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Autore: Night Sins    11/04/2008    3 recensioni
Un mese.
Bastava quel pensiero, quelle due parole all’apparenza insignificanti, a riscaldarle il cuore meglio di qualsiasi altra cosa.
Era un mese che lei, Allison Cameron dolce immunologa nel reparto di Diagnostica del Princeton Plainsboro Teaching Hospital, stava ufficialmente con Gregory House, un misantropo cinico e rompiscatole, nonché suo capo nel suddetto ospedale del New Jersey.
[...] Lei teneva molto a festeggiare il mese più bello che avesse mai sognato di passare, ed ovviamente sperava di passarne molti altri in quel modo.
[...] E lui aveva prenotato per quella sera nel ristorante migliore di tutta la città.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Ringraziamenti: a Serena (venus_malfoy) per il betaggio dei due dialoghi principali. Senza di lei, starei ancora a chiedermi se vanno bene o se sono OOC! XD :***


= Capitolo 3 =

“Ehi, sei con noi?” domandò Chase.
“Sì, sì… certo…” rispose Cameron; in realtà era rimasta tutto il tempo fissa sugli altri due medici, seduti ad un tavolo distante pochi metri da loro, ed aveva distolto gli occhi solo per seguire House che si era alzato, aveva dato una pacca sulla spalla a Wilson ed infine se ne era andato.
“Non hai mangiato quasi nulla…” fece notare il dottore.
“Non ho molta fame. Scusatemi.” liquidò alla svelta e si alzò a sua volta per lasciare la mensa.

Doveva trovare House. Dovevano parlare… no? Era sicura di sì.
Sentiva che c’era qualcosa che non andava, ma lei non era come Wilson, che lo capiva al primo sguardo, e quindi ancora non sapeva cos’era.
Lei non era Wilson.
Quel pensiero le tornò di nuovo in mente, ma quella volta non riuscì a scacciarlo come le precedenti e diede anche un nome a quella sensazione di fastidio che la prendeva ogni volta che vedeva i due uomini insieme: gelosia.
Si sentiva ridicola anche solo a pensarlo, ma non poteva negare le cose, almeno non a se stessa, ed era oramai da un po’ che ci pensava, anche se era un’idea che era riuscita sempre a ricacciare indietro.
House stava insieme a lei ora, ma lo stesso continuava ad invidiare Wilson; irrazionalmente lo sapeva, non aveva un vero motivo per ciò, ma non era mai stata il tipo da fare cose razionali o avrebbe fatto come aveva detto House molti anni prima: non avrebbe perso tempo a studiare ed affermarsi come medico, ma avrebbe usato il suo aspetto per avere tutto ciò che poteva desiderare.
Era un mese che si frequentavano anche fuori dell’orario di lavoro, sebbene quel tempo non fosse mai stato molto, e non si era mai permessa di pensare di intromettersi nel rapporto che c’era tra il suo compagno e l’oncologo; non aveva visto un motivo valido per farlo, anche perché l’altro non si era mai frapposto tra di loro, pur continuando ad aiutare l’amico. Tutto come era logico pensare, ma bastavano quei pochi attimi che li sapeva insieme a dargli noia, soprattutto dopo le sue ultime ‘ scoperte ’ che le facevano supporre di segreti e complotti organizzati dai due.

Si ridestò dai suoi pensieri quando vide davanti a sé la porta in vetro dell’ufficio, vuoto, di House. Era uscita dalla mensa per cercarlo ed invece si era persa nei meandri della sua mente e non aveva prestato attenzione a dove andava.
Alzò una mano e la portò a seguire le linee delle lettere che formavano le parole ‘Gregory House’; sorrise dandosi dell’idiota per l’ultima frase del suo cervello, come poteva anche solo ipotizzare che ci fosse dell’altro tra loro?! E non volle spingersi oltre nell’immaginare cosa, la parola ‘ altro ’, potesse significare.
Sospirò. La stanchezza stava giocandole davvero dei brutti scherzi.
Trovare House sarebbe stato, a quel punto, quasi impossibile.
Aveva appena fatto dietro-front quando il cercapersone vibrò: era House che la convocava nell’ufficio. ‘ A lavoro ’, per usare le sue parole.
Un nuovo cambio di direzione repentino ed entrò nella sala di Diagnostica. Mise a fare il caffè e un paio di minuti dopo Chase e Foreman la raggiunsero.

