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Autore: Nichigin    20/10/2013    4 recensioni
"Arthur stava iniziando a irritarsi seriamente. La camicia bagnata gli si era attaccata alla pelle e la voce assurda dell'americano gli faceva venire il mal di testa. Il pomeriggio non doveva andare così; erano previsti solo lui e il suo tea. Magari qualche unicorno di passaggio, al massimo, ma NON Alfred!" [UsUk]
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo cinque
 
- Cioè, lasciami capire… ti ha chiesto di uscire? – chiese la voce di Francis, resa leggermente metallica dal microfono del telefono di Arthur. L’inglese sbuffò, cercando di bilanciare il telefono tra il mento e la spalla mentre pestava nevroticamente sui tasti del suo portatile, tentando di completare il suo articolo. La data di consegna era fissata per il giorno dopo, e la telefonata del ranocchio francese non lo aiutava certo a concentrarsi.
- Beh, cosa c’è di tanto strano?
- Tutto! Insomma, stiamo parlando di te! – ribatté Francis. Arthur digrignò i denti, ripetendosi di rimanere calmo.
- Non è nulla di così fantastico. Siamo già usciti insieme molte altre volte. – borbottò, sperando che Francis lo lasciasse in pace in fretta.
- …a San Valentino?
- Ok, magari non proprio a San Valentino, ma…
- Vedi che non è come i vostri soliti appuntamenti? Dovresti ringraziarmi, Arthùr… se non sci fossi stato io a farti da Cupido… - la voce del francese assunse un tono fastidiosamente soddisfatto.
- …avrei avuto il tempo di completare il mio articolo e non avrei rischiato il posto di lavoro. Grazie, Francis. – completò Arthur con tono acido.
- Come puoi mettere il lavoro sopra all’amour? – esclamò Francis scandalizzato. – Quest’appuntamento potrebbe cambiarti la vita!
- Adesso non esagerare, frog. Non ho mai nemmeno detto di amare Alfred. – e non solo non l’aveva mai detto, non l’aveva neanche mai pensato. Ma allora perché cavolo aveva accettato di uscire con lui…?
- Ma io l’ho letto nei tuoi occhi, cher. – ridacchiò Francis. God, ma quanto riusciva a essere omosessuale quel tipo? – Devo as-so-lu-ta-men-te essere io a scegliere il vestito che metterai!
- Scordatelo. – disse Arthur lapidario. Nella migliore delle ipotesi si sarebbe ritrovato conciato come una soubrette. – E poi non so nemmeno dove accidenti mi voglia portare.
- Posso trovarti un outfit adatto a ogni occasione… - borbottò Francis con aria assorta. Arthur poteva quasi vedere le rotelline rosa shocking nel suo cervello girare freneticamente e la sua mente visionare tutte le ultime collezioni autunno-inverno. Rabbrividì. - Francis, ho detto di no.
- Tu hai troppa poca fiducia nelle mie capacità, Arthùr. Non ti è piaciuto com’era vestito Alfred ieri sera?
- …abbastanza. – borbottò Arthur, mentre un’immagine di Alfred gli appariva a flash nel cervello facendolo arrossire come un idiota.
- L’avevo accompagnato io a fare shopping! – gorgheggiò Francis con l’aria di essere particolarmente fiero di se stesso.
- Avrei dovuto immaginarlo… - mugugnò Arthur chiarendo finalmente il mistero della camicia mezza sbottonata.
- Era carino vero? Avanti, lascia che scelga io cosa metterti…
- Per l’ultima volta… HELL NO! – urlò Arthur, chiudendo la telefonata. Non aveva alcuna voglia di preoccuparsi per quel maledetto appuntamento. Tanto sapeva già che sarebbe stata l’ennesima delusione, quindi perché sforzarsi tanto per presentarsi al meglio? Piuttosto avrebbe fatto bene a darsi una mossa e a finire quel maledetto articolo. Mancavano solo tre ore…
***
 
