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Autore: Cloudsoftime    18/10/2013    1 recensioni
è la mia prima ff sui Simple Plan, volevo tanto scrivere qualcosa su Pierre e David. Questo è quello che la mia testa ha fruttato. David, per svariati motivi che scoprirete leggendo, compirà un viaggio e in mezzo a mille perchè scoprirà qualcosa di straordinario. Hott Baguettes
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chuck Comeau, David Desrosiers, Jeff Stinco, Pierre Bouvier
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi finalmente! Scusate le mia vergognosa assenza, ma la scuola mi porta via troppo tempo. Ho fatto molta fatica a scrivere questo capitolo, mi sembra abbastanza deprimente. Ma va bene così, c'è sempre il lato depresso nelle storie! Buona lettura :)



Scendo dalla macchina di Chuck e recupero la valigia dai sedili posteriori. È già arrivato il momento di partire, non mi sembra vero. Il mio umore si è fatto sempre più cupo da quando Pierre mi ha chiesto una pausa. Ho cominciato a chiudermi in me stesso lasciando fuori persino l'unico amico che ho che, invece, cerca sempre di tirarmi su di morale con qualsiasi cosa gli passi per la testa. Non so quanto possa farlo star meglio questa situazione, ma lui non mi ha mai detto di no, non mi ha mai lasciato da solo. Non so cosa pensare. So solo che dentro di lui non è tutto a posto anche se continua a ripetermi il contrario. È tutto così insensato e ingiusto.
Ci avviamo all'aeroporto silenziosi, senza sapere cosa dirci. La mia valigia pesa come una dannata e mi crea non pochi problemi a trascinarla dietro. Accendo una sigaretta, ci fermiamo alle strisce pedonali e una macchina sfreccia davanti a noi senza farci passare. Chuck mormora qualcosa, mi sembra un insulto o qualcosa del genere. Riprendiamo a camminare e l'immagine di Pierre che se ne va sbattendo la porta si para nella mia mente. Fa male, non riesco a sopportarla, ma non se ne vuole andare. Mi fermo, fisso il marciapiede davanti a me trattenendo il fiato.
-David-
Chuck mi prende per un braccio scuotendomi. Strizzo gli occhi, faccio un tiro dalla sigaretta e lo guardo. Lui non mi dice niente, ma sa cos'ho. Entriamo nell'aeroporto sorpassando le porte scorrevoli e ci avviamo alle partenze. La fila per il controllo non è molta quindi ho ancora un po' di tempo da passare con Chuck anche se non ho la minima idea di cosa dirgli.
-Cos'hai intenzione di fare David?-
Chuck mi precede ponendomi la la domanda più difficile di questo mondo. Ci penso un attimo, mi siedo sulla valigia e lo guardo.
-La domanda è cosa devo fare-
Sussurro e la voce mi si strozza in gola per colpa delle lacrime.
-David non farmi preoccupare, ti prego-
Chuck mi sta supplicando, devo resistere per lui. Sarà un suicidio passare un mese dall'altra parte del mondo in questa situazione. È un suicidio non aver detto niente a Pierre, non avergli dimostrato ciò che provo veramente per lui ed è un suicidio lasciare qui Chuck che mi guarda con quegli occhi.