“Mi raccomando, poi non lamentatevi che non vi porto mai nulla di interessante.” esordì House lanciando sul tavolo tre cartelle, una davanti ogni dipendente.
“Su. Uomo, venticinque anni, ottantatre chili e quasi trentanove di febbre. Forti dolori addominali ed altri diffusi un po’ in tutto il corpo; da tre mesi stava seguendo una dieta vegana ed è stato ricoverato a seguito di una caduta durante una maratona, in cui si è fratturato una gamba.” elencò scrivendo i sintomi sulla lavagna.
“Potrebbe esser una forma di diabete.” cominciò Chase. “Se stava a dieta, forse voleva perdere troppo chili tutti insieme e non è stato attento all’insulina.”
“E’ alto quasi un metro e ottanta, non è obeso.” disse Foreman “Io dico porfiria.”
“Cameron?” chiamò House.
La donna alzò lo sguardo verso di lui, per poi tornare a dedicarsi alla cartella clinica ed alla lavagna. “Potrebbe anche essere una semplice appendicite, colecistite, pancreatite o una qualsiasi febbre causata da un’infezione all’intestino.”.
“Bene, allora scoprite se è una di queste. RX, TC, MRI e tutte le altre analisi del caso.” disse il diagnosta “Esami completi del sangue e delle urine. E fate anche un’anamnesi accurata.”
“Okay.”
I tre dottori si alzarono e si diressero alla porta, pronti a cominciare il loro lavoro.
“Cameron.” chiamò di nuovo House.
“Sì?” domandò voltandosi verso di lui.
Il diagnosta si diresse verso il proprio ufficio e le fece cenno di seguirlo.

Gregory House si sedette alla sua scrivania ed ingoiò una pasticca di Vicodin; Cameron lo guardava quasi speranzosa. Era finalmente giunto il momento delle spiegazioni?
Magari una confessione su ciò che aveva fatto la sera precedente, invece che andare al loro appuntamento o preoccuparsi, almeno, di avvertirla?
Era troppo utopistico da parte sua sperare in ciò?
House la stava guardando in silenzio e lei si ricordò di come lo aveva accolto quella mattina: era stata fredda; ma qualcuno poteva forse biasimarla?
Non che poi lui si fosse preoccupato di essere gentile.
“Cosa vuoi, Greg?” domandò.
Era decisa - almeno per il momento - a non cedere dalla sua posizione; voleva dargli modo di scusarsi, se ne avesse avuto l’intenzione, senza passare per quella che si fa mettere sempre i piedi in testa, sapeva che non l’aveva trattenuta per una questione di lavoro.
“Ieri sera… me ne sono scordato.” disse senza incrociare gli occhi con i suoi.
“E fare una telefonata quando Wilson te lo ha fatto tornare in mente, no, eh?” si lasciò sfuggire di bocca. Il tono era più distaccato di quello che lei stessa avrebbe pensato; si fece quasi paura da sola per la calma fredda con cui aveva parlato.
House la guardava sorpreso. “Come… ?”
“Eri irraggiungibile: il cellulare spento, a casa rispondeva sempre la segreteria. Temevo ti fosse successo qualcosa e quindi sono venuta a casa tua. E vi ho sentito parlare.” spiegò ricacciando indietro il nodo che le era tornato in gola ripensando a quanto era stata in ansia la sera prima.
Gregory annuì piano e tornò ad abbassare gli occhi dal suo volto. “Mi dispiace.”
Cameron attese in silenzio, sperando di riuscire ad avere un’ulteriore spiegazione.
“Non volevo farti preoccupare.” fu tutto ciò che l’uomo aggiunse.
“Beh, lo spero che non fosse intenzionale!”
“Non lo era.”
“Bene.”
“Bene.” ripeté House.
Silenzio.
Finiva tutto così?
Non avevano più nulla da dirsi?
“Tutto qui?” chiese infatti, posando le mani sui fianchi.
Si era aspettata davvero qualcosa di più?
Il sapere che non lo aveva fatto apposta non era abbastanza, conoscendolo?
Sì, lo era.
Eppure mancava qualcosa. C’era ancora qualcosa che non la faceva star tranquilla, voleva di più. Voleva esser sicura di non soffrire più così.
“Che devo dirti? Che non succederà mai più e che diventerò il compagno ideale?” chiese House, guardandola di nuovo negli occhi e leggendovi dentro il suo assenso e la paura… la certezza che non sarebbe mai successo, ma era presente anche la costante speranza di vedere le cose andare diversamente.
Perché la speranza era l’ultima a morire. Sempre.
Perché Allison Cameron era la crocerossina, colei che vedeva il lato positivo nelle persone. Sempre.
“Potrei anche dirtelo, ma sappiamo entrambi che starei mentendo.” continuò il diagnosta.
Perché era sempre lei quella che si illudeva e che alla fine soffriva più di tutti.
Sempre, ma non per questo avrebbe smesso di sperare e di vedere il buono negli altri.
“Ho un’anamnesi da fare.” disse solamente voltandosi ed uscendo dalla stanza.
Se sarebbe restata, probabilmente, avrebbero litigato sul serio.

