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Autore: Shainareth    21/10/2013    3 recensioni
*** ATTENZIONE! *** La presente shot è comprensibile unicamente a chi ha già portato a termine la lettura della long Amnesia.
«Garu…» riprese a parlare la ragazza, con voce atona. Lui si volse nella sua direzione. «Vorrei sapere la verità.»
«Come fai a sapere che non ti è stata già raccontata?»
«Lo vedo nei tuoi occhi.»
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garu, Pucca
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Amnesia'
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AMNESIA - PIOGGIA




Erano stati sorpresi dalla pioggia quando ancora si trovavano lontani dal villaggio, per cui avevano dovuto ripiegare verso la foresta di bambù, più vicina. Il giovane non ci aveva pensato due volte a farsi carico del peso della ragazza che, sebbene avesse ormai riacquistato la perfetta mobilità degli arti inferiori, si sarebbe affaticata notevolmente a correre per cercare un riparo prima che la pioggia aumentasse d’intensità. Erano arrivati a casa del ninja appena in tempo per rifugiarsi sotto al portico e adesso, coi nasi all’insù, fissavano il cielo interamente coperto di nuvoloni che oscuravano il giorno quasi come se il sole fosse già tramontato.
   «Dovremmo rientrare», esordì Garu, distogliendo lo sguardo dalla pioggia. Un tempo, quand’era ancora ragazzino, l’aveva trovata poetica e aveva adorato il profumo della terra bagnata. Adesso, invece, tutto quello lo metteva soltanto di malumore. «Inizia a far freddo e dovremmo almeno toglierci i giubbotti bagnati di dosso.»
   Pucca annuì, dando segno di averlo ascoltato. Tuttavia, rimase ancora per qualche attimo a fissare quel cielo plumbeo, dal quale cadeva una pioggia così fitta da rendere la vista ancor più difficile. A differenza di Garu, a lei non creava un particolare stato d’animo, ma le pareva lo stesso di avvertire una sensazione strana, come un senso di déjà-vu. Forse qualche ricordo che cercava di tornare ad affacciarsi alla sua mente, pur senza successo? Ormai si era abituata a quel genere di percezioni, ma questo era in qualche modo diverso.
   Il calore del braccio che Garu le passò attorno alle spalle la riscosse e lei si volse a fissare il giovane che, sorridendole con fare affettuoso, la invitò nuovamente dentro. Proprio quando Pucca spostò per l’ultima volta lo sguardo sulla pioggia, però, ebbe quasi una visione che la fece rabbrividire. Non si trattava di un ricordo perduto, ma di qualcosa successo poche settimane prima.
   «Che c’è?» le domandò Garu, temendo ci fosse qualche problema, poiché si era accorto del lieve tremito che le aveva percorso il corpo che ancora lui avvolgeva in un mezzo abbraccio.
   La ragazza strinse le labbra per qualche istante, ma poi parlò. «Il ninja che vidi la mattina del tuo compleanno… Tu lo conosci, vero?» domandò, volgendo nuovamente gli occhi al giovane.
   Questi la fissò in silenzio, stupito per quell’improvvisa curiosità. Anche Pucca aveva rievocato inconsciamente quel lontano giorno di sette anni prima? Sospirando, lasciò ricadere il braccio lungo il fianco e annuì. «Tobe era il mio rivale», spiegò in breve, tornando a guardare la pioggia che cadeva insistentemente tutt’intorno, producendo un sonoro scroscio sul tetto dell’abitazione. «C’era anche lui, quando accadde.»
   Non ebbe bisogno di spiegare a cosa si riferisse, perché Pucca lo aveva già capito. Non era stato soltanto l’istinto a farglielo intuire, ma anche la reazione che Garu aveva avuto durante la festa del suo compleanno, quando lei gli aveva rivelato di aver visto Tobe fermo sul tetto di uno degli edifici vicini al ristorante, quasi come se l’avesse aspettata per rivolgerle semplicemente un saluto. Quella sera, Garu era stato sul punto di raccontarle del suo incidente; perché farlo non appena lei aveva nominato quel ninja di cui non ricordava l’identità? Era ovvio che le due cose fossero collegate.
