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Autore: Flower of Eternity    10/04/2008    1 recensioni
In una squallida, sporca strada di periferia, Neera, nostra giovane ed ingenua protagonista, incontra una creatura oscura, abbandonata. Un essere in fuga.
E lo aiuta.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SETTIMO

Quando sentì qualcuno infilare la chiave nella toppa della porta posta all’ingresso, Adam perse quasi un anno di vita per la paura di essere scoperto; ma una rapida occhiata al grande orologio appeso nel salotto della giovane gli ricordò che quello era l’orario in cui Neera gli aveva promesso di rientrare, e dunque il biondo poté rilassarsi. Anzi, fu addirittura felice di quel suono che annunciava finalmente la fine della sua solitudine.
Con un gran sorriso, simile ad un cagnolino abbandonato per tutta la giornata che trascorre trepidante gli ultimi istanti che lo separano dalla ricongiunzione con il suo amato padrone, il ragazzo dal volto sfigurato raggiunse la porta e rimase fedelmente in piedi innanzi ad essa, pronto ad accogliere la sua nuova e carissima migliore amica.
La prima cosa a raggiungerlo fu un pugno sulla mascella.
Poi arrivò anche il resto di Boe, un corpo di ragazzo mosso dalla furia che lo spintonò violentemente verso l’interno della casa, facendolo sbattere contro il muro. Frastornato per il primo colpo ricevuto, Adam quasi non si rese conto dell’arrivo del secondo, che lo raggiunse alla bocca dello stomaco. Boccheggiante, il poverino si piegò in avanti, beccandosi come bonus una ginocchiata in piena faccia.
Sangue schizzò dal suo naso, mentre Adam, ormai incapace d’intendere e di volere, si accasciava a terra, un braccio premuto sullo stomaco ed una mano sul naso rotto. Fu solo a quel punto che Boe si calmò il tempo sufficiente per richiudere la porta d’ingresso, e per puntargli contro un indice accusatore.
Ansante, il moro lo fissò con occhi verdi ora brillanti d’ira e di desiderio omicida. Mai nessuno, in tutta la sua breve vita, lo aveva portato ad un livello di furia lontanamente vicino a quello. Sembrava quasi che con Neera gli avessero strappato anche la ragione.
«Tu, gradissimo… stronzo!» urlò, e quell’accusa riempì di ulteriore confusione Adam. Incerto, ancora trafelato per il dolore procuratogli da quello che, sino al giorno prima, era stato un amico, egli tentò di rialzarsi in piedi, la mano sempre premuta sul naso ancora sanguinante. «E’ arrivato un bastardo, oggi a scuola, e ha rapito Neera. Un figlio di puttana grasso e con una macchina bianca. Tu sai chi è, vero? E’ un altro del Circolo degli Strani da cui sei uscito tu, vero? VERO?!»
Impietrito, il biondo non disse una parola. Ma i suoi occhi chiari si riempirono di paura, un terrore quasi ancestrale che lo spinse ad abbassare la mano dal suo naso ferito, ed a socchiudere le sottili labbra in un’esclamazione di sorpresa a stento trattenuta.
Boe ritenne quella una risposta sufficiente. Quasi con aria distratta, recuperò dal tavolino dell’ingresso un grosso e nerastro posacenere di vetro. In una casa di non fumatori come quella di Neera, un simile oggetto aveva semplicemente una funzione decorativa; al momento, però, visto il peso specifico dell’arnese in questione e la rabbia di colui che lo brandiva, il suo utilizzo avrebbe potuto subire un drastico cambiamento, con conseguenze non troppo felici per Adam.
«Se non mi rispondi ti ridurrò ad una poltiglia di sangue e metallo, e poi ti ficcherò su per il culo del tuo fottuto Creatore. Mi hai capito?!» ruggì ancora il moro, dimostrando una qual certa originalità e poesia nelle minacce. Oltre che una naturale predisposizione.
«Il… Creatore» balbettò allora Adam, quando l’altro prese a roteare pericolosamente il posacenere.
