Mi sveglio, dolcemente stavolta.
Nessun
incubo. Ma che ore sono? È presto. È sempre
presto. Mi sveglio quasi sempre
alla stessa ora. Perfetto. Mi affaccio velocemente alla finestra. Ma
niente.
Non c’è nessuno. Sento i miei muscoli facciali
scivolarmi di dosso. Lui non è
lì. Non sta pescando. Scuoto la testa, come per far uscire
gli spiacevoli
pensieri che mi si insinuano nella testa. Arriverà. Ne sono
certa. Continuo a
scrutare la spiaggia. Di tanto in tanto, getto un’occhiata
sugli altri oggetti
della mia camera, per poi rifar posare lo sguardo fuori dalla finestra,
nella
speranza di vederlo comparire all’istante. Ma niente.
Sbuffando, comincio a
prepararmi. Butto altre occhiate, indugiando in altri punti della
spiaggia.
Forse è fuori dalla mia visuale. Ma come è
possibile? Lui viene ogni mattina. È
da tre anni che lo fa quotidianamente. E a volte, si tratteneva anche
più del
solito. Ma oggi non c’è. Sento aprirsi una porta
alle mie spalle.
“ Annie…
“ Amadeus! Sto in
mutande!” esclamo
infastidita infilandomi velocemente i pantaloni. Lui indugia sulla
porta,
aspettando che gli dia il permesso di entrare. Quando lo fa, rimango
sempre
spiazzata da quanto siamo simili: capelli color porpora, pelle chiara e
occhi
neri come la pece. Somiglia in modo impressionante a papà.
“ Scusa se ti disturbo,
mamma ha detto che
oggi va lei a prendere i polipi.
“ Ma perché vi
siete svegliati così presto?”
domando considerando questo strano evento.
“ Mamma ha avuto uno dei
suoi attacchi,
stanotte” mi spiega Amadeus. Sì, vedo le occhiaie
contornare i suoi occhi
scuri.
“ Potevate svegliarmi,
no?” gli dico stizzita,
girandomi verso la finestra. Finnick non c’è.
Stringo le labbra.
“ Lo sai che non vogliamo
farti preoccupare.
“ Il fatto che io sia la
più piccola, non vi
dà il diritto di nascondermi le cose. Adesso sta bene, vero?
Almeno questo puoi
dirmelo, spero” affermo scoccandogli un’occhiata di
fuoco. Lui annuisce
debolmente.
“ Sì,
Annie… ma per farla guarire, ci servono
le medicine giuste” dichiara mettendosi a sedere sul mio
letto. Gli vado
vicino, mettendomi a sedere senza guardarlo negli occhi.
“ Non ci arriviamo con i
soldi, eh?
“ Sarebbe inutile anche
solo provarci. Se
mettessimo da parte i soldi necessari per almeno una delle medicine che
le
servirebbero, non dureremo neanche due giorni” mi spiega tra
i denti. Il mio
sguardo indugia sulle sue mani. Ha i pugni serrati. Sbuffo. Dovremo
tenercela
così, e sperare che non muoia da un momento
all’altro, in preda ai suoi
attacchi. Il dottore si era raccomandato con noi. Ma nonostante la
tenessimo
lontana dagli stress emotivi, almeno una volta al mese, dava di matto.
Le
servono i tranquillanti, psicofarmaci, comunque. E quelli hanno un costo.
“ Voglio offrirmi
volontario” sussurra
Amadeus. Mi casca il mondo addosso. No, non può averlo detto
sul serio.
“ Che cosa? Stai
scherzando?” gli chiedo io
alzando lo sguardo. No, è terribilmente serio. Nessuna
traccia di ironia o
sarcasmo.
“ No. Io… non
posso convivere con questo peso,
Annie. È colpa mia se papà è morto e
tu lo sai. Sei l’unica che non mi odia qua
dentro” esclama con gli occhi lucidi.
“ Amadeus, non dire
assurdità…
“ E’ vero!
È colpa mia! Se non avessi voluto
per forza andare a fare quella gita sugli scogli…”
dice.
Amadeus era curiosissimo di vedere
la visuale
dagli scogli. E papà gli aveva promesso che il 14 giugno ce
l’avrebbe portato.
Solo che c’era un temporale, e il mare era mosso. Ma Amadeus
voleva andarci a
tutti i costi, anzi, il fatto che il mare fosse mosso era un motivo in
più per
osservare un panorama particolare. Mio padre non voleva, ma alla fine
aveva
caduto. E fu lì che accadde tutto. Papà
scivolò da uno degli scogli. I
tentativi di salvarlo da parte di Amadeus furono inutili. Se lo
portò via il
mare. Amadeus non aveva parlato per settimane. Mamma e Alexander lo
evitavano.
Solo io cercavo di stargli vicino, nonostante il dolore.
“ La tua morte non lo
riporterà indietro! E se
proprio vuoi suicidarti per i sensi di colpa, puoi pure andarti ad
impiccare su
quell’albero lì!” dico indicando un
alberello poco distante dal recinto di casa
nostra.
