passai a sistemare varie cianfrusaglie. Avrei preferito passare il pomeriggio con i miei amici, ma dato che l'aria che si respirava nelle grotte era pregna di preoccupazioni e ansie che non volevo sopportare, rimasi in camera mia a riempire il mio borsone di provviste e vestiti.

Avrei preparato anche quello di Ian, se non fosse stato per il fatto che mi avesse letteralmente vietato di farlo mentre sarebbe stato via.

Un'espressione alquanto contrariata si stipò sul mio viso non appena pensai al fatto di non poter passare quelle ultime ore con lui.

Prima di lasciarmi da sola mi aveva detto che sarebbe andato a fare una commissione, senza però darmi un'idea di quando sarebbe tornato.

Da un lato la cosa mi rattristava, da un altro però mi sollevava, perché così almeno avrei potuto trascorrere un po' di tempo in solitudine. Magari a scervellarmi sulla maglietta che avrei indossato quella sera per la partenza; oppure a ripensare ai trascorsi della notte precedente, che mi impedivano di preoccuparmi per cose ben più importanti.

Ed era proprio per quest'ultima motivazione che mi ritrovai a sorridere come una stupida, seduta su quel letto.

Accarezzai distrattamente le lenzuola immacolate che lo rivestivano, come a carpirne i segni indelebili di ciò che era accaduto qualche ora prima. Ricordare mi alienò per qualche istante dal mondo reale, catapultandomi dentro una stanza buia con un grande schermo illuminato, in cui si susseguivano le immagini di me ed Ian. Ian, che aveva riempito ogni singolo centimetro del mio corpo dei suoi baci, delle sue carezze che mi avevano agitato le farfalle nello stomaco, del mio nome che aveva sussurrato contro le mie labbra per non so quante volte.

Toc. Toc.

Chiunque avesse appena bussato alla porta, doveva avere avuto un buon motivo per venire a disturbarmi e ad interrompere il mio sogno ad occhi aperti. Decisamente.

Tuttavia quando raggiunsi la sogna della stanza e spostai il pezzo di legno che fungeva da porta, ogni mia vaga idea di fare una sfuriata alla persona che mi sarei ritrovata davanti andò in fumo nello stesso momento in cui questa mi sorrise benignamente.

«Ciao, tesoro. Come mai da queste parti?» Chiesi mentre mi spostavo per farla entrare nella stanza.

«Dovresti immaginarlo...» disse dopo che chiusi la porta e mi voltai per darle tutta la mia attenzione.

«Non ho ancora imparato a leggere nel pensiero, Mel.» risposi, vestendo le mie parole di un alone ironico. Mi appoggiai al muro adiacente alla porta, a braccia conserte, osservandola sedersi su quel letto dove un attimo prima c'ero stata io.

Il pensiero mi fece quasi arrossire. Quasi.

Il viso di Melanie nel frattempo si era illuminato di un sorriso pieno di significati.

Capii qualcosa, ma non volli provare a indovinare.

«Ma dovresti leggere nel mio.» replicò, riservandomi un'occhiata piuttosto eloquente.

«Mmh, vediamo...» cominciai, falsamente soprappensiero, mentre andavo a sedermi accanto a lei «Qualcuno è riuscito a chiarire col fidanzato?»

Ovviamente Melanie intese la mia domanda retorica e non perse nemmeno tanto tempo ad attaccare col suo discorso di ringraziamenti.

«Ti prego, non farlo.» la interruppi, ancor prima che potesse parlare, appoggiando una mano sulla sua.

Lei ridacchiò, e prontamente rispose in modo da non farmi controbattere.

«Ma Wanda, come potrei non ringraziarti? Se non fosse stato per te saremmo ancora arrabbiati l'uno con l'altro e non avremmo nemmeno preso una decisione.»

Sorrisi, inorgoglita dalla sicurezza della mia amica.

«Quale decisione?» chiesi poi, confusa.

Mel alzò gli occhi al cielo, come a palesarmi il fatto che dovessi sapere anche di quel dettaglio. «Veniamo in missione, Wanda. Insieme.»

Socchiusi le labbra, non tanto stupita per essere riuscita a farla ricongiungere a Jared, quanto più sorpresa dalla coraggiosa scelta che lui aveva preso.

«Wow. Be', sono felice per te!»