   In verità, Pucca sapeva già quello che le era successo, come aveva perso la memoria, perché era stata una delle prime cose che i medici avevano dovuto dirle, nella speranza che il ricordo dell’incidente le tornasse alla mente, magari portando con sé anche tutti gli altri. Questo, tuttavia, non era accaduto, e nessuno, quindi, aveva ritenuto opportuno spiegarle i particolari. Senza contare che, i veri particolari, li conoscevano soltanto in due: Garu e Tobe.
   «Garu…» riprese a parlare la ragazza, con voce atona. Lui si volse nella sua direzione. «Vorrei sapere la verità.»
   «Come fai a sapere che non ti è stata già raccontata?»
   «Lo vedo nei tuoi occhi.»
   Era pronto per raccontarle ogni cosa? Sì, lo era stato dal primo momento in cui Pucca si era svegliata, uscendo da quel maledetto coma che gliel’aveva portata via per sei anni.
   «Vieni dentro», l’esortò nuovamente. «Ho ancora paura che la pioggia ti porti via da me», aggiunse, sorprendendola non poco per quell’ammissione. Ma non sarebbe stata l’unica che le avrebbe fatto nel corso di quel pomeriggio.
   Docile, Pucca lo seguì dentro casa senza più parlare.

La pioggia cadeva giù dai nembi scuri che incombevano sul villaggio e nei suoi dintorni sin dalle prime ore dell’alba. Non era tempo per giochi o piacevoli passeggiate. Eppure loro due erano lì, sotto l’acqua e sporchi di fango, a guardarsi in cagnesco negli occhi sulla cima di un’altura che finiva in uno strapiombo. I nervi tesi, i sensi all’erta, entrambi erano pronti a scattare al minimo movimento da parte dell’avversario. Si mossero in cerchio senza mai perdersi di vista, improvvisando quella che sembrava essere l’inizio di una danza di morte. Era la resa dei conti, forse il duello decisivo.
   Dotato di minor pazienza, Tobe infine balzò in avanti, pronto a sferrare il proprio attacco. Garu fu lesto a schivarlo e rotolò lateralmente, evitando una scarica di shuriken, che si infilzarono nel terreno fradicio d’acqua. Il ragazzino si rialzò in fretta, partendo immediatamente al contrattacco; colpì l’avversario con una spallata, costringendolo al suolo. Ci fu un breve ma feroce corpo a corpo. Poi, ruggendo di rabbia, Tobe piantò un piede contro il petto del suo rivale e lo spintonò lontano. E mentre Garu scivolava sull’erba bagnata, l’altro ebbe tutto il tempo per rialzarsi e lanciargli contro un kunai, che riuscì a ferire, sia pur lievemente, il più giovane ad un braccio, quasi all’attaccatura della spalla. Costretto in ginocchio per il dolore, questi non poté far altro che rotolare nuovamente di lato per schivare un altro assalto del ninja col volto sfigurato, che non sembrava intenzionato a dargli alcuna tregua, spingendolo ad avvicinarsi sempre più allo strapiombo.
   D’un tratto, però, Tobe fu sbalzato al suolo una seconda volta senza che potesse fare nulla per evitarlo. Approfittando di quella interruzione, Garu scattò di nuovo in piedi, ma quel che vide bloccò ogni altro suo movimento: Pucca. Fradicia di pioggia, era accorsa come sempre in suo aiuto.
   «Dannata!» gracchiò Tobe, tornando a reggersi sulle gambe e ribollendo di collera al pensiero che quella ragazzina fosse riuscita non soltanto a gettarlo a terra, ma soprattutto a sorprenderlo alle spalle. Come diamine poteva essere in grado di fare cose del genere se, oltre che essere tanto giovane, non aveva mai preso lezioni di ninjutsu?! «Garu!» vociò ancora Tobe. «Dille di non intromettersi in questo scontro tra uomini!» lo avvisò, mostrandogli il pugno.
   L’altro, tuttavia, già lo ascoltava appena, perché, accortasi immediatamente della sua ferita, Pucca era corsa da lui, cercando di aiutarlo come poteva. Garu la scacciò, ma lei fu più testarda e insistette affinché le consentisse almeno di annodargli, sia pure alla buona, il proprio fazzoletto attorno al braccio.