-Hai preso tutto?-
Mi chiede poi. Se in “tutto” è compreso il mio cuore a pezzi lo dimenticherei volentieri a casa.
-Si, certo-
-Anche le pastiglie-
Una morsa mi stringe il petto.
-S-si-
Da quando Pierre mi ha lasciato ho cominciato a soffrire di attacchi d'ansia e rabbia improvvisi. In più mi sono accorto che, in determinate situazioni, mi chiudo in me stesso senza prestare la minima attenzione a quello che mi succede intorno. Mia madre mi ha rifilato queste pastiglie che dovrebbero farmi stare calmo e attento, ma la maggior parte delle volte non funzionano.
-Devi andare adesso-
Chuck ha ragione, devo andarmene da qui. Annuisco e mi alzo afferrando la valigia praticamente vuota e la borsa. Mi guardo intorno osservando la gente che corre per prendere l'aereo, gente che si accalca per fare la fila al metal detector e mi sento ancora più triste. Poi sposto lo sguardo su Chuck, ha gli occhi lucidi. Lo abbraccio nascondendo la faccia nell'incavo della sua spalla e piango. Lo sapevo, non sono riuscito a resistere. Lui mi accarezza la testa poi mi prende per le spalle e mi stacca da se.
-Vai-
Mormora. Annuisco ancora perchè non riesco a parlare.
-Ti voglio bene-
Sussurro cercando di non scoppiare a piangere come una fontana. Chuck mi sorride malinconicamente, ma bacia la fronte e si incammina verso l'uscita. Lo osservo andar via, gli avrei voluto dire così tante cose che l'avrei trattenuto per ore. Invece mi giro anche io e mi metto in coda camminando lentamente. Nessuno si cura di me, poteri anche superare tutti che nessuno si accorgerebbe. Mi sento invisibile. Arrivo in fretta al controllo, un uomo alto quasi due metri mi dice di svuotare le tasche e di appoggiare tutto sul nastro. Mi giro un un'ultima volta per vedere se Chuck è ancora qui mentre lui mi controlla i documenti. Cerco il mio amico nella folla, lo scorgo in lontananza. Mi guarda, ci guardiamo. Dice qualcosa, ma non riesco a capire. Mi alzo in punta di piedi per vederlo meglio. Eccolo. Piange. Perchè? Non capisco. Continua a ripetere qualcosa. “Andiamo David”. No, no è un “andiamo”. È un “ti amo”. Non faccio in tempo a dire una parola che la bestia di due metri mi prende per un braccio e mi sbatte sotto il metal detector.
-Stai fermando la fila-
Grugnisce guardandomi in cagnesco. Sono sbigottito, è stata un'allucinazione? Voglio tornare indietro, ma cosa cavolo sta succedendo? Sono sull'orlo di una crisi di nervi, non ci capisco più niente. Recupero le miei cose in fretta e furia e mi precipito in un bagno. Mi guardo allo specchio. La luce è troppo forte, sono smorto e ho due belle occhiaie viola. Respiro a fatica.
-Stai andando a Parigi. Adesso prendi l'aereo e ti calmi-
Rassicuro la mia immagine riflessa nello specchio che mi guarda spaventata.
Le pastiglie!
Apro la borsa e le cerco, ne ingoio una senza acqua ed esco dal bagno.

