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Autore: AmaleenLavellan    19/10/2013    4 recensioni
Uno ghigna, l'altro sorride. Uno è pericolo, l'altro è sicurezza. Uno se n'è andato, l'altro c'è sempre stato.
Con uno era fiamme, ardore, lacrime e frustrazione. Con l'altro è dolcezza, delicatezza, sorrisi, sentirsi amata. Ed ora che si trova su un filo sospeso nel vuoto, Elizaveta deve decidere se tuffarsi nel buio o tornare a rifugiarsi al sicuro, in una teca che la protegge da qualsiasi passione...
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Austria/Roderich Edelstein, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti, ragazzi miei <3 
Eccovi qui un nuovo capitolo! Siete emozionati? :P Piccola noticina: il titolo del capitolo è in inglese perché trovo che "shame" sia molto più ricco di significato e forte di "vergogna", che onestamente trovo un po' scialbo.
Beh... Vi lascio alla lettura, ci vediamo a fine capitolo! <3

 
“Dopo due settimane ancora non molli, eh?” sospiro, lasciando entrare in casa Gilbert, che mi saluta con un ghigno.
“Dopo due settimane ancora sei convinta che farei una cosa così poco magnifica?” ribatte lui, facendomi il verso, abbandonandosi scompostamente sul divano.
Scuoto la testa, chiudendomi la porta alle spalle. “Gilbert, per la millesima volta, solo perché ho lasciato Roderich, non vuol dire che tu meriti una seconda occasione insieme a me. Scordatelo. La mia amicizia è l’unica cosa che puoi ottenere da me, ormai”, affermo, mettendomi una mano sul fianco.
“È quello che dici sempre, Liz, ma sai anche tu che non è così”, sbuffa, accavallando le gambe.
“Ricordami perché perdo ancora tempo con te”.
“Perché mi ami!”
“Sì, va bene, come vuoi tu”, ribatto, scettica, prima di lanciargli un’ultima occhiata e dirigermi in camera.
 
Sono passate ormai due settimane, da quando ho lasciato Roderich. Tutto ciò che ancora in quella casa apparteneva a me è stato spostato nel mio nuovo appartamento, e quelle chiavi che hanno dimorato nella mia borsa per gli ultimi due anni riposano ormai in un cassetto del soggiorno, abbandonate senza rammarico dalla propria padrona, come una definitiva manifestazione di addio.
Dopo tutto questo tempo, Gilbert non ha ancora perso l’abitudine di venire a trovarmi tutti i giorni. Arriva la mattina presto, prima di andare in ufficio, per controllare che io sia ancora viva o per ricordarmi che prima o poi cascherò di nuovo ai suoi magnifici piedi, e torna verso ora di cena, restando fino a quando non lo caccio di casa per andare a dormire. E non se ne va finché non vede tutte le luci spente, o non sente più rumori in casa: una volta, aprendo il portone per portare fuori l’immondizia dopo che l’avevo mandato via in malo modo, l’ho trovato seduto scompostamente sulle scale, con la camicia stropicciata e la cravatta allentata, a giocare con il cellulare in maniera annoiata, come se fosse un ragazzino sconclusionato e non un importante uomo d’affari. Il contrasto mi fa ridere ancora adesso, perché sembra racchiudere la vera essenza di quest’uomo impossibile: la dualità tra l’eleganza e la ricercatezza che mostra al mondo esterno, non come facciata, ma come parte stessa ed integrante del suo carattere, e l’infantile testardaggine e noncuranza che riserva solo alle persone a lui più vicine.
 
Questa persistenza quasi da stalker mi inquieterebbe, o lusingherebbe a seconda dei casi, se si trattasse di un altro uomo.
Con Gilbert è diverso. Non lo fa per conquistare il mio cuore, ma per rendermi sua preda.
E si sbaglia, se crede che questo suo assedio psicologico mi porterà presto a cedere: avrà anche ottenuto l’ingresso in casa mia, ma dalla mia anima è stato bandito per sempre, e per sempre lo sarà.
 
Mi sono imposta di non pormi domande riguardo ai sentimenti che provo nei suoi confronti, o ai motivi che l’hanno spinto ad andarsene. Non voglio pensare a lui, non voglio dargli accesso alla mia mente; dentro di me so che basterebbe anche solo una piccola crepa per annientare completamente le mie difese nei suoi confronti. Una riflessione, anche superficiale, instillerebbe in me il dubbio, e il dubbio condurrebbe alla rovina.
 
Non posso permetterlo.
 
 
 
“Senti, Liz”, lo sento chiamare, dal salotto.
“Dimmi.”
“Perché hai lasciato Roderich?”
 
La domanda mi arriva come uno schiaffo dritto in viso, cogliendomi di sorpresa. È strano che me lo chieda – credevo che Gilbert fosse certo di essere stato la causa scatenante della nostra rottura.
Ha aspettato fino a ora per portarmi rispetto, forse? Sento una stretta impercettibile al cuore, che decido di ignorare.
 