   «Che scena ingloriosa!» sputò Tobe, visibilmente irritato. «Dove s’è mai visto un ninja che si fa medicare le ferite da una mocciosa nel bel mezzo di una battaglia?!» Garu tornò a guardarlo con fare accigliato, mostrando di non aver gradito quell’insinuazione. Il suo avversario se ne avvide e, sorridendo malignamente, affondò il coltello nella piaga. «Essere difeso da una ragazzina… Nessun uomo d’onore si lascerebbe umiliare a questo modo.»
   Lo sapeva. Anzi, lo sapevano tutti. Nessuno poteva azzardarsi a mettere in dubbio l’onore di Garu.
   La rabbia esplose e, scacciando con decisione Pucca da sé, il ragazzo si gettò con tutte le proprie forze contro l’avversario, che lo accolse a braccia aperte. L’ira di Garu, però, fu più forte e un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco tolse il fiato a Tobe, costringendolo a piegarsi in due. L’altro colse l’occasione e gli sferrò una ginocchiata in pieno volto, spaccandogli un sopracciglio. Tobe ricadde steso a terra, fra mille schizzi d’acqua, ma quando Garu fu di nuovo su di lui, fu lesto a schizzargli il fango negli occhi, accecandolo.
   Pucca gridò spaventata e subito si mosse per accorrere in suo aiuto. Non riuscì a farlo, però, perché l’erba, resa sdrucciolevole dalla pioggia, finì col farla scivolare. La terra sotto ai suoi piedi franò e lei, sentendosi cadere nel vuoto dello strapiombo, lanciò un nuovo urlo. Una mano l’afferrò saldamente per il polso: Garu. Con gli occhi semichiusi e il braccio dolorante, era scattato in suo soccorso nonostante la situazione per lui assai svantaggiosa. Pucca ebbe paura, ma non per se stessa: sapeva che Garu non l’avrebbe fatta cadere giù. Fu quello che vide dietro al ragazzino che la terrorizzò: approfittando di quella distrazione, Tobe aveva sfoderato una delle proprie katana e adesso si apprestava a sferrare un fendente fatale al rivale di una vita. Alle spalle. Come il più miserevole dei vigliacchi.
   Non successe. Perché, d’istinto, Pucca lanciò un grido d’avvertimento, che indusse Garu a voltarsi indietro, inibendo per un attimo l’azione di Tobe. In quel momento, la ragazzina raccolse tutte le proprie energie e sollevò anche l’altro braccio, quello che le pendeva nel vuoto; ma anziché aggrapparsi alla mano di Garu, la colpì e la pioggia, rendendo tutto scivoloso, fece il resto. Lui, colto alla sprovvista da tutto quello, si lasciò scappare un lamento e, senza che potesse evitarlo, la presa cedette a causa di una fitta provocata dalla ferita al braccio con cui la reggeva. Garu urlò terrorizzato e Pucca precipitò nel vuoto, felice almeno di aver evitato che il suo amato venisse assassinato a tradimento per colpa sua.
   Con un balzo lesto e deciso, infischiandosene del dolore e già dimentico di Tobe, il ragazzino la seguì di sotto, sperando di non arrivare troppo tardi. Ma la pioggia e il terreno zuppo d’acqua rendevano tutto assai più complicato, tanto che, quando arrivò sul fondo del precipizio, lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi fu capace di stordirlo completamente. Riversa al suolo con gli arti disposti in modo innaturale, a testimonianza delle diverse fratture che sicuramente aveva riportato nella caduta, Pucca giaceva immobile come morta.
   Le gambe di Garu tremarono e lui non riuscì a reggersi in piedi, finendo col crollare accanto a lei. Era ancora viva? Respirava ancora? Erano queste le domande che continuava a ripetersi all’impazzata, sentendo l’ansia crescere ogni istante di più e non riuscendo a trovare il coraggio di toccarla.
