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Autore: PesceConCrema    20/10/2013    1 recensioni
Carlotta Rossi è una giovane donna di venticinque anni, altamente complessata e dal comportamento finto che ama avere tutto sotto controllo.
La sua vita subirà un brusco cambiamento, quando il suo capo le da come obbiettivo il reclutare un nuovo venditore per il suo negozio e ne approfitta mandandola in trasferta a Venezia, nella butique di un'amica, solo che invece di fermarsi per qualche ora, Carlotta sarà costretta a ...
«Abito qua dietro, cinque minuti e sono arrivata a casa.» afferma iniziando a sorseggiare una bevanda partorita dalla macchinetta automatica e, dall’aroma che mi arriva al naso, dev’essere caffè «Ho una camera e un bagno per gli ospiti.» aggiunge e qui capisco che sta cercando di corrompermi, anche perché ha cambiato sguardo. Quegli occhi mi stanno scrutando in maniera insolente, indugiando sulle mie forme «Poi, sembriamo avere la stessa taglia d’abiti, anche se sei un poco bassina.» e qui non riesco a trattenermi dal mandarla a quel paese «Non volevo offenderti.» dice lei, tra una sorsata e l’altra «Davvero, mi farebbe piacere tenerti con me.».
Genere: Commedia, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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D’occhi e labbra
Come il Dottore
 
 
 
 
 
La mattina seguente mi sveglio con il suono delle chiavi che girano nella toppa della porta, aprendola e poi tintinnando di qua e di là a ogni passo, finché Beatrisa non si ferma davanti alla porta del soggiorno e incontrando il mio sguardo lo ricambia con faccia colpevole. Sbadigliando tasto il piumotto e poi il divano in cerca del cellulare, quando lo trovo, faccio illuminare il display e controllo l’ora, poi sbadiglio di nuovo. Lei è ancora lì che mi guarda.
«Fammi il caffè.» le dico con la voce roca da sonno «E rilassati, non sono il tuo capo.» le dico, affermando che non m’importa dove e con chi abbia passato la domenica notte, sostenendo che il sesso fa bene a ogni età e siccome ho voglia di fingere m’interessi qualcosa di lei, aggiungo sopprimendo l’ilarità «Hai preso precauzioni?».
«Non ho fatto sesso.» dice, aggiungendo sottovoce qualcosa come ‘e tanto non mi sarebbero servite’ ma non ne sono sicura «Come vuoi il caffè?».
«Non m’interessa, basta che sia buono.» le dico, mettendomi a sedere e stiracchiandomi, sorpresa che quel divano non mi avesse lasciato qualche fastidioso intorpidimento ai muscoli «Intanto vado a prepararmi.» sbadiglio ancora, alzandomi e trascinandomi dietro il piumotto. Dall’altra soglia del soggiorno, prima di entrare nell’altro corridoio, aggiungo severa «Non seguirmi.».
Faccio una doccia veloce, senza lavare i capelli, che una volta nell’accappatoio acconcio in una strettissima coda alta da cui faccio scendere una treccia, tanto per non avere i capelli a modo di selvaggia della savana. Decido di indossare il vestitino color rosa pastello che a Marco piaceva in particolar modo, per la leggera scollatura a barca e la finta lampo sulla schiena. Tuttavia, lo metto solo perché agli altri da quella sensazione d’innocenza e incapacità che non mi appartengono di carattere, insomma, faccio più tenerezza con questo straccio addosso; il trucco lo riservo per dopo la colazione, sia mai parto da qui con il rossetto sbavato.
In cucina trovo il caffè ad aspettarmi, una tazza infantile in ugual modo al bicchiere di ieri, e intanto che bevo non posso non pensare che in realtà Beatrisa sia ancora bambina. Ora che ci penso però, guardandomi attorno, non ho ancora notato foto dei suoi parenti in giro, a parte nel quadro sulla parete d’entrata, dove erano ritratti una donna e un uomo con una neonata in braccio e mi sorge un po’ di malinconia nel pensare che forse anch’io dovrei disfarmi delle immagini di chi non merita la mia considerazione e mi chiamano solo per chiedermi se l’assegno mensile è arrivato e scusandosi di aver dimenticato il mio compleanno, anche se manca una settimana al fatidico giorno.
«Bel vestitino.» sobbalzo sullo sgabello e la sento ridere «Non volevo spaventarti.».