 

                                                                                                       * * *

 

Pierre mi tende una mano sorridendo. Voglio afferrarla, ma non riesco a muovermi. Cerco di sollevare un braccio, ma è troppo pesante. Sembra fatto di marmo. Qualcuno mi prende per una spalla scuotendomi leggermente.
-Pardon-
Apro gli occhi, dove sono?
-Mi scusi, dovrebbe scendere. L'aereo è atterrato da un quarto d'ora-
Una hostess, l'aereo, il francese. Sono a Parigi! Mi alzo di scatto scusandomi con la ragazza che, stranamente, mi sorride e mi augura una buona permanenza. La ringrazio e vorrei fosse veramente una “buona permanenza” ma so che non sarà così. I miei compagni non mi hanno neanche aspettato, quei maleducati. Sinceramente non mi interessa, non li rivedrò fino al ritorno. Però potevano almeno svegliarmi. Il treno per il centro parte tra dieci minuti, devo darmi una mossa. Prendo un caffè ad una macchinetta e mi avvio alla stazione. I volti da alcune persone che incrocio, i loro gesti e i loro movimenti mi rimandano a Pierre rievocando in me sensazioni che mi mancano da morire. Mi sembra tutto così lontano, tutto così sfuocato, come se fosse il ricordo di un sogno. Il cuore mi si stringe in una morsa, aumento il passo. Devo smetterla di pensarci, mi sto rovinando la vita. Ed è solo colpa mia, questo dovrebbe sollevarmi, dovrebbe spronarmi a migliorare, ma non riesco a far niente. Sentirlo al telefono due gironi prima della partenza mi ha traumatizzato. La sua voce era neutra, mi ha chiamato solo per educazione. Si capiva. A scuola poi è stata una tortura. Il suo silenzio, i suoi occhi che mi evitavano, il suo sorriso rivolto a qualcun altro. Non lo vedevo quasi mai, neanche in camera, cercava di evitarmi, si svegliava prima di me e andava sempre a letto dopo. Cosa farò quando torno? Non riuscirò a sopportare tutto questo, devo andarmene, cambiare scuola, staccarmi per sempre da lui. Sarebbe da suicidio vederlo tutti i giorni senza poter far niente, senza poter stare con lui. Sul treno apro la valigia e tiro fuori un libro per far passare il tempo, per spegnere il cervello e non pensare. Ma le parole, le frasi mi riportano ancora a lui. Chiudo il libro di scatto e appoggio la testa al finestrino, il treno parte silenzioso e in meno di mezzora arrivo a destinazione. La stazione è abbastanza vicina all'hotel, cammino per un quarto d'ora guardandomi intorno e cercando di capire in che zona mi trovo. Arrivo all'hotel sfinito, entro e mi siedo su una sedia rossa nella reception. Mi trovo a pochi chilometri dal quartiere di Mont Saint Michelle da quel che ho capito. È una zona abbastanza tranquilla la mia. Le case sono basse, le strade strette e poco trafficate rispetto al centro. Stranamente c'è poco rumore e il traffico cittadino si sente in lontananza. La gente sembra rilassata, no come i pendolari che assomigliano a formiche impazzite. Potrebbe quasi piacermi questo posto. Recupero la chiave e mi dirigo alla mia camera che si trova, fortunatamente, al primo piano. Apro la porta ed entro, appoggio la valigia di fianco all'armadio e mi butto sul letto che rimbalza sotto di me. Chiudo gli occhi. Sono sfinito. Il silenzio mi avvolge. Cerco di rilassarmi pensando alle cose belle che vedrò in questo mese, accantonando l'ansia, la paura e la tristezza. Mi immagino seduto su una panchina nel piccolo parco di fianco a Notre Dame con un libro in una mano e magari una brioches nell'altra. L'immagine si trasforma in un sogno, sono seduto veramente nel parco. C'è silenzio, il freddo mi intorpidisce le dita della mani, ma uno strano calore scalda il mio corpo dall'interno. C'è un po' di vento, il sole spunta dalle nuvole leggere facendo scintillare la Senna. Mi guardo attorno e mi accorgo della strana situazione in cui mi trovo. Non c'è nessuno. La piazza davanti alla cattedrale è vuota, le auto sono ferme in mezzo alla strada, i battelli galleggiano silenziosamente sull'acqua. Il vuoto, l'assenza di gente cominciano ad opprimermi. Respiro a fatica, è come se qualcuno mi stesse strozzando