   Di sopra, invece, Tobe rimaneva ancora con la katana sollevata a mezz’aria, fissando il buio dello strapiombo con una sensazione indecifrabile che gli attanagliava il petto e gli serrava la bocca dello stomaco: precipitando, Pucca non aveva mostrato paura. Soprattutto, Tobe si era reso conto che si era lasciata cadere. Per Garu. Poteva davvero esserci qualcuno capace di donare la propria vita ad un’altra persona? Di rinunciare a tutto per consentire a qualcun altro di continuare a vivere? Una bambina. Fastidiosa, testarda, piantagrane, ma pur sempre soltanto una bambina. Fu di questo che si rese conto Tobe, come se non l’avesse mai realizzato prima di quel momento. Una bambina aveva scelto di morire per salvare la vita della persona a cui voleva più bene in assoluto. Aveva mostrato molto più onore di lui.
   Il ninja fece ricadere le braccia lungo i fianchi e l’impugnatura della katana scivolò via dalle sue dita. Senza pensarci oltre, si mise sulle tracce di Garu, questa volta senza alcuna intenzione ostile. Lo trovò in preda a quella che, da profano, avrebbe potuto definire crisi di panico. Non si muoveva né emetteva il minimo suono, rimanendo a fissare con occhi vitrei il corpo esanime dell’amica.
   «Che ci fai lì impalato?!» gli urlò con foga, sentendo improvvisamente la coscienza rimordere. Non gli era mai capitato di provare sensazioni del genere, ma quello che era accaduto, l’espressione serena con cui Pucca aveva scelto di morire per amore di Garu, l’avevano scosso nel profondo, facendogli riscoprire un’umanità che non aveva mai creduto di possedere. «Bisogna chiamare aiuto!»
   Ammesso che lei fosse ancora viva, pensò tremendamente in collera con se stesso. Ma poiché l’altro pareva non averlo neanche ascoltato, non poté fare altro che colpirlo al fine di riscuoterlo. Ci riuscì solo in parte, perché, ripresosi dalla botta, Garu alzò su di lui due occhi completamente persi. Tobe comprese che lo shock causato da quanto appena accaduto doveva essere stato troppo forte se era stato capace di ridurlo in quello stato.
   «Sei un debole!» gli ruggì contro con tutta la rabbia che avvertiva dentro di sé, scappando verso il villaggio e lasciandolo lì, sotto la pioggia battente, a commiserare se stesso e la bambina che, viva o morta che fosse, necessitava comunque di aiuto.
   I soccorsi arrivarono più in fretta che poterono. Ci fu un grandissimo schiamazzo, qualcuno lo spintonò via, persino; ma fu soltanto quando uno dei medici accorsi dichiarò Pucca ancora viva che Garu tornò in se stesso. Tobe, che se ne avvide, lo afferrò per la maglia e lo strattonò con forza, piantando gli occhi nei suoi. «Non si è sacrificata per ridurti come un verme», gli soffiò in faccia, serrando le mascelle. «Sii uomo e affronta la realtà.»
   Sacrificata?, pensò Garu, non capendo. Che Pucca lo avesse colpito apposta per sfuggire alla sua presa lo aveva compreso anche lui, ma aveva creduto che lo avesse fatto per evitargli di precipitare nello strapiombo con lei.
   «È colpa mia», gli rivelò Tobe, facilitandogli i ragionamenti. Possibile che, a causa del trauma, Garu avesse già dimenticato quanto stava per accadere a se stesso? «Stavo per prenderti alle spalle e lei se n’è accorta.»
   Non ci fu bisogno di altre spiegazioni. Garu vide nero e, ruggendo tutto il proprio dolore, sferrò un pugno al volto del ninja, mandandolo dritto al suolo. Fu su di lui e lo colpì ripetutamente senza che l’altro facesse nulla per difendersi, consapevole com’era di meritarsi ogni singola percossa. Furono separati a stento, perché Garu continuava a urlare con rabbia contro Tobe, lo sguardo pieno d’odio per quel bastardo che aveva rischiato di farla morire. Poteva trovarla invadente, seccante, a tratti finanche insopportabile; ma rimaneva la sua Pucca e lui le voleva un bene dell’anima. Al punto che, credendola morta, aveva avvertito un’improvvisa voragine nel petto, all’altezza del cuore.
