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Autore: Nerea_V    19/10/2013    6 recensioni
'Concentrati sulle cose semplici.
Semplice a dirsi. L’unica cosa che riuscivo a percepire era la superficie dura e fredda su cui ero stesa. Cercai di aprire gli occhi, ma nonostante sentissi le palpebre alzarsi non notai alcuna differenza. All’inizio vedevo una leggera luce, ma presto neanche quella mi raggiunse più e non vidi altro che buio attorno a me'
[NON FINITA - non so se o quando la finirò... scusate]
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Ben Breaden, Claire Novak
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Non fu poco tempo. Da quella caccia passarono giorni, mesi e infine anni. Imparammo a conoscerci sempre meglio e infine, dopo molto tempo, gli raccontai anche la mia storia. Diventammo inseparabili ed io presi a considerarlo il fratellino minore, che per varie ragioni non avevo mai avuto. Lui imparò molto in quei quattro anni, e così anch’io. Creature sempre più strane uscivano dagli antri più oscuri ed era sempre più difficile distruggerle, ma insieme riuscivamo sempre a scamparla.
Erano passati quattro anni da quel giorno che aveva cambiato per sempre la nostra vita, ma non sapevamo ancora quanto sarebbe stata stravolta, prima di stabilizzarsi e lasciarci un momento di tranquillità. Il mio vecchio Pick up sfrecciava sulla strada statale che percorrevamo per raggiungere la nostra prossima meta. L’aria entrava dai finestrini aperti per fare entrare un po’ di aria in quella calura estiva e mi scompigliava i capelli. Night era seduto tra me e Ben e si godeva tutta l’aria che gli arrivava con la lingua a penzoloni e la bocca aperta, posando di tanto in tanto il muso sulla mia spalla. Ben era invece stravaccato sul sedile del passeggero mentre canticchiava insieme a me la canzone che passava in quel momento per radio. – So I’m starting to regret not selling allo f it to you. So if I haven’t yet, I’ve gonna let you know… Never gonna be alone!- Cominciammo a cantare il ritornello a squarciagola senza vergogna, ma ridendo ogni volta che incrociavamo gli sguardi o che vedevamo il guidatore della macchina che ci passava di fianco guardarci male. A noi però non importava, sapevamo di essere pazzi e non ci importava cosa pensassero gli altri. Negli anni scoprimmo di avere molte più cose in comune di quanto credevamo. Ascoltavamo più o meno la stessa musica, anche se io ancora mi rifiutavo di far andare negli stereo della mia povera macchina roba come David Guetta o Bob Sinclar, che lui non rinunciava mai a proporre e che continuava a tenere nel suo I pod. Prima o poi lo avrei distrutto solo per essere sicura di debellare per sempre dalla mia vita quella che lui definiva musica.
Mentre le ultime note della canzone si propagavano per l’abitacolo della vettura, passammo il cartello con su scritto ‘Benvenuti a Cross City’.
Ci fermammo alla prima tavola calda che trovammo sulla strada, accostammo e con Night al seguito ci avviammo ai tavolini esterni, prendendo dalla macchinetta pubblica il quotidiano del giorno. Dopo aver ordinato Ben incominciò a sfogliare il giornale cercando informazioni sul caso che stavamo seguendo. Nel frattempo io mi guardavo intorno, osservando i passanti e accarezzando delicatamente il muso di Night poggiato sulla mia coscia.
- Mi piace la Florida, finalmente riuscirò ad abbronzarmi un po’.- Dissi chiudendo gli occhi e reclinando la testa indietro.
Ben alzò il viso dalla pagina di giornale che stava leggendo guardandomi scettico. – Tu non ti abbronzi neanche alle Hawaii. Rimani sempre bianca come una mozzarella.- Disse cercando di trattenere un sorriso.
- Non è vero! E’ solo che non ho il tempo di stare a prendere il sole.- Dissi io imbronciandomi e incrociando le braccia al petto.
Lui sbuffò. – Come se il lavorare per l’ottanta per cento all’aperto e il scavare tombe sotto il sole cocente non fosse ‘prendere il sole’. Però devo dire che a volte non sei bianca..- Disse poi e io gli sorrisi compiaciuta. - …diventi fucsia quando stai troppo al sole.- Disse lui semplicemente.
Lo guardai shockata e gli lanciai contro un tovagliolo. – Ehi!- Gli urlai contro, ma lui mi ignorò tornando a leggere il giornale.
