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Autore: Vorarephilia    21/10/2013    1 recensioni
Soleil aveva sedici anni e una vita che a molti potrebbe apparire semplice.
Amelie aveva sedici anni e un'esistenza priva di significato.
Soleil aveva un'amica immaginaria, una volta.
Amelie aveva qualcuno con cui passare il tempo, una volta.
Soleil amava guardarsi allo specchio.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 8

Essere Uno, Essere in Due – parte II

 

 

Corvine

 

Soleil ed Amelie erano andate via per prime.

Subito dopo Laureth e Lauren, poi Gleam e Glimmer e infine Valkhari e Valkirya.

Corvette mi guardava come se fossi un animale feroce.

La intimidivo.

Probabilmente la mia incapacità di sorridere influenzava parecchio le sue emozioni.

Purtroppo, però, nessuno che avesse vissuto tanto a lungo nel mondo specchio sarebbe stato in grado di essere realmente felice.

Certo, tutto era meraviglioso nel mondo Giusto, c'erano un sacco di cose stupende e curiose e affascinanti e strane, ma quanto sarebbe durato?

Due giorni?

Tre?

Non credevo che valesse il dolore dell'attraversamento.

Non volevo mettere di nuovo in pericolo le vite delle mie amiche, delle uniche persone con cui io avessi mai parlato in diciannove anni di vita, le persone che mi avevano circondata di un affetto un po' freddo, ma senza dubbio sincero.

-Quindi... Tu sei me.- disse Corvette con voce dubbiosa, sedendosi sul marciapiede.

-Sì e no.- risposi.

-Ti chiami Corvine, giusto?- chiese.

-Sì.-

Nonostante sapessi usare la Voce, non ero abituata a parare molto.

Forse perchè c'era Valkhari che riempiva ogni attimo di silenzio con le sue chiacchiere senza senso, eppure estremamente piacevoli.

Ogni volta che parlavo la gola mi raschiava dolorosamente.

Sospettavo che fosse per il poco uso che ne facevo.

Questo si trasformava in un suono roco e poco piacevole da udire.

 

Aspettammo in silenzio. Sentivo la sua irritazione anche stando a cinque metri di distanza, il che mi faceva un po' ridere.

Era sicuramente gelosa.

Glielo si leggeva negli occhi verde scuro. Quando Soleil era corsa dietro ad Amelie, una scintilla di puro odio le aveva attraversato le iridi e aveva stretto i pugni.

E forse, era un po' irritata anche dal mio atteggiamento poco espansivo.

Forse le avrei spiegato da cosa derivava.

Forse no.

Potevo anche tenere per me i racconti drammatici di un'esistenza priva di utilità e spessore, in un mondo cupo e inesistente.

Corvette era serena e tranquilla, nel mondo Giusto e, sebbene non provassi per lei ciò che Amelie provava per Soleil – ovvero un amore incondizionato e folle, incrollabile e inarrestabile, che la spingeva a preoccuparsi sempre e comunque della sua Giusta, a seguirla, a curarsi di lei – non volevo darle pensieri.

Sapevo che non era colpa sua se io ero nata dalla parte sbagliata.

Non era colpa sua se le nostre condizioni di “vita”, sempre se così si potesse chiamare, erano e sarebbero sempre state pessime.

Inutile descrivergliele e farla sentire stupidamente in colpa.

 

Finalmente, dopo quasi un'ora, le vidi tornare.

Tra le mani tenevano piccoli oggetti colorati, che Amelie guardava con estrema attenzione.

Ci fu un breve scambio di battute tra Soleil e Corvette, che si era alzata in piedi e si era avvicinata a loro con fare minaccioso.

La discussione si concluse con un passionale bacio.

Corvette tornò al mio fianco e, bruscamente, mi disse che stavamo andando via.

Dove?

Non mi era dato saperlo.

Non che lo avessi chiesto, comunque.

Non mi interessava più d tanto.

Stare lì, nel mondo Giusto, non mi interessava.

Nonostante le sue meraviglie e l'estrema diversità dal mio mondo, non riuscivo a non pensare che fosse solo un miraggio.

Una stupida illusione, che ci avrebbe ferite tutte, una volta finita.