lentamente. Annaspo in cerca d'aria, ma niente. I miei polmoni non si gonfiano. Apro di scatto gli occhi e afferro le lenzuola sotto di me. Respiro. Mi alzo stordito, la camera è buia, apro la finestra e mi accorgo che è notte fonda. Per quanto tempo ho dormito? Mi sento abbastanza riposato come se fosse mattina. Guardo l'orologio appeso alla parete sopra il letto, sono le tre passate. Cosa c'è che non va? Vago per la camera in cerca del mio telefono che trovo per terra di fianco alla borsa. Lo raccolgo, forse dovrei chiamare Chuck per dirgli che sono arrivato e che sono ancora tutto intero, più o meno. Una lampadina si accende nel mio cervello. Sono in jet lag! Ecco perchè mi sono svegliato a quest'ora! Chissà che ore sono adesso in Canada, sicuramente è giorno quindi Chuck sarà sveglio. Decido di farmi una doccia per togliermi di dosso il viaggio, la dormita e l'incubo che mi ha scosso. Non saprei dargli un'interpretazione. Ho provato due sensazioni troppo contrastanti, benessere e panico. La mia testa brulica di pensieri, sto andando in overthinking.
Mi lavo in fretta, mi vesto ed esco a fare due passi cercando di memorizzare le strade del quartiere per non perdermi. Il mio telefono vibra nella tasca dei pantaloni, è il solito messaggio di benvenuto. Osservo lo schermo, devo chiamare Chuck. Apro la rubrica, cerco il suo nome e schiaccio il tasto verde. Il telefono suona una volta, due, tre. Non risponde. Sbuffo ripensando a quello che è successo in aeroporto , a quello che lui mi ha detto e all'espressione del suo viso. Ad un tratto vorrei che non rispondesse, vorrei non essermi mai girato prima del metal detector, vorrei non dover sentire le sue spiegazioni. Voglio solo Pierre, qui con me. Adesso. Chiudo la chiamata ed inizio a camminare veloce, devo sfogarmi, non so cosa fare. Ho freddo, il vento mi brucia gli occhi facendoli lacrimare. Non vedo più la strada. Mi perderò, ne sono sicuro. Ma non me ne importa. Perchè sono qui? Perchè non c'è Pierre con me? Piango disperatamente premendomi una mano sulla bocca per trattenere i singhiozzi, ma non c'è verso. Devo lasciarmi andare per sfogarmi. Così piango senza ritegno, come quando da piccolo mi sbucciavo le ginocchia. Nessuno mi vede e nessuno mi sente. Mi siedo sul marciapiede perchè mi sembra di svenire. I miei polmoni si riempiono di aria, finalmente. Cerco una fazzoletto e mi asciugo le lacrime. Il telefono comincia a suonare riempendo il silenzio con “When I come around” dei Green Day. Sobbalzo e lo afferro guardando il display. È Chuck. Mi schiarisco la voce, non voglio fargli capire che ho appena pianto.
-Pronto?-
-Ciao Dave-
Mormora il mio amico dall'altra parte del telefono.
-Ciao Chuck, sono arrivato. Non ti ho chiamato subito perchè ho avuto un po' di contrattempi, ma il viaggio è andato bene-
Dico tutto d'un fiato. Si sarà sicuramente preoccupato, non mi faccio sentire da un giorno quasi.
-Bene sono contento. Non volevo disturbarti quindi ho aspettato la tua chiamata-
La sua voce è bassa, atona. Non sembra neanche lui. Mi intristisco ancora di più.
-Chuck, stai bene?-
Chiedo senza neanche accorgermene. È più forte di me, devo sapere come sta e cosa cavolo gli sta succedendo.
-Io..si Dave sto bene-
Lui fa una pausa che sembra durare ore. Lo sento respirare a fatica.
-Cancella quello che...ti ho detto-
Si riferisce all'aeroporto, a cos'altro altrimenti? Non so come rispondere, tutto quello che mi passa per la testa è sbagliato.
-Io...-
-Shh, non c'è niente da dire. Mi prometti che starai bene?-
Mi chiede quasi singhiozzando. Quanto odio tutto questo casino. Non è vero che sta bene, non è vero che devo cancellare quello che mi ha detto. Ma lui me lo sta imponendo, forse è per convincere se stesso. Quindi devo aiutarlo.
-Te lo prometto. Ci sentiremo vero?-
-Che domande, certo Dave. Ti lascio, starai spendendo un patrimonio. Io... bè, cerca di rimanere tutto intero ok?-
Sorrido a fatica e lo saluto rassicurandolo per l'ennesima volta. Chiudo la telefonata e ricomincio a piangere più forte di prima.

 

  
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