«Grazie, Wanda. Davvero.» mormorò. Gli occhi le brillavano di gioia.

Era bello sapere che, sebbene oltre quelle mura la gente fosse triste per la partenza imminente di gran parte di noi, qualcuno come me e Melanie riuscisse ancora a mettere da parte quel particolare per continuare a vivere serenamente i propri attimi di felicità.

«Vieni qui.» le ordinai mentre la attiravo a me e la stringevo in un caloroso abbraccio.

Un abbraccio che sapeva di affetto fraterno e di un'intesa che possedevamo solo noi due.

Mel mi strinse a sua volta. «Ti voglio bene, Wanda.» mormorò, e dal suo tono mi parve quasi che stesse sorridendo.

«Ti voglio bene anch'io.»

«Certe volte mi domando come avrei fatto senza di te.» pensò fra sé e sé, dopo che ci staccammo.

Scossi la testa e sorrisi, dandole un giocoso pugno sulla spalla.

«In realtà questa domanda me la sono sempre posta io.»

Mel rise e nel frattempo si guardò intorno, curiosa. «Vedo che hai già iniziato a prepararti.»

«Sì.» dissi, alzandomi per ritornare a prendere qualche vestito dall'armadio e metterlo dentro il borsone «Ian è dovuto andare via, perciò sono rimasta qui a sbrigarmela da sola.»

«Anche Jared e Jamie se ne sono andati.»

«Jamie?» chiesi, perplessa e divertita allo stesso tempo. Quel ragazzino era impressionante.

Melanie si passò una mano tra i capelli e chiuse gli occhi, esasperata. «Sì... Sharon l'ha rimesso in punizione ed è toccato a me e Jared tenerlo buono per tutto il giorno. Mi ha anche chiesto se poteva venire con noi in missione.» sospirò «Ovviamente gli ho detto di no.»

Corrugai la fronte, osservando il viso contratto di Melanie. «Dovresti iniziare a lasciarlo un po' andare, Mel... Non è più un bambino.»

«Sì, ma... non voglio che corra alcun rischio. Non stavolta almeno. Jared gli ha fatto fare le ossa già quando non c'eravamo. E per me questo basta e avanza.»

Le sorrisi, compassionevole, pensando di rassicurarla con una delle mie perle di saggezza, ma non ne trovai, dato che non ebbi neanche il tempo di assemblarle mentalmente che il rumore familiare della porta che si spostava giunse alle mie orecchie.

Certamente le persone che potevano entrare in quella stanza senza bussare non erano molte: una era la sottoscritta, mentre l'altra stava senza dubbio entrando in quel momento.

«Oh» esordì Ian dopo aver chiuso la porta ed essersi girato verso di noi «Melanie.» aggiunse, rivolgendosi a lei con un cenno del capo.

Mel mi lanciò un'occhiata, poi si alzò e sorrise. «Ian. Come va?»

«Bene, grazie.» rispose l'altro, rivolgendole un mezzo sorriso. Li osservai scambiarsi qualche battuta informale per un minuto, constatando la presenza di una parsimoniosa dose di imbarazzo nella voce di ciascuno. Be', non potevo biasimarli: Ian e Melanie erano diventati amici perché l'avevo voluto io, altrimenti non si sarebbero mai scambiati una parola.

E la cosa mi lasciava allibita, dato che entrambi erano belli abbastanza da poter fare coppia.

Quel pensiero passeggero ostruì per un istante le immagini della notte prima, che, quasi irritate, tornarono a prorompere nella mia mente.

«Comunque Jared ti sta aspettando.» disse infine Ian ad una Melanie sul punto di andarsene.

«Lo sospettavo. Be', allora ci vediamo dopo.»

«A dopo.» la salutai mentre la guardavo darmi le spalle e scomparire dietro la porta.

Ian, rimasto fino ad allora sulla soglia della stanza, si avvicinò piano a me, sorridendo sempre di più man mano che le nostre distanze si accorciavano.

«Ciao anche a te.» mormorò ad un soffio dalle mie labbra quando mi prese per i fianchi e mi fece scontrare col suo petto.

«Ciao.» gracchiai un attimo prima che la sua bocca catturasse la mia.

E un attimo dopo mi ritrovai ad essere trascinata lentamente verso il nostro letto. Ian mi accompagnò piano sul materasso, posizionandosi sopra di me.