 

Avevo già visto qualcuno piangere, ma mai in quel modo.
Corvette sembrava molto sofferente e la sua posizione era chiaramente di difesa. Anzi, di protezione.
Le ginocchia strette al petto e il viso nascosto dalle braccia.
Era come una pallina, tutta rannicchiata in un angolo del grande letto.
Risvegliava una certa tenerezza che non avevo mai avuto.
-Cos'hai?- le chiesi.
Lei mi guardò solo per un attimo, alzando la testa, ma tornò subito nella sua posizione.
-Nulla. Lasciami stare.- sibilò.
-È per colpa mia?- ignorai il suo ordine e mi sedetti al suo fianco, la schiena appoggiata alla testiera del letto e la spalla destra che sfiorava il suo corpo rigido.
-No.- rispose, strascicando la negazione più del dovuto.
-Stai sanguinando.- la avvertii poco dopo. La maglietta rosa , un colore piacevole, chiaro, luminoso, rilassante, che indossava era macchiata sul fianco.
-Cazzo!- esclamò lei, alzandosi in piedi in fretta e spogliandosi dell'indumento. Aveva una spessa garza giallo chiaro, quasi bianca, che le fasciava la vita, imbrattata di sangue. La srotolò, mostrando una brutta ferita. La pelle era lacerata in modo disordinato e i punti che avrebbero dovuto tenerla chiusa si erano aperti.
-Sai guidare la moto?- mi chiese. Era pallida e aveva le sopracciglia aggrottate. Con una mano si teneva appoggiata al muro.
-Ti fa male?- le domandai io.
-No, mi fa senso. Devi accompagnarmi in ospedale.- disse.

Era spaventata, lo vedevo.
Lo sentivo.
Era come se la sua paura stesse toccando anche me, una carezza appena percepibile, che però mi penetrò fino al cuore, facendomi rabbrividire.
-Andiamo.- la presi per il polso e la strattonai fuori dalla stanza.
-Aspetta!- esclamò agitata, prendendo una maglietta a maniche lunghe ed una felpa, entrambe nere, ed indossandole in fretta.
Il sangue continuava a scorrere ed era arrivato al bordo dei jeans che portava.  

 

Avevo già guidato una moto, prima di allora, nel mondo specchio.

Non era difficile, ma facevo fatica a concentrarmi. Sbandai un paio di volte e mi risultò quasi impossibile ascoltare le indicazione sussurrate di Corvette, che si stringeva in modo ossessivo a me come se mi volesse trafiggere con le dita.
Quando finalmente arrivammo al pronto soccorso, lei si rese conto che nessuno poteva vedermi o sentirmi e dovette farsi coraggio e richiamare l'attenzione di qualcuno.
Per me era così strano vedere tutte quelle persone che interagivano le une con le altre, che si preoccupavano, affannavano, si davano da fare per salvare delle vite.
Mi piacevano.
Erano buoni, non come i Riflessi, impossibilitati dalla loro condizione a provare emozioni e, di conseguenza, a preoccuparsi per gli altri.
Alla fine, un giovane uomo si avvicinò a noi.
-Qual è il problema?- le chiese, prendendola per un braccio per evitarle di cadere.
Le appoggiò una mano sulla fronte sudata, le passò una piccola torcia davanti agli occhi e le sentì il battito cardiaco, appoggiandole due dita ai lati della trachea.
-I punti...- mormorò Corvette con voce strozzata.
L'uomo la accompagnò in una stanza e la fece distendere su un lettino bianco e la spogliò.
-Cazzo...- borbottò. Corvette allungò una mano nella mia direzione.
-Chiama Soleil.- mi pregò. Il dottore la guardò, poi si volse verso di me e sorrise.
-Andrà bene, dobbiamo solo fermare l'emorragia.- le disse. Io presi il cellulare dalla tasca dei jeans e feci partire la telefonata.
Soleil mi rispose dopo poco, la voce allarmata.
-Cosa succede?- chiese.
-Sono Corvine. Siamo al pronto soccorso. Ha un'emorragia.- dissi. In risposta, solo il suono ritmico e cadenzato che mi indicava che la linea era caduta.
Quando lei e Amelie arrivarono, Corvette era in sala operatoria.
-La stanno richiudendo.- informai.
Soleil aveva gli occhi pieni di lacrime e Amelie tentava di consolarla con gentili tocchi ai capelli.
Le leggevo nelle iridi tutta la gelosia che provava nel vedere la sua adorata che singhiozzava per un'altra persona.
Amelie non meritava questa sofferenza come non aveva meritato tutte le altre.
Mi sentivo legata a lei più di quanto fosse lecito dopo il poco tempo trascorso e le poche parole che ci eravamo scambiate. Forse era perchè le nostre Giuste si piacevano o forse era un colpo di fulmine, amore a prima vista.
Non avrei saputo dirlo.
Mi sedetti al suo fianco e appoggiai una mano sul suo avambraccio. Sobbalzò appena e si voltò. Dopo un attimo di smarrimento si aprì in un sorriso luminoso e grato.

