- D’occhi
e labbra
- Come il Dottore
- La
mattina seguente mi sveglio con il suono delle chiavi che girano nella
toppa
della porta, aprendola e poi tintinnando di qua e di là a
ogni passo, finché
Beatrisa non si ferma davanti alla porta del soggiorno e incontrando il
mio
sguardo lo ricambia con faccia colpevole. Sbadigliando tasto il
piumotto e poi
il divano in cerca del cellulare, quando lo trovo, faccio illuminare il
display
e controllo l’ora, poi sbadiglio di nuovo. Lei è
ancora lì che mi guarda.
- «Fammi
il caffè.» le dico con la voce roca da sonno
«E rilassati, non sono il tuo
capo.» le dico, affermando che non m’importa dove e
con chi abbia passato la
domenica notte, sostenendo che il sesso fa bene a ogni età e
siccome ho voglia
di fingere m’interessi qualcosa di lei, aggiungo sopprimendo
l’ilarità «Hai
preso precauzioni?».
- «Non
ho fatto sesso.» dice, aggiungendo sottovoce qualcosa come
‘e tanto non mi sarebbero
servite’ ma non ne sono sicura «Come vuoi il
caffè?».
- «Non
m’interessa, basta che sia buono.» le dico,
mettendomi a sedere e
stiracchiandomi, sorpresa che quel divano non mi avesse lasciato
qualche
fastidioso intorpidimento ai muscoli «Intanto vado a
prepararmi.» sbadiglio
ancora, alzandomi e trascinandomi dietro il piumotto.
Dall’altra soglia del
soggiorno, prima di entrare nell’altro corridoio, aggiungo
severa «Non
seguirmi.».
- Faccio
una doccia veloce, senza lavare i capelli, che una volta
nell’accappatoio
acconcio in una strettissima coda alta da cui faccio scendere una
treccia,
tanto per non avere i capelli a modo di selvaggia della savana. Decido
di
indossare il vestitino color rosa pastello che a Marco piaceva in
particolar
modo, per la leggera scollatura a barca e la finta lampo sulla schiena.
Tuttavia, lo metto solo perché agli altri da quella
sensazione d’innocenza e
incapacità che non mi appartengono di carattere, insomma,
faccio più tenerezza
con questo straccio addosso; il trucco lo riservo per dopo la
colazione, sia
mai parto da qui con il rossetto sbavato.
- In
cucina trovo il caffè ad aspettarmi, una tazza infantile in
ugual modo al
bicchiere di ieri, e intanto che bevo non posso non pensare che in
realtà
Beatrisa sia ancora bambina. Ora che ci penso però,
guardandomi attorno, non ho
ancora notato foto dei suoi parenti in giro, a parte nel quadro sulla
parete
d’entrata, dove erano ritratti una donna e un uomo con una
neonata in braccio e
mi sorge un po’ di malinconia nel pensare che forse
anch’io dovrei disfarmi
delle immagini di chi non merita la mia considerazione e mi chiamano
solo per
chiedermi se l’assegno mensile è arrivato e
scusandosi di aver dimenticato il
mio compleanno, anche se manca una settimana al fatidico giorno.
- «Bel
vestitino.» sobbalzo sullo sgabello e la sento ridere
«Non volevo
spaventarti.».
- «Ma
smettila, ti ha fatto piacere.» le faccio notare indicando la
piega allegra
della sua bocca con moderata irritazione «Piuttosto, ho
bisogno di un paio di
scarpe.» lo dico imbronciandomi e per nulla contenta
all’idea di indossare
qualcosa di suo.
- «Cosa
ti dice abbia il tuo stesso numero di piedi?».
- «Il
fatto che ho controllato ieri notte.» le dico, ignorando il
suo sguardo di
disapprovazione e raccontandole che ero andata a spiare nel suo porta
scarpe in
entrata «Mi piacciono quelle di velluto con il fiocco sui
talloni, le
ballerine.» specifico, sia mai mi porti quelle tacco quindici
che non capisco
cosa le indossi a fare se tanto è già alta
«Dai, veloce, vai a prenderle. Intanto
finisco il caffè.».