“La nostra relazione non era sana”, rispondo, con noncuranza. Per nessuna ragione al mondo ho intenzione di spiegare a Gilbert come mi ero sentita dopo la sua partenza, di raccontargli del baratro in cui ero sprofondata.
“Perché?” mi chiede ancora, comparendo sulla soglia della mia stanza. Non c’è alcun tono di sfida o malizia nella sua voce: la sua è pura curiosità, velata forse da un accenno di preoccupazione nei miei confronti.
Sbuffo, prima di rispondergli. “Perché io non lo amavo davvero”.
“E perché vi siete messi insieme, allora?”
“Perché ero convinta di amarlo”.
“E perché eri convinta di amarlo?”
“Perché lui era gentile con me e io ero confusa.”
“E perché eri confu-
“Cazzo, Gilbert! Smettila!” La mia pazienza ha raggiunto un limite. Ma cos’è, imbecille? Non riesce a vedere l’evidenza? Oppure si sta solo prendendo gioco di me? Sento le mani tremare, mentre le stringo a pugno convulsamente, d’istinto.
“Liz, era solo una domanda, per la miseria! Come sei isterica! Si può sapere che hai?”
 
Sbatto le palpebre lentamente.
Che. Cosa. Hai. Detto?”
Spero di aver capito male, perché non può aver davvero fatto un’affermazione simile.
“Ti ho semplicemente chies-
“Che cos’ho?! Che cos’ho?! Cosa ne dici, magari sono semplicemente frustrata dal tuo sparire e riapparire improvviso! Sei stato il mio compagno per tutta la vita, e all’improvviso puff, sparisci lasciandomi solo un biglietto! Un fottutissimo biglietto! Per due fottutissimi anni! Ho perso il conto delle volte che ti ho chiamato, dei messaggi che ti ho inviato! Ma nulla, non ti sei mai degnato di rispondere, neanche per farmi sapere che eri vivo! Sai a quante cose ho pensato, ne hai una minima idea?!” Vedo i suoi occhi spalancarsi, sorpresi dalla furia che sento montare dentro di me e fuoriuscire come zampilli di lava da ogni poro, fiammate dalla mia bocca aperta in un grido di rabbia.
“Potevi essere in pericolo! Potevi aver fatto casini con brutta gente! Potevi essere morto e io non ne avrei avuto idea! E tuo fratello mi assicurava che stavi bene, ma si rifiutava di dirmi qualsiasi cosa perché stava a te spiegare! Hai idea della paura, della frustrazione, del dolore che provavo ogni giorno?! Del vuoto che hai lasciato quando te ne sei andato?!
Mi svegliavo ogni mattina per un incubo e mi addormentavo di nuovo all’alba, sfinita dalle lacrime! Vomitavo, no – mi costringevo a vomitare, ogni giorno, di continuo, per cercare di buttare fuori quel nodo che sentivo in gola e che mi impediva di respirare! Mi infilavo due dita in gola e buttavo fuori, Gilbert! Due dita in gola! Come una fottuta malattia!”
Avverto le lacrime solcarmi il viso come un fiume di veleno, scavarmi la pelle con un’intensità che non sentivo più da quel tempo. Grido ogni sillaba come se dovessi infrangere la barriera del suono, dimenticando il pudore, l’orgoglio, perfino la dignità; non mi importa di chi potrebbe sentirmi, non mi importa del suo viso sconvolto, non mi importa di far crollare la facciata d’indifferenza che avevo eretto attorno a me. Troppo a lungo ho nascosto la parte più terrificante del mio dolore, quella più oscura e perversa; troppo a lungo mi sono vergognata di quello che facevo, nascosta dal buio di un bagno chiuso a chiave: ora ho bisogno di gettare via questo macigno.
È giunto il momento di essere libera, finalmente. Di spalancare le braccia e gridare fino a non avere più fiato, di non essere più tormentata dal fantasma di me stessa. È giunto il momento di gettare via la vergogna, di ritrovare l’amore per ogni aspetto di me stessa, di essere fiera del mio dolore e le mie lacrime e perfino di tutto lo schifo che mi costringevo a vivere ogni giorno, perché mi ricordano che dopo aver toccato il fondo, sono riuscita a risalire.
 
“Hai capito bene, Gilbert? Stavo affogando in me stessa e tu non c’eri! Non c’eri! Non ci sei mai stato e io nel frattempo buttavo via la mia vita, perché non aveva senso senza di te! Ma sai cosa ti dico?! Che non me ne frega più un cazzo! Non me ne frega più un cazzo di te e del tuo fottuto amore da quattro soldi e delle tue promesse che ti ricordi di mantenere dopo due fottuti anni, non me ne frega niente! Non ti voglio, non ti voglio più, non ti voglio più perché so che mi farai male di nuovo, e io precipiterò di nuovo e esistere non avrà senso di nuovo! E morirò di nuovo, morirò ancora e ancora ogni giorno perché a te non importa di me, hai solo bisogno di un passatempo! Ma io non sono il tuo passatempo, Gilbert, valgo molto più di questo e se non hai intenzione di starmi lontano ti conviene imparare a stare al tuo posto e non avvicinarti abbastanza da farmi male ancora!”
 