«Sì, lui, esatto! Ti ficco tutto su per il suo…»
«Il… Creatore. E’ stato… il Creatore
Boe tacque, e per la sorpresa smise anche di prepararsi a colpire il suo interlocutore con quell’arma degna d’un serial killer. «Quindi ho ragione, chi ha rapito lei cerca te! Ma come ha fatto ad arrivare a Neera?» commentò ancora, preoccupato. «Non importa!» stabilì poi. «Adesso tu, maledetto, mi porti dal tuo Creatore… subito!»
Adam esitò per un attimo, retrocedendo inconsapevolmente di un paio di passi. «Non voglio. Sono scappato. Non voglio tornare.» spiegò, con voce bassa, implorante. Se Neera fosse stata lì, si sarebbe sciolta in brodo di giuggiole, provando pietà e naturale trasporto verso di lui; ma Neera non c’era, qualcuno l’aveva rapita, e Adam non poteva nemmeno immaginare quanto stesse rischiando con un Boe così inferocito.
«Mi fai schifo» proclamò egli, le dita ancora arpionate attorno al posacenere. «Ieri, lei non ha esitato un solo attimo nel raccoglierti e nel portarti qui, a casa sua. Ed ora, rifiuti di salvarla da un guaio dove tu l’hai cacciata?!»
Colpire nel segno era un’arte innata di Robert. Gli veniva così istintivo e naturale, che riusciva a farlo anche senza nemmeno rendersene conto; come in quel momento, in cui aveva parlato più perché mosso dalla rabbia che da reale intenzione a farlo ragionare.
«E’… vero.» mormorò contrito Adam, sentendosi nientedimeno che un verme. Abbassò tristemente gli occhi, impegnato nella lotta della sua metà leale e sincera contrapposta a quel se stesso vigliacco ed impaurito che avrebbe preferito morire, piuttosto che fare ritorno all’abitazione del Creatore. «Pink Princess dice che…»
«No me ne frega un beneamato cazzo di quello che dice questa Pink Bitch! Muovi quel tuo metallico didietro!» berciò Boe.
Ma, a ben vedere, il ragazzo era già assai più sollevato dal fatto che Adam avesse appena deciso di aiutarlo, tanto che la sua mente, finalmente, si rese conto di un particolare davvero, davvero strano.
«Oh, Cristo. Perché indossi una gonna rosa?»
Adam sorrise debolmente. «Pink Princess dice che…»
«Dannazione! Pink Princess è un travestito col cervello di guano, okay? Ed ora muoviti!» gli abbaiò contro il moro, ormai psicologicamente destabilizzato dalla situazione in cui era finito.

«E così l’edificio è questo?» silenzio. Suono di conati. Altro silenzio. «Adam, cazzo! Non è il momento di vomitare, maledizione!» latrò allora Robert, per nulla sensibile alla nausea che aveva colto il suo giovane accompagnatore. Nausea che, ad onore del vero, gli aveva procurato lui stesso, costringendolo ad una corsa sulla sua moto degna del peggiore degli stuntmen. Una volta disceso nel luogo che gli aveva indicato come corretto, Adam si era trascinato sino ad uno dei muri portanti di un palazzo, e lì aveva dato sfogo ai suoi scombussolamenti interiori.
Era stato il primo giro in moto della sua esistenza; ed il biondo giurò a se stesso che mai, anche se costretto a scegliere tra la vita o la morte o qualcosa di peggio, ne avrebbe affrontato un altro. Poche persone al mondo avevano avuto l’onore di salire sulla grande e rumorosa moto di Robert. Di queste, nessuna, nonostante l’innegabile avvenenza del baldo guidatore, aveva mai espresso il desiderio di un secondo giro, per ovvi motivi quali lo spirito di sopravvivenza o la voglia di preservare la propria persona da traumi psicologici irreversibili.
Non che Boe fosse un conduttore di moto inesperto o incapace; ma era pazzo, innegabilmente pazzo, e questa particolare caratteristica all’interno di un contesto stradale poteva portare ad un brutto, bruttissimo decesso.