Alfred ricontrollò per la centesima volta che i suoi capelli fossero spettinati nel modo giusto, la felpa fosse abbastanza stropicciata e che tutto il suo aspetto fosse trasandato abbastanza da essere cool, ma non troppo. Quella sera doveva assolutamente apparire perfetto, più eroico del solito. Non per Arthur, chiaro, era solo la particolare circostanza…
Lanciò un’occhiatina all’orologio. Otto e mezzo. Meglio darsi una mossa, la casa di Art era abbastanza lontana e non voleva assolutamente arrivare in ritardo al loro primo appuntamento.
Forse stava prendendo la cosa troppo sul serio, pensò mentre accendeva il motore della sua macchina. Dopotutto Arthur non sembrava essere stato molto felice dell’invito. Sembrava che avesse accettato più per fare un piacere a lui che perché gli interessasse davvero, quindi valeva la pena sforzarsi tanto di essere puntuale, eroico e perfetto? Decisamente no. – Tanto appena vedrà la discoteca scapperà a gambe levate… - sospirò, facendo retromarcia per uscire dal garage e imboccando il vialetto.
Alle nove spaccate stava suonando il campanello della casa di Arthur. Si meravigliò di sé stesso; un’entrata spettacolare sfondando la porta o balzando in casa dalla finestra gli si addiceva molto di più. Stava decisamente prendendo una cattiva strada, per colpa di quell’inglese. Arthur aprì la porta con un’espressione scocciata, e lo accolse con un gelido - Ah, sei tu. Stavo lavorando.
- Beh, ti avevo detto che sarei venuto a prenderti a quest’ora.
- Giusto… scusami, me n’ero proprio dimenticato. – rispose Arthur con un sorrisino tirato, sperando di riuscire a mentire in maniera credibile. Altro che dimenticato, aveva passato l’ultima mezzora fissando la lancetta dei secondi dell’orologio e desiderando che girasse più in fretta.
Alfred cercò di non mostrarsi deluso. La sua supposizione era stata confermata: ad Arthur il loro appuntamento non interessava affatto. Beh, allora tanto valeva sbrigarsi e farla finita con questa ridicola farsa. – Andiamo.
- Non mi hai nemmeno detto dove mi porti. – esitò Arthur, con l’aria di sospettare fortemente della sanità mentale di Alfred.
- Sai che lavoro faccio? – gli chiese Alfred, dandogli le spalle e incamminandosi verso la sua macchina, anche se sapeva perfettamente che l’inglese non conosceva la risposta.
- Veramente no, non me l’hai detto. – rispose Arthur accelerando il passo per seguirlo.
- Faccio il dj. In una discoteca. Stiamo andando lì.
Arthur si immobilizzò con la mano sulla maniglia della portiera. Una discoteca. No, Dio santo, una discoteca no. Una discoteca significava luci stroboscopiche, un sacco di gente e quell’atmosfera claustrofobica che lo faceva sentire come se fosse sul punto di vomitare. Non avrebbe mai sopportato un appuntamento in un posto del genere.
- Cosa c’è? Va tutto bene? – gli chiese Alfred, che si era già messo al volante.
- C-certo, va tutto perfettamente… - borbottò Arthur abbozzando un sorrisetto preoccupato. Ormai era tardi per tirarsi indietro, considerato anche da quanto tempo aspettava quell’invito. Era sopravvissuto a un McDonald, una discoteca sarebbe stata uno scherzo. Fece un respiro profondo e si sedette sul sedile del passeggero. Ebbe appena il tempo di allacciare la cintura che Alfred partì in quinta, facendolo sbattere la nuca sul sedile… si prospettava una serata difficile.
 