«Ma smettila, ti ha fatto piacere.» le faccio notare indicando la piega allegra della sua bocca con moderata irritazione «Piuttosto, ho bisogno di un paio di scarpe.» lo dico imbronciandomi e per nulla contenta all’idea di indossare qualcosa di suo.
«Cosa ti dice abbia il tuo stesso numero di piedi?».
«Il fatto che ho controllato ieri notte.» le dico, ignorando il suo sguardo di disapprovazione e raccontandole che ero andata a spiare nel suo porta scarpe in entrata «Mi piacciono quelle di velluto con il fiocco sui talloni, le ballerine.» specifico, sia mai mi porti quelle tacco quindici che non capisco cosa le indossi a fare se tanto è già alta «Dai, veloce, vai a prenderle. Intanto finisco il caffè.».
«Non posso.».
«Spiegati.» le impongo con tono tutt’altro che comprensivo.
«Non posso.».
«Questo l’ho capito, genio.» le faccio al suo ripete quelle due parole «Tuttavia, se non mi dai una spiegazione valida, penserò tu voglia menomarmi sul piano lavorativo e sarà costretta a fare rapporto.».
«Non posso dartele, perché non sono mie.» le rivolgo uno sguardo dubbioso, suggerendole di inventarsi un’altra scusa «Non sto mentendo, non sono brava a farlo.».
«Oh, beh, stai imparando adesso.» affermo sarcastica, rivelandole una grande verità «Nessuno è sincero nel mondo.» le dico con fare sprezzante, trovandola sempre più irritante come persona «Dai Heidi, sono tutta orecchi, dimmi perché non mi vuoi aiutare.».
«Quel mobiletto non ha effetti personali di mia appartenenza.» sputa fuori leggermente innervosita «Erano della mia coinquilina, la stanza che utilizzi era sua, esattamente come il bagno.» mi racconta «Si è trasferita il mese scorso, è andata a convivere con il suo ragazzo, tra sette mesi avranno una figlia e tra uno si sposano.» continua a parlare, vomitandomi addosso cose che non mi interessa sentire, argomenti che glisso magnificamente, chiedendole, quando la avrebbe rivista «Non lo so, abbiamo appena finito di litigare.».
«Perfetto.» dico io, guadagnandomi da lei un’occhiata severa «Cioè, la cosa è perfetta perché, dubito, vi rivedrete tanto presto.» inizio a spiegarle, cercando di non giocarmi l’opportunità di indossare un comodo paio di scarpe che a dirla tutta erano anche molto carine «Se le indosso solo per oggi, non lo verrà mai a sapere.» decido di provare con un tono più caldo e rivolgendole un sorriso meno sprezzante «Per favore, Heidi, ci terrei davvero a fare bella figura davanti a Sandra.».
«Stai mentendo?» a quella domanda so di essermi tradita, mostrando della sorpresa «Stai mentendo.».
«Forse sì o forse no.» dico alla sua affermazione, scendendo dallo sgabello e fermandomi di fronte a lei, mi sento davvero una nana, le arrivo appena sotto il labbro inferiore «Però davvero, mi fanno male i talloni.».
«Tu sei come lui.» la guardo leggermente sconvolta, prima di accusarla se si è ammattita a paragonarmi a un uomo «No, non dico fisicamente, sei una donna e si vede.» si corregge, nominando un certo dottore «Non conosci, Doctor Who?».
«Chi?».
«No, non Chi, ma Dottore Chi.» mi riprende, iniziando a parlare che assolutamente doveva istruirmi a questo programma televisivo di cui aveva tutti i cofanetti, affermando che il suo sogno erotico era uno di quei personaggi, un certo Pond, tuttavia non l’ascolto finché non finisce dicendo «E tu sei come lui, appari, sparisci e poi ritorni, mentendo sempre.» sbuffo, distogliendo gli occhi dai suoi che adesso mi stanno scrutando con fare accusatorio ed io non posso che affermare nella mia testa che sì, questa è pazza, vive in un mondo tutto suo ed io non voglio farne parte «Comunque, aspetta qui.» lo dice con fare leggermente rassegnato. Una volta che sono sola, non posso che sorridere soddisfatta, credevo di non riuscire a convincerla. Torno a sedermi sullo sgabello, il negozio apre alle otto e mezza, e l’orologio alla mia destra segna a malapena le sette e quaranta. Si vede che qua a Venezia sono abituati a fare le cose con calma, se partissi da casa a quest’ora, mi ritroverei bloccata nel traffico di Milano «Non sono le ballerine che volevi, ma sono belle lo stesso.».
