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Autore: Dreamingafantasylife    19/10/2013    0 recensioni
"Mentirei se dicessi che lei non lo amava. Erano strani periodi in cui lui la faceva stare così bene e così male. A lei piacevano tante cose: la lettura, l’arte, il cinema e scrivere. Lui era il suo inchiostro e quelle parole assidue, assetate d’amore calcavano il foglio di azzurro proprio come gli occhi della ragazza."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lo straziante dolore al petto cessò improvvisamente. Le braccia strette intorno alla vita, le ginocchia ormai strisciate dal tappeto e gli occhi che avevano pianto lacrime di sofferenza piano si riaprirono lasciando spazio a una visione del mondo offuscata. Sbatté le ciglia per eliminare l’ultimo strato acquoso lasciato dalle lacrime non cadute, la bocca spalancata.

Ora lo stupore aveva preso il posto della fitta di male che poco prima aveva sentito: non sapeva cosa pensare. Piano si rialzò, le gambe tremanti accompagnavano la risalita. Le sue braccia stringevano ancora forte la vita; si stava proteggendo da sé stessa. Aveva paure di guardarsi allo specchio, aveva paura di voltarsi e di vedervi qualche mostro, non le era mai capitato di provare questo strazio. Le paure volevano forse uscire da lei?
La testa si voltò verso la superficie di vetro: vide due occhi arrossati, una bocca contratta dallo stupore e dalla paura. Lasciò cadere la mano sinistra sul fianco e portò la destra verso il viso. Tremava al pensiero di toccarsi, ma quando scoprì che la pelle era quella di qualche minuto prima, chiuse la bocca e si tranquillizzò. Le punte delle dita passavano sulla pelle liscia ricoperta di cipria. Sembrava tutto normale, eccetto gli occhi reduci da un pianto; li asciugò. Si sentì sola, voleva la sua mamma, voleva chiederle un consiglio…ma non la chiamò. Non voleva farla preoccupare. Andò nella camera da letto della madre e guardò i numeri rossi della sveglia digitale che sua mamma usava per svegliarsi: era tardi. Aveva solo un quarto d’ora per riprendersi, asciugare il mascara colato e scegliere l’abito che avrebbe indossato quella sera.

Blue uscì dalla camera e spense la luce. Gli occhi vaghi e spenti si misero a cercare una salvietta umidificata per togliere quel nero dalle guance. Con fretta risistemò il viso. Uscì dal bagno percorse un pezzo del corridoio che portava alla sua camera e accese la luce. Entrò e aprì l’anta dell’armadio che conteneva i vestiti estivi. Scelse uno dei suoi preferiti: era di sangallo blu (ovviamente). Non era smanicato ma le maniche coprivano la parte superiore del braccio e il petto. Le arrivava giusto prima delle ginocchia. Non aveva scelto un vestito scollato: perché far vedere la parte che prima le aveva causato quel dolore? Uscì dalla camera, spense la luce e raggiunse la cucina dove aprì una porta scorrevole che la portava nella lavanderia della casa: lì teneva le scarpe. Se le mise. Come tocco finale andò nel bagno della madre e si spruzzò un po’ del suo profumo al muschio. Era pronta. Prese la borsa che stava sempre in lavanderia, il portafoglio contenente i soldi e il cellulare. Mamma, io sono già partita, buona cena! Questo era il biglietto che aveva lasciato alla madre che sarebbe tornata fra poco. Scese le scale del condominio che portavano alla porta; attraversò la soglia e si ritrovò nella strada del paese. Il tramonto investì i suoi occhi: li socchiuse per vederci meglio. “Ciao Blue!” Si voltò di scatto e vide una sua compagna di scuola che stava tornando al suo condominio lì vicino. “Oh, ciao!” sorrise. Era un saluto evasivo, ma la realtà l’aveva appena investita e lei stava pensando ancora allo strano episodio. Camminò lungo il marciapiede che l’avrebbe condotta al centro della cittadina. Camminò lungo le ore di attesa che aveva aspettato per vederlo.
  
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