- «Non
posso.».
- «Spiegati.»
le impongo con tono tutt’altro che comprensivo.
- «Non
posso.».
- «Questo
l’ho capito, genio.» le faccio al suo ripete quelle
due parole «Tuttavia, se
non mi dai una spiegazione valida, penserò tu voglia
menomarmi sul piano
lavorativo e sarà costretta a fare rapporto.».
- «Non
posso dartele, perché non sono mie.» le rivolgo
uno sguardo dubbioso,
suggerendole di inventarsi un’altra scusa «Non sto
mentendo, non sono brava a
farlo.».
- «Oh,
beh, stai imparando adesso.» affermo sarcastica, rivelandole
una grande verità «Nessuno
è sincero nel mondo.» le dico con fare sprezzante,
trovandola sempre più
irritante come persona «Dai Heidi,
sono tutta orecchi, dimmi perché non mi vuoi
aiutare.».
- «Quel
mobiletto non ha effetti personali di mia appartenenza.»
sputa fuori
leggermente innervosita «Erano della mia coinquilina, la
stanza che utilizzi
era sua, esattamente come il bagno.» mi racconta
«Si è trasferita il mese
scorso, è andata a convivere con il suo ragazzo, tra sette
mesi avranno una
figlia e tra uno si sposano.» continua a parlare, vomitandomi
addosso cose che
non mi interessa sentire, argomenti che glisso magnificamente,
chiedendole,
quando la avrebbe rivista «Non lo so, abbiamo appena finito
di litigare.».
- «Perfetto.»
dico io, guadagnandomi da lei un’occhiata severa
«Cioè, la cosa è perfetta
perché, dubito, vi rivedrete tanto presto.» inizio
a spiegarle, cercando di non
giocarmi l’opportunità di indossare un comodo paio
di scarpe che a dirla tutta
erano anche molto carine «Se le indosso solo per oggi, non lo
verrà mai a
sapere.» decido di provare con un tono più caldo e
rivolgendole un sorriso meno
sprezzante «Per favore, Heidi,
ci
terrei davvero a fare bella figura davanti a Sandra.».
- «Stai
mentendo?» a quella domanda so di essermi tradita, mostrando
della sorpresa
«Stai mentendo.».
- «Forse
sì o forse no.» dico alla sua affermazione,
scendendo dallo sgabello e
fermandomi di fronte a lei, mi sento davvero una nana, le arrivo appena
sotto il
labbro inferiore «Però davvero, mi fanno male i
talloni.».
- «Tu
sei come lui.» la guardo leggermente sconvolta, prima di
accusarla se si è
ammattita a paragonarmi a un uomo «No, non dico fisicamente,
sei una donna e si
vede.» si corregge, nominando un certo dottore «Non
conosci, Doctor Who?».
- «Chi?».
- «No,
non Chi, ma Dottore
Chi.» mi riprende, iniziando a parlare che
assolutamente
doveva istruirmi a questo programma televisivo di cui aveva tutti i
cofanetti,
affermando che il suo sogno erotico era uno di quei personaggi, un
certo Pond,
tuttavia non l’ascolto finché non finisce dicendo
«E tu sei come lui, appari,
sparisci e poi ritorni, mentendo sempre.» sbuffo,
distogliendo gli occhi dai
suoi che adesso mi stanno scrutando con fare accusatorio ed io non
posso che
affermare nella mia testa che sì, questa è pazza,
vive in un mondo tutto suo ed
io non voglio farne parte «Comunque, aspetta qui.»
lo dice con fare leggermente
rassegnato. Una volta che sono sola, non posso che sorridere
soddisfatta,
credevo di non riuscire a convincerla. Torno a sedermi sullo sgabello,
il
negozio apre alle otto e mezza, e l’orologio alla mia destra
segna a malapena
le sette e quaranta. Si vede che qua a Venezia sono abituati a fare le
cose con
calma, se partissi da casa a quest’ora, mi ritroverei
bloccata nel traffico di
Milano «Non sono le ballerine che volevi, ma sono belle lo
stesso.».