Guardo la scatola di scarpe che mi sta porgendo, la apro e al loro interno vi sono un paio di stivaletti di camoscio neri, con un tacco molto basso e sottile e sempre con il dettaglio di un fiocco dietro, senza dire nulla, li infilo ai piedi e faccio qualche passo di prova per la cucina, accennando un sorriso.
«I miei piedi ti ringraziano.» affermo, sospirando di sollievo a non sentire alcun dolore al tallone «Anche se erano già proiettati in quelle ballerine.» non posso fare a meno di dirlo con tono leggermente acido, perché solitamente non mi accontento quando voglio qualcosa e Marco lo sa bene, lui mi da sempre tutto quello che voglio.
«Beh, in frigo ci sono un paio di marmellate e alcuni succhi.» inizia a dirmi, continuando a tenere gli occhi su quelle che adesso sono le mie scarpe «Nella credenza vicino alla finestra troverai del pane.».
«Non me la fai tu la colazione?» lei si mi avvicina, socchiudendo gli occhi e scrutandomi in silenzio, ha un’espressione che non mi rassicura per nulla «Allora, me la fai sì o no?» increspa le labbra, andando a posarmi le mani sui fianchi ed io penso che non ho il peperoncino con me, che sono stata stupida ad abbassare la guardia e sono ancora più stupida ora che me ne sto zitta, a pensare e a tenere gli occhi sbaratti e fissi sulla sua bocca «Senti Yoli, lasciami andare.».
«Tra tutti i nomi, questo è quello che meno mi piace.» le sento dire con un moto di tristezza che mi da i brividi, e non posso che odiarmi per essermi fatta scappare ancora quel nomignolo e per aver pensato alla prima donna che ho baciato in maniera goffa e infantile «Ti farò la colazione, ma devi avere pazienza.» dice, liberandomi dalla sua morsa leggera, sparendo verso la sua camera.
«Non farlo mai più, non avvicinarti così a me, mai più.» ci tengo a urlarglielo, anche se non credo mi abbia sentita.
Sbuffo, mandando mentalmente al diavolo la colazione e dirigendomi a darmi gli ultimi ritocchi, voglio solo andarmene e farla pagare a Marco e a Susanna. Voglio che soffrano come stanno costringendo a soffrire me.
 
Sto finendo di mangiare il mio croissant, quando un numero sconosciuto appare sullo schermo dello smartphone, stoppando la canzone che stavo ascoltando tramite gli auricolari, lo lascio vibrare finché non smette e decido di ripetere l’operazione, aspettando che la persona dall’altra parte si annoi di assillare e rinunci all’idea di ascoltare la mia voce. Dopo un paio di minuti, in cui il contatore registra, otto chiamate senza risposta, mi arriva un messaggio.
‘Dove sei? Mi stai facendo preoccupare.’.
Appena finisco di leggerlo, me ne arriva un altro con l’identico testo, solo che il contatto porta il nome di Marco e mi scrive in più di rispondere alla spilungona dalle mani lunghe. Decido di ignorare anche lui, perché sono davvero furente e a pensare che dovrò passare con Beatrisa l’intera giornata, mi saltano i nervi, lo aggredirei in maniera troppo pesante.
Sbuffo, nel notare nuovamente quel numero sconosciuto sul display, che occupa tutto lo schermo, impedendomi di guardare l’ora. Quando smette, non sono per nulla sorpresa di notare che sono ancora le otto e venti. Annoiata, vedo di attirare l’attenzione del cameriere e saldare il conto, per poi dirigermi al negozio, sono sicura che i dipendenti possano recarsi prima dell’apertura, se no, aspetterò fuori e cercherò di calmare l’irritazione.
«Carlotta!» faccio finta di nulla, continuando a camminare «Carlotta, finalmente, mi hai fatta preoccupare.».
«Sono grande e vaccinata, so badare a me stessa.».
«Sei affidata a me, se succedeva qualcosa?» le rivolgo un’occhiataccia indignata e lei mi spiega che il mio così detto ragazzo, venerdì l’aveva avvicinata al ristorante chiedendole di badare a me «Quindi, non farlo più.».