Immaginando la rabbia e la paura provate in quei momenti dal ragazzo, non è difficile intuire quanti giri della morte i due dovevano aver affrontato nel percorso che li aveva condotti sino a quel misterioso punto d’arrivo. Ovvero un portone in prossimità di quel palazzo che si affacciava sul famoso vicolo ove Neera aveva raccolto Adam solo il giorno prima.
«Alzati!» ringhiò il moro, afferrandolo rabbiosamente per un braccio. «Ci sono guardie in questo cazzo di edificio? Com’è strutturato? Dimmi qualcosa, maledizione!»
Adam boccheggiò, ripulendosi le labbra con il dorso della mano destra. Come se incerto nel riconoscimento del luogo in cui si trovava, percorse con lo sguardo il piccolo palazzo color topo che avevano innanzi, una costruzione semplice e molto vecchia. «Io… ero all’ultimo piano. C’è sempre una Guardia.»
Boe elaborò una tale e particolareggiata filastrocca di bestemmie che ci si sarebbe potuti aspettare la visita di San Michele in persona, armato di spada di fiamme ed intento a sbottare: “Ma che t’abbiamo fatto noi, eh?!”
«Potrei chiamare la polizia» commentò infine il moro, pensieroso. «Ma quel pazzo, sentendo le sirene, potrebbe fare qualcosa di dannatamente idiota. No, dobbiamo andare noi. Troverò un modo per convincere la guardia a farmi passare.»
«E quale modo?» domandò Adam, incerto, mentre l’altro lo afferrava saldamente per un polso, e se lo trascinava dietro.
«Secondo te?» replicò Boe, sorprendendosi non poco nel trovare il portone d’ingresso al palazzo completamente spalancato. «Ti baratterò in cambio di Neera. L’hanno rapita perché in qualche modo sanno che ti nascondeva, dunque vogliono te. E per quanto tu sia un cuccioletto dai grandi occhi che implorano coccole, ti assicuro che non esiterei mezzo minuto a scambiarti per lei!»
«Sì» rispose Adam, il cui tono tradì un certo dispiacere. «Lo capisco»
Robert, notato un cartello che indicava l’ascensore come NON FUNZIONANTE, s’inerpicò lungo una vecchia e consunta rampa di scale, continuando a trascinarsi appresso l’ora silenzioso ragazzo biondo. «E non fare quella faccia!» gli urlò ancora addosso, evidentemente poco propenso ad un’irruzione pacata e silenziosa. «Tu stavi per tradirla! Ti ho trascinato io qui! Con la forza!»
«Non con la forza» lo corresse solo Adam, la cui voce continuò ad essere bassa e triste.
«No?» ironizzò ferocemente Robert, continuando a salire le scale con l’impetuosità di uno tsunami. «E con cosa, allora?»
Adam rialzò gli occhi sul ragazzo che lo precedeva di uno scalino. «Con le parole. Mi hai ricordato che le devo un favore, dunque è giusto che io l’aiuti.» spiegò, non avendo forse ancora intuito quanto il suo compagno d’avventure fosse psicologicamente instabile in quel preciso e difficile momento.
Robert rimase per un attimo in silenzio, elaborando la risposta dell’altro. Sapeva che c’era qualcosa di maledettamente stonato, in essa, ma a costo di farsi venire un colpo proprio non riusciva ad intuire che cosa.
«Non credevo fosse una cosa difficile da ricordare. Lei ti ha nascosto in casa sua! E’ una faccenda che non si scorda facilmente, o sbaglio?» ribatté infine, dimostrando una volta di più che la bastardaggine innata mista ad una sovrannaturale intuitività sul dove colpire più dolorosamente un animo sono due qualità che Nostro Signore non dovrebbe mai unire in un unico soggetto.
E continuò a tirarlo su per le scale, senza un minimo di pietà o di comprensione, trascinando quel povero ragazzo verso un destino da cui lui era sfuggito con tutta la forza della propria disperazione. E dal quale ora stava tornando, cagnolino al guinzaglio di un giovane uomo angosciosamente rabbioso, povero figlio di esperimenti proibiti cui la libertà aveva concesso solo una misera giornata di respiro.







  
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