- Guardo
la scatola di scarpe che mi sta porgendo, la apro e al loro interno vi
sono un
paio di stivaletti di camoscio neri, con un tacco molto basso e sottile
e
sempre con il dettaglio di un fiocco dietro, senza dire nulla, li
infilo ai
piedi e faccio qualche passo di prova per la cucina, accennando un
sorriso.
- «I
miei piedi ti ringraziano.» affermo, sospirando di sollievo a
non sentire alcun
dolore al tallone «Anche se erano già proiettati
in quelle ballerine.» non
posso fare a meno di dirlo con tono leggermente acido,
perché solitamente non
mi accontento quando voglio qualcosa e Marco lo sa bene, lui mi da
sempre tutto
quello che voglio.
- «Beh,
in frigo ci sono un paio di marmellate e alcuni succhi.»
inizia a dirmi,
continuando a tenere gli occhi su quelle che adesso sono le mie scarpe
«Nella
credenza vicino alla finestra troverai del pane.».
- «Non
me la fai tu la colazione?» lei si mi avvicina, socchiudendo
gli occhi e
scrutandomi in silenzio, ha un’espressione che non mi
rassicura per nulla
«Allora, me la fai sì o no?» increspa le
labbra, andando a posarmi le mani sui
fianchi ed io penso che non ho il peperoncino con me, che sono stata
stupida ad
abbassare la guardia e sono ancora più stupida ora che me ne
sto zitta, a
pensare e a tenere gli occhi sbaratti e fissi sulla sua bocca
«Senti Yoli,
lasciami andare.».
- «Tra
tutti i nomi, questo è quello che meno mi piace.»
le sento dire con un moto di
tristezza che mi da i brividi, e non posso che odiarmi per essermi
fatta
scappare ancora quel nomignolo e per aver pensato alla prima donna che
ho
baciato in maniera goffa e infantile «Ti farò la
colazione, ma devi avere
pazienza.» dice, liberandomi dalla sua morsa leggera,
sparendo verso la sua
camera.
- «Non
farlo mai più, non avvicinarti così a me, mai
più.» ci tengo a urlarglielo,
anche se non credo mi abbia sentita.
- Sbuffo,
mandando mentalmente al diavolo la colazione e dirigendomi a darmi gli
ultimi
ritocchi, voglio solo andarmene e farla pagare a Marco e a Susanna.
Voglio che
soffrano come stanno costringendo a soffrire me.
- Sto
finendo di mangiare il mio croissant, quando un numero sconosciuto
appare sullo
schermo dello smartphone, stoppando la canzone che stavo ascoltando
tramite gli
auricolari, lo lascio vibrare finché non smette e decido di
ripetere
l’operazione, aspettando che la persona dall’altra
parte si annoi di assillare
e rinunci all’idea di ascoltare la mia voce. Dopo un paio di
minuti, in cui il
contatore registra, otto chiamate senza risposta, mi arriva un
messaggio.
- ‘Dove
sei? Mi stai facendo preoccupare.’.
- Appena
finisco di leggerlo, me ne arriva un altro con l’identico
testo, solo che il
contatto porta il nome di Marco e mi scrive in più di
rispondere alla
spilungona dalle mani lunghe. Decido di ignorare anche lui,
perché sono davvero
furente e a pensare che dovrò passare con Beatrisa
l’intera giornata, mi
saltano i nervi, lo aggredirei in maniera troppo pesante.