«In pratica, sei la mia balia?» le domando stizzita e con fare retorico, infatti, non risponde «Non ti voglio avere sempre attaccata alla gonna.» le sputo acida, guardandomi bene di mantenere più di un braccio di distanza tra me e lei «Per cui, tranquilla. Parlerò con Marco.» le prometto e lei continua a rimanere zitta, non capisco se stia guardando me o le sto facendo così paura che preferisce fissarsi in qualcos’altro alle mie spalle «Tranquilla, sei libera dal tuo incarico.» una volta detto ciò, riprendo a camminare, soddisfatta che se ne stia stata in silenzio per tutto il tempo, senza controbattere con inutili scuse.
Tuttavia, anche se sputerei veleno a chiunque mi rivolgesse la parola, entro nel locale con un enorme sorriso, salutando con la mano alcuni venditori che sono già intorno al bancone, andando poi nella saletta dove venerdì mi aveva portato Beatrisa, accompagnata da Sara, una veterana della boutique. Tolgo il cappotto e lo metto sull’attaccapanni, dove già ho sistemato la borsa, faccio un profondo respiro e decido di cercare l’espressione più dolce e credibile che ho nel repertorio, pronta a entrare in scena, alla ricerca del migliore da portare a Milano e ricevere così l’aumento che Susanna mi ha promesso.
«Ciao, sei quella nuova di venerdì.» annuisco, verso una donna dai corti capelli castani, che allunga una mano in mia direzione «Piacere, sono Luisa.».
«Piacere mio.» dico, stogliendo lo sguardo dalla sua mano, su cui spicca un anello nuziale, e guardandola negli occhi scuri «Sono Carlotta, ma puoi chiamarmi Lotte.» asserisco, scartandola immediatamente dai candidati.
Sarebbe difficile anche per me, riuscire a convincere una famiglia a trasferirsi da Venezia a Milano, esattamente come sarebbe impegnativo corrompere Sara o Luigi che sono in questo negozio da più di quattro anni e ne sembrano molto soddisfatti. Dei nuovi decido di tenere in considerazione solo Francesco, perché mi è piaciuta la sua stretta di mano e la maniera decisa con cui ha ricambiato il mio sguardo, mentre dei più anziani, i candidati sono due, Maurizio e Laura. Per quanto riguarda Beatrisa, non la prenderei mai in considerazione, anche se si è dimostrata abbastanza all’altezza, per essere qui da poco più di un anno.
«Allora, Lotte.» Luisa richiama la mia attenzione «Starai con Beatrisa, oggi. Mi raccomando, tienila d’occhio.».
«In che senso, devo tenerla d’occhio?» domando con fare innocente.
«Lo potrai dire tu, tra una mezzora.» afferma, aggiungendo che forse ne resterò impressionata «Sai, quando ha problemi, è veramente un mostro.» sostiene, osservando verso la porta e alzando una mano a modo di saluto «Si salvi chi può.» Luisa sorride in maniera materna a quell’affermazione, per poi posarmi una mano sulla spalla e allontanarsi verso Luigi.
«Così sei quella nuova?» annuisco a Laura che mi guarda in maniera che trovo invadente e prima di allontanarsi dice, allungando una mano a toccarmi la treccia «Bei capelli.».
Mi costringo a sorridere, segnando mentalmente un asterisco negativo sulla casella di Laura, avvicinandomi piuttosto a Francesco con cui intavolo una breve conversazione, finché, dopo alcuni minuti è proprio Beatrisa ad attirare l’attenzione di tutti, iniziando a consegnare dei fogli, ricordando ai nuovi che per ogni inconvenienza potevano rivolgersi a lei o a Luigi e Luisa, visto che Sandra era assente quel giorno.
«Buon lavoro gentaglia e per mercoledì, sappiatemi dire.» finisce, battendo le mani e disperdendo i venditori che vanno a occupare le proprie postazioni «Ah, Carlotta.» mi chiama, continuando a tenere gli occhi bassi sui due fogli che tiene tra le mani «So che dovevi stare con me.» incomincia, andando dietro al bancone e accendendo il computer «Ma oggi neanche Marta c’è, ti occuperai della reception al suo posto.».
«Scherzi?».
