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Autore: Laylath    21/10/2013    2 recensioni
Il suo posto era altrove, la sua fedeltà era per un’altra persona, un altro gruppo.
E ne aveva passate tante prima di giungere a loro…
La storia del nostro amato Maresciallo Falman.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang, Vato Falman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 29.
1914. Nichis tai.*

 

Sia il colonnello che Havoc erano vivi e questo era l’importante.
Era l’unica convinzione a cui Falman potesse aggrapparsi negli ultimi giorni. Mustang era in piena ripresa e stava già pensando ad una nuova mossa da compiere contro i loro nemici: non si sarebbe mai arreso, considerando quello che era saltato fuori, grazie anche alle informazioni date dai fratelli Elric.
Ma il sottotenente Havoc se ne è tirato fuori… lui… lui non sente più le gambe.
Le parole singhiozzanti che gli aveva detto Fury qualche giorno prima l’avevano completamente destabilizzato: un danno alla spina dorsale che aveva portato alla paralisi di quel ragazzo così vitale e robusto. Anche per una persona razionale come Falman tutto questo era difficile da accettare.
Quell’evento aveva gettato la squadra in un profondo stato depressivo: il tenente ed il colonnello non si erano potuti permettere di venire meno ai loro impegni per quella spericolata missione, ma tutti gli altri erano in piena crisi. Persino Breda, a dispetto del suo stoicismo, era profondamente turbato.
E come potrebbe non esserlo? Havoc è il suo miglior amico, praticamente un fratello… dev’essere stato un durissimo colpo per lui.
Ma nonostante tutto il rosso sottotenente non mancava di rassicurare lui e Fury: ogni sera, per quanto fosse esausto, si sedeva a mensa con loro e parlava tranquillamente. Falman aveva notato che rivolgeva in particolar modo le sue attenzioni al sergente: dietro quelle arruffate di capelli, quei sorrisi, capiva che l’uomo stava cercando di proteggere almeno emotivamente il piccolo della squadra.
E’ già venuto meno all’amico, anche se lui non avrebbe potuto fare niente contro quel mostro… e ora cerca in qualche modo di compensare con Fury. Si sta addossando sulle spalle tutta la responsabilità del resto del gruppo, ora che Havoc e fuori combattimento ed il tenente ed il colonnello sono indaffarati contro quei… quei…
Homunculus.
La parola faceva rabbrividire il maresciallo, anche se capiva solo vagamente di cosa si trattasse: mostri, di un tipo che non aveva mai letto nei suoi libri. Creature legate all’alchimia e alla pietra filosofale.
Sono cose che noi umani non… non dovremmo mai…
Era così difficile da accettare: l’alchimia era stata l’unica cosa che Falman avesse accettato perché sapeva che in qualche modo seguiva regole a lui sconosciute ma umane. Creature come gli Homunculus andavano al di fuori di qualsiasi cosa la sua mente potesse comprendere.
No, quando aveva dato il suo assenso al colonnello per il trasferimento a Central City non avrebbe mai pensato di lottare contro delle simili creature.
Quante possibilità aveva il maresciallo Vato Falman contro uno di loro? Nessuna. La miglior formazione del Quartier Generale dell’Est era messa in ginocchio da quella situazione: solo il colonnello poteva qualcosa contro di loro… per il resto erano completamente inutili.
“Perché quella faccia, maresciallo?” lo riscosse Breda che si era avvicinato silenziosamente a lui.
“Pensieri, signore. – rispose laconicamente Falman – Credevo che lei fosse in ospedale…”
Il sottotenente scosse il capo e Falman seguì ipnotizzato i movimenti di quella chioma fulva.
“Sono già passato stamattina e Havoc sta bene: posso fare di più stando qui.”
La voce era stanca, un fatto che in Breda non si era mai riscontrato: quell’uomo aveva una resistenza incredibile, nascosta ai più dalla grossa stazza. Ma non era stanchezza fisica… il sottotenente rosso era esausto della situazione che l’aveva colpito in maniera così vicina. Falman sapeva che il tentativo di recuperare il dottor Marcoh e la pietra filosofale, che si supponeva lui avesse, era andato male. E così era svanita anche quella possibilità di curare Havoc.
Dev’essere stata una dura sconfitta per lui… e ora non ha più nessuna carta in mano. Eppure, nonostante tutto riesce a prendersi cura di noi: ha il coraggio di lasciarsi il dolore alle spalle e preoccuparsi del nostro morale…
“Il colonnello?”
“Si è fatto dimettere a forza e chissà cosa combinerà. – le robuste spalle si scossero: ormai lo stratega della squadra non poteva più fare niente – Speriamo che il tenente lo tenga d’occhio: la sua ferita non è guarita del tutto, anzi…”
“Sottotenente… a che serviamo noi, in tutta questa storia?” chiese Falman
“Mhpf, - sbuffò l’uomo – una domanda simile me la sarei aspettata maggiormente dal sergente. Vieni andiamo a cercarlo: scommetto che è raggomitolato da qualche parte con lo sguardo da cucciolo abbandonato”
Falman annuì e si incamminò con il compagno: rimasero entrambi in silenzio, il rumore dei loro stivali sul pavimento che rimbombava nei corridoi stranamente vuoti.
“Riguardo alla tua domanda – disse Breda ad un certo punto – cerca di non farla mai più, specie davanti al colonnello.”
“Ma io…”
“Havoc si è tirato fuori da tutto, va bene? E tu non eri lì a vedere gli occhi del nostro superiore: lasciarlo indietro, anche se solo momentaneamente, per lui è stata una delle sconfitte peggiori. Non credere che Roy Mustang sia emotivamente invulnerabile, Falman, è solo bravo a nasconderlo il più delle volte”
“Io…”
“Tu, io, Fury, Havoc ed il tenente siamo il suo gruppo, la sua squadra… la sua famiglia, soprattutto dopo la morte del tenente colonnello Hughes. Non pensare che in questi anni il legame si sia creato solo tra noi quattro minori di grado. Lui sente maggiormente la responsabilità su di noi, con l’unica differenza che non può esprimersi platealmente come farebbe Havoc o come farebbe Fury. Non dividiamoci, Falman, non ora che maggiormente necessario restare compatti…”
“Mi scusi, sottotenente, non ci avevo pensato” mormorò Falman, abbassando lo sguardo
“Finiscila, Falman. – commentò Breda, dandogli un lieve pugno sul braccio – Per ora la situazione l’hai gestita più che bene, e per il carattere che ti ritrovi non dev’essere stato facile. Vedrai che la situazione migliorerà, dobbiamo solo fare del nostro meglio per starci vicini. Ah, ecco il nanetto… lo sapevo che era solo a rimuginare i suoi cupi pensieri; adesso andiamo a recuperarlo noi, magari con una partita a scacchi, anzi, fai il favore: vai a recuperare la scacchiera”
 