   Poiché anche loro erano feriti, dovettero seguire i medici in ospedale, dove Bruce, il poliziotto, fu costretto a interrogarli entrambi: erano gli unici due testimoni oculari della disgrazia appena accaduta alla piccola Pucca, scomparsa d’urgenza dentro una sala operatoria, dalla quale di certo non sarebbe uscita prima di parecchie ore.
   Il capo libero dal cappuccio scuro che di solito indossava, Tobe raccontò ogni cosa, pronto ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Dall’altro capo della stanza, lo sguardo perso nel vuoto e ogni singolo pensiero rivolto a quella creatura che, attaccata a un respiratore, era stata portata via da diversi medici, Garu si sentì domandare se la versione del ninja corrispondesse alla verità. Annuì, senza aggiungere altro. Non gli importava di nulla. Sentiva soltanto una sensazione d’impotenza talmente schiacciante che, nei rari momenti di lucidità, non riusciva a far altro che ripensare alle parole di Tobe: Sei un debole!
   Bruce non poté fare a meno di dichiarare che l’incidente era stata una tremenda fatalità e che nessuno ne aveva davvero colpa. Tuttavia, sebbene il senso dell’onore gli impedisse di intromettersi nei regolamenti di conti di due guerrieri ninja, l’uniforme che indossava lo costrinse comunque ad ammonire severamente i due ragazzi: avrebbero dovuto smetterla una volta per tutte, con quella storia. Era il suo ultimo avvertimento; se li avesse nuovamente sorpresi a combattere seriamente l’uno contro l’altro, avrebbe preso provvedimenti in nome della legge.
   Quando furono liberi di uscire dalla sala medicazioni, che era stata momentaneamente adibita anche a stanza degli interrogatori, trovarono un capannello di persone ad attenderli, primi fra tutti gli zii di Pucca, visibilmente devastati dalla notizia che li aveva raggiunti durante il lavoro, come un fulmine a ciel sereno. Garu abbassò lo sguardo: oltre ad essere stato indirettamente la causa del terribile dramma che li aveva riuniti tutti lì, non era stato di nessun aiuto a Pucca. Anzi, si era comportato come un vigliacco, facendosi vincere dalla paura anziché correre a chiamare i soccorsi. Aveva dovuto farlo Tobe, invece, che, sebbene fosse stato l’elemento scatenante della tragedia, paradossalmente era anche colui al quale si doveva la tempestività dell’intervento dei medici. Garu lo aveva preso a pugni, ma forse avrebbe anche dovuto ringraziarlo.
   Rimasero fuori dalla sala operatoria per quasi tutta la notte, rosi dall’ansia e attanagliati a tratti dal terrore che tutta quell’attesa fosse una vana illusione. Poi, verso le tre del mattino, qualcuno tra i medici si presentò loro con il viso stanco e un’espressione che, pur non lasciando molte speranze, non sembrava essere del tutto negativa.
   «La pioggia ha reso il terreno morbido, ecco perché è sopravvissuta», spiegò ai cuochi con voce spossata. «Tuttavia, non sappiamo se e quando si riprenderà», aggiunse con evidente rammarico. «Il coma potrebbe durare giorni o anni, e non è detto che si svegli.» Il che significava che la vita di Pucca avrebbe continuato a rimanere appesa a un filo per un periodo di tempo assolutamente indeterminabile.
   Garu non volle ascoltare più nulla. Voltò le spalle a tutti, sentendo l’improvviso bisogno di uscire all’aria aperta, di rimanere da solo con i propri pensieri e i propri sensi di colpa. Quando fu fuori, si ritrovò ancora una volta sotto la pioggia scrosciante, divenuta anche gelida a causa dell’abbassarsi della temperatura nelle ore notturne. Si sarebbe probabilmente preso un malanno, ma era troppo concentrato su altro per curarsene. Nella sua mente continuavano a rimbombare le parole del medico e lui realizzò che, quasi certamente, non avrebbe più rivisto Pucca. Anche se era ancora viva, quale futuro avrebbe avuto, quella bambina? Nessuno, a parte un sonno profondo, dal quale forse non si sarebbe mai svegliata. Garu avvertiva un soffocante nodo in gola. Avrebbe voluto piangere, ma non ci riusciva, come se fosse improvvisamente divenuto incapace di farlo.