Una leggera risata, che in seguito realizzai essere la mia, si propagò nella stanza dopo che le sue labbra, dalla bocca passarono a lambirmi il collo, facendomi il solletico.

«Mi sei mancata.» sussurrò contro la mia clavicola, prima di scostarsi da me per incatenare i nostri sguardi.

«Anche tu.»

«Sbaglio o sei riuscita a far ricongiungere quei due?» disse poco dopo, mentre giocherellava distrattamente con una ciocca dei miei capelli.

«A quanto pare...»

Per un attimo mi sembrò quasi di sentire il battito impazzito del mio cuore infrangersi contro lo sterno di Ian, che nel frattempo aveva scostato con un dito l'orlo dei miei jeans per accedere al loro interno.

Una serie di incontrollabili brividi di piacere violarono la mia schiena, che si inarcò impercettibilmente, aderendo al suo petto. Lo lasciai fare finché il piacere di avere la sua mano quasi nelle mutande non divenne troppo, quindi, onde evitare l'inevitabile, ribaltai le posizioni, ritrovandomi cavalcioni su di lui – ma soprattutto con una mano in meno a riempirmi i jeans.

«Che c'è?» mi chiese con un'espressione divertita e sconsolata allo stesso tempo. Mi misi a sedere su di lui, tracciando con un dito il profilo del suo petto, perfettamente visibile anche se a coprirlo c'era una maglietta grigia.

«Non sai proprio trattenerti.» sussurrai, mordendomi un labbro. L'ombra di un sorriso a sondare il mio viso e a far intendere ad Ian che stavo solo giocando.

In risposta lui mi prese per i fianchi e velocemente mi fece ritornare sotto il suo corpo. Difficile resistere alla forza con cui mi spinse sul letto.

«Mi sono trattenuto per troppo tempo.» soffiò mentre mi asserviva alla sua bellezza con quel gioco di sguardi che solo lui sapeva fare.

Rividi il riflesso dei miei occhi nei suoi, poi più niente. Solo la sua bocca a catturare di nuovo la mia e ad impedirmi di controbattere alla sua affermazione.

Non so per quanti minuti o ore andammo avanti così, ma posso dire che dopo quelli che mi parvero secoli, riuscimmo a staccarci, sdraiandoci l'uno di fronte all'altro.

«Jeb mi ha parlato» iniziò Ian, sereno «Ha formato tre gruppi, così da poterci dividere in base alla zona in cui andremo a rifornirci.»

Durante la pausa che fece mi sembrò quasi di percepire la paura che lo aveva reso improvvisamente serio investire il mio corpo, impermeabile a quell'emozione. Perché a me in realtà non scalfiva il fatto di dover andare in missione coi Cercatori alle calcagna.

A me importava solo sapere che potevo rimanere con Ian sempre e comunque, e che i ragazzi quaggiù sarebbero rimasti al sicuro.

«Saremo insieme a Melanie, Jared, Aaron e Brandt. Trudy, Jeb e gli altri faranno parte del secondo gruppo.» aggiunse.

«Lacey non verrà.» constatai, senza far trapelare un minimo di apprensione dalla mia voce.

«No. Ci sarebbe solo d'intralcio.» disse mentre si metteva a pancia in su a fissare il soffitto della nostra stanza.

«Dove andremo noi?» domandai, senza smettere di guardarlo.

«Toccheremo le solite città: Phoenix, Casa Adobes, Tucson. E poi torneremo a casa.» rispose, sorridendo debolmente.

«Phoenix?» chiesi, corrugando la fronte. Non ci andavo da quando Melanie mi aveva spinta a scappare di casa per trovare Jared e Jamie.

Dai ricordi sbiaditi, tristi e oscuri che ne conservavo, sembrava essere passata una vita dall'ultima volta in cui ci avevo messo piede. Non la consideravo nemmeno più "vecchia casa". Me ne ero semplicemente dimenticata.

«Sì.» replicò Ian, per niente a conoscenza dei pensieri che stavano occupando la mia mente. Tuttavia, grazie a non so quale potere, si incuriosì abbastanza da lanciarmi un'occhiata indagatrice e invogliarmi a parlare.

«Sai, è da lì che sono venuta... dove hanno portato me e Melanie per unirci.»