Non dividiamoci, Falman, non ora che maggiormente necessario restare compatti…
Era quasi surreale che il sottotenente Breda avesse pronunciato una frase simile nemmeno ventiquattro ore prima. Era stato quasi un ammonimento in preparazione a quanto stava per succedere.
Sì, ma… come possiamo restare compatti se ci hanno spedito agli angoli opposti di Amestris?
Guardando per la centesima volta quel documento che gli ordinava il trasferimento nel Quartier Generale di North City, Falman scosse la testa con disperazione.
E così, alla fine, il colonnello aveva fatto un passo più lungo della gamba ed era stato scoperto: non bisognava essere dei geni per capire che questi ordini di trasferimento avevano lo scopo di allontanare dall’alchimista di fuoco le persone di cui si fidava ciecamente.
Breda ad ovest, Fury a sud, lui a nord… Havoc praticamente imprigionato in ospedale ed il tenente ostaggio del Comandante Supremo.
Falman si domandò che gioco stavano facendo. In occasioni simili, per un tradimento palese come il loro, ci sarebbe stato il plotone d’esecuzione o anche peggio… la sua mente tornò a Barry che, al posto di essere giustiziato, era stato usato come esperimento e guardiano per i perversi studi sulla pietra filosofale.
No, del resto Barry ha detto che tutti gli uomini che avevano preso parte a quegli esperimenti sono diventati a loro volta elementi della pietra filosofale… non hanno più nessuna ricerca da compiere.
Il fatto che li stessero tenendo vivi voleva dire che avevano in mente qualcosa per il colonnello: in fondo anche loro erano ostaggi, seppur in maniera minore rispetto al tenente Hawkeye.
Restare compatti… restare uniti. Ma adesso mi viene impossibile anche solo pensarlo…
Con un sospiro il maresciallo riprese a preparare la sua roba, considerato che sarebbe dovuto partire già il giorno dopo: non avevano lasciato loro il tempo di organizzarsi in qualche modo… o fuggire.
Da una scatola caddero alcune lettere che gli aveva spedito Elisa.
Forse avrebbe dovuto dirle almeno una mezza verità…
 
