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Autore: rosa_bianca    20/10/2013    1 recensioni
E se la madre del temuto Fantasma dell'Opera, invece di consegnarlo ad un circo di zingari, avesse deciso di affidarlo ad un convento parigino?
E se, il caso volesse, quest'ultimo fosse proprio il Petit Picpus, rifugio di Valjean e Cosette?
Cosa succederebbe se, quello che sarebbe in un'altra vita un futuro Fantasma, venisse accudito dal nostro ladro di pane preferito?
Come si evolverebbero i fatti? Cosa accadrebbe nel noto 1832, anno della Ribellione di Giugno?
Leggete e scoprirete.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Cosette, Jean Valjean, Marius Pontmercy
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4 giugno 1832, Notte
 
 
 
Aveva passato l’intera serata ad architettare un piano su come lasciare la casa. Era giunta infine alla conclusione che il modo migliore sarebbe stato più semplice di qualsiasi cosa stesse pensando: sgattaiolare fuori dalla porta quando tutti dormivano sarebbe bastato.
Cosette si raccolse i capelli in una treccia e diede un ultimo sguardo alla sua camera. Era dipinta di un tenue color rosa pastello, decorato con delicati fiori bianchi e verdi. Il letto a baldacchino era un po’ vecchio e cigolava in alcuni punti, ma lei non se n’era mai lamentata. Adorava la sua camera, e vi aggiungeva sempre qualcosa per renderla più accogliente: un mazzo di rose, dei fogli di carta colorati, petali secchi trovati in giardino.
Sospirò lungamente ed aprì la porta con cura. Nessun rumore. I suoi piccoli piedi si muovevano leggerissimi, come se quasi non stessero toccando a terra. Attraversò quasi tutto il corridoio, quando passò dinnanzi alla porta della camera del fratello. Una lacrima le scese sulla guancia. Dopo che un forzato sorriso di speranza le attraversò il volto, continuò a camminare fino a raggiungere il nero cancello che la separava dalla strada.
Sono fuori, pensò.
Era molto tardi, e l’unica luce era la luna piena che brillava stancamente sopra i palazzi e i camini.
Cosette era un poco a disagio. Non era mai uscita da sola di casa, mai nella sua vita. Forse le era successo in quel periodo di cui non si ricordava pressoché nulla, degli anni che l’amore di Valjean l’aveva aiutata a dimenticare.
Prese quindi un bel respiro e si avvolse più stretta nel suo vecchio mantello nero. Uno dei pochi ricordi che aveva, risalenti a prima del convento, era di essere stata stretta in quel mantello,  così grande da poterci stare tutta avvolta.
Iniziò a camminare, non era certa verso dove, con passo deciso ma furtivo allo stesso tempo. Aveva molta paura di aggirarsi in città da sola, col buio. Ma era anche molto testarda: doveva trovare Erik, questione di vita o di morte.
Dopo circa due ore di cammino, decise che era troppo stanca per proseguire. Saranno state circa le tre. Scelse un angolo che le pareva abbastanza pulito e vuoto, e ci si accucciò rabbrividendo. Il pavimento era umidiccio a causa della pioggia delle ore precedenti. Cosette si sforzò a chiudere gli occhi e finalmente s’addormentò.
Si svegliò che il sole era già in cielo. Fu presa dallo spavento, poiché non riconobbe il luogo in cui era sdraiata. Poi i ricordi della notte precedente sopravvennero, e si spiegò come mai non fosse sdraiata sul suo morbido baldacchino coperta dalla soffice camicia da notte. Si alzò presto in piedi e si toccò la treccia. Sembrava abbastanza in ordine. Il vestito era leggermente bagnato, ma niente che non si sarebbe asciugato al sole con un poco di pazienza. Si tolse il pesante mantello nero, poco utile con quel caldo, e si rimise in cammino.
Sì, ma verso dove? Questa era una bella domanda, senza dubbio. Si guardò intorno, e vide molte persone indaffarate. Sembravano aver ognuna una cosa importantissima da fare, e si muovevano come formiche prima dell’inverno.