Ian rimase in silenzio, tornando a fissare il soffitto.

Non sapevo quale effetto gli potessero fare le mie parole. Probabilmente si immaginava Phoenix piena di Cercatori, Guaritori, stanze luminose e crioserbatoi: tutti uniti per dare la possibilità alle anime di rubare la vita degli umani e farla propria espropriando loro qualsiasi tipo di ricordo.

«Non me lo avevi mai detto.»

«Se non sbaglio mi ero confidata solo con Jamie. Forse. Sai, tu eri nella lista delle persone che volevano liberarsi di me...» borbottai, dipingendo le mie parole con un po' di ironia per rendere la finta offesa una giocosa battuta.

«Se quel piano fosse andato in porto, non me lo sarei mai perdonato.» rispose sommessamente Ian, prendendomi per mano.

«Non avresti detto la stessa cosa allora.»

«Allora non sapevo che mi sarei innamorato di te.» disse, voltandosi a guardarmi.

Eccola, la sua controbattuta. Pronunciata con così tanta sicurezza, innocenza e dolcezza da bloccarmi le parole in gola.

Mi limitai a socchiudere la bocca, come se stessi per rispondergli, ma ciò che feci fu molto diverso: allungando una mano ad arpionare il colletto della sua maglietta, lo strattonai letteralmente per avvicinarlo a me e sigillare le sue parole con un bacio.

«Ti amo.» gli sussurrai mentre facevo scontrare le nostre fronti.

«Ti amo.» mormorò lui, accarezzandomi una guancia.

 

 

§

 

 

Non era la prima volta che andavo in missione. E per i miei standard, se avessi superato questa, non sarebbe stata nemmeno l'ultima.

Eppure ogni volta mi sembrava di vivere una nuova esperienza; forse questo succedeva perché mi dimenticavo cosa volesse dire lasciare i miei amici e la "mia" casa per un periodo che di solito andava dalle due alle tre settimane.

Il momento del saluto era quasi sempre legato a quello del raccoglimento delle varie richieste, che venivano espresse per lo più dai bambini.

Andandocene infatti avevamo ottenuto ben tre ordini: Isaia, uno dei figli di Lucina, ci aveva chiesto di portargli dei colori nuovi perché i suoi si stavano consumando; Freedom invece si era limitato a "ordinare" un'altra maglietta di Superman; infine c'era stato Jamie.

E lui, si sa, non era un ragazzino come tanti.

 

«Fammi indovinare.» gli dissi ancor prima che potesse parlare, pensando a quello che voleva.

«No, Wanda. Non voglio niente stavolta.» rispose, abbassando il capo per nascondermi la tristezza che gli velava gli occhi.

Inclinai la testa per riuscire a guardarlo bene, appoggiando una mano sulla sua spalla. «Ehi, Jamie.»

Lui continuò a tenere lo sguardo basso, senza però sapere che io ero comunque riuscita a vedere una lacrima solcargli il viso.

«Sarei voluto venire.» mormorò, la voce incrinata dal pianto che cercava di trattenere. «Ma Melanie non ha voluto.»

Sebbene non fosse la cosa più appropriata da fare, sorrisi.

Capivo Jamie, ma capivo anche che prendere parte alla missione era troppo al di sopra della sua portata.

«Lei pensa che io sia ancora un bambino, ma in realtà non è così.» sbottò, mantenendo comunque un tono di voce basso per evitare di attirare l'attenzione dei presenti.

E anch'io, per sfuggire a orecchie indiscrete, limitai le mie parole ad un sussurro.

«Jamie... credimi, Melanie lo sta facendo solo per proteggerti.»

«Lei lo fa sempre per proteggermi.»

«Stavolta è diverso. E poi tu devi rimanere qui ad aiutare Doc. Sarà lui a sostituire Jeb per un bel po', sai?»

Jamie annuì, continuando però a tenere il broncio.

«Ehi. Guardami.» lo incitai, obbligandolo ad incrociare il mio sguardo. «Non c'è davvero niente che vorresti?»

Dal momento che non si aspettava una domanda del genere, fu più che giustificabile quando si mise a ridere per l'esasperazione.

«Lo so che c'è qualcosa...» aggiunsi, cercando di fargli pensare a tutto tranne che alla sua ossessione. E un sorriso sornione iniziò ad aleggiare sulle labbra di entrambi.