- Sbuffo,
nel notare nuovamente quel numero sconosciuto sul display, che occupa
tutto lo
schermo, impedendomi di guardare l’ora. Quando smette, non
sono per nulla
sorpresa di notare che sono ancora le otto e venti. Annoiata, vedo di
attirare
l’attenzione del cameriere e saldare il conto, per poi
dirigermi al negozio,
sono sicura che i dipendenti possano recarsi prima
dell’apertura, se no,
aspetterò fuori e cercherò di calmare
l’irritazione.
- «Carlotta!»
faccio finta di nulla, continuando a camminare «Carlotta,
finalmente, mi hai
fatta preoccupare.».
- «Sono
grande e vaccinata, so badare a me stessa.».
- «Sei
affidata a me, se succedeva qualcosa?» le rivolgo
un’occhiataccia indignata e
lei mi spiega che il mio così detto ragazzo,
venerdì l’aveva avvicinata al
ristorante chiedendole di badare a me «Quindi, non farlo
più.».
- «In
pratica, sei la mia balia?» le domando stizzita e con fare
retorico, infatti,
non risponde «Non ti voglio avere sempre attaccata alla
gonna.» le sputo acida,
guardandomi bene di mantenere più di un braccio di distanza
tra me e lei «Per
cui, tranquilla. Parlerò con Marco.» le prometto e
lei continua a rimanere
zitta, non capisco se stia guardando me o le sto facendo
così paura che
preferisce fissarsi in qualcos’altro alle mie spalle
«Tranquilla, sei libera
dal tuo incarico.» una volta detto ciò, riprendo a
camminare, soddisfatta che
se ne stia stata in silenzio per tutto il tempo, senza controbattere
con inutili
scuse.
- Tuttavia,
anche se sputerei veleno a chiunque mi rivolgesse la parola, entro nel
locale
con un enorme sorriso, salutando con la mano alcuni venditori che sono
già
intorno al bancone, andando poi nella saletta dove venerdì
mi aveva portato
Beatrisa, accompagnata da Sara, una veterana della boutique. Tolgo il
cappotto
e lo metto sull’attaccapanni, dove già ho
sistemato la borsa, faccio un profondo
respiro e decido di cercare l’espressione più
dolce e credibile che ho nel
repertorio, pronta a entrare in scena, alla ricerca del migliore da
portare a
Milano e ricevere così l’aumento che Susanna mi ha
promesso.
- «Ciao,
sei quella nuova di venerdì.» annuisco, verso una
donna dai corti capelli
castani, che allunga una mano in mia direzione «Piacere, sono
Luisa.».
- «Piacere
mio.» dico, stogliendo lo sguardo dalla sua mano, su cui
spicca un anello
nuziale, e guardandola negli occhi scuri «Sono Carlotta, ma
puoi chiamarmi
Lotte.» asserisco, scartandola immediatamente dai candidati.
- Sarebbe
difficile anche per me, riuscire a convincere una famiglia a
trasferirsi da
Venezia a Milano, esattamente come sarebbe impegnativo corrompere Sara
o Luigi
che sono in questo negozio da più di quattro anni e ne
sembrano molto soddisfatti.
Dei nuovi decido di tenere in considerazione solo Francesco,
perché mi è
piaciuta la sua stretta di mano e la maniera decisa con cui ha
ricambiato il
mio sguardo, mentre dei più anziani, i candidati sono due,
Maurizio e Laura.
Per quanto riguarda Beatrisa, non la prenderei mai in considerazione,
anche se
si è dimostrata abbastanza all’altezza, per essere
qui da poco più di un anno.
- «Allora,
Lotte.» Luisa richiama la mia attenzione «Starai
con Beatrisa, oggi. Mi
raccomando, tienila d’occhio.».
- «In
che senso, devo tenerla d’occhio?» domando con fare
innocente.
- «Lo
potrai dire tu, tra una mezzora.» afferma, aggiungendo che
forse ne resterò
impressionata «Sai, quando ha problemi, è
veramente un mostro.» sostiene,
osservando verso la porta e alzando una mano a modo di saluto
«Si salvi chi
può.» Luisa sorride in maniera materna a
quell’affermazione, per poi posarmi
una mano sulla spalla e allontanarsi verso Luigi.