   «Semmai dovesse riprendere conoscenza», fu la voce familiare che lo sorprese alle spalle, «non rimarrà paralitica.»
   Tobe, che si era attardato per ascoltare il resto del discorso del medico, lo aveva raggiunto per consolarlo. Gli rimordeva la coscienza? Strano che uno come lui ne avesse una, si ritrovò a riflettere amaramente Garu, stringendo i pugni. Non si voltò a guardarlo. Non voleva vedere nessuno, men che meno lui.
   «Non combatterò più contro di te», riprese a parlare l’altro ninja, con tono serio. Non avrebbe spiegato le sue ragioni e forse al suo eterno rivale neanche interessavano; ma la verità era che il gesto di Pucca lo aveva impressionato così tanto da fargli capire di essere una nullità, di non valere niente come guerriero e, prima ancora, come essere umano. «Addio», aggiunse soltanto. Non c’era altro da dire, né si aspettò che Garu si degnasse di salutarlo dopo quanto era successo. Si limitò quindi a voltargli le spalle e ad allontanarsi nel silenzio della notte, rotto solo dal rumore insistente della pioggia.

«Perdonami», fu tutto ciò che riuscì a dire Garu, quand’ebbe concluso quel tragico racconto. Adesso che Pucca sapeva la verità, lo avrebbe, a ragione, ritenuto un codardo, capace soltanto di cadere in preda all’ansia e alla paura.
   «Per cosa?» si sentì invece domandare. Alzò lo sguardo che aveva precedentemente abbassato in preda alla vergogna e lo riportò sulla fanciulla che, seduta sul tatami assieme a lui, lo scrutava con tenerezza. «Sei un essere umano anche tu», gli fece notare, allungandosi nella sua direzione per passargli una carezza sul volto.
   Il giovane si scostò, distogliendo nuovamente gli occhi poiché non si sentiva degno di lei e del suo perdono. Sapeva che non era davvero colpa sua, se Pucca era precipitata nello strapiombo, ma di certo non era stato di alcun aiuto. «Avrei dovuto mantenere i nervi saldi. Sono stato un debole.»
   «Non è vero», lo contraddisse inaspettatamente lei. «Sei stato abbastanza forte da rimanere al mio fianco per tutto questo tempo. So che lo hai fatto, me lo hanno detto tutti.»
   «Gli altri non sanno che mi sono fatto prendere dal panico come un vigliacco», ribatté il ninja, ostinato.
   «Cos’hai provato, in quel momento?» chiese Pucca. «Quando mi hai vista priva di sensi.»
   Garu serrò i pugni che teneva poggiati sulle gambe. «Terrore, soprattutto», rispose con voce incerta. «Ho avuto il terrore che fossi morta… e questo mi ha bloccato.» Cercò di rifletterci su meglio. «E poi il vuoto», aggiunse. «Era così che mi sentivo… al pensiero che tu non ci fossi più», ammise. Era inutile girarci intorno, perché quella era la sacrosanta verità: senza Pucca, Garu era certo di non valere più nulla. Lo aveva realizzato quel giorno di sette anni prima e lo stava realizzando nuovamente adesso.
   La sentì muoversi ancora una volta nella sua direzione. Poi, due esili braccia lo avvolsero e lui si ritrovò stretto al petto della ragazza. «Ti amo», furono le parole che lei gli sussurrò all’orecchio e che, con tutta la loro purezza, ebbero il potere di abbattere definitivamente ogni sua difesa. Si aggrappò alla fanciulla con tutte le sue forze, il nodo che gli serrava la gola da tanti anni si sciolse e lui si abbandonò finalmente alle lacrime. E pianse, come mai aveva fatto in vita sua, lasciando libero sfogo a tutto il dolore che aveva trattenuto dentro di sé per tutto quel tempo, insieme alla rabbia, alla vergogna e, soprattutto, al sollievo di avere di nuovo Pucca con sé. Ora poteva farlo, poteva piangere liberamente, perché davanti a lei non voleva più fingere. L’amava con tutto se stesso e avrebbe fatto qualunque cosa pur di renderla felice. Pertanto, se lei lo avesse voluto, avrebbe messo da parte ogni senso di colpa passato nel tentativo di concentrarsi soltanto sul presente. E l’impegno di rimanerle accanto per tutta la vita, per proteggerla, ormai non era più un voto, ma soltanto il suo più grande desiderio, lo stesso che aveva espresso la sera del suo compleanno.