“Scusate, monsieur, cosa sta accadendo di così importante oggi?” domandò ad un signore con il panciotto verde, che stava dirigendosi verso il negozio di un fabbro. Lui la guardò con sorpreso e disse “C’è il funerale del Generale Lamarque questa mattina, a Place de la Bastille. Mezza Parigi sta partecipando.”
Gli occhi di Cosette brillarono. “Vi ringrazio!” esclamò felice, e iniziò a correre verso quella che il signore le aveva indicato come Place de la Bastille. Poteva non essere molto, ma sentiva che Erik era lì. Sentiva che lo avrebbe trovato, in un modo o nell’altro.
Quando Cosette raggiunse con passo affannoso l’enorme piazza gremita, si udì una detonazione: un soldato della Guardia Francese aveva sparato ad una donna tra la folla.
Le urla parvero spaccare in due i timpani di Cosette. Osservò inorridita il cadavere della signora, accerchiato da decine di persone inneggianti alla libertà della Francia e alla Giustizia. Si guardò attorno smarrita, e si sentì quasi svenire. La calca che la circondava l fece rimanere in piedi, dandole il tempo di sforzarsi a resistere. La massa di persone la spostarono in qua ed in là, fino a che non si ritrovò con la vista offuscata appoggiata alle pareti di una viuzza vicina. Prese un po’ di respiri lenti e lunghi, cercando di estraniarsi dal completo caos che si trovava attorno.
Riprese le forze, seguì, senza farsi notare, un gruppo di ragazzi che parlavano di dover costruire una barricata. Di certo l’avrebbero portata in un luogo con molte altre persone, e ciò faceva aumentare la piccola possibilità di trovare Erik.
Sin dall’inizio del tragitto, si sentì avere degli occhi addosso. Ogni tanto si fermava per guardarsi dietro, ed essere certa che nessuno la stesse seguendo.
Si trovava all’imbocco di una stradina buia, che stava ormai sorpassando, quando un brivido le pervase il corpo. Girò di scatto il collo e notò che una sagoma, dal vicolo, le aveva toccato una spalla con le sue dita lunghe. Trattenne a stento un grido, per non far scoprire ai giovani davanti a lei che li stava seguendo.
“Dove ve ne andate, così sola?” domandò l’uomo. Era molto alto ed incredibilmente magro. Il suo vecchio soprabito nero era abbastanza malconcio, come il cappello con la tesa rialzata a sinistra, che gli scopriva un ciuffo di capelli color pece.
Cosette sentì che qualsiasi parole avrebbe formulato per rispondergli, le sarebbero morte in gola. Osservò con terrore le labbra rosse del ragazzo, ed i suoi dalle pupille dorate quasi verticali, come quelle dei gatti.
Lo guardò per tre lunghissimi secondi, fisso negli occhi, che lei teneva spalancati per la paura.
“Montparnasse, diavolo d’un ragazzino!” proruppe una voce adirata e roca, dall’inizio della via. “Se non vieni qui subito…!” Seguirono minacce che è meglio censurare.
Cosette non scoprì mai chi avesse richiamato quel giovane con delle sembianze così femminili: colse il momento per scappar via veloce, e l’unica cosa che riuscì a vedere era il fanciullo che, tenendosi il cilindro con una mano, correva via come se avesse avuto una coda tra le gambe.
Ancora non perfettamente conscia dell’accaduto, riprese un’andatura normale solo quando vide la barricata.
Si trattava, per lei, di una cosa assolutamente nuova: come, d’altronde, quasi tutto ciò che aveva visto e provato dal secondo dopo aver lasciato Rue Plumet.
I suoi occhi incrociarono il cartello di marmo sulla parete di un edificio, con l’insegna ‘Corinth’: ‘Rue de la Chanvrerie’.
Cosette si disse che doveva assolutamente trovare un modo per intrufolarsi alla barricata, almeno il tempo necessario per vedere se per caso Erik si trovasse lì.