Di colpo sentii una strana sensazione dietro la nuca, come un formicolio. Mi girai di scatto pensando che ci fosse qualcuno che mi osservasse, ma nel bar c’erano solo pochi tavoli occupati e le persone si stavano facendo i fatti loro, chi parlando con le amiche, chi sfogliando riviste, chi parlando al cellulare. Tornai a guardare davanti a me, ma la sensazione non sparì, mi mossi nervosa sulla sedia sperando che andasse via. Così non fu, l’unico risultato era stato fare allarmare Night al mio fianco, che aveva alzato le orecchie a punta e mi fissava attento. Tornai a girarmi per vedere se qualcuno mi stesse fissando e a un certo punto il mio sguardo colse una figura. Dall’altra parte della strada sotto un albero, poggiato a lato del cofano di una macchina, stava un ragazzo. Piuttosto alto, pelle chiara, capelli spettinati e mori, mossi dal vento. Portava degli occhiali da solo con lenti scure, non potevo vedere i suoi occhi, ma sentivo che mi stavano fissando di rimando. Rimasi lì fissa in quello sguardo invisibile per un tempo che a me pareva infinito. Poi l’arrivo della cameriera mi fece distogliere lo sguardo, la guardai mentre ci sorrideva e poggiava le nostre ordinazioni sul tavolo. Notai che era particolarmente interessata a Ben e gli rivolgeva sorrisi smaglianti. Tanto che Ben si girò verso di me ammiccando quando lei fece per andarsene lasciandogli un bigliettino su cui doveva esserci il suo numero di telefono. Io scossi la testa e tornai a guardare dove prima c’era il ragazzo, ma di lui nessuna traccia. Sotto l’albero l’ombra era vuota. Non c’era più neanche la macchina. Mi guardai attorno per vedere se la vedevo allontanarsi, ma niente. Non potei evitare a un brivido di corrermi giù per la schiena. Ero una stupida, cos’era successo in fondo? Un ragazzo mi fissava e poi se ne andava, non c’era nulla di strano. Allora perché quella strana sensazione di gelo?  Era diversi giorni che quella sensazione mi colpiva ogni tanto, accompagnata sempre da quel formicolio dietro la nuca. Era come se qualcuno mi seguisse. Scossi la testa, se anche fosse, non c’era da preoccuparsi. Night mi avrebbe avvertito e io e Ben ce ne saremmo occupati.
Mentre smangiucchiavo la mia ciambella Ben stese il giornale sul tavolo, rischiando di rovesciare tutto quello che c’era sopra.
- Ecco qui.- Disse indicandomi un articolo di cronaca ai margini della pagina.
Lessi velocemente il pro filetto che mi aveva messo davanti. – Secondo loro la morte di un uomo, sgozzato in casa sua, è un articolo così poco importante da metterlo ai lati di una pagina?- Chiesi corrucciando le sopracciglia.
- E’ già la terza morte che avviene in quell’appartamento in meno di un mese. Cercano di non farne un caso mediatico.- Rispose tranquillamente riprendendo il giornale in mano. – Dovremmo andare a far visita ai famigliari delle tre vittime.-
- Oh no. Non ci vestiremo da federali, vero?- Chiesi esasperata.
Lui mi guardò cercando di capire se stessi scherzando oppure no. – Certo che ci vestiremo da federali. Chi altro può mai investigare su un caso di gole tagliate?- Chiese alla fine lui, vedendo che non scherzavo.
- La fondazione dei barbieri uniti dello stato?- Chiesi speranzosa, sapendo comunque l’enorme cavolata che avevo appena detto. Infatti, lui mi guardò storto. – Sì lo so, è un’idiozia, ma non voglio mettere quel vestito striminzito, non ci respiro. Per non parlare poi dei tacchi. Arrivo a sera che non sento più i piedi.- Dissi scocciata.
Lui rise di gusto alle mie lamentele, ricevendo una mia occhiata truce di rimando, ma nonostante questo lui non smise di prendermi in giro.
 
Prendemmo una stanza in uno dei soliti e squallidi motel di provincia, con la tappezzeria di almeno trent’anni prima e i materassi sfondati, ma come al solito era tutto quello che potevamo permetterci. Ci cambiammo d’abito e prima di uscire raccomandai a Night di fare la guardia, non potevo certo portarlo durante le indagini.
Saliti sul Pick up ci dirigemmo subito alla casa dei famigliari della prima vittima, parcheggiando distante dal vialetto di ingresso. Agenti federali con una macchina mezza andata non erano molto credibili. Prima di lasciarla però recuperammo una pistola ciascuno dal vano sul retro dei sedili e poi ci dirigemmo verso il 152 di Pendelton Street.