- «Così
sei quella nuova?» annuisco a Laura che mi guarda in maniera
che trovo
invadente e prima di allontanarsi dice, allungando una mano a toccarmi
la
treccia «Bei capelli.».
- Mi
costringo a sorridere, segnando mentalmente un asterisco negativo sulla
casella
di Laura, avvicinandomi piuttosto a Francesco con cui intavolo una
breve
conversazione, finché, dopo alcuni minuti è
proprio Beatrisa ad attirare
l’attenzione di tutti, iniziando a consegnare dei fogli,
ricordando ai nuovi
che per ogni inconvenienza potevano rivolgersi a lei o a Luigi e Luisa,
visto
che Sandra era assente quel giorno.
- «Buon
lavoro gentaglia e per mercoledì, sappiatemi
dire.» finisce, battendo le mani e
disperdendo i venditori che vanno a occupare le proprie postazioni
«Ah,
Carlotta.» mi chiama, continuando a tenere gli occhi bassi
sui due fogli che
tiene tra le mani «So che dovevi stare con me.»
incomincia, andando dietro al
bancone e accendendo il computer «Ma oggi neanche Marta
c’è, ti occuperai della
reception al suo posto.».
- «Scherzi?».
- «Assolutamente
no.» dice, rivolgendomi uno sguardo serio, per poi tornare a
fissare lo schermo
«E no, non pensare me la stia prendendo con te.»
aggiunge, inserendo forse
delle password, poiché torna a sollevare gli occhi su di me
e allunga un
braccio a darmi un buffetto sul naso, mostrandomi un fugace sorriso
«Oggi e
domani, è meglio tu ed io manteniamo le distanze.»
lo dice come se lo stare con
lei per me fosse una cosa importante «Questo pomeriggio ti
farò dare il cambio
da Francesco o da Laura.» afferma, aggiungendo soprappensiero
che forse era
meglio lasciare direttamente qualcuno di più esperto al
bancone, visto che a
Milano funzionava in maniera diversa e i venditori non venivano
istruiti a
entrare in contatto con persone interessate a un appuntamento.
- «Me
la caverò benissimo.» intervengo, interrompendo il
suo monologo, chi si crede
di essere? Mi ha preso per una stupida? «Dimmi solo cosa devo
fare.».
- Ci
mette alcuni minuti a spiegarmi come funziona l’accoglienza
del cliente che
aveva già prenotato, di quello che solo curioso che veniva
solo a informarsi e
di quello che ancora chiedeva un appuntamento, facendo differenza
ovviamente
con quelli che chiamavano per telefono, istruendomi su come dovevo
procedere
per avvertire il personale che la consulenza stava per terminare e che
era
arrivato il prossimo cliente, mostrandomi come utilizzare il programma
di
messaggistica.
- «Hai
capito?» annuisco rispondendole che non ero mica ritardata
«Buon lavoro,
Carlotta.».
- «Sì,
sì. Ora, eclissati.» le faccio, scottandole la
mano con cui mi stava carezzando
la testa «Poi c’è scritto lì
cosa devo dire.» le faccio notare il foglio
scritto a computer, attaccato sulla fascia alta del bancone, nascosto
alla
vista di un possibile cliente «Aspetta, perché
stai gestendo tu il negozio?» lei
mi sorride e portandosi l’indice davanti alla bocca dice,
sparendo al secondo
piano che è un segreto.
- Le
faccio la linguaccia, occupando la sedia girevole, mentre mi nasce
l’idea che
stare seduta non mi spiacerà poi tanto.
- I
primi clienti a presentarsi sono destinati a Laura e Francesco, nelle
sale al
piano terra, mentre i seguenti sono tutti destinati al piano superiore.