Non so in che momento le mie grida si siano trasformati in singhiozzi convulsi, e le mie parole in mucchi di frasi illogiche tenute insieme dalla mia frustrazione.  Urlo ancora, e ancora, tanto che ogni fiato mi raschia in gola come carta vetrata, urlo e non so più neanche io cosa stia urlando. Le gambe mi cedono ma mi mantengo in piedi, piegata in due con le braccia a stringermi lo stomaco, come se il mio intero corpo potesse disperdersi da un momento all’altro. Gilbert tenta di afferrarmi, di farmi sedere, ma io lo respingo, tempestandolo di pugni sul petto senza neanche tentare davvero. Lui sta immobile, subisce sapendo che è la cosa giusta da fare, mentre la forza scivola via dalle mie mani, e ogni nuovo colpo è più debole del precedente; e le sue braccia sono lì quando mi accascio sfinita contro il suo petto, pronte a stringermi come hanno fatto tante notti prima di questa, sono lì, mi stanno realmente avvolgendo.
 
“Sono qui”, sussurra con dolcezza, poggiandomi un bacio morbido sui capelli. “Sono qui”, ripete ancora “sono qui, sono qui, amore mio”. Diventa quasi un mantra, il suo, mentre mi accarezza la schiena, ripetendo all’infinito quelle due parole come per renderle più vere. Voglio scuotere la testa, negare le sue bugie, ma il mio corpo si rifiuta di muoversi, come se conoscesse la verità. I miei singhiozzi si calmano, progressivamente, e ritrovo la forza di parlare con quel filo di voce che mi resta.
“Sei qui”, affermo, ammettendo l’evidenza che non posso negare, tentando senza successo di tirarmi a sedere, “ma te ne andrai ancora”.
 
Succederà. È per questo che non posso fidarmi. Lui se ne andrà ancora, incurante dei miei sentimenti, e mi lascerà sprofondare un’altra volta nel buio assoluto, senza possibilità di uscita. Questa volta non avrei un pianista pronto a baciarmi la mano. Questa volta non avrei niente.
 
“Non è possibile, Liz. Nient’altro potrebbe spingermi ad andare via da te. E te lo dimostrerò… spiegandoti perché me ne sono andato”.
Il cuore mi si arresta in petto, all’improvviso. Il fatto che se ne fosse andato era sempre stato per me come un mistero che non meritava una spiegazione. Era partito, mi aveva lasciata da sola, il motivo non esisteva. Era semplicemente successo.
Mi gira la testa. Gilbert ha avuto effettivamente un motivo per andarsene. E per quanto possa essere ridicolo, o non giustificare una tale azione, resta comunque un motivo. La possibilità di conoscere la realtà dei fatti mi confonde, mi solleva e mi spaventa al tempo stesso.
È quello che ho sempre voluto, sapere la verità.
Ma è davvero così?
Sono pronta a cogliere l’umanità nel mostro in cui Gilbert si è trasformato, nella mia mente?
 
“Parla”, gracchio, accorgendomi che le lacrime hanno smesso di scendere, lasciandomi il viso in fiamme.
Gilbert scuote la testa. “Non ora. Devi calmarti, prima. Non puoi sostenere una conversazione del genere in questo stato”.
“Da quando ti preoccupi per me?”
“Mi sono sempre preoccupato per te”.
“Sì, soprattutto quando mi hai abbandonato”.
“Liz, il sarcasmo riservalo per quell’impalato del ragazzo di tua cugina. Ho detto che non è il momento di avere questa conversazione”.
 
Mi divincolo dalla sua presa, trovando finalmente la forza di tirarmi a sedere.
 
Troppo veloce.
 
Cerco di stringermi la testa tra le mani, mentre la stanza mi gira intorno con una rapidità allucinante. Vedo Gilbert ghignare vittorioso, mentre cerco di stabilizzarmi.
“Vedi che avevo ragione, come al solito? Non è il momento. Ora devi riposare.”
“Cazzate” sputo fuori, ritrovando l’equilibrio e piantando gli occhi nei suoi, “è inutile rimandare, ormai siamo qui. Io sto bene. Devo solo recuperare un po’ di fiato e bere un bicchiere d’acqua. Ho bisogno di sapere, Gilbert, ho bisogno della verità adesso”.
 
Scuote la testa, con un sospiro rassegnato. “Certo che sei testarda”.
“Come se tu non lo sapessi”, ribatto, sapendo di aver vinto.

 




Ed eccoci qui!
Corto e intenso come quello scorso... Spero abbiate gradito, nonostante non fosse lungo! Ma finirlo lì, con tutta la suspance, è stata una tentazione troppo forte... BWAHAHAHA
Ok la smetto.

E finalmente Liza ha il coraggio di ammettere tutto lo schifo che le è successo quando Gilbert l'ha lasciata. 
E lui? Quale sarà la sua giustificazione?
Lo saprete al prossimo capitolo! 
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo, sulla mia pagina facebook IvyTheMoonBlossom - EFP, oppure tramite una recensione se proprio mi volete bene da morire <3 

Ciao a tutti!
Vi voglio bene <3
Ivy.
   
 
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