“Ah, Marie, questo coso è così vecchio che…” esclamò concitatamente una voce femminile. Cosette intravide la donna che parlava: aveva in mano un grembiule che, se prima era mai stato bianco, ora era di un beige sporco. Lo gettò in terra e rientrò nella locanda, dalla porta sul retro, continuando a parlare all’amica.
Cosette si guardò circospetta e decise che quella era la sua occasione. Prese, quando fu sicura che nessuno la stesse osservando, il grembiule da terra e, dopo averlo scosso un poco, se lo annodò alla vita.
Ci siamo!, si disse con decisione, prima di entrare a passi sicuri nella locanda.
Un odore acre di polvere da sparo le invase le narici, ma lei non ci badò: fu piuttosto presa nel guardare l’altra decina di donne presenti nella sala, tutte con un grembiule come il suo. Si avvicinò piena di iniziativa ad una di esse –ben attenta che non si trattasse dell’amica di Marie- e le disse: “Buongiorno, posso aiutarvi in qualche modo?”
La grassa anziana donna che aveva davanti sorrise dolcemente. “Ma certo, cara, più siamo meglio è. Vieni, inizia col pulire queste.” cominciò, indicando a Cosette  delle vecchie bende macchiate di sangue. Quella visione le fece un po’ senso, ma non disse nulla ed annuì. Dopo aver finito questo suo primo compito, si sarebbe subito messa alla ricerca di Erik. Non voleva che alcuni potessero pensare che lei fosse di una spia: se avesse contribuito al lavoro delle donne, sarebbe stata più benvoluta.
Lanciando qualche occhiata guardinga di tanto in tanto, si mise di buona lena ad affondare le vecchie bende in un catino di acqua e scaglie di lisciva.  
Un rumore stranamente familiare colse la sua attenzione. Si trattava di un suono che soleva udire, specialmente in primavera. Alzò gli occhi, per riflesso involontario, e non credette alla sua vista.
Si coprì la bocca con le mani per soffocare il grido di stupore che le assaliva la gola, impossibilitandola a proferire parola.
Cosa –o meglio, chi- si trovò sotto gli occhi, il lettore attento lo potrà ben immaginare.
Gli occhi di Cosette si riempirono di lacrime di gioia, che le scorrevano calde sulle guance.
È qui! È vivo!
Poi notò un particolare. Be’, lei era abituato a vederlo in quello stato, ma ovviamente la folla che lo circondava, no. Le risate di scherno e le grida d’orrore riempirono le orecchie di Cosette, fino a costringerla a fare qualcosa.
Fu allora che Erik la vide. Vide una bella fanciulla, dai bruni capelli setosi e soffici  di sua sorella, dagli occhi chiari e dolci di sua sorella, dalla pelle rosea e delicata di sua sorella, dal naso grazioso ed impertinente di sua sorella.
Benché avesse gli occhi appannati dalle lacrime di vergogna, si disse che non poteva essersi ingannato.
“Cosette!” sussurrò in preda ai singhiozzi silenziosi, che scuotevano il suo esile corpo di bambino.
La giovane gli carezzò la guancia martoriata e raccolse la maschera dal pavimento sporco e polveroso, inginocchiandosi di fronte a lui. Gli riservò un’occhiata dolcissima, bagnata dalle lacrime, e poi si alzò in piedi, con forza inaspettata, stringendoselo ai fianchi.
“Voi!” inveì, verso le persone nella locanda “Voi parlate tanto di Libertà, Giustizia, Fratellanza… eppure lui” urlò indicando Erik “è una persona come tutti! E lo trattate in questo modo, lo deridete, per una cosa di cui non è nemmeno responsabile!...”
Le sue stesse parole di fuoco le riempivano le orecchie, non sentiva più l’odore della povere da sparo, la sua vista era offuscata –e non a causa delle lacrime-.
Cosette cadde in terra con spaventosa velocità.