Non permisero a Soleil di vedere Corvette ma non lo poterono impedire a me.
-Stai meglio?- le domandai. Lei tese la mano verso di me e mi tirò al suo fianco, costringendomi a sedermi sul materasso.
-Sì.- sussurrò, intrecciando le sue dita alle mie.

-Bene.- mormorai, confusa da quel contatto. La sua pelle era calda e piacevole, morbida e il suo colore ramato si sposava bene con quello grigio cupo della mia.

-Se non ci fossi stata tu avrei rischiato davvero tanto.- mi confidò con uno sguardo carico di ammirazione.

-Ah.- mi limitai a dire.

Sebbene non volessi ammetterlo, il suo comportamento mi metteva in imbarazzo.

Nessuno, nemmeno Valkhari, Laureth e Gleam erano mai state così gentili e affettuose con me. Certo, eravamo amiche, ma non in un modo così profondo, così naturale.

-Stavo piangendo per rabbia, principalmente. Mi stanno succedendo un po' di cose brutte ultimamente.- mi disse dopo qualche minuto.

-Capisco.- ero felice che me lo avesse rivelato. Era un buon passo avanti nella nostra ipotetica amicizia.

 

 

 

Corvette

 

Era vero quello che avevo detto a Corvine. Stavano succedendo un bel po' di casini nella mia vita.

I miei genitori stavano per divorziare, anche se non avevano voluto parlarcene, ancora.

Mia sorella minore, Hirina, di sedici anni, era rimasta incinta e non lo aveva ancora detto a nessuno, a parte me, ovviamente.

La scuola era estremamente pesante e, anche se non erano che i primi mesi, già sentivo addosso troppa pressione. I professori, che per quanto simpatici a volte potevano risultare dei grandissimi stronzi, continuavano a ripeterci che si avvicinavano gli esami di maturità. Nonostante fossimo solo in quarta.

E poi c'era Soleil.

Soleil che non voleva che io mi avvicinassi a casa sua, perchè probabilmente si vergognava di avere una ragazza al posto che un ragazzo, o forse perchè non voleva che le cose si facessero troppo serie.

Soleil di cui mi stavo seriamente innamorando, e questo mi spaventava, perchè non mi ero mai innamorata di nessuno in diciassette, quasi diciotto, anni di vita.

Dire che stavo meglio prima, quando le mie uniche preoccupazioni erano che borsa si abbinasse meglio alle scarpe, era falso.

Non mi era mai piaciuto apparire superficiale e di sicuro, frequentare Soleil mi stava aiutando a sbarazzarmi di quella facciata da Barbie che gli altri mi avevano costruito attorno durante il passare degli anni.

E adesso era arrivata anche Corvine, che non sembrava interessata al nostro mondo quanto Soleil ci aveva raccontato.

Io sapevo, a grandi linee, com'era il posto da cui proveniva, ma non mi azzardai mai a chiederle di parlarne.

 

Forse per paura, o chissà?

 

Mi dimisero dall'ospedale solo due giorni dopo.

Mamma mi era venuta a prendere con Hirina, che aveva pianto per tutto il viaggio.

Il dottore che, lo sapevo, aveva visto Corvine, mi trattenne per un braccio, appena prima di lasciarmi uscire, allontanandomi dalla mia famiglia.

-Non parlare con loro davanti agli altri, o la prossima volta potresti ritrovarti nel reparto psichiatrico.- la sua voce era scherzosa, ma stava parlando sul serio.

-Sì, grazie.- mormorai.

-Figurati. Spero di non rivederti qui dentro molto presto. Ciao. E ciao anche a te.- salutò sia me che Corvine, che era rimasta al mio fianco.

Avevo scoperto che la mia famiglia non poteva vederla nemmeno di sfuggita, e questo era un bene, perchè non avrei dovuto dare stupide spiegazioni.

Mi bastava solo stare attenta e non parlare con lei ad alta voce di fronte alle persone che non la vedevano.

Altrimenti sarei davvero finita nel reparto psichiatrico.

