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Autore: Blue_moon    20/10/2013    2 recensioni
Terzo libro della trilogia Similitudini.
Per la comprensione della storia è necessaria la lettura delle prime due parti, Prigioni e Spie.
Sono passati tre anni da quando Loki è scomparso nuovamente con il Tesseract.
Nè sulla Terra, nè ad Asgard si sono più avute sue notizie.
Apparentemente le cose sono tornate alla normalità.
Ma nell'ombra antichi nemici stanno preparando la loro mossa, dritta al cuore.
Avvertenza: nella trama sono presenti forti SPOILER riguardo Thor: The Dark World e Iron Man 3, se non volete rovinarvi la sorpresa, non leggete.
AGGIORNAMENTI MOLTO LENTI
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Similitudini'
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Per la serie, chi non muore si rivede, ecco il decimo capitolo.
Chi mi segue su Twitter conosce già in parte le mie disavventure informatiche di questo periodo, quindi ve ne faccio solo un riassunto.
Il mio povero amato portatile è passato a miglior vita durante le ferie di agosto, per cui ho avuto serie difficoltà a completare il capitolo. Se ci aggiungiamo che nell'ultimo mese ho lavorato di più e sono stata occupata con l'organizzazione di un viaggio che farò prossimamente, ho avuto davvero poco tempo per occuparmi di questo capitolo che, come vedrete, è piuttosto consistente.

Non voglio illudervi, da ora in poi è probabile che la frequenza di aggiornamento si assesti su un capitolo al mese, perché ora la trama si fa davvero tosta per me da affrontare, considerando il tempo che posso dedicare alla sua elaborazione.

Questo non significa che Similitudini rimarrà incompiuta, ma solo che mi prenderò il tempo che mi occorre per concluderla in modo degno dell'affetto che provo per essa e per i miei personaggi, oltre che per voi lettori.

Ok, la pausa confessionale è terminata, vi lascio al capitolo...


PS: la targhetta mancante è arrivata!