Erik fu lesto a tenerle la testa durante la caduta per evitare contusioni. Ora era sdraiata nel bel mezzo del Corinth.
I rumori che susseguirono allo svenimento della fanciulla spinse Combeferre ad entrare nella sala.
“E’…è svenuta.” gli disse una ragazza tanto giovane da poter sembrare una bambina “Fate qualcosa, vi prego.” supplicò.
Erik corse al tavolo dove l’uomo l’aveva sdraiata, asciugandosi le lacrime. I suoi occhi brillavano ancora, sì, ma dalla rabbia.
“Voi le avete fatto questo.” sentenziò, con voce lugubre e profonda, rivolto all’occhialuto. Quest’ultimo si voltò verso il bambino e ribatté con voce calma e paziente.
 “Mi sembra che tu non abbia una visione oggettiva di ciò che è accaduto, piccolo. Non dovresti accusare così le persone.” Poi fece una breve pausa e, concentrato, pose una benda bagnata sulla fronte pallida di Cosette. “Spiegami con chiarezza ciò che è successo, e chi è questa fanciulla.”
“Io so chi è!” esclamò esaltata una voce dalla porta principale, lasciando tutti a bocca aperta.
 Erik non fece in tempo a dire nulla che si trovò di fronte il giovane che aveva dovuto osservare per Courfeyrac.
“Marius?” chiese solo Combeferre, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Io…lei…la conosco!... Courfeyrac l’ha vista, anche lui!” si mise a delirare concitatamente. “Courfeyraaaac!” chiamò con un grido. Aveva il viso paonazzo, tanto che le lentiggini quasi non si notavano. Gli occhi erano illuminati e sembrava che lievitasse dal pavimento.
Courfeyrac, sorpreso di aver sentito qualcuno urlare il suo nome, si diresse di corsa nella locanda.
“Che succede? Qui ci dobbiamo sbrigare, tra poco…” Si interruppe alla visione della giovane sul tavolo.
“L’ho già vista.” affermò con aria sicura e pensosa, posando i palmi delle mani sul legno sporco.
“Ma certo, che l’hai vista… ti ricordi? È Ursule!” esclamò eccitato Marius, alla volta dell’amico.
Erik osservò in cagnesco il ragazzo, che sembrava non essersi accorto che la sua bella avesse perso i sensi.
“Senti, tu!” iniziò, con tono feroce “Tu non hai idea di chi sia. È impossibile che tu l’abbia vista. Anche perché non si chiama Ursule!”
L’espressione di Marius parve interrogativa, come quella di un cane a cui si dice “Ecco, questa è una bistecca che desideravi. Però non puoi mangiarla, perché è di legno.”
“Presto, Marion, i sali!” esclamò Combeferre, concentrato. Appena li ebbe, li passò con cura sotto il naso di Cosette.
 Questa iniziò ad aprire lentamente gli occhi ed a mugugnare qualcosa.
Mentre gli atri osservavano con ammirazione e preoccupazione le sue pupille cerulee, la fanciulla combatteva contro il dolore. Un fortissimo cerchio di ferro sembrava stringerle la testa sempre più forte. Non riusciva a dare ordine ai pensieri, dunque le emozioni che provava erano contrastanti.
Felicità; per aver trovato Erik sano e salvo.
Tristezza; per averlo visto piangere di vergogna.
Disgusto; per le persone che avevano osato deridere il suo fratellino.
Soddisfazione; per essere riuscita a far capire a quella gente immonda che il loro gesto era stato deplorevole.
Ed infine,  sorpresa. Perché l’ultima cosa che si aspettava era trovarsi davanti agli occhi il giovane che aveva incontrato ai Giardini del Lussemburgo. Quello per cui aveva piantato le rose. Lo stesso che sognava ogni notte. Il medesimo che aveva rivisto, per un breve attimo, dalla carrozza di suo padre.
Sono morta. Non c’è altra spiegazione.