«Dimmelo, su.»

«Portami un pallone.» disse quando si decise ad alzare il capo e a togliersi quella patina di tristezza dal viso.

«Bravo, ragazzo.» gli risposi, scompigliandogli i capelli castani.

«Ma state attenti.» aggiunse mentre lo abbracciavo e depositavo un bacio tra la sua folta chioma.

«Lo saremo.»

Jamie mi lanciò un ultimo sguardo prima che mi voltassi e raggiungessi i ragazzi all'uscita delle grotte.

Ero certa di poter contare sulla sua fiducia, perché, andasse come andasse, noi avremmo sempre trovato il modo per ritornare.

Soprattutto per portargli quel pallone.

 

E dire che erano passate quasi due settimane da quando avevamo avuto quella piccola conversazione.

Quei primi quattordici giorni erano passati tranquillamente, senza il minimo sospetto che i Cercatori ci avessero seguiti o anche solo visti.

Ed essendo usciti dalle grotte di notte, le probabilità che ciò fosse accaduto erano state molto basse. I nostri presupposti però furono confermati solo qualche giorno dopo, quando i nostri due gruppi si separarono e nessuno dei due vide anche solo l'ombra dei Cercatori.

Erano spariti.

«Allora, ragazzi... sono quasi le otto di sera. Io ho bisogno di una bella dormita e di qualcosa da mangiare.» disse Aaron, seduto sul retro del camion su cui viaggiavamo da quando eravamo partiti.

«Conosco un albergo qui vicino. È poco distante dalla mia vecchia casa.» esordii, voltandomi a guardare Aaron, Melanie e Jared, seduti sul retro del camion tra i pochi scatoli di cibo e vestiti che avevamo accumulato.

«Quello vicino all'ospedale?» mi domandò Mel, alzandosi per venirsi ad appoggiare allo schienale del sedile di Ian, che stava guidando.

«Sì...» risposi, perplessa. «Te lo ricordi?» le chiesi.

«Vagamente.» disse, facendo spallucce, per poi alzare lo sguardo sulla strada che stavamo percorrendo.

Strada che sembravo conoscere, anche se a Phoenix non ero potuta vivere così a lungo da poter imparare le varie vie che conducevano al centro città, in cui si trovava l'ospedale e quindi il nostro hotel.

«E dov'è questo albergo?» domandò poco dopo Ian, mentre appoggiava un braccio al finestrino e rallentava davanti ad un incrocio.

«Segui i cartelli che portano all'ospedale.» dissi, indicandogli la serie di insegne affisse sotto un semaforo che da rosso diventò verde.

«Okay.» rispose, prima di essere contagiato dal mio stesso sbadiglio.

Sorrisi, adagiandomi mollemente sul sedile del furgone.

Quel giorno avevo girato come minimo quattro o cinque supermercati, recitando alla perfezione la parte della felice anima che andava a fare la sua felice spesa in un felice supermercato. Era strano che col tempo mi ero quasi dimenticata dell'innata gentilezza e pacatezza con cui ti trattavano le anime. Sembrava che vivessero in un mondo parallelo in cui tutto era l'opposto della realtà. Ogni cosa era in pace, giusta, anche se oltre i confini delle città esistevano dei ribelli che non avevano mai voluto far parte di quel mondo troppo astratto per poter essere integrato al loro.

Il suono familiare del motore che si spegneva e delle chiavi che venivano estratte dal quadro mi riportarono al presente, ridestandomi dalla sorta di dormiveglia in cui ero caduta. Ma ciò che veramente mi riscosse dal mio leggero sonno fu la voce dolce di Ian che, accarezzandomi le orecchie, mi fece riaprire gli occhi.

«Ehi.» mi mormorò ad una spanna dal viso «Siamo arrivati.» aggiunse mentre io mi stiracchiavo e mettevo a fuoco i lineamenti del suo viso: due ombre leggermente più scure del solito circondavano i suoi occhi: anche lui era stanco.

Mi tirai su e, sorridendogli appena, balbettai un flebile "okay". Ian mi ricambiò, poi annullò la distanza che divideva i nostri visi per lasciare un languido bacio sulle mie labbra.

«Ragazzi, forza!» esclamò Melanie, già scesa dal furgone insieme agli altri.