Passano
tre quarti d’ora e come mi aspettavo, Luigi e Luisa si sono
già liberati,
vendendo degli abiti che superano entrambi i duemila euro, subito dopo
noto
anche la sposa affidata a Francesco, arriva soddisfatta assieme ai suoi
accompagnatori.
- Sono
appena passate le undici e mi sto dedicando a una delle riviste
abbandonate in
uno dei cassetti, quando una donna che credo di aver già
visto entra in negozio
con una falcata accattivante, mentre i capelli tinti di rossi
ondeggiano a ogni
passo.
- «Voglio
un appuntamento.».
- «Vorrebbe
un appuntamento?» ripeto, calcando sulla prima parola,
perché, anche se il
cliente ha sempre ragione, non sopporto chi è
così arrogante «Per quando?».
- «Ora.»
la guardo sorridendole in maniera più finta che posso,
dicendole che non era
possibile «Allora per questo pomeriggio.».
- «Neppure,
mi spiace.».
- «Potresti
per lo meno far finta di controllare.» mi suggerisce seccata,
scrutandomi in
maniera che trovo fastidiosa «Fallo.».
- «Vuole
che controlli, eh?» le chiedo, facendo come mi chiede e
sfogliando l’agenda
virtuale del negozio, increspando le labbra con fare dispiaciuto
«Se ha
pazienza, chiedo al mio capo se è possibile inserirla da
qualche parte.»
affermo, verificando in realtà gli stati degli appuntamenti,
così da vedere se
potevo godere del lusso di farla sperare inutilmente. Mi alzo dalla
sedia,
andando all’ufficio di Sandra, sperando di poter accedere a
qualche fascicolo
privato dei venditore. Lì però trovo Beatrisa
intenta a parlare con qualcuno al
telefono. Busso allo stipite della porta, attirando la sua attenzione,
lei mi
sorride mimandomi di aspettare un attimo «Potevo anche
tornare, non è veramente
importante.».
- «Tranquilla,
ho risolto.».
- «Ho
una donna di sotto che esige un appuntamento, per domani.» le
dico e lei
sbianca un attimo, chiedendomi il suo nome «Non
l’ha detto.» rispondo e allora
mi chiede di descrivermela «Poco più alta di me,
capelli rossi, ma sono ovviamente
tinti e ha un sacco di doppie punte, occhi castani e un neo vicino alla
bocca.».
- «Dille
che siamo pieni.».
- «Insisterà.»
la metto d’innanzi alla realtà, non capendo il
perché della sua agitazione,
trovandola infantile per lasciarsi coinvolgere così da una
cliente un po’
invasata.
- «Inventati
qualcosa, accontentala, basta che non la affidi a me.» a
questo suo permesso
non posso che fissarla confusa, tuttavia non ho proprio intenzione di
assecondare Miss voglio e ottengo «Scusa, ma ora ho da
fare.».
- «Stai
bene?» adesso è lei a rivolgermi uno sguardo
sorpreso «Cioè, sei strana, strana
forte, ma adesso stai superando il limite.» cerco di
recuperare al lapsus,
grattandomi il collo con fare nervoso «Quindi, sì.
Stai bene?».
- Mi
sorride Beatrisa, ringraziandomi e dicendomi di tornare a lavoro,
mentre
riprende in mano il proprio cellulare.
- Sto
tornando alla mia postazione quando intravedo Jessica in
difficoltà, nel
mantenere al proprio posto le damigelle del suo appuntamento,
così decido di
fare una sporadica apparizione, tanto per ridarle il controllo della
situazione.
- «Grazie,
Lotte.».
- «Figurati,
basta ti mostri più decisa.» dico, ricambiando
riluttante il suo abbraccio «Ah,
hai meno di un quarto d’ora, poi ti manderò
qualcuno.» le ricordo tanto per
farle tornare un po’ d’agitazione, sia mai si
rilassi troppo.