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Anni di allenamento mandati in fumo in pochi attimi.
Loki respirava profondamente mentre i suoi passi leggeri sfioravano lo strato di neve che ricopriva il terreno.
A malapena lasciava impronte, come se non fosse davvero in quel luogo, ma solo una proiezione distorta, il debole riflesso di un ricordo.
E forse era così, perché la persona che Loki sentiva di essere in quel momento avrebbe dovuto essere morta molto tempo prima, precipitata in un abisso senza fine, inseguita da una negazione violenta e mortale come una coltellata.
Era al punto di partenza, gli anni in cui si era nutrito del potere del Tesseract ed era stato l'unica speranza di vita di quel pianeta in rovina avevano perso improvvisamente significato, solo un sogno, l'illusione di un ragazzo troppo ottimista.
La sola visione di quella donna aveva mandato in frantumi l'autocontrollo che aveva dolorosamente conquistato.
Le ferite antiche erano state riaperte, ed ora sanguinavano copiosamente, stillando rabbia e veleno.
Avrei dovuto ucciderla molto tempo fa.
Si disse Loki, con un vago accenno di rimpianto.
In realtà, prima di quel giorno, non aveva mai provato il reale desiderio di mettere fine alla vita dell'umana, benché fosse stato tentato di farlo.
Gli era sempre costato ammetterlo, ma la donna aveva avuto una sua utilità, un preciso scopo nei suoi piani, che aveva puntualmente portato a termine.
Tuttavia avrebbe preferito di gran lunga continuare a crederla morta, confinata in ricordi labili e insignificanti, piuttosto che dover affrontare nuovamente la sua inopportuna presenza e quello che comportava.
In quel tempo trascorso da solo Loki aveva compreso molto su sé stesso e su ciò che desiderava.
In fondo, poco era cambiato da quando era ragazzo: essere riconosciuto per ciò che era restava in cima alle sue ispirazioni.
Non si considerava più un asgardiano, ma era un Dio, un essere superiore che meritava timore e rispetto.
Essere amato e compreso non rientrava nell'equazione, ma l'aveva accettato da tempo.
Gli Dei non erano fatti per essere amati, ma temuti.
C'era qualcosa di tonificante in quei pensieri e probabilmente Loki vi aveva indugiato più del dovuto, ebbro del potere del Tesseract. Eppure in quei lunghi anni, il Dio dell'Inganno era cambiato, forse in modo troppo sottile perché lui stesso se ne rendesse conto.
Ora comprendeva che la rabbia non era la soluzione, né la violenza uno strumento utile ed efficace, se non in determinati casi e con specifici soggetti.
Sapeva che non sarebbero stati né l'una né l'altra a portarlo al suo scopo.
Come quando era più giovane, poteva contare solo sulla sua conoscenza e sul potere della sua mente e della sua lingua.
In fondo, erano sempre state quelle le sue armi, le migliori che avesse mai posseduto, si concesse di pensare, accarezzando lentamente il pugnale che portava alla cintura.
Quel periodo di relativa pace appena terminato l'aveva passato interamente ad affilare i coltelli che custodiva nell'anima, rendendoli lucidi e letali, raggiungendo vette di sapere che nei suoi sogni più folli non avrebbe mai potuto immaginare.
Era conscio che quella solitudine non sarebbe potuta durare in eterno, prima o poi il potere emanato dal Tesseract avrebbe attirato qualcuno, ma non avrebbe mai immaginato che il primo a piombare giù dal cielo di neve sarebbe stato proprio colui che un tempo chiamava fratello e tutto ciò che aveva tentato faticosamente di accantonare fino a tempo debito.