Ian sospirò e, alzando gli occhi al cielo, mi aprì la portiera per aiutarmi a scendere.

«È questo?» domandò Brandt, indicando con un cenno del capo l'edificio grigio fumo che si erigeva davanti a noi, quando lo raggiunsi.

Vicino all'entrata, l'insegna dell'albergo era illuminata a scatti da un neon arancione.

«Okay, tu prendi questa.» disse Melanie a Brandt mentre gli porgeva una bottiglia di vetro vuota.

«Perché?» chiese l'altro, dopo essersi messo gli occhiali da sole.

«Dobbiamo sembrare ubriachi.» borbottò Melanie mentre indossava i suoi. Jared ridacchiò, prendendo dal suo zaino un'altra bottiglia di vetro.

«Perché?» replicò di nuovo Brandt, senza riuscire a capire.

«Bra.» lo richiamò Ian, esasperato «Dovrai pur indossare questi occhiali per qualche motivo, non credi?» gli disse indicando quelli che aveva appena inforcato. «O pensi che vada di moda usarli alle otto di sera per proteggersi dalle luci dei lampioni?»

Brandt d'un tratto scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Evidentemente aveva capito dove volesse andare a parare Melanie.

«Sei molto creativa, sai?» la incalzò prima di incamminarsi verso la porta.

«Lo prendo come un complimento.» borbottò lei, mentre raggiungevamo l'ingresso dell'hotel a due stelle.

Appena aprii la porta, i miei amici iniziarono a spingersi e scherzare allegramente tra di loro, inscenando la parte di cinque stupidi giovani che avevano bevuto qualche birra di troppo.

La parola ovviamente fu lasciate a me e ai miei occhi azzurrissimi, che fecero credere la donna della reception alla nostra montatura. Riuscii a farle scappare anche un mezzo sorriso quando Ian appoggiò un braccio sulle mie spalle mormorando qualcosa come "sei bellissima" .

«Vorrei prenotare una stanza per... sei.» dissi all'impiegata, sorridendole.

Subito lei spostò l'attenzione sul computer che aveva difronte, ticchettando le dita sulla tastiera.

«Non ne abbiamo una per sei, ma sono sempre disponibili due da tre.» rispose, dopo aver controllato chissà cosa.

Lanciai uno sguardo ai miei compagni, alle mie spalle, e ritenendo impossibile ottenere un segno d'assenso da cinque presunti "ubriachi", tornai a guardare la donna oltre il bancone.

«Vanno bene due da tre.»

«Okay...» rispose quindi lei, ritornando a guardare lo schermo del pc. «A nome di chi devo prenotare le stanze?» domandò poco dopo, usando un tono gentile.

«Guglie di Vetro.» Pensai ad un nome a caso tra quelli più comuni fra le anime, sfoderando un finto sorriso per nascondere l'agitazione che d'un tratto aveva fatto accelerare i battiti del mio cuore.

Ian si appoggiò al bancone, cercando di leggere qualcosa nello schermo del computer, mentre io mi guardai attorno. Qualche impiegato passeggiava lentamente per la hall dell'albergo, altri due se ne stavano vicino alle scale che portavano sicuramente alle camere.

Eravamo circondati da anime che sotto le loro divise eleganti, costituite da giacca e cravatta, avrebbero potuto nascondere una pistola in caso di emergenze.

Il pensiero che uno di quei due uomini vicino ai gradini avesse potuto puntarcela addosso mi fece silenziosamente trasalire.

«Ecco le chiavi. I numeri delle camere sono 314 e 316.» l'impiegata mi porse due chiavi magnetiche, poi estrasse due fogli dalla stampante accanto al pc.

«Puoi mettere una firma qui, per favore?» mi chiese, indicando due spazi vuoti dei documenti appena stampati.

«Certo.» risposi, con voce non proprio ferma, mentre afferravo la penna accanto ai fogli. Feci due scarabocchi in corrispondenza degli spazi indicati, poi alzai lo sguardo sulla donna.

«È tutto?»

«Sì.»

«Allora grazie.» sorrisi.

«Grazie a voi. Buona permanenza.»

Ci dirigemmo verso le scale con fare molto più composto rispetto a quando eravamo entrati, squadrando dall'alto in basso i due simpaticoni vicino alle scale che ci augurarono una buona serata con un sorriso forzato stampato in faccia.