Non era soddisfatta di quella chiacchierata. Gregory era come sempre molto criptico e, sebbene quella volta fosse stato sincero, non le aveva detto lo stesso tutta la verità.
C’era solo una persona che poteva aiutarla.
Si diresse allora all’ufficio di Wilson, voleva ancora sapere cosa le avrebbe detto quella mattina e, se per una volta era fortunata, lo avrebbe trovato.

Lo trovò, per l’appunto, davanti alla porta: erano arrivati insieme, seppur da direzioni diverse. L’uomo le sorrise leggermente.
“Possiamo parlare?” chiese.
Nessuna particolare inclinazione nella voce, niente che lasciasse trapelare il bisogno di smentite ai suoi dubbi, anche dalla causa degli stessi.
“Certo… accomodati.” rispose il medico indicandole il proprio ufficio affabile come sempre, ma le sembrava un po’ teso.
“Non vedere cospirazioni ovunque, ora! E’ sempre stato così.” si disse Cameron mentre entrava nella stanza.
“Allora…” cominciò sedendosi ed indicando alla donna la poltrona che si trovava davanti alla scrivania.
Allison si avvicinò al tavolo, senza sedersi. “Vorrei tu mi dicessi quello che volevi dirmi stamani.”
Wilson rimase in silenzio, senza guardarla.
“Devi dirmelo!” insistette.
“Io… Abbi fiducia in lui.” rispose e poi portò lo sguardo ad incrociare quello di Cameron “Non te lo dirà mai, ma ha bisogno che tu ti fidi di lui, anche… soprattutto quando fa delle cose che non comprendi.”
La dottoressa lo guardò perplessa, “Mi fido di lui. E’ te che non capisco, adesso.”
“Non importa…” scosse la testa “Se credi di amarlo sul serio fai come ti ho detto, altrimenti… smettila subito.”
Allison rise, una risata amara e senza allegria che riecheggiò sinistra nell’aria.
“Non trattarmi in questo modo! Credi di sapere tutto, tu, solo perché lo conosci da più tempo?!” sbottò. L’immunologa si ritrovò a tremare; si appoggiò alla poltrona lì vicina, temendo di cadere per terra, non credeva di ritrovarsi a discutere così con lui.
James restò serio, né intimorito né sorpreso dall’uscita della donna. “Conosco la situazione e sì, sono sicuro di sapere meglio di te di cosa ha bisogno in questo momento.”
“Bene, allora dimmelo che cos’ha perché non lo so, non lo capisco e sono stanca dei vostri giochetti! Perché non parlate chiaro?” urlò ancora.
“Perché House non parla mai chiaro e se non hai ancora capito questo, mi spiace, non posso far nulla per te.” la freddò.
“No che non parla chiaro, è per questo che sono venuta a chiederti aiuto!”
“Devi capirlo vivendoci accanto, non posso dirti io come comportarti con lui. L’unico consiglio che potevo darti te l’ho dato.”
“Sei geloso?” chiese Cameron all’improvviso.
“Co-cosa?” domandò Wilson, quasi ridendo.
“Del fatto che House stia con me, che non state più insieme come prima.”
Questa volta l’uomo rise sul serio.
“Ti… Ti ha chiamato Julie, per caso?” domandò ancora, asciugandosi gli occhi.
Allison continuava a fissarlo, accigliata.
“Sono contento se riesce a rifarsi una vita e vorrei che foste felici, ma House non è una persona normale e non si può spiegare in due parole.” disse Wilson.
“Ho capito: è inutile continuare a parlare, non mi dirai nulla di più. Scusa il disturbo.” ribatté irritata dirigendosi verso la porta. Poco prima che questa fu chiusa, sentì debolmente un “Mi dispiace.”.