Pensò a Suor Simplice, la cara ma severa Suor Simplice, l’unica donna che mai chiamò ‘madre’, una delle sue tutrici al convento.
Aveva raccontato a tutte le fanciulle che quando sarebbero passate a miglior vita, se fossero sempre state delle buone cristiane, il tempo si sarebbe fermato per un attimo, e una scala le avrebbe attese nel luogo della loro morte, fino a portarle verso una luce abbagliante, in cima al cielo.
E allora perché qui è così buio?
Lì, San Pietro le avrebbe aspettate al grande cancello dorato del Paradiso, ed avrebbe aperto loro la porta, per farle passare nel Regno dei Cieli in solitudine.
E allora perché qui ci sono così tante persone?
Dopo il cancello, sarebbero arrivate in un’enorme piazza inondata da luce bianca, dove avrebbero udito per ore le canzoni armoniose degli Angeli di Dio.
E allora perché sento solo rumore?
“Cosette, stai bene? Ti prego, sorella, rispondi!”
“Ursule, per favore, tornate tra noi!”
“Signorina, mi sentite?”.
Cosette aprì di scatto gli occhi e si rizzò a sedere. Quest’ultimo movimento così improvviso le causò l’ennesima fitta al capo. Sbatté le palpebre per essere sicura di vedere bene.
“Erik… ti ho trovato…” esalò con un sorriso. Poi gli fece cenno di avvicinarsi e gli aggiustò la maschera sul viso.
“Qual è il vostro nome?” domandò Marius, chiudendole una mano nella sua.
“Cosette.” rispose semplicemente lei.
“Ma come…?” boccheggiò l’altro. “Le vostre iniziali non sono U.F.?” chiese, tirando fuori dal taschino un candido fazzoletto ricamato.
Cosette sorrise. “Non sono le mie, ma quelle di mio padre.” disse, e poi si corresse “Di nostro padre, cioè.”
Marius guardò lentamente prima la giovane, poi il bambino. Ripeté quest’operazione due volte, per poi affermare “Non vi somigliate affatto.” Forse avrebbe impiegato meno tempo a formulare questa sentenza, se fosse stato presente alla caduta della maschera.
Erik si strinse nelle spalle e disse con tono rude “E questo che importanza ha?”.
“Erik!” esclamò Cosette “Non parlare così a… a?”
“Marius. Barone Marius Pontmercy, al vostro servizio.” s’inchinò il giovane.
“Non avevamo dubbi, Pontmercy.” proruppe una voce severa e stizzita. “Ora che hai trovato la ‘Giovane Perduta’, ‘L’incantevole Ursule’, ‘La Mademoiselle Del Lussemburgo’, potresti darti una mossa e venire ad aiutarci?”
Marius si voltò di scatto e trovò l’alta ed altera figura di Enjolras, che bloccava l’uscita dalla porta. Lo osservava con un espressione quasi di disgusto, lo sguardo amaro e severo di un padre il cui figlio lo stia deludendo.
“Avremmo una rivoluzione in atto, Pontmercy. In caso non lo sapessi.”
Cosette scese dal tavolo con uno dei suoi soliti movimenti aggraziati e strinse forte la mano di Erik.
“Enjolras, non credo che ti dovresti scaldare così tanto.” sorrise Courfeyrac, per allentare la tensione. “Suvvia, è sempre il nostro Marius. Combeferre, vieni anche tu!” disse, e fece segno ai due di tornare fuori, alla barricata.
Marius avrebbe voluto muovere anche un solo passo, ma gli era impossibile. Come poteva combattere, col rischio di rimanere ucciso, ora che aveva trovato la sua Cosette?
Lei, pure, era abbastanza indecisa. Insomma, si era detta che, il secondo dopo essersi ricongiunta al fratello, sarebbe tornata a casa, da Valjean. Dopotutto era fuggita, quindi doveva essere preoccupato per lei. Molto, conoscendolo.
D’altro canto, c’era anche Marius. Un Marius deliberatamente in pericolo di vita. Un Marius che rischiava di trovarsi una palla in petto entro la fine della giornata.