Essere impreparato era qualcosa che non poteva permettersi, né in quel momento, né in futuro.
Ed era stato il suo unico errore.
Qualcosa di peggiore della rabbia, più forte dell'odio, l'aveva spinto a tentare di uccidere l'umana.
Una paura viscerale che tutto il sapere del Tesseract non era riuscito a lavare via, né a rendere meno potente.
Non aveva mai compreso fino in fondo le motivazioni che animavano la donna e non immaginava cosa potesse averla spinta a rischiare la vita, cercandolo.
Perché i suoi occhi scuri, che si era riscoperto incapace di dimenticare, glielo avevano detto subito, che lei era consapevole di cosa stava accadendo, e qualcosa nell'abbandono del suo copro aveva confessato una sorta di rassegnazione, di accettazione.
E questo, Loki proprio non riusciva a comprenderlo.
Detestava non capire, ma detestava molto di più ciò che la conoscenza avrebbe comportato, perché i sentimenti erano un veleno a cui il suo cuore non era ancora immune.
Nonostante avesse tentato con tutte le sue forze di purificarsi, li sentiva pulsare sotto lo sterno in un vortice di rabbia, insofferenza e delusione che lo confondeva e lo rendeva ancora più vulnerabile di quanto volesse ammettere.
E poi c'era Thanos.
Non si era mai illuso che l'Eterno l'avrebbe lasciato in pace, ma il modo in cui aveva scelto di agire lo lasciava particolarmente perplesso.
L'omicidio di Frigga aveva il chiaro scopo di stanarlo, ma era una mossa azzardata anche per il folle Titano.
Anche se assopita, Asgard era una bestia pericolosa, e la sua rabbia era da temere, soprattutto dopo che il fallito attacco alla Terra aveva decimato l'esercito di Chitauri.
In soli tre anni le forze dell'Eterno non potevano essere tornate al considerevole numero originale, dato il tempo e l'energia che erano necessari per la maturazione di macchine complesse come i Chitauri.
Quella sicurezza, ostentata, quasi arrogante, e l'insolita alleanza con un popolo grezzo e violento come gli Elfi Oscuri, allarmava Loki.
Thanos era pericoloso, e aveva deciso di ricordarglielo in modo chiaro ed inequivocabile.
I passi pesanti di Thor interruppero i pensieri di Loki, e l'alieno li lasciò andare a malincuore. Immaginava che il Dio del Tuono avrebbe cercato di parlargli, ma non significava che ne avesse voglia.
Thor si fermò un passo dietro di lui, e scrutò le spalle dritte del fratello, che continuava a scrutare la foresta innevata con apparente disinteresse.
No, non sembrava cambiato, eppure in lui c'era qualcosa di molto diverso e familiare insieme, come se stesse guardando il riflesso del fratello che Loki sarebbe diventato se solo lui avesse onorato in modo degno la loro parentela.
«Khalida sembra stare meglio», esordì, senza una ragione precisa, per scacciare quel silenzio gelido quanto la neve che ancora scendeva dal cielo bianco e immutabile.
Non aveva mai potuto sopportare il silenzio, soprattutto quello in cui Loki amava rifugiarsi.
«Ti inganni, se credi che m'importi della sua sorte», replicò Loki, con fare assente.
«Perché hai tentato di ucciderla?», chiese Thor.
Loki si voltò, sul viso un sogghigno tagliente. «Hai sempre avuto un talento particolare per fare domande inutili».
Thor strinse i denti, deciso a non cogliere la provocazione.
Gli tornò in mente ciò che Khalida aveva detto nella camera del Bifrost, il giorno prima.