 

Le ragazze organizzarono un'uscita per festeggiare e, siccome Soleil aveva la casa libera, ci invitò tutte quante da lei a dormire. Che poi si traduceva in: mangiare schifezze e guardare i peggiori film trash per tutta la notte.

Che l'indomani avessimo scuola non importava a nessuno.

 

-Vuoi un cambio d'abiti?- chiesi a Corvine, dato che l'avevo sempre vista indossare il parka nero pece, con un paio di jeans scoloriti e una maglietta grigia a maniche lunghe, semi-trasparente.

-No, grazie.- rifiutò, accennando, per la prima volta in quei tre giorni, un sorriso.

-Un pigiama per stanotte?- proposi.

-Un... pigiama? Cos'è un pigiama?- domandò, confusa.

Ridacchiai.

-È un indumento o un insieme di indumenti comodi e caldi che si mettono per dormire.- le spiegai.

-Io dormo vestita così.- disse lei.

Effettivamente aveva dormito in quel modo, in ospedale con me, seduta su una sedia accanto al mio letto, però non pensavo che fosse parte delle sue abitudini.

-Va bene, come preferisci.- mormorai, infilando una camicia da notte in più nella borsa.

Nel caso le fosse venuta voglia di cambiarsi.

 

Eravamo le seconde ad arrivare. Come previsto, Valkirya e Valkhari erano già lì, ad aiutare Amelie e Soleil a sistemare pop corn, patatine e M&M's nelle ciotole di plastica colorata.

-Ciao.- mi salutò la padrona di casa con un bacio lieve sulle labbra, che ricambiai a metà, stupita dalle decorazioni e dai cartelloni di “Bentornata” che coloravano le pareti.

-Una festa non è una festa senza i cartelloni. O almeno così dice Valkirya.- mi disse Valkhari, che ad allegria non aveva nulla da invidiare alla sua controparte.

Lei e Corvine si appartarono per un po' per chiacchierare delle loro cose, mentre io mi lasciavo abbracciare da Soleil, ora un po' meno spensierata e un po' più tremante.

-Devi smetterla di finire in ospedale. Sul serio, tu mi farai morire di questo passo.- mormorò contro la mia spalla.

-Scusami. Si erano solo riaperti i punti, alla fine. Mi hanno tenuta dentro due giorni solo per fare un paio di controlli alla testa. Sai, con il trauma cranico e tutto il resto...- dissi io, alzandole il viso con due dita e baciandola con dolcezza.

Le sue guance si tinsero appena di rosa e i suoi occhi vagarono alla furiosa ricerca di Amelie, nella stanza.

Lei ci guardava con odio puro al 100%.

Non potevo biasimarla, chiunque avrebbe voluto avere Soleil.

Ma era mia, e non potevo permetterle di vincere, nemmeno se si trattava solo di una stupidissima sfida di sguardi.

 

Quando fummo tutte presenti, ci mettemmo comode in salotto, disposte un po' sui due divani, un po' sulle poltrone e un po' sul tappeto di pelo bianco che ricopriva il pavimento in piastrelle lucide, color caramello.

A prima vista, sembrava che tutte avessero fatto amicizia con il proprio Riflesso, e questa era una cosa buona.

Soleil si distese tra me ed Amelie, stringendo ad ognuna una mano.

Non mi andava bene doverla dividere, ma non avevo intenzione di rovinare la serata a nessuno, soprattutto perchè l'avevano organizzata per me, perciò cercai di non farci caso e di prestare attenzione all'orribile film.

Era un quasi-horror-splatter-Z-movie. Con un budget di al massimo venti dollari, filmato con la videocamera di un nokia vecchio modello, molto probabilmente.

La trama era bizzarra, nel vero senso della parola.

Una squalo.

In un supermercato.

Come riuscisse a sopravvivere fuori dall'acqua era e sarebbe rimasto un mistero, dato che nessuno di noi riusciva a rispondere a quella domanda senza scoppiare a ridere incontrollatamente.

 

Finito il film, e il cibo spazzatura e le bibite, fu ora di srotolare i sacchi a pelo e di metterci più o meno a dormire.

Era già tardi e il lunedì mattina non avrebbe aspettato che noi fossimo pronte ad alzarci, per iniziare.

Io dividevo il mio con Corvine, che si era distesa, dritta come una candela, con tutti i vestiti ancora addosso.

Anche il parka.

 

Con la mattina, arrivarono anche i problemi.

  
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