- «Domani
mi presenterò alle dieci in punto.» inizia a dire
la finta rossa, puntandomi
contro l’indice e lasciando sorpresa Jessica che faccio
allontanare con un
cenno della mano, tranquillizzandola con un sorriso «Voglio
sia Beatrisa a
condurre la mia prova abito.».
- «Ha
giù un abito?» lei annuisce ed io sorrido
«Allora mi dispiace, ma non è
possibili sia Beatrisa o uno dei venditori esperti a
seguirla.» spiego,
precisando che siccome aveva già l’abito, poteva
seguirla anche semplicemente
la sarta che si era occupata delle modifiche «Tuttavia, non
so se per domani ci
sia posto, le sarte sono molto occupate in questo periodo.»
invento, non
sapendo minimamente gli andamenti della sartoria, giacché
non l’avevo neppure
visita.
- «Non
credo tu abbia capito, piccola etero confusa.» afferma
lasciandomi scettica,
continuando a puntarmi quello stupido indice contro il naso, che
cos’è bullismo
nei confronti delle persone diversamente alte? «Devi
smetterla di -.».
- «Carlotta,
porta questi al camerino cinque.» a parlare con tono fermo
è Luisa «La futura
sposa si chiama Rachele, arrivo subito.» annuisco, afferrando
al volo i due
capi e dirigendomi a fare i gradini, mentre la sentivo chiamare per
nome quella
donna dal carattere impossibile e ora sono più perplessa che
mai.
- Quella
donna si comporta come se fosse la padrona e poi la spilungona che sta
mandando
avanti il negozio non mi convince come il legame che ha con quella
donna.
Tuttavia, decido di accantonare questo bizzarro episodio e, dopo aver
consegnato questi pomposi e principeschi abiti, tornarmene al mio
posto, in
altre parole dietro alla scrivania, a sedermi e leggere qualche
pettegolezzo
sui famosi.
- «Ancora
qui?» dico a mezza voce, sentendo Luisa parlare
concitatamente.
- «Hai
fatto la tua scelta Monia e se veramente hai bisogno di fare questa
prova
d’abiti, ti assisterò io.» porto gli
occhi al cielo, notando che davvero quelle
due erano ancora lì.
- «Non
volevo questo, io la a-.» s’interrompe piantando
gli occhi scuri nei miei «Cosa
fai, ragazzina? Origli?» a quella domanda mi punto
l’indice contro e inclino
leggermente la testa di lato, facendo la finta tonta «Oh, non
fare
l’innocentina, so che ti stai approfittando di lei solo
perché si assomigliano.»
me lo sputa contro con una rabbia che non penso di meritarmi
«Devi starle
lontana.».
- «Carlotta,
ho bisogno che vieni con me, in ufficio.» alle mie spalle,
appare Beatrisa
«Luisa, occupati della reception, fammi questo favore,
coordina i prossimi
appuntamenti.».
- «Aspetta,
ti prego.» scocco uno sguardo internamente divertito verso
Monia perché il suo
tono di voce si è improvvisamente trasformato
«Guardami, sono qui. Almeno
ascoltami.» e fu un attimo, quella donna ci si
avvicinò con passo veloce,
spingendomi di malo modo verso il muro e per fortuna non verso la fila
di abiti
da sposa firmati Rosa Clara, afferrò Beatrisa per le spalle
e la costrinse in
un bacio dai ritmi tutt’altro che lenti «Ti prego,
ti prego.».
- Rimango
spiazzata a fissarle per alcuni istanti. Quando mi riscuoto, distolgo
lo
sguardo fissandolo a terra e notando solo in quell’istante
che quella donna
aveva delle ballerine con un fiocco esattamente come quelle che
c’erano nella
scarpiera a casa di Beatrisa e non posso che domandarmi ancora, che
cavolo sta
succedendo in questo negozio e soprattutto cosa sta succedendo a me?