«Non puoi paragonarla a me», iniziò, e Loki gli lanciò uno sguardo curioso e sospettoso. «Lei ha fatto tanto per proteggerti. Oltre ad aver messo in pericolo la sua vita per darti il tempo di fuggire dallo S.H.I.E.L.D., ha rischiato di essere uccisa dalla sua stessa gente, per tradimento», Thor fece un passo avanti, convinto che il silenzio di Loki fosse sintomo del fatto che le sue parole l'avessero colpito. «E anche se ha sempre saputo come rintracciarti, non l'ha mai detto a nessuno».
«L'ha detto a te», replicò Loki, con astio.
La filippica di Thor non lo toccava più di tanto. Conosceva la donna, e se si era comportata in un determinato modo era stato per proteggere sé stessa, non certo lui.
«Solo perché le ho dato un buon motivo per farlo», ribatté Thor, stringendo i pugni.
«Sarebbe?».
Ci siamo. Si disse Thor, respirando a fondo.
«Loki, io so di non essere mai stato un buon fratello per te. Non ho mai capito quanto tu fossi diverso, ma ho comunque agito in modo da fartelo pesare», le parole diventavano via via più facili, man mano che Thor se le levava dal petto, dove erano rimaste per troppo tempo. «Nel Bifrost mi dicesti che avresti voluto essere solo mio pari e sono venuto per offrirti questa possibilità. Io non sono tuo fratello di sangue e Odino non è tuo padre, ma Frigga ti ha sempre amato come una madre, e so che le volevi bene».
Un impercettibile fremito scosse la guancia di Loki, unico segno del tumulto che le parole di Thor stavano scatenando nel suo petto.
«Aiutami a vendicarla, ne hai diritto quanto me, forse di più», concluse Thor, posando una mano sulla spalla di Loki. «Permettimi finalmente di comportarmi come un fratello, dato che non l'ho mai fatto quando avevo ancora la tua stima e il tuo affetto».
Loki scacciò la mano di Thor, pesante come un macigno. Gli occhi si fecero freddi e taglienti. «Ti ha detto lei cosa dirmi?».
Thor aggrottò le sopracciglia, perplesso, e anche deluso.
Sperava che la sua sincerità lo convincesse, ma forse ormai il cuore di Loki era troppo gelato, perché una semplice carezza lo sciogliesse.
Khalida doveva averlo ferito più profondamente di quanto immaginava, per renderlo tanto astioso. Forse non si era sbagliato e Loki provava, o aveva provato, qualcosa per lei.
Fece un mezzo sorriso. «Non so mentire, Loki, né recitare. Lo sai».
«Oh, ne sono consapevole», sputò il Dio dell'Inganno. «Ma lei sì. Non so cosa abbia fatto o detto per incantarti, ma non fidarti di lei. Quando non avrà più bisogno di te, ti volterà le spalle».
Un silenzio carico di molte cose non dette scese tra gli sguardi intensi dei due alieni.
Fu Loki il primo a riscuotersi, probabilmente per evitare che Thor proseguisse l'argomento scomodo che aveva iniziato. Con un cenno della mano destra, richiamò il lupo nero, che era rimasto in attesa qualche metro più in là, al margine della foresta.
Thor istintivamente strinse Mjolnir, pronto a difendersi.
«Fenrir * non ti attaccherà senza un mio ordine», disse Loki, allungando una mano verso il lupo che si avvicinò, abbassando leggermente le orecchie.
«Porta qui gli altri», ordinò il Dio dell'Inganno, con voce autoritaria.
L'animale sembrò annuire e, dedicando una sguardo a Thor come a tenerlo d'occhio, si allontanò da loro con passo leggero.
Il Dio del Tuono seguì i passi dell'animale fino a che non sparì dietro una delle colonne diroccate che sorgevano dal terreno, come denti smussati di una terribile fiera ormai domata.
«Dove sta andando?», domandò, tornando a fissare Loki.
L'altro si lasciò sfuggire un breve sorriso di scherno. «A recuperare il resto dell'improbabile esercito che ti sei portato dietro».
«È ad Asgard il mio esercito», precisò Thor.
«Lo spero per te», ribatté ferocemente Loki. «Perché ne avremo bisogno».