«Che strano albergo.» borbottò con un cipiglio a solcarle la fronte Melanie, mentre salivamo le due rampe di scale che ci avrebbero portati alle camere «Non ha un ascensore!» mormorò sottovoce, rispondendo all'espressione interrogativa che si era dipinta sul viso di Brandt.

«Sempre meglio di uno scomodo furgone.» squittì Jared quando arrivammo al secondo piano.

«Già.»

Il corridoio era illuminato da alcune lampade a muro che tappezzavano a intervalli regolari le pareti scolorite e rendevano l'atmosfera consona ad un luogo in cui poter riposare. Chissà se c'erano altre anime nelle stanze adiacenti alle nostre?

«308... 310... 312...» mormorava tra sé e sé Aaron, leggendo le targhette di ciascuna porta.

«314 e 316!» esclamò Melanie quando trovammo le nostre.

«Okay... come ci dividiamo?»

«Beh, Brandt, non credo che questi due possano staccarsi dalle loro fidanzate, quindi...» Aaron schernì Ian e Jared senza cercare di offenderli, poi ci fece l'occhiolino e sfilò dalla mia mano una delle due chiavi magnetiche.

«Io sono qui... Se avete bisogno sapete dove trovarmi.» farfugliò mentre apriva la porta ed entrava nella stanza 314.

Melanie mi diede una spallata, alzando gli occhi al cielo per l'esasperazione. Il che non mi fece far altro se non che sorridere divertita.

«Andiamo, Jared. Tappiamo la bocca a questo single emancipato. Buona notte ragazzi.»

«'Notte.» dissi, guardandola chiudersi la porta alle spalle e farmi rimanere sola con Ian e Brandt.

«Bene.» affermò quest'ultimo, prendendomi l'altra chiave di mano per poter aprire la nostra stanza.

Non sapevo quanto si potesse sentire in imbarazzato Brandt. Lui non arrossiva come me quando si sentiva a disagio, anzi si zittiva e lasciava intendere che era meglio far finta di niente.

Fu per questo motivo che dal momento in cui entrammo nella stanza fino a quando non ci mettemmo sotto le coperte – coperte che tra l'altro appartenevano a tre letti singoli in cui sia Ian che io non eravamo del tutto sicuri di dormire senza averne prima avvicinati due – non spifferò nemmeno una parola.

 

Spazio autore DA UCCIDERE:

 

 

Già, non è un miraggio quello che avete appena letto. È DAVVERO l'ottavo capitolo per cui vi ho fatto aspettare due mesi e mezzo.

Vi sarete chieste dove sono finita, che cosa ho fatto, perché ho pubblicato dopo tremila anni.

E avete ragione. Dannatamente ragione. Ma dovete perdonarmi e credermi sulla parola che tra la scuola che è ricominciata, vari problemi e soprattutto troppo poco tempo da dedicare alla scrittura, non sono riuscita a mettere su schermo – e non su carta (sembrerebbe troppo fuori moda) – nemmeno UNA riga.

E io non voglio perdere le ragazze che premurosamente hanno sempre recensito spendendo un po' del loro tempo per dirmi cosa ne pensavano di ciascun capitolo solo per questo imperdonabile ritardo D:

Perciò vi chiedo scusa e spero che abbiate gradito questo aggiornamento :)

Dal prossimo inizierà ad esserci un po' più di movimento, dato che ormai Wanda e i suoi prodi hanno visitato il paese vicino di Casa Adobes (cosa non scritta nel capitolo ma che verrà fuori nei prossimi) e che quindi resta da passare a Tucson e finire Phoenix.

Per quanto riguarda l'altro gruppo di cui ho fatto riferimento a inizio capitolo, vedremo come se la saranno cavata solo nel prossimo episodio ^.^

Beh, che dire... vi è piaciuto? :) Spero di sì!

Un abbraccio di scuse a tutti,

Sha

 

P.S. Non potevo lasciarvi senza qualcosa per cui farmi perdonare, così ho deciso di farvi un regalino... rivelandovi il volto dell'Ian che mi immagino dall'inizio della storia!!
La prossima volta toccherà a Wanda! ;) 

 

 

Cosa ne pensate??? :)

   
 
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