“Ciao, Eli – salutò al telefono – come va?”
“Vato! Amore, ero in pensiero… nelle ultime settimane ti sei fatto sentire pochissimo”
“Eh… ci sono stati degli imprevisti di notevole portata. Non era il caso che ti chiamassi”
Ci fu un improvviso silenzio dall’altra parte del telefono: Elisa era la moglie di un militare, dopotutto, certi sottintesi aveva imparato a capirli in fretta.
“Ora va tutto bene?”
“Insomma, diciamo che la crisi è momentaneamente rientrata anche se… il sottotenente Havoc è stato ferito in maniera grave e…”
“Oddio! Che gli è successo? E’ necessario che io venga? Posso dire al dottore che…”
“No, Eli, non è il caso. Anche perché penso che presto verrà rimandato ad est – la bloccò immediatamente Falman – Non è in pericolo di vita, assolutamente, solo che… - trasse un profondo respiro prima di confessare – probabilmente resterà paralizzato alle gambe”
“Cosa?... No, non può essere…”
“Lesione al midollo spinale…”
Sentì un singhiozzo dall’altra parte del telefono e per un istante si maledisse di averle dato quella notizia: ormai Elisa era profondamente affezionata ai suoi compagni di squadra… e Havoc era sempre stato così scherzoso e galante le volte che era venuto a casa.
“Amore…” la chiamò gentilmente
“Scusami… scusami, va tutto bene. E Breda e Fury come stanno? Devono esser distrutti, poveretti”
“Vanno avanti… insomma noi…”
“Già, voi… più che mai dovreste stare uniti, Vato. Mi raccomando pensate l’uno all’altro e…”
“Sono stato trasferito a North City…” confessò ancora Falman tutto d’un fiato, sentendo che il discorso stava prendendo una piega sbagliata.
Ancora silenzio dall’altra parte del telefono
“North City? Ma… ma perché…? Anche gli altri?”
“Eli, ascolta, la situazione non è delle migliori ed è meglio che non ti dica ulteriori dettagli…”
“Così non mi preoccupo di più? Tanto le notizie che mi hai dato erano tutte belle e piacevoli”
“E dai, non fare la sarcastica – sospirò Falman, sentendosi improvvisamente stanco – è che… non lo so nemmeno io che cosa…”
“North City, eh? – mormorò lei – Beh, dai ci sono stata e non è male come posto. Certo c’è neve per la maggior parte dell’anno, ma è piacevole se si è ben coperti. Sono sicura che la troverai interessante e da quello che ho visto ci sono anche parecchie librerie…”
La voce continuava a parlare con spensieratezza e Falman si immaginò il viso di lei illuminato da un sorriso rassicurante e dolce.
“Ehi, lo sai che in questo momento mi sono accorto di amarti ancora di più?”
“Che dichiarazione, Vato… ti amo anche io… forse la lontananza rafforza davvero l’amore. Senti, è un’informazione che puoi darmi o mi è vietato sapere anche quanto durerà questo tuo trasferimento?”
“Vorrei potertelo dire, amore, ma non lo so nemmeno io”
“Va bene…”
“Però i telefoni ci sono anche a North City: spero di poterti chiamare più spesso di questi ultimi tempi…”
“Lo spero anche io… tra un quattro mesi parto per South City: saremo agli opposti”
“Eh già…”
“Fatti forza, amore mio. Tu e tutti i tuoi compagni.”
“Grazie Eli. Ci sentiamo presto… in ogni caso ti faccio sapere quando arrivo lì”
“Va bene… nichis tai, amore”
“Nic…che?”
“Dialetto di North City – ridacchiò lei – vuol dire “a presto””
 