Lo stupore non era un sentimento utile ad un guerriero, e Sif aveva imparato da tempo ad eliminarlo dalla gamma di emozioni che si concedeva di provare. Tuttavia, quello strano viaggio stava mettendo a dura prova la sua abilità nell'ignorare ciò che non era utile.
Non sapeva identificare se l'avesse lasciata più perplessa il comportamento volubile di Loki o lo strano luogo in cui il Bifrost li aveva materializzati.
La foresta aveva lasciato spazio a delle imponenti rovine, fuse in modo equilibrato con la vegetazione, quasi ne avessero sempre fatto parte. Un tempo, quell'ammasso di pareti senza senso doveva essere un palazzo maestoso, più imponente dell'attuale reggia di Asgard.
Alti pinnacoli di metallo e pietra svettavano verso il cielo, formando torrette di forma squadrata, simili a lunghi parallelepipedi di varie lunghezze stretti intorno ad un unico corpo centrale cilindrico. Alcuni arrivavano così in alto che la guerriera faticava a vederne la sommità. **
La forma originaria della struttura era a stella, con almeno venti punte, a giudicare dal numero e dalla disposizione delle torrette.
Anche se spezzate o deformate dai tronchi ritorti degli alberi, molte pareti erano pressoché intatte.
Sif scostò con le mani le grandi foglie rotonde della pianta rampicante che decorava come un arazzo il muro di pietra che stava esaminando. Seguì con la punta delle dita i disegni geometrici che formavano un decoro complesso ed affascinante. Alcuni dei segni le ricordavano la foggia più antica delle rune asgardiane, anche se non riusciva ad associarli a nessuna in particolare.
Qualunque popolo avesse costruito quel palazzo, doveva essere molto avanzato, forse più degli stessi asgardiani.
«Che posto è mai questo?», mormorò la guerriera, tra sé e sé.
Hogun la guardò. «Non mi piace», commentò, riassumendo il sentimento di tutti i Tre Guerrieri, come era solito fare le poche volte che apriva bocca.
Fandral annuì.
«Non c'è nulla da mangiare», rimarcò Volstagg.
Sif trattenne uno sbuffo. «Seriamente, voi ricordate di aver mai letto di un pianeta come questo? Non fa parte dei Nove Mondi», insisté, battendo la punta della sua lancia bilama sulla parete. La pietra tintinnò come se fosse fatta di metallo, con una nota argentina.
Quel posto sembrava avere millenni, eppure era conservato straordinariamente bene. Le strutture più antiche di Asgard al confronto erano fatiscenti e traballanti.
Fandral si grattò la nuca. «Hem... non è che stessi molto attento alle lezioni di geografia», ammise.
«Questo pianeta non esiste nelle mappe di Asgard», confermò invece Hogun.
«Perché sei così sorpresa? Ti aspettavi che Loki si nascondesse in un posto facile da trovare?», osservò Volstagg.
Sif strinse le belle labbra, ignorando il commento del compagno. «Non mi piace questa storia».
Una lieve risata interruppe lo scambio di battute degli asgardiani.
Khalida si girò su un fianco, scostandosi di dosso il pesante mantello di pelliccia che Fandral le aveva cavallerescamente prestato per difenderla dal gelo pungente mentre era incosciente.
«Voi asgardiani non imparate proprio mai...», mormorò, sarcastica, nonostante la voce affaticata.
I Tre Guerrieri la fissarono con la stessa espressione che avrebbero riservato ad un pentapalmo parlante.
Khalida rise, con l'isterismo di chi è sorpreso di essere ancora vivo.
Si guardò intorno, registrando in fretta i dettagli.
All'appello mancavano Thor, Loki e i due lupi.
«Vedo che ti senti meglio», osservò Sif, velenosa.
Quella donna non gli era mai piaciuta, sin dalla prima volta che l'aveva vista. Era come un cavallo selvaggio che, anche se accetta di essere domato, potrebbe disarcionarti quando meno te lo aspetti, solo perché scorge la possibilità di tornare ad essere libero.
Eppure Thor si fidava di lei, e Sif non capiva come né perché, dato che la donna non aveva mai fatto nulla, dal suo punto di vista, per meritare tanta considerazione.