La famiglia di Keira Callaway era ancora sconvolta per la perdita della figlia. Dopo un po’ di convenevoli sulla porta di casa ci fecero accomodare con riluttanza nel salotto. Nonostante fossero stanchi di dover sempre rispondere alle stesse domande, furono piuttosto accomodanti nei nostri confronti. Ci spiegarono che la ragazza era stata trovata con la gola tagliata con indosso ancora il pigiama da notte sul pavimento a fianco del bancone da cucina il giorno dopo il presunto omicidio. Presunto ovviamente secondo gli agenti di polizia del luogo che non sapevano dove sbattere la testa e davano sempre la risposta più accomodante.
Tirammo fuori ai genitori che la ragazza viveva da sola nell’appartamento e che per quanto ne sapevano non si vedeva con nessuno, né qualcuno avrebbe potuto avercela con lei fino al punto di ucciderla. Ovviamente questi erano i pareri dei genitori, che erano legati a lei, ma che non poteva sapere tutto della loro figlia.
Congedatici dai coniugi, decidemmo di andare alla stazione di polizia prima di proseguire con i parenti delle altre vittime.
Dopo il primo e il secondo omicidio l’appartamento era stato subito riaperto e affittato a un nuovo cliente in tempi davvero da record. Tra i primi due casi infatti erano passate poco più di due settimane, tempo minimo per raccogliere informazioni dalla scena del crimine e ripulire il tutto per i nuovi affittuari. Dal secondo omicidio invece si erano fatti più cauti, ma non trovando niente che collegassi le morti al luogo, riaprirono l’appartamento a nuovi interessati. Dopo la morte di Keira però aveva ben deciso di chiuderlo a tempo indeterminato per le indagini. Raccogliemmo le copie dei fascicoli relativi ai casi e ci dirigemmo verso la porta d’ingresso, per poter continuare con gli interrogatori.
- Se volete potete raggiungere il vostro collega che si trova sul luogo del crimine.- Ci disse lo sceriffo poco prima di uscire dalla porta.
Nonostante lo shock innescato da quell’affermazione annuii e con l’aria di chi sapeva perfettamente di cose lui stesse parlando dissi. – Certamente, andremo a fare le nostre verifiche e a consultarci con lui al più presto.-
Appena fummo fuori il mio sguardo scattò verso quello di Ben e lui fece lo stesso. – Un altro federale?- Chiesi preoccupata.
- Potrebbe essere uno di noi.- Disse lui cercando di vedere il lato positivo, come suo solito.
- Ma potrebbe anche non esserlo. Non ci voleva, ci scoprirà subito. Con lui non servirà a niente la telefonata di controllo a Sean. Capirà che non è davvero il nostro capo all’FBI.- Dissi io agitata.
Ben mi mise un braccio sulle spalle, sfregando il palmo della mano sulla mia spalla, per tranquillizzarmi. – Andrà tutto bene. Non è la prima volta che ci capita.- Disse con voce calma. – Adesso andiamo dai parenti delle altre vittime e poi andiamo all’appartamento, magari se ne sarà già andato.-
Io annuii e lo seguii.
Andammo a casa dei Brown e dei Perez, ma non cambiò poi molto la nostra prospettiva. I due ragazzi che avevano abitato la casa prima di Keira erano morti allo stesso modo. Sgozzati e morti dissanguati sul pavimento di casa. Non c’era molta differenza di età tra i tre ragazzi e facendo un po’ di ricerche scoprimmo che anche molti anni prima erano morti allo stesso modo altri ragazzi sui venticinque anni in quell’appartamento, ma dall’ultimo omicidio circa quindici anni prima vi aveva abitato una coppia di anziani, trasferitasi proprio qualche mese prima, lasciandola libera e presa poi in affitto da quei poveri ragazzi.
Più ci avvicinavamo e facevamo nuove scoperte, più il caso si palesava sempre più come un caso di fantasmi.
Così dopo aver interrogato i famigliari e aver passato un paio d’ore in biblioteca, ci dirigemmo nel luogo dei tre delitti con una pila di fotocopie varie su avvenimenti successi anni fa attorno a quel luogo.








Angolo autrice
Non so come scusarmi per tutto il tempo che faccio passare prima di postare il nuovo capitolo, il fatto è che non ho molto tempo per andare avanti con la scrittura e il poco che ho è troppo poco per concentrarmi al meglio nella scrittura. 
Mi sento anche poco ispirata al momento. Spero solo che presto mi arrivi un colpo di genio e che si risolvano alcuni problemi che mi assillano in questo periodo.
Scusate davvero, non so come scusarmi.
Un grosso bacio e un ringraziamento a tutti quelli che leggono e recensiscono a storia, siete sempre qui ad appoggiarmi e di questo ve ne sarò sempre grata :)
Un bacio a tutte quelle del gruppo 'The family business', senza di voi sarei messa ancora peggio XD siatene orgogliose!
Spero a presto <3
  
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