- «Ya no te amo.» sento che la
spilungona dice
solo questo, poi me la ritrovo di fronte e mi mormora uno scusa,
scoccandomi un
bacio sull’orecchio e provocandomi calore sulle guance e un
brivido giù per il
collo, intanto che intreccia una sua mano alle mie, proseguendo
nuovamente in
spagnolo e solo quando mi accorgo che mi stanno entrambe fissando con
insistenza, mi appresto a chiederle cosa voglia «Solo
menti.» mi risponde con
tono altrettanto basso ed io penso che mentire mi riesce bene, io mento
sempre.
Come aveva detto sono come quel suo dottore di base e ora che ci
rifletto
meglio, sì, certamente deve essere rimasta scottata da una
storia d’amore
finita male con un uomo più vecchio quando era al liceo e in
base al trauma si
è buttata sull’altra sfonda, ma che cavolo vado a
pensare? Queste due stanno
ancora aspettando che dica qualcosa, devo mentire.
- «Ascolta,
Monia.» incomincio, chiedendole conferma se quello fosse il
suo nome o se “per
sbaglio” lo avessi storpiato, stritolando la mano di
Beatrisa, perché voglio
che un po’ di dolore lo provi per quello che mi ritrovo
costretta a fare «Forse
non l’hai capito, ma fai più bella figura se ti
ritiri.» lo dico sempre con un
tono molto calmo e sensibile, stanno entrando degli altri appuntamenti
e non
vorrei spaventarli, dimostrandomi troppo sprezzante e acida
«Diventerai mamma. Vuoi
davvero che ciò che porti lì dentro si vergogni
di te?».
- «Piccola
-.».
- «In
più, lei non ti ama.» la interrompo, andando a
poggiare la tempia sulla spalla
della mia momentanea padrona di casa con fare affettuoso,
complimentandomi per
il mio talento nel recitare «Eclissati, ti va?» le
suggerisco, cercando di
moderare il linguaggio, poiché è sempre una
futura mamma, non vorrei m’incolpasse
di qualcosa in futuro, tipo di parto prematuro o che so io, anche se
dubito che
le parole bastino a provocare malformazioni genetiche «Non
m’intendo di
gravidanze.» mi accorgo di averlo detto ad alta voce quando
Monia mi manda a
quel paese, poco prima di minacciarmi nella sua lingua, sventolandomi
sempre
quel ditaccio contro e andarsene.
- «Grazie.».
- «Non
te la caverai così.» lo dico, riprendendo la sua
mano e dirigendomi a passo
spedito verso una qualsiasi saletta deserta «Adesso tu vieni
con me.».
- Porto
Beatrisa nella stanza dei dipendenti, chiudendomi la porta alle spalle
con mala
grazia, e la faccio sedere in altrettanta mala maniera sul divanetto.
Inizio a
fissarla in maniera torva, lei rimane lì, seduta con le
spalle ricurve e la
testa incassata tra di esse e pure io rimango qui, ferma, arrabbiata e
con le
braccia incrociate al petto. Incavolata con lei e molto di
più con me, ma forse
lo sono di più con lei, perché so già
che spenderò la mia pausa pranzo nel
negozietto d’abiti qui dietro e addio a buona parte dei soldi
che mi sono
prefissata di spendere per queste due settimane. Tutto
perché mi ha costretto a
un gioco sporco e stupido.
- «Lei
è stata la mia ragazza.».
- «Sei
lesbica.».
- «Lo
sono.».
- «Sì,
lo so che lo sei.» sbotto con fare isterico, allargando i
bracci, esasperata da
tutte queste rivelazioni «L’hai appena
ammesso.».
- «Con
lei era finita già da un po’.» riprende
a parlare, ancora in quella pietosa
posizione che non rende minimamente giustizia alla sua altezza
«Ma quando ha
saputo di te. Quando Sandra mi ha detto che potevamo scegliere te, ha
ricominciato a insistere di tornare assieme.» la guardo
confusa e irritata dalla
sua spavalderia nell’incolpare me, poi con quello che
aggiunge la mia mente va in bianco «Tu hai baciato mia
cugina, Yolanda.».