Sapeva dare una motivazione precisa a tutti quei sentimenti negativi, ma era troppo degradante ammetterli, e Sif preferiva nasconderli sotto spiegazioni più o meno logiche, ma sicuramente più comode.
Come ogni bravo soldato, sapeva annullarsi al momento più opportuno.
Khalida annuì lentamente, ingoiando la voglia di ribattere al sarcasmo malcelato di Sif. L'antipatia che la Dea le dimostrava la infastidiva e stimolava in ugual misura, perché riusciva a vedere dentro di essa una realtà interessante, che poteva volgere a suo vantaggio. Ma quello non era il momento di occuparsi di Sif, era già felice di riuscire a respirare e pensare in modo coerente, non aveva voglia di attaccare briga con l'asgardiana. Non avrebbe mai iniziato una guerra che non era certa di vincere.
Non poteva dire di stare bene, la testa le girava e aveva perso molto sangue, come le ricordava il fastidioso odore ferroso nelle narici, tuttavia si sentiva piuttosto in forze, se non considerava il tremore diffuso nei muscoli delle gambe e delle braccia.
Ma a quello, aveva ormai fatto l'abitudine.
Sin dalla prima volta che aveva utilizzato Match si era resa conto che il suo fisico si assuefaceva in fretta all'energia aliena che lo attraversava.
All'inizio i sintomi erano gestibili, solo un prurito o una lieve contrazione delle dita o dei muscoli del braccio uniti a un mal di testa trascurabile. Quando lo S.H.I.E.L.D. le aveva strappato l'arma, non ne aveva risentito più di tanto, il dolore per le ferite era stato soverchiante e non aveva lasciato spazio a nient'altro, ma quando era entrata in contatto con l'entità, le cose erano rapidamente peggiorate.
Per usare termini terrestri, in quel momento si sentiva prossima ad una vera e propria crisi d'astinenza, e la cosa non le piaceva affatto.
Con le mani tastò intorno a lei, lottando contro la nausea che le squassava lo stomaco. Sospirò di sollievo quando trovò il familiare metallo di Match e lo strinse, lasciando l'energia libera di scorrerle nei tendini, dando sollievo ai tremiti sempre più forti.
Sperò vivamente che gli asgardiani li scambiassero per brividi di freddo, non aveva nessuna voglia di mentire.
Il sospetto che Match la stesse cambiando, era ormai una dolorosa certezza, ma se voleva avere una chance di tornare sulla Terra, aveva l'obbligo di restare lucida, accondiscendendo a quella situazione assurda e intollerabile.
«Per quanto tempo sono rimasta incosciente?», domandò, tentando di mettersi in piedi.
Fandral, con il solito fare da gentiluomo, le prestò volentieri una mano cui aggrapparsi, e Khalida non rifiutò.
«È difficile stabilire lo scorrere del tempo, in questo posto», replicò Hogun.
«Sono affamato, per cui sono passate almeno due ore da quando siamo arrivati», osservò Volstagg.
«È mai possibile che niente riesca a farti passare l'appetito?», sbottò Sif, nervosa.
Fandral scrutò la compagna. «Cosa ti inquieta, Sif?».
La guerriera gli rivolse uno sguardo fermo, quasi arrogante. «Thor manca da troppo tempo».
Un rumore lieve, poco più di un fruscio, fece scattare i sensi vigili degli asgardiani.
Un sibilo di lame spezzò il placido silenzio della radura, rimbalzando sinistro sulle pareti di pietra.
Khalida reagì più lentamente e, dopo essersi voltata, osservò con curiosità il lupo nero comparso a pochi metri da loro.
L'animale appariva tranquillo. Con le orecchie basse, li scrutava di lato, senza muoversi, quasi ad attendere una loro reazione.
Un mormorare teso passò tra Fandral e Volstagg, indecisi su come comportarsi nei confronti della creatura.
Infine, dopo aver scrutato a fondo la posa e gli occhi dell'animale, Khalida fece un passo avanti.
«Cosa pensi di fare?», la rimbrottò Sif, come si fa con un bambino testardo.
Khalida si limitò ad indicare il lupo.
Come lei si era mossa aveva avanzato, spostandosi verso destra, apparentemente nel punto più interno delle rovine.
«Vuole che lo seguiamo».