***
 
Alfred entrò nella discoteca con l’aria di chi sa perfettamente di essere il capo, salutando il personale e venendo riconosciuto dai clienti con cenni del capo o saluti alla “ehi, Al, come butta?” che fecero storcere il naso ad Arthur.
All’improvviso però Alfred si immobilizzò e sussurrò all’orecchio dell’inglese – C’è il capo, reggimi il gioco.
Si avvicinò a loro un tizio robusto in giacca, cravatta e occhiali a specchio, che stonava parecchio con l’ambiente. Salutò Alfred con una pacca sulla spalla e lanciò ad Arthur una breve occhiata indifferente. – Alfred, Alfred, non ti avevo detto di portare la tua ragazza? È San Valentino!
- Ti ho già detto che non ce l’ho la ragazza, boss. – ribatté Alfred con una risata, poi afferrò Arthur per un braccio. – Il mio ragazzo qui va bene lo stesso?
Sia il capo sia Arthur lo guardarono come se fosse stato un alieno appena giunto da Marte.
- Non sapevo che avessi un ragazzo. – borbottò il capo, abbassando un po’ gli occhiali per lanciargli un’occhiatina sospettosa.
- Non me l’hai mai chiesto, quindi non te l’ho detto. – ribatté tranquillo Alfred alzando le spalle.
- Come ti chiami ragazzo? –
Arthur sentendosi chiamare in causa sobbalzò, non sapendo bene come reagire a quella situazione surreale. Un’occhiata supplice di Alfred lo convinse a reggere lo scherzo, almeno per un po’. – Arthur, Arthur Kirkland.
- Beh, sei fortunato ragazzo. Non se ne trovano molti come il nostro amico Al, in giro. – disse l’uomo, scoppiando in una grassa risata e scompigliando i capelli di Alfred. – E adesso fila, ragazzo mio, c’è una pista che aspetta solo te per scatenarsi! – e detto questo il tizio sparì tra la folla.
- Da quando in qua sarei il tuo ragazzo, eh? – sbottò Arthur, puntando un dito contro il petto di Alfred.
- Eddai Art, non prendertela, era solo un piccolo scherzo. – ridacchiò l’americano. – Comunque io ora devo andare a lavorare. Vieni con me, ti porto in un posto dove puoi aspettarmi. – dopo averlo trascinato fino al bar della discoteca, anche Alfred sparì, lasciandolo solo. Arthur respirò a fondo, tentando di non perdere la testa. Cercare di seguire Al era fuori questione, sarebbe sicuramente riuscito a perdersi in quel caos e di ballare ovviamente non se ne parlava, che gli restava da fare? In quell’attimo lo sguardo gli cadde sulle bottiglie di alcolici del bar. Beh, meglio di niente.
- Ehi, amico… - disse per attirare l’attenzione del barista – ce l’hai un whisky?
 