   Quando i singhiozzi iniziarono a scemare, un miagolio richiamò la loro attenzione: Mio e Yani, inseparabili come sempre, li avevano raggiunti silenziosamente e adesso si erano acciambellati accanto a loro. Era un po’ come se quei due fossero i loro corrispettivi felini, sebbene, a differenza di Pucca, Yani fosse sempre stata assai vanitosa e Mio, diversamente da Garu, le corresse dietro ad ogni piè sospinto. Ciò nonostante, la loro unione era ormai parecchio simbolica per i loro padroni.
   «Ti va qualcosa di caldo?» domandò d’un tratto la ragazza, a cui il ninja aveva dato da un po’ l’autorizzazione a muoversi in quella casa come se fosse stata la sua. In effetti, forse Pucca neanche si sarebbe curata di ottenere un permesso al riguardo, visto che aveva sempre fatto come le saltava in testa; tuttavia, per amor proprio, Garu aveva voluto puntualizzarlo anche con se stesso, sia pure ad alta voce e in presenza dell’innamorata.
   Un tè caldo li avrebbe aiutati a calmarsi, concordò il giovane. Annuì e si passò il dorso di una mano sul viso ancora umido, benché Pucca non si fosse lasciata pregare e gli avesse già asciugato le lacrime una per una, baciandogli le guance e gli occhi, e sorridendogli con amore. «Ti aiuto a prepararlo.»
   Mentre si dirigevano in cucina, mano nella mano, la fanciulla ripensò a tutto quello che gli aveva raccontato Garu; adesso che lui aveva smesso di piangere, poteva finalmente analizzare la vicenda con più lucidità. E si rese conto che quanto gli aveva detto per confortarlo rispondeva alla verità. Di più, si stupì di se stessa e del coraggio che aveva avuto quand’era bambina, scegliendo di rischiare la vita pur di salvare quella di lui. Doveva aver amato Garu profondamente sin da piccola, si convinse, sentendo rafforzare ulteriormente quel sentimento dentro di sé. Lo stesso ninja aveva dimostrato di provare un affetto assai simile nei suoi confronti, e anche se all’epoca forse nessuno dei due ne era stato perfettamente consapevole, adesso che erano cresciuti potevano finalmente rendersene conto. Non avevano più alcun dubbio al riguardo: i sensi di colpa non c’entravano nulla, perché l’amore che avevano nel cuore non era altro che la naturale evoluzione di quello, assai più ingenuo, che avevano sempre sentito l’un per l’altra sin da quand’erano ragazzini.


















A ben guardare, forse avrei potuto aggiungere questa storia come ulteriore capitolo finale della long, ma ci ho pensato troppo tardi, per cui vada per la shot conclusiva della serie Amnesia. Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno!
Ammetto di essere in parte un po' incerta sullo svolgimento delle scene d'azione che ho descritto, non mi sono mai sentita portata per questo genere di cose. D: Comunque sia, questo è ciò che ho pensato potesse essere accaduto in realtà.
A tal proposito, vorrei spendere due parole per il personaggio di Tobe. È vero, viene dipinto come "il cattivo del villaggio", però in più di un'occasione ha mostrato, com'è logico, dei lati umani anche parecchio commoventi: l'affetto per i propri sgherri, la tenerezza per Mio e persino la comprensione verso Garu (quando i due rimangono appiccicati e Tobe si rende conto della vitaccia che conduce il rivale, perennemente perseguitato da Pucca), col quale potrebbe persino andar d'accordo se si decidesse a mettere da parte i suoi propositi di vendetta. Insomma, credo che un episodio come quello da me descritto (coi piedi) qui, potrebbe davvero risvegliare la coscienza del "cattivo del villaggio". Voi che ne pensate?
Ringrazio come sempre tutti i lettori e i recensori, sperando di tornare presto a condividere con voi qualche altra fanfiction, sia pure decisamente più leggera di questa. X3
Shainareth





  
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