Il passaggio era stato graduale, tanto che Khalida aveva notato la scomparsa degli alberi solo dopo diversi minuti di cammino. Più si inoltravano nelle rovine, più la foresta lasciava il passo a quella che doveva essere stata una vera e propria città, formata da decine di edifici connessi tra loro da passerelle sospese di metallo e vetro, di cui restavano solo poche schegge sparse sul pavimento sconnesso e moncherini aggrappati alle pareti.
«Questo posto doveva essere enorme», osservò Volstagg, schivando un masso squadrato che ostruiva l'accesso al corridoio in cui il lupo nero, Fenrir, era scomparso.
Khalida, sempre Match stretto nel pugno, si concesse un breve sorriso. «Non mi sarei aspettata niente di meno, dai creatori del Tesseract».
I Tre Guerrieri la fissarono confusi, e Sif avanzò di un passo verso di lei, con aria intimidatoria. «Come fai a saperlo?», chiese la Dea, indecisa se credere alle parole dell'umana.
Khalida sollevò il mento. «Me l'ha detto Loki***».
«Prima o dopo aver tentato di ammazzarti?», incalzò Sif.
Khalida si voltò e fronteggiò l'asgardiana faccia a faccia. «Mi vuoi spiegare che problema hai, Sif?».
La Dea fece un altro passo avanti, i nasi delle due donne quasi si sfioravano, tanto erano vicine. «Non mi fido di te».
«No, quello che ti infastidisce davvero, è che Thor si fidi di me», la provocò Khalida, stringendo la presa su Match che scintillò più vigorosamente. Anche se aveva deciso di non litigare con Sif in quella circostanza, adesso ne aveva improvvisamente voglia.
«Quel tuo bastone non mi fa paura», fece presente la guerriera, sfoderando la corta spada che portava alla cintura.
«Dovrebbe», ribatté Khalida, sprezzante.
Non sapeva nemmeno lei di preciso perché stesse provocando Sif in modo tanto sfacciato. La guerriera le era superiore sotto ogni aspetto e avrebbe potuto ucciderla con una mano sola, ma qualcosa dentro di lei stava crescendo sempre di più, alimentata da una rabbia che reprimeva da troppi anni. Khalida conosceva abbastanza se stessa per sapere che quella sete si sarebbe placata solo con il sangue. Suo o di Sif poco importava.
Il metallo di Match incontrò quello della lama di Sif sventagliando scintille, e subito dopo una scarica d'energia azzurra saettò vicino alla testa dell'asgardiana, producendo uno sgradevole odore di piume bruciate.
Benché in svantaggio, Khalida non aveva intenzione di risparmiarsi, e Sif era intenzionata a dare fondo a tutta la sua abilità per mettere in difficoltà la donna, pur non colpendola mai direttamente, sfiancandola senza aver bisogno di ferirla.
Voleva umiliarla, non certo ucciderla.
Khalida intuì ben presto la tattica dell'asgardiana e la torse a suo vantaggio, fingendosi più provata di quanto fosse in realtà.
Sif cadde presto nella trappola, e Khalida riuscì a colpirla di piatto con Match. Un'escoriazione fiorì sulla pelle della Dea, provocata dell'affilata filigrana dell'impugnatura.
Sif perse definitivamente il controllo, abbandonò la spada e si gettò a testa bassa su Khalida, aggredendola nel modo più primitivo che conosceva: graffiandola e tirandola per i capelli.
Fandral, Hogun e Volstagg assisterono alla scena talmente perplessi dal comportamento delle due donne, da non riuscire a reagire, né a fermare la compagna, che ben presto avrebbe finito con l'ammazzare l'umana, anche involontariamente.
«SIF!», tuonò la voce di Thor, accorrendo dalla stanza adiacente, attirato dal trambusto.
Imponendosi a forza tra le due, tenendo Khalida per una spalla e puntando il Mjolnir contro il petto di Sif, il Dio del Tuono fissò entrambe con sguardo deluso e confuso insieme.
La risata di scherno di Loki si fece strada nel silenzio pesante. «Vedo che ti circondi sempre di notevoli elementi», insinuò, sbucando dal fondo del corridoio, accompagnato dalla lupa bianca.
Nella mente di Khalida, lucida nonostante il corpo affaticato, un collegamento apparve improvvisamente nitido. Proprio come aveva utilizzato lo Scettro per far emergere la rabbia latente nel neonato gruppo degli Avengers, così Loki aveva sfruttato Match per farle perdere il controllo sulle proprie emozioni nei confronti di Sif, e viceversa.
«Tu!», sibilò, stringendo di più Match, la cui asta era diventata bollente. «Qual'era il tuo obiettivo? Speravi che io uccidessi lei o lei uccidesse me?», sputò, insieme ad un grumo di sangue coagulato. Aveva qualche graffio superficiale, ma fortunatamente niente di grave. L'energia di Match la rendeva più resistente, almeno finché si manteneva in contatto con il manufatto.
Loki sorrise, portando le mani dietro la schiena. «Devo ammettere che entrambi i risultati mi avrebbero soddisfatto».
Thor osservò in volto prima Sif, che sembrava confusa e quasi imbarazzata, e poi Khalida, che annuì impercettibilmente. Si voltò verso il fratello. «Non abbiamo tempo per i tuoi giochetti Loki».
«Non credere che non comprenda la gravità della situazione. Ciò che faccio non è mai senza scopo», affermò Loki, raddrizzando le spalle. Indicò con un gesto rapido Khalida e Sif. «Questo è un problema tuo», aggiunse.
Thor lo fissò in attesa di ulteriori spiegazioni, che però non arrivarono.
Scambiò qualche sguardo d'intesa con i Tre Guerrieri, che si occuparono di affiancare Sif, la quale non aveva osato aprire bocca.
Khalida precedette il gruppo, incamminandosi dietro Loki e i due lupi, che lo affiancavano come due fedeli guardie del corpo.
«Ti fidi di lui?», mormorò Volstagg, rivolto a Thor.
«No, ma credo che sia disposto a darci ascolto. Il perché credo non lo sappia nemmeno lui», ammise il Dio del Tuono.