Il nervosismo continuava ad imperversare dentro di lei ed ora si era aggiunto anche un fastidioso mal di testa ed un inspiegabile senso di nausea; oramai era chiaro: il mondo ce l’aveva con lei ed il suo corpo non faceva niente per aiutarla.
Decise di prendere le scale, non credeva che chiudersi in un ascensore fosse l’ideale anche se la vista le si stava appannando e tutto intorno a lei diventava sfuocato.
Non capiva più nulla, cercava di mettere ordine nella sua testa, ma non ci riusciva. I pensieri non volevano trovare il loro posto e la loro logica. Nemmeno gli oggetti volevano star fermi, la confusione avanzava, ma doveva pensare con calma.
Era nel corridoio dell’ospedale. “No… Sì… Sì, sono in ospedale…”
Non molto lontana dall’ufficio di Wilson. “Sì…”
Le scale erano lì, vicine. “Sì, manca poco.”
“Ma c’è… c’è ancora un po’, prima dello scalino, no? No?!”
La mano tesa verso il punto dove, credeva, doveva esserci il passamano; il piede avanti nel cercare il solido del pavimento.
Entrambi trovarono ad accoglierli solo il vuoto.
“No!”
Il piede poggiò malamente sullo spigolo del gradino inferiore prendendo una piega innaturale; Allison non riuscì a ritrovare l’equilibrio e quando arrivò infondo alla rampa aveva già perso i sensi.


Continua…



Finalmente. Finalmente ho finito questo capitolo. <3!
Tre mesi e mezzo (giorno più giorno meno)… wow! XD Ma non è colpa mia se, più passa il tempo, meno ne ho a disposizione per stare al pc! T_T
Bene, ma vi ho già fatto aspettare anche troppo per dilungarmi in simili inezie, quindi, passiamo ai ringraziamenti.
Intanto, un GRAZIE a martozza, lauretta‘90, SHY e a crazycotton, lieta che la mia fanfic incuriosisca!
Poi, una risposta dettagliata per axel che è stata molto gentile con la sua recensione precisa e mi permette quindi di spiegare un po’ di cosucce. (Avrei voluto farlo prima, ma non essendo loggata, non ho potuto contattarla. Spero leggerà questa risposta^^)

Hai ragione, House non si metterebbe con una persona tanto per fare, però non è nemmeno più un adolescente che passa il suo tempo libero al telefono con la propria ragazza, sebbene si siano visti fino a due minuti prima. Sono adulti, hanno una vita lavorativa e anche privata che non è composta unicamente da loro due.
Non sono passate nemmeno ventiquattro ore in quei due capitoli (e a dir il vero, nemmeno con questo terzo siamo arrivati a finir la giornata), togliendo le ore di sonno -che Greg si è di sicuro fatto-, il lavoro e gli “spostamenti”, non trovo così strano che non si siano parlati molto (o meglio, che non abbiano avuto modo e tempo di parlarsi).
Ma forse ho messo troppo di me, che non sopporto aver gente appiccicata addosso in ogni istante, nemmeno il mio ragazzo?! ^^’’
Comunque, era ovvio che si dovessero parlare, “a breve”…
Per il resto: grazie, grazie mille; mi hai reso estremamente felice!! *__* Finalmente qualcuno che, come me, ha notato che in molte fic cotton (non tutte, ovviamente *.*), il povero Jimmy viene mostrato come una vecchia comare che non ha niente di meglio da fare che spifferare a destra e a manca tutto ciò che il suo migliore amico non vorrebbe far sapere! *__*
Ti dirò, riscattare l’onore del buon caro Wilson è uno dei motivi che mi hanno fatto propendere per una versione H/Cam di questa fic! XD (Beh, sì, nella prima idea Cameron non sarebbe nemmeno dovuta apparire e la bistrattata di turno doveva esser la prima moglie di Jimmy… questo perché, più che Cotton, la fic è solo un altro modo per analizzare l’amicizia tra House e Wilson, anche se dal punto di vista di Allison)

Grazie ancora a tutti, e al prossimo capitolo! ^^
   
 
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