“ E chi ha detto che devo
morire? Se vincessi,
avremo i soldi necessari per…
“ Oh, andiamo, la tua
assomiglia molto di più
a una missione punitiva contro te stesso, piuttosto che a un atto di
amore
verso di mamma” affermo io incrociando le braccia. Lui scatta
sulla difensiva.
“ E comunque è
una cosa che devo decidere io e
io soltanto! Non so neanche perché te ne ho parlato! Sei
solo una bambina,
dovresti pensare agli svaghi e ai ragazzi piuttosto che atteggiarti da
adulta!”
urla alzandosi in piedi.
“ Per tua informazione ho
solo due anni in
meno di te, e dai discorsi che fai sembri tu quello poco maturo! Come
la
prenderebbe mamma, eh? Morirebbe se ti vedesse salire su quel
palco!” grido io
in preda alla rabbia, alzandomi a mia volta.
“ Ne sarebbe solo che
felice, una bocca in
meno da sfamare!
“ Vedi? Tu non vuoi
vincere, tu vuoi solo
trovare un pretesto per ammazzarti! Non dirmi che ti aspettavi un mio
assenso!
Tu puoi fare come ti pare, ma ti stai comportando da
vigliacco!” dichiaro fuori
di me. Vedo l’ira salirgli negli occhi. Diventa tutto rosso e
stringe le labbra
facendole diventare violacee. Può arrabbiarsi quanto vuole:
non cambierà quello
che penso. Con un’ultimo sguardo carico d’odio,
esce dalla mia stanza sbattendo
la porta. Mi tuffo sul letto. Ma è impazzito? Si aspettava
davvero che
appoggiassi la sua decisione? Lui vuole ammazzarsi. Ma non ha il fegato
di
suicidarsi. Vorrebbe che qualcuno lo facesse al posto suo. Ecco
perché
infastidisce tutti i ragazzi del Distretto. Ci va sempre a finire a
botte.
Spera che qualcuno, un giorno, lo finisca. Potrei ammazzarlo io, se me
lo
chiedesse. Almeno così eviteremmo queste sceneggiate da
piccolo eroe tragico e
incompreso.
Considero cosa fare durante questa
giornata.
Il pensiero di Finnick Odair mi ossessiona, ma lo scanso via
facilmente. Potrei
andare in barca e godermi il panorama. Ma no, mamma ha preso la barca.
Sento
bussare alla porta.
“ Avanti…
Entra Alexander. Mi sorride
dolcemente, mentre
mi scruta le guance. Devono essere ancora rosse per lo scatto di ira
avuto
prima. Alexander, come me, ha il fantastico dono di capire al volo le
persone.
Si siede accanto a me.
“ Che voleva
Amadeus?” mi domanda.
“ Dimostrarmi la sua
stupidità” gli rispondo
con un sorrisetto sprezzante.
“ Una cosa nuova,
insomma” afferma lui
fissando il muro della stanza. Dopo un attimo di esitazione, mi chiede:
“ Senti… ieri
mattina ti ho vista mentre
andavi a controllare i polipi. Sbaglio o con te
c’era… Finnick Odair?
Arrossisco un po’. Ma
provo a mettere su un
atteggiamento normale e distaccato.
“ Sì.
Perché me lo chiedi?
“ Perché non
sono sicuro a lasciarti con
quello lì. Si dicono cose strane su di lui” mi
dice serio.
“ Se è per gli
Hunger Games, immagino che non
avesse scelta. Lì sono tutti assassini” dichiaro
fiera e decisa. Alexander
scuote la testa.
“ No, io non mi riferisco
agli Hunger Games.
Le sue visite a Capitol City, per esempio. Ti ricordi il mio amico
Salem, il
custode della stazione? Bhe, mi ha detto che, quando Finnick va a
Capitol City,
torna sempre alle cinque di notte… Cioè, parte il
pomeriggio verso le tre e
torna alle cinque di notte. Che cosa va a fare lì fino a
quell’ora? E torna
sempre carico di gioielli o altra roba costosa. Non ti sembra
strano?” mi
domanda.
“ Non mi importa se
è strano. Ognuno fa quello
che vuole nella vita. So solo che non penso sia una cattiva persona. Ci hai
mai
parlato?” gli chiedo io. Lui scuote la testa. Ora capisco. Se
ci parlasse, se
ne accorgerebbe subito. Il nostro talento condiviso è
più utile di mille
racconti o confessioni varie.
“ Dovresti. Glielo si
legge negli occhi!”
dichiaro dandogli una pacca sulla spalla. Mi alzo in piedi.
“ Dove vai?” mi
chiede lui.
“ Sotto il promontorio.
Voglio andare a
nuotare un po’” gli rispondo. Esco di casa e mi
avvio verso gli scogli del
promontorio. Non sono troppo distanti, e comunque è
piacevole fare una
passeggiata sulla spiaggia. Ed eccomi arrivata. Alzo lo sguardo. Sopra
la
parete di roccia che emerge dalla sabbia, il Villaggio dei Vincitori.