***
 
Alfred si fece spazio nella calca che riempiva la discoteca, cercando di ignorare la sensazione di cadere che gli provocavano le luci stroboscopiche, anche se avrebbe dovuto esserci ormai abituato.
Doveva trovare Arthur, e subito. Invitarlo lì era stata una pessima idea, e se ne rendeva pienamente conto solo ora. Quello non era affatto il suo ambiente, e lui l'aveva lasciato da solo davanti al bar… sperava solo che non gli fosse saltato in testa di mettersi a bere. Quando finalmente raggiunse il posto in cui l'aveva visto l'ultima volta, di Arthur non c'era nemmeno l'ombra. Chiese informazioni al barista. - Quel tizio era fuori, amico. Si è imbottito di alcol. Sarà andato in cesso a vomitare.
Alfred si diede dello stupido, ringraziò il barista e corse verso il bagno, sperando di trovare Arthur lì, e possibilmente non troppo ubriaco.
Il suo desiderio venne esaudito per metà. Arthur era lì. Ma era talmente brillo che non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. Se ne stava rannicchiato per terra in un angolo, e ogni tanto il suo corpo era scosso da singhiozzi, che Alfred non sapeva se attribuire all'alcol o alla tristezza.
- Ehi, Art… - mormorò, accucciandosi per riuscire a guardarlo in faccia.
- Al… hic! C-cosa ci fai qui? Hic! - borbottò Arthur fissandolo con aria assente.
- Sono venuto a cercarti razza di idiota. - ribatté Alfred, tentando di far alzare in piedi l'inglese tirandolo per un braccio, con scarsi risultati.
- Non serviva, potevi lasciarmi qui… hic!
- Non dirlo neanche per scherzo! Mi vuoi spiegare perchè ti sei messo a bere?
- Sono cazzi miei! Bloody yank! - quasi strillò Arthur, strappando il braccio alla stretta di Alfred.
"Fantastico, è pure lunatico… di bene in meglio."
- Avanti, tirati su!
- Non voglio. Lasciami qui. Tanto a te che… ti… hic… - Arthur sbatté un paio di volte le palpebre, come se avesse perso coscienza di dove si trovasse. -…importa… hic!
- Non dire cretinate. Adesso vieni con me e andiamo a casa.
- No no no. Adesso io e te dobbiamo pa… r… parlare, e tu mi ascolterai, che tu lo voglia… hic! O no. - biascicò Arthur, puntando contro Alfred un dito tremolante.
- Sì, sì. Quando saremo a casa. - rispose Alfred, cercando di nuovo di farlo alzare.
- Come osi parlarmi in questo modo traditore della Regina? Ti darò in pasto agli squali! Una colonia come l'America non sarebbe mai dovuta diventare indipendente…
Alfred scosse la testa, esasperato. Ci mancava solo questa. Che razza di appuntamento orrendo.
- Voi americani non capite niente di appuntamenti, ecco…
- Cosa…?
- …mi hai lasciato lì da solo e non sapevo che fare… allora ho provato il succo fucsia… e poi quello verde… e poi c'erano tanti colori, li ho provati tutti e adesso non mi sento tanto bene… - Arthur gli rivolse uno sguardo colpevole, come un bambino scoperto a rubare le caramelle. "Certo che da ubriaco ha un carattere del tutto diverso dal solito…" pensò Alfred, scuotendo la testa. "Succhi colorati… come no."
- Mi sono sentito solo… - borbottò Arthur. - …sei davvero cattivo, io ho aspettato tanto tempo perchè mi chiedessi di uscire… e mi lasci solo così… Al sei cattivo…
- C-cosa…?  
- Ho detto che sei cattivo. Cattivo. E non capisci mai niente. Quindi sei anche stupido.
- Non quello, prima! Che hai detto prima? - chiese Alfred, posando le mani sulle spalle di Arthur, che lo guardava spaesato. - Tu… volevi che ti chiedessi di uscire…?
- Vedi perchè dico… hic… che sei stupido? Non capisci mai nie--- oh cavolo.
- Cosa c'è? - sussurrò Alfred.
- Sei… davvero vicino Al… - sussurrò di rimando Arthur, fissandolo, e Alfred ebbe appena il tempo di pensare che probabilmente stava facendo la più grande cazzata della sua vita che le sue labbra erano già su quelle di Arthur, le loro lingue si intrecciavano frenetiche, le sue mani andavano a toccare l'altro, mentre quelle di Arthur si posavano sulle sue guance. La bocca di Arthur era bollente. Aveva un retrogusto dolciastro di alcol.
Per un attimo ad Alfred sembrò di essere entrato in un mondo a parte, dove non c’era nessuna discoteca e la serata non era stata un completo fallimento e Arthur voleva quel bacio almeno un decimo di quanto lo voleva lui. Invece non c'era niente di voluto, niente di romantico. Un angolo del cervello di Alfred continuava ad urlare "smettila, lui non sa che sta facendo, sei impazzito?" ma il ragazzo non poteva che ignorarlo, perchè le labbra di Arthur erano una droga e adesso che le aveva assaporate non voleva più staccarsene.
Fu Arthur ad allontanarlo, spingendolo per le spalle quasi con rabbia, poi si alzò e corse fuori, senza nemmeno concedergli uno sguardo. Alfred ci mise qualche secondo a riprendersi, e quando uscì Arthur non c'era più. E neanche la sua macchina.
- Fantastico - borbottò tra i denti. - Mi toccherà tornare a casa a piedi, e forse quell'inglese ubriaco farà un incidente con la mia auto. Può andare peggio di così?
In quell'istante si mise a piovere.
 
  
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