«Assolutamente no.» dice, rivolgendomi uno sguardo serio, per poi tornare a fissare lo schermo «E no, non pensare me la stia prendendo con te.» aggiunge, inserendo forse delle password, poiché torna a sollevare gli occhi su di me e allunga un braccio a darmi un buffetto sul naso, mostrandomi un fugace sorriso «Oggi e domani, è meglio tu ed io manteniamo le distanze.» lo dice come se lo stare con lei per me fosse una cosa importante «Questo pomeriggio ti farò dare il cambio da Francesco o da Laura.» afferma, aggiungendo soprappensiero che forse era meglio lasciare direttamente qualcuno di più esperto al bancone, visto che a Milano funzionava in maniera diversa e i venditori non venivano istruiti a entrare in contatto con persone interessate a un appuntamento.
«Me la caverò benissimo.» intervengo, interrompendo il suo monologo, chi si crede di essere? Mi ha preso per una stupida? «Dimmi solo cosa devo fare.».
Ci mette alcuni minuti a spiegarmi come funziona l’accoglienza del cliente che aveva già prenotato, di quello che solo curioso che veniva solo a informarsi e di quello che ancora chiedeva un appuntamento, facendo differenza ovviamente con quelli che chiamavano per telefono, istruendomi su come dovevo procedere per avvertire il personale che la consulenza stava per terminare e che era arrivato il prossimo cliente, mostrandomi come utilizzare il programma di messaggistica.
«Hai capito?» annuisco rispondendole che non ero mica ritardata «Buon lavoro, Carlotta.».
«Sì, sì. Ora, eclissati.» le faccio, scottandole la mano con cui mi stava carezzando la testa «Poi c’è scritto lì cosa devo dire.» le faccio notare il foglio scritto a computer, attaccato sulla fascia alta del bancone, nascosto alla vista di un possibile cliente «Aspetta, perché stai gestendo tu il negozio?» lei mi sorride e portandosi l’indice davanti alla bocca dice, sparendo al secondo piano che è un segreto.
Le faccio la linguaccia, occupando la sedia girevole, mentre mi nasce l’idea che stare seduta non mi spiacerà poi tanto.
I primi clienti a presentarsi sono destinati a Laura e Francesco, nelle sale al piano terra, mentre i seguenti sono tutti destinati al piano superiore. Passano tre quarti d’ora e come mi aspettavo, Luigi e Luisa si sono già liberati, vendendo degli abiti che superano entrambi i duemila euro, subito dopo noto anche la sposa affidata a Francesco, arriva soddisfatta assieme ai suoi accompagnatori.
Sono appena passate le undici e mi sto dedicando a una delle riviste abbandonate in uno dei cassetti, quando una donna che credo di aver già visto entra in negozio con una falcata accattivante, mentre i capelli tinti di rossi ondeggiano a ogni passo.
«Voglio un appuntamento.».
«Vorrebbe un appuntamento?» ripeto, calcando sulla prima parola, perché, anche se il cliente ha sempre ragione, non sopporto chi è così arrogante «Per quando?».
«Ora.» la guardo sorridendole in maniera più finta che posso, dicendole che non era possibile «Allora per questo pomeriggio.».
«Neppure, mi spiace.».
«Potresti per lo meno far finta di controllare.» mi suggerisce seccata, scrutandomi in maniera che trovo fastidiosa «Fallo.».
«Vuole che controlli, eh?» le chiedo, facendo come mi chiede e sfogliando l’agenda virtuale del negozio, increspando le labbra con fare dispiaciuto «Se ha pazienza, chiedo al mio capo se è possibile inserirla da qualche parte.» affermo, verificando in realtà gli stati degli appuntamenti, così da vedere se potevo godere del lusso di farla sperare inutilmente. Mi alzo dalla sedia, andando all’ufficio di Sandra, sperando di poter accedere a qualche fascicolo privato dei venditore. Lì però trovo Beatrisa intenta a parlare con qualcuno al telefono. Busso allo stipite della porta, attirando la sua attenzione, lei mi sorride mimandomi di aspettare un attimo «Potevo anche tornare, non è veramente importante.».
«Tranquilla, ho risolto.».
«Ho una donna di sotto che esige un appuntamento, per domani.» le dico e lei sbianca un attimo, chiedendomi il suo nome «Non l’ha detto.» rispondo e allora mi chiede di descrivermela «Poco più alta di me, capelli rossi, ma sono ovviamente tinti e ha un sacco di doppie punte, occhi castani e un neo vicino alla bocca.».
«Dille che siamo pieni.».
«Insisterà.» la metto d’innanzi alla realtà, non capendo il perché della sua agitazione, trovandola infantile per lasciarsi coinvolgere così da una cliente un po’ invasata.