Il giorno dopo aveva preparato tutto e gli rimase solo l’arduo compito di salutare i suoi compagni.
Furono frasi abbastanza formali e di circostanza: la difficile situazione l’aveva fatto in qualche modo retrocedere ai primi giorni nella nuova squadra, quando dosava in maniera estrema qualsiasi parola. Ogni volta che si allontanava da uno di loro, dopo aver preso commiato, si rimproverava aspramente con se stesso per non essere riuscito a dire altro.
Persino con Fury era stato di poche parole, permettendo al suo stato d’animo di avere la meglio sulle parole di incoraggiamento che avrebbe dovuto dare al piccolo della squadra. E quel ragazzo stava per partire verso il confine sud, dove imperversava la guerra contro Aerugo: sarebbe stato completamente solo in una situazione dove invece avrebbe necessitato della presenza degli altri.
E invece tutto quello che ho avuto da dirgli è stato che il soggiorno a Central è stato davvero breve e che al Quartier Generale del Nord deve fare davvero freddo. Eppure tra qualche giorno io e lui saremo agli opposti del paese…
No, decisamente non era stato un bel modo di prendersi cura degli altri.
E la cosa peggiore è che loro hanno sicuramente capito e dunque non hanno alcun rimprovero da farmi…
Con un sospiro si incamminò nel corridoio dove stava l’ufficio del colonnello: sperava che almeno quel saluto non fosse così desolante come gli altri.
“Maresciallo” chiamò una voce dietro di lui.
“Tenente Hawkeye” si girò con sorpresa l’uomo.
“Stai andando a prendere congedo dal colonnello?” chiese la donna avvicinandosi
“Sì, signora… e, dato che ci sono, direi che è il caso che provveda a salutare anche lei”
Il tenente sorrise con dolcezza a quelle parole e Falman provò una grande pena per lei: sarebbe stata un ostaggio bello e buono in quanto assistente del Comandante Supremo. A dire il vero il maresciallo non aveva molti dubbi sul fatto che, in qualche modo, il colonnello l’avrebbe protetta… ma intuì che anche lei, come tutti gli altri, avrebbe sentito la mancanza di sicurezza che dava l’essere tutti assieme.
E sicuramente è già in pensiero per Fury ed il suo trasferimento a sud… così lontano e solo non può essere protetto.
“Giusto, commiato” annuì Riza
“Ce la caveremo tutti quanti” si trovò a dire Falman, sorpreso dalle sue stesse parole.
Il tenente lo guardò con sorpresa: di certo erano poche volte che l’aveva sentito dire frasi così spontanee; ma la sorpresa si trasformò subito in un sorriso.
“Ci conto, davvero… Tornate tutti sani e salvi, mi raccomando. Adesso devo proprio andare.”
“E lei si prenda cura di se stessa, signora” salutò Falman rispondendo al sorriso.
Guardandola allontanarsi per il corridoio con passo marziale, come se quella fosse una normalissima giornata di lavoro, Falman sospirò e si augurò che tutto andasse per il meglio.
Riprendendo la sua strada, arrivò finalmente all’ufficio del colonnello e bussò.
“Signore, - salutò entrando – sono venuto a riportarle la scacchiera”
Mustang era in piedi, davanti alla finestra, impegnato a fissare il cielo. Come lo sentì entrare si voltò verso di lui e sorrise lievemente.
“Ah, già, la scacchiera. – commentò, guardando l’oggetto che Falman aveva appena posato sulla scrivania – Beh, sarà difficile trovare qualcuno con cui giocare ora che tu e Breda partirete”
Falman annuì, mentre il suo superiore apriva la scacchiera e guardava i pezzi, prendendo poi in mano l’alfiere bianco.
“Signore…”
“Hai già salutato gli altri?”
“Sì, signore. Il sergente è già passato da lei?”
“Non ancora, perché?”
“Sono molto preoccupato, se devo essere sincero… avrei voluto prepararlo meglio a quello che sta per affrontare, ma…”
“Falman, dannazione, sia tu che Breda ed Havoc siete entrati in paranoia per quel ragazzo… per non parlare del tenente, anche se non mi ha detto nulla in merito” c’era una lieve irritazione nella voce di Mustang.
“E lei non è in pensiero?” si sorprese Falman
“Ce la farà… diamine, maresciallo, l’abbiamo praticamente cresciuto noi: Havoc e Breda sono stati nella Squadra Falco, tu nel reparto investigativo, il tenente ed io abbiamo fatto la guerra di… lasciamo stare. Fury è più che pronto ad affrontare quel posto maledetto”
“Da solo?” chiese dubbioso il maresciallo
“Quello è l’unico problema che deve affrontare: per il resto sono sicuro che se la caverà”
Non credere che Roy Mustang sia emotivamente invulnerabile… è solo bravo a nasconderlo il più delle volte.
Falman si ricordò improvvisamente delle parole di Breda e capì: non era spavalderia quella del colonnello… anche lui era preoccupato per la sorte del sergente, anzi per la sorte di tutti loro. Si era sicuramente pentito di averli portati a Central City, di averli coinvolti in quella storia che era già costata le gambe di Havoc.
“Ha ragione, colonnello – annuì quindi, cercando di apparire più sicuro – Ce la caveremo tutti quanti. Vuole che faccia qualche cosa di particolare quando sarò a nord?”
Mustang lo guardò con sorpresa, colpito da quel cambiamento d’atteggiamento, ma poi scosse il capo con un sorriso.
“Bada solo a te stesso, Falman. E quando sarà il momento…”
“Quando sarà il momento io tornerò da lei, signore, come gli altri.” concluse l’uomo con un sorriso.
Sì, decisamente quel commiato era stato migliore degli altri, perché in quelle ultime frasi c’era stata solo estrema e completa fiducia reciproca. La fedeltà che Falman provava per Roy Mustang non sarebbe stata minimamente scalfita dalle centinaia di chilometri di distanza.
“Allora la saluto, signore – disse infine, facendo il saluto - nichis tai
“Eh?” chiese perplesso Mustang
“Vuol dire “a presto” nel dialetto di North City”
“Allora nichis tai pure a te, maresciallo” sorrise il colonnello, posando l’alfiere bianco sulla scrivania.
 
 

*termine inventato per l'occasione 
  
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