Pensò Enjolras ad interrompere il silenzio.
“Combeferre, tu seguimi. Gli altri facciano ciò che ritengono più opportuno.” e, pronunciate queste scostanti parole, tornò fuori. Combeferre improvvisò un inchino a Cosette e fece cenno a Courfeyrac di venire con lui. Dopodiché, uscì dalla porta.
Erik, intanto, stringeva possessivo un lembo della gonna della sorella, guardando torvo Marius.
“Dovete andare?” gli domandò lei, con voce leggermente addolorata.
Il giovane non rispose per alcuni secondi.
Se chiudeva gli occhi, poteva sentire il rumore dei soldati che si avvicinavano.  Gli sbuffi di disappunto di Enjolras. Il passo indaffarato di Feully.
Riaprì gli occhi.
“Temo di sì.”
Cosette si sorresse poggiando una mano sul tavolo. “Io…”
Il rumore dei fucili caricati. Le parole sussurrate dei soldati. Lo starnuto di Joly.
“Io vorrei restare.”
I mobili spostati. Il fruscio della bandiera nel vento. La risatina di Courfeyrac.
“Però Erik qui non sarebbe al sicuro.” concluse Cosette.
“Io devo rimanere qui. L’ho giurato. È giusto in questo modo. Voi…”
“Fare l’infermiera può essere utile.”
“Ma…”
“Ne avrete bisogno.”
“…”
Erik guardò con insistenza la sorella. “Cosette, ti metteresti inutilmente in pericolo…”
Lei si abbassò per fissarlo direttamente negli occhi. “Non corro alcun pericolo se ci siete voi due, qui. Con te, poi, vorrei parlare più tardi.”
Si lasci dire che Cosette non avrebbe mai agito in questo modo, se non fosse stato per Marius. Ma la sua mente, in quel momento, era come piena di foschia: i pensieri erano nebbia. Sapeva che sarebbe riuscita a proteggerli. Tutti e due. Avvertiva quell’istinto materno e protettivo che alcune donne provano solo dopo la prima gravidanza.
“Ora devo andare…” mormorò Marius, biascicando leggermente le parole. Fece una carezza piena di affetto a Cosette e oltrepassò la porta.
Lei, che era rimasta con un braccio sospeso a mezz’aria, quasi nel tentativo di riuscire a sfiorarlo, decise che era arrivato il momento di darsi da fare.
“Erik, non puoi assolutamente seguire nessuno di loro.” enunciò, severa. Poi, dopo essersi resa conto che forse il suo tono era stato troppo duro –a capirlo l’ aveva aiutata l’espressione del fratello-, aggiunse “Te lo chiedo come favore personale. Ho temuto di perderti, sai?, questi giorni.”
Erik non disse nulla.
“Io devo rimanere qui, assolutamente. Dobbiamo tenerci al sicuro, dobbiamo tenere al sicuro Marius, che ti ha protetto fin ora, non è così?”. Il bambino non fece in tempo a ribattere che in realtà era accaduto esattamente l’opposto, quando la sorella gli sorrise e tornò alla sua postazione d’infermiera.
I primi feriti stavano già arrivando.





Angolo dell'Autrice

Et voilà! Per farmi perdonare del ritardo, vi concedo un bel capitoletto consistente :3
Allora, Cosette è scappata per cercare Erik, e ha partecipato anche lei ai funerali di Lamarque. E indovinate chi incontra alla barricata...? Ok, non c'è bisogno che lo indoviniate, visto che lo avete appena letto. Comunque, ha trovato sia Erik che Marius! *suona trombettina della festa*
Bene, bene... e ora sono tutti e tre invischiati nella rivoluzione! Si starà a vedere...
Al prossimo capitolo,
rosa_bianca
P.s: So che l'apparizione di Montparnasse potrebbe non c'entrarci un fico secco, ma mi piangeva il cuore a non accennarlo neanche <3
   
 
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