«Inventati qualcosa, accontentala, basta che non la affidi a me.» a questo suo permesso non posso che fissarla confusa, tuttavia non ho proprio intenzione di assecondare Miss voglio e ottengo «Scusa, ma ora ho da fare.».
«Stai bene?» adesso è lei a rivolgermi uno sguardo sorpreso «Cioè, sei strana, strana forte, ma adesso stai superando il limite.» cerco di recuperare al lapsus, grattandomi il collo con fare nervoso «Quindi, sì. Stai bene?».
Mi sorride Beatrisa, ringraziandomi e dicendomi di tornare a lavoro, mentre riprende in mano il proprio cellulare.
Sto tornando alla mia postazione quando intravedo Jessica in difficoltà, nel mantenere al proprio posto le damigelle del suo appuntamento, così decido di fare una sporadica apparizione, tanto per ridarle il controllo della situazione.
«Grazie, Lotte.».
«Figurati, basta ti mostri più decisa.» dico, ricambiando riluttante il suo abbraccio «Ah, hai meno di un quarto d’ora, poi ti manderò qualcuno.» le ricordo tanto per farle tornare un po’ d’agitazione, sia mai si rilassi troppo.
«Domani mi presenterò alle dieci in punto.» inizia a dire la finta rossa, puntandomi contro l’indice e lasciando sorpresa Jessica che faccio allontanare con un cenno della mano, tranquillizzandola con un sorriso «Voglio sia Beatrisa a condurre la mia prova abito.».
«Ha giù un abito?» lei annuisce ed io sorrido «Allora mi dispiace, ma non è possibili sia Beatrisa o uno dei venditori esperti a seguirla.» spiego, precisando che siccome aveva già l’abito, poteva seguirla anche semplicemente la sarta che si era occupata delle modifiche «Tuttavia, non so se per domani ci sia posto, le sarte sono molto occupate in questo periodo.» invento, non sapendo minimamente gli andamenti della sartoria, giacché non l’avevo neppure visita.
«Non credo tu abbia capito, piccola etero confusa.» afferma lasciandomi scettica, continuando a puntarmi quello stupido indice contro il naso, che cos’è bullismo nei confronti delle persone diversamente alte? «Devi smetterla di -.».
«Carlotta, porta questi al camerino cinque.» a parlare con tono fermo è Luisa «La futura sposa si chiama Rachele, arrivo subito.» annuisco, afferrando al volo i due capi e dirigendomi a fare i gradini, mentre la sentivo chiamare per nome quella donna dal carattere impossibile e ora sono più perplessa che mai.
Quella donna si comporta come se fosse la padrona e poi la spilungona che sta mandando avanti il negozio non mi convince come il legame che ha con quella donna. Tuttavia, decido di accantonare questo bizzarro episodio e, dopo aver consegnato questi pomposi e principeschi abiti, tornarmene al mio posto, in altre parole dietro alla scrivania, a sedermi e leggere qualche pettegolezzo sui famosi.
«Ancora qui?» dico a mezza voce, sentendo Luisa parlare concitatamente.
«Hai fatto la tua scelta Monia e se veramente hai bisogno di fare questa prova d’abiti, ti assisterò io.» porto gli occhi al cielo, notando che davvero quelle due erano ancora lì.
«Non volevo questo, io la a-.» s’interrompe piantando gli occhi scuri nei miei «Cosa fai, ragazzina? Origli?» a quella domanda mi punto l’indice contro e inclino leggermente la testa di lato, facendo la finta tonta «Oh, non fare l’innocentina, so che ti stai approfittando di lei solo perché si assomigliano.» me lo sputa contro con una rabbia che non penso di meritarmi «Devi starle lontana.».
«Carlotta, ho bisogno che vieni con me, in ufficio.» alle mie spalle, appare Beatrisa «Luisa, occupati della reception, fammi questo favore, coordina i prossimi appuntamenti.».
«Aspetta, ti prego.» scocco uno sguardo internamente divertito verso Monia perché il suo tono di voce si è improvvisamente trasformato «Guardami, sono qui. Almeno ascoltami.» e fu un attimo, quella donna ci si avvicinò con passo veloce, spingendomi di malo modo verso il muro e per fortuna non verso la fila di abiti da sposa firmati Rosa Clara, afferrò Beatrisa per le spalle e la costrinse in un bacio dai ritmi tutt’altro che lenti «Ti prego, ti prego.».