Il pavimento era pianeggiante, privo di crepe. Sembrava formato da lastre di roccia vulcanica, nera ed opaca, che risuonava come metallo quando veniva calpestata.
Al centro della sala di modeste dimensioni, molto ben conservata rispetto al resto dell'antico palazzo, troneggiava un tavolo su cui davano mostra di sé cibi di vario genere.
«Che non si dica che non sono ospitale», fece presente Loki, accennando alle vivande.
Volstagg non se lo fece ripetere due volte, e anche Khalida si arrischiò. Fidarsi di Loki era l'unica opportunità che aveva, avevano, per riuscire a tornare indietro e, se lui non li avesse aiutati, necessitava comunque di nutrimento, per riuscire ad affrontare di nuovo l'entità e capire come tornare su Asgard.
Loki osservò con attenzione i suoi sgraditi ospiti.
«Quindi ritieni che l'esercito di Asgard abbia una possibilità contro quello di Thanos...», iniziò come proseguendo un discorso lasciato in sospeso, volgendo lo sguardo verso Thor.
Il Principe aggrottò le sopracciglia. «I nostri alleati risponderanno all'appello», replicò.
Loki scosse la testa. «I tuoi alleati potrebbero non essere tali», osservò.
«Prima di parlare degli alleati, sarebbe il caso di parlare del nemico», si intromise Khalida.
Loki la fissò in tralice, ma sulle labbra passò l'ombra di un sorriso. «Speri sul serio che io abbia informazioni su di lui?».
Era la prima volta che Loki le si rivolgeva direttamente, e Khalida non seppe spiegare la strana sensazione di familiarità che si impadronì del suo corpo.
Il modo in cui la sua mente e quella di Loki si inseguivano, a volte quasi completandosi, l'aveva sempre stupita in modo genuino.
La sensazione, oltre a confonderla, era riuscita a rassicurarla, in qualche modo, della sua umanità.
All'interno della Gabbia aveva scoperto, dopo anni passati in un limbo emotivo di totale indifferenza, di essere ancora in grado di provare qualcosa, nonostante la ferita profonda della morte di Manaar.
Ciò l'aveva stordita e confusa di primo acchito, ma successivamente quella convinzione era diventata una motivazione potente, che l'aveva condotta fino ad Haiti e ad Ivy.
Khalida era giunta a queste conclusioni impegnandosi costantemente in un analisi approfondita di se stessa, nei lunghi mesi di solitudine sull'isola. Dopo aver dato fondo alle sue conoscenze di psicologia, poteva finalmente ammettere di sentirsi serena, quasi in pace.
Almeno finché Thor non era precipitato nuovamente giù dal cielo, distruggendo il suo piccolo mondo.
Ora, aveva paura di perdere tutto quanto, per colpa di quella ritrovata complicità malsana con un'alieno che non si sarebbe fatto molto scrupoli ad ucciderla, non appena gli si fosse ripresentata l'occasione. Ma era costretta, perfino da se stessa, a cedervi.
«Sei l'unico che pare conoscerlo», osservò Khalida, fissando Loki negli occhi.
«Sarebbe presuntuoso fare una simile affermazione, da parte mia», replicò lui. «Comunque posso dire di poter immaginare quali siano le sue intenzioni», proseguì, muovendo qualche passo in avanti.
«Cioè?», incalzò Thor.
«Thanos ha scopi molto semplici, punta ad avere il pieno controllo dell'universo in modo da esserne l'unico padrone. Suppongo che intenda cominciare da Asgard».
«Se il suo scopo era questo, perché attaccare solo ora?», intervenne Fandral.
Loki gli scoccò un'occhiata quasi di compatimento. «Thanos non misura il tempo come noi, oppure come i mortali. Per uno che esiste da migliaia di anni, pochi anni sono equiparabili a pochi istanti», spiegò, seppur con una certa riluttanza.
«Intendi quindi aiutarci?», si azzardò a domandare Thor.
Loki strinse le labbra, e qualcosa simile allo smarrimento lo spinse ad aggrottare appena le sopracciglia. Ad una prima occhiata, Khalida immaginò che si fosse appena pentito di ciò che aveva detto, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
La donna spostò lo sguardo tra i due fratelli, fermandosi infine sul Dio dell'Inganno. «Thanos vuole te, e il Tesseract. Se tornerai ad Asgard ti metterai nelle sue mani. Probabilmente non aspetta altro, per attaccare», disse, attirandosi un'occhiata risentita e sospettosa da parte di Thor.
Khalida si voltò verso di lui. «Ti avevo promesso di trovarlo, ma non ho mai detto di essere d'accordo con te».
Loki ridacchiò. «Vedo che non hai perso la cattiva abitudine di difendermi, nonostante tutto», disse, ironicamente, anche se in realtà era piuttosto confuso dal modo di agire della donna.
L'aveva quasi uccisa, di nuovo, eppure lei sembrava essersene completamente dimenticata.
Avrebbe dovuto continuare a tenerla d'occhio, non gli piaceva affatto quel fastidioso prurito dietro la nuca che il pensiero della donna gli provocava. Nascondeva qualcosa, come aveva sempre fatto.
Ma il momento di affrontale il problema sarebbe giunto al tempo opportuno, per adesso aveva grattacapi ben più gravi, da risolvere.
Loki prese un profondo respiro, materializzando lo Scettro nelle sue mani.
Tra gli sguardi allarmati dei presenti, ne puntò un'estremità nell'aria davanti e lui e, con un semplice movimento rotatorio, spalancò un portale di saettante energia azzurra, identico a quello che aveva portato i Chitauri a New York.****
Thor osservò gli occhi del fratello. «Ti ringrazio», disse, con solennità.
«Non farlo», replicò Loki, infastidito. «Parteciperò al funerale della Regina, perché non sono privo di onore. Per ora, ti basti questo», aggiunse, prima di varcare il portale e sparire al di là di esso.
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Yes, #LokiIsBack!

Ok, adesso passiamo alle note:

*Non l'ho specificato nel capitolo precedente, ma ho solo "preso in prestito" i nomi di Fenrir e Hela dalla mitologia, per creare questi due lupi che sono dei normali animali, niente di più. Loki ci dirà qualcosa di più su di loro prossimamente.

** L'ipirazione per questa descrizione viene dalla città volante/galleggiante di Atlantide di "Stargate Atlantis", vi lascio un link
Immaginatela immersa in una foresta, tre volte più grande.

*** Capitolo 3 di Spie.

**** Questo gesto di Loki è preso direttamente dalla puntata 1x10 di Avengers Assemble, cartone animato attualmente in onda negli USA, in cui come guest star compare proprio il Dio degli Inganni che come arma utilizza proprio lo Scettro di Thanos. Naturalmente tenete conto che qui stiamo parlando della forma mutata dello Scettro, che non ha più l'aspetto del film Avengers, ma quello di una lunga lancia dall'asta avvitata su se stessa con il Tesseract in cima.

A presto!
Nicole
  
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