Casa di
Finnick. Mi guardo intorno. Qui sotto non ci viene mai nessuno. Non
è un posto
molto conosciuto, ed è difficile nuotare qua dentro per via
degli scogli e
della corrente. Ma sono una delle migliori nuotatrici del Distretto, me
lo
dicono tutti. Mi spoglio velocemente, lasciandomi addosso solo la
biancheria
intima. E così, mi butto. Sento l’acqua salata
invadermi le membra e, una volta
tornata in superficie, sospiro. E così bello poter nuotare
lì dentro. D’un
tratto, però, sento una voce.
“ Mi hai trovato,
eh?” chiede. Mi volto.
Finnick Odair mi guarda attentamente, uscendo dal suo “
nascondiglio” dietro
uno scoglio. Nonostante la sorpresa e l’imbarazzo, riesco a
ciancicare:
“ Non ti stavo cercando!
“ Ma io mi stavo
nascondendo da te” afferma un
po’ troppo serio. Questo ragazzo parla per enigmi, non riesco
a seguirlo. Mi
avvicino verso gli scogli, per poterci parlare meglio.
“ Perché oggi
non sei venuto sulla spiaggia?”
gli domando.
“ Te l’ho
detto, no? Mi stavo nascondendo da
te” mi spiega mettendosi a sedere sullo scoglio al quale sono
aggrappata. Rido
sarcastica.
“ Sì, certo.
“ Te lo giuro. E
comunque, te ne accorgeresti
se stessi dicendo una bugia, no? Tu sei brava a capire le
persone” mi sussurra
guardando l’orizzonte. Infatti è proprio questo
che mi spaventa: non riesco ad
individuare segnali di gioco o di scherzo nel tono della sua voce.
Cerco di
cambiare argomento.
“ Non ti
tuffi?” chiedo.
“ Vorrei, ma non so
quanto la cosa ti potrebbe
far piacere” mi dice sorridendomi con lo stesso sorriso di
ieri.
“ E per quale motivo?
“ Stai in biancheria
intima, Annie” mi spiega
con una risata. Impallidisco prima di sentire il sangue salirmi sulle
guance. O
Santo Cielo, è vero. Mi spingo più
giù, facendo sprofondare le spalle sotto il
pelo dell’acqua.
“ Oh, già.
Em… allora fammi risalire, dai. E
girati, ti prego!” esclamo. Lui si volta sghignazzando, posso
sentirlo. Che
avrà da ridere non lo so. Mi arrampico sullo scoglio e
afferro i miei vestiti.
Non ho il tempo di farmi asciugare la biancheria, quindi mi infilo
velocemente
la camicetta e i pantaloni. Si bagneranno, ma non mi importa. Quando
Finnick si
volta, vedo i suoi occhi indugiare sulla parte bagnata della mia
camicia,
dovuta al contatto con il reggiseno bagnato. Ed in quel momento ho
paura. Ma
l’istante dura davvero un attimo, perché poi i
suoi occhi incontrano i miei.
“ Oggi non sono venuto
sulla spiaggia perché
non volevo rincontrarti, Annie” ammette serio.
“ E per quale assurda
ragione?” gli chiedo.
“ Perché ieri
non ho fatto altro che pensare
alla nostra conversazione” mi spiega velocemente. Ma mi sta
prendendo in giro?
“ Non vedo cosa ci sia di
male. Anche io ho
ripensato a ieri” replico sinceramente mentre mi asciugo con
un’asciugamano i
capelli.
“ Io non posso
permettermi di legarmi a
nessuno” dichiara. Lo guardo interrogativo. Indugio sui suoi
occhi. Non riesce
a guardarmi fisso. Mi sta nascondendo qualcosa. E non vuole mettermi al
corrente di quello che gli passa per la testa.
“ Ti chiederei
perché. Ma so che non me lo
dirai, dico bene?” domando io acida.
“ Ci hai preso anche
stavolta… sei
incredibile… ”afferma continuando a tenere lo
sguardo basso e accennando una
risata.
“ Ok. Ci sono delle cose
che vuoi tenerti per
te. Lo capisco. E poi, io e te non siamo amici” sussurro a
bassa voce. Lui
annuisce.
“ Esatto. E non dobbiamo
esserlo,
assolutamente. Mi dispiace, Annie” mi risponde. Sospiro.
“ Bhe, potevi dirmelo
ieri. Anzi, potevi non
avvicinarti proprio, per quanto mi riguarda. Mi avresti fatto solo che
un
favore” replico afferrando la roba e andandomene. Sento che
mi chiama. Ma non
mi volterò. Mi ha detto chiaro e tondo che non vuole/
può vedermi. Quindi i
giochi sono chiusi. Ho avuto un assaggio di Finnick Odair. E se me ne
importasse qualcosa, sarei anche triste di aver perso così
la possibilità di
conoscerlo meglio. Cosa che non sono. Credo.