Rimango spiazzata a fissarle per alcuni istanti. Quando mi riscuoto, distolgo lo sguardo fissandolo a terra e notando solo in quell’istante che quella donna aveva delle ballerine con un fiocco esattamente come quelle che c’erano nella scarpiera a casa di Beatrisa e non posso che domandarmi ancora, che cavolo sta succedendo in questo negozio e soprattutto cosa sta succedendo a me?
«Ya no te amo.» sento che la spilungona dice solo questo, poi me la ritrovo di fronte e mi mormora uno scusa, scoccandomi un bacio sull’orecchio e provocandomi calore sulle guance e un brivido giù per il collo, intanto che intreccia una sua mano alle mie, proseguendo nuovamente in spagnolo e solo quando mi accorgo che mi stanno entrambe fissando con insistenza, mi appresto a chiederle cosa voglia «Solo menti.» mi risponde con tono altrettanto basso ed io penso che mentire mi riesce bene, io mento sempre. Come aveva detto sono come quel suo dottore di base e ora che ci rifletto meglio, sì, certamente deve essere rimasta scottata da una storia d’amore finita male con un uomo più vecchio quando era al liceo e in base al trauma si è buttata sull’altra sfonda, ma che cavolo vado a pensare? Queste due stanno ancora aspettando che dica qualcosa, devo mentire.
«Ascolta, Monia.» incomincio, chiedendole conferma se quello fosse il suo nome o se “per sbaglio” lo avessi storpiato, stritolando la mano di Beatrisa, perché voglio che un po’ di dolore lo provi per quello che mi ritrovo costretta a fare «Forse non l’hai capito, ma fai più bella figura se ti ritiri.» lo dico sempre con un tono molto calmo e sensibile, stanno entrando degli altri appuntamenti e non vorrei spaventarli, dimostrandomi troppo sprezzante e acida «Diventerai mamma. Vuoi davvero che ciò che porti lì dentro si vergogni di te?».
«Piccola -.».
«In più, lei non ti ama.» la interrompo, andando a poggiare la tempia sulla spalla della mia momentanea padrona di casa con fare affettuoso, complimentandomi per il mio talento nel recitare «Eclissati, ti va?» le suggerisco, cercando di moderare il linguaggio, poiché è sempre una futura mamma, non vorrei m’incolpasse di qualcosa in futuro, tipo di parto prematuro o che so io, anche se dubito che le parole bastino a provocare malformazioni genetiche «Non m’intendo di gravidanze.» mi accorgo di averlo detto ad alta voce quando Monia mi manda a quel paese, poco prima di minacciarmi nella sua lingua, sventolandomi sempre quel ditaccio contro e andarsene.
«Grazie.».
«Non te la caverai così.» lo dico, riprendendo la sua mano e dirigendomi a passo spedito verso una qualsiasi saletta deserta «Adesso tu vieni con me.».
Porto Beatrisa nella stanza dei dipendenti, chiudendomi la porta alle spalle con mala grazia, e la faccio sedere in altrettanta mala maniera sul divanetto. Inizio a fissarla in maniera torva, lei rimane lì, seduta con le spalle ricurve e la testa incassata tra di esse e pure io rimango qui, ferma, arrabbiata e con le braccia incrociate al petto. Incavolata con lei e molto di più con me, ma forse lo sono di più con lei, perché so già che spenderò la mia pausa pranzo nel negozietto d’abiti qui dietro e addio a buona parte dei soldi che mi sono prefissata di spendere per queste due settimane. Tutto perché mi ha costretto a un gioco sporco e stupido.
«Lei è stata la mia ragazza.».
«Sei lesbica.».
«Lo sono.».
«Sì, lo so che lo sei.» sbotto con fare isterico, allargando i bracci, esasperata da tutte queste rivelazioni «L’hai appena ammesso.».
«Con lei era finita già da un po’.» riprende a parlare, ancora in quella pietosa posizione che non rende minimamente giustizia alla sua altezza «Ma quando ha saputo di te. Quando Sandra mi ha detto che potevamo scegliere te, ha ricominciato a insistere di tornare assieme.» la guardo confusa e irritata dalla sua spavalderia nell’incolpare me, poi con quello che aggiunge la mia mente va in bianco «Tu hai baciato mia cugina, Yolanda.».
   
 
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