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CAPITOLO 11 ▪
dovevano stare zitti, se stavano
zitti sarebbe andato tutto bene.
Aveva sentito il calore del fuoco vicino alla
pelle scoperta del collo e delle braccia, il respiro che gli pareva tanto debole
aumentare improvvisamente, come se l’aria avesse ripreso a riaffluire nei suoi
polmoni. Aprì piano gli occhi scoprendo la vista annebbiata da un sottile
strato di liquido, sbatté più volte le palpebre e due lacrime gli rigarono le
guance facendosi strada tra lo sporco e la terra – una scena alquanto pietosa,
pensava, ma almeno ora ci vedeva.
Si accorse subito di essere legato al tronco di
un albero, le liane lo avvolgevano dalle spalle ad appena sopra i polsi, i
piedi erano liberi. Non era un modo molto brillante per tenere prigioniere delle persone, se era
un qualche piano degli Strateghi, era finalizzato a dar la possibilità ai
tributi di scappare. Vicino a lui, legata allo stesso albero, c’era Ariel con
il capo chino sulla propria spalla, ancora svenuta; aveva un graffio sulla
guancia e dalla tempia scivolavano due stille
di sangue che si era già seccato alla base della ferita, macchiando ed
incollando al viso ciuffi biondi sfuggiti all’acconciatura.
A Lyosha venne un
colpo: aveva dato per scontato che fosse ancora addormentata, ma per quel che
ne sapeva poteva essere anche morta. La prima idea che gli venne in mente fu
quella di chiamarla, passò in rassegna anche l’opzione di fischiare per cercare
di svegliarla, ma probabilmente avrebbe fatto davvero troppo rumore. Se qualcuno li aveva legati, doveva essere
ancora da quelle parti.
Optò per cercare di attirare l’attenzione della
piccola con la mano che riusciva relativamente a muovere, strattonandole la
manica della giubba che riusciva a raggiungere, seppur sfregando il polso
contro la liana con varie smorfie di dolore. Prese la manica con indice, medio
e pollice tirandola più volte – e intanto la sua mente vagava su vari pensieri
a cui avrebbe dovuto dare una risposta, tra le tante cose ponderava su come
liberarsi, ricordandosi poi di avere un coltello nei pantaloni.
Il focolare davanti a loro scoppiettò
rumorosamente e le spalle di Ariel sobbalzarono, la testa si tirò su e gli
occhietti si aprirono all’istante. Lyosha sorrise
sollevato e ritrasse la mano dolente, sospirando poi di sollievo per i graffi
sul polso che finalmente non sfregavano più contro la corda.
Assieme al risveglio di Ariel Lyosha si accorse che, nell’albero accanto al loro,
qualcuno soffriva la stessa condizione: un ragazzo – gli pareva – tentava di
liberarsi dalle liane già allentate, socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la
sua figura e scorse sulla giacca il numero sette. Il tributo del sette. Vicino
a lui, una ragazzina dell’età di Ariel era ancora svenuta, sulla giacca portava
il numero dieci.
Borbottava qualcosa, l’Isaacs
fece un ultimo sforzo e cercò di prendere la mano di Ariel che, ancora un po’
stordita lo guardava senza capire, con il mento il maschio le indicò il terzo
tributo e, pochi secondi dopo, la sorellina capì le intenzioni di Lyosha.
«Ehi… ehi! Ragazzo
del sette!» disse, alzando di poco la voce con una sottile venatura di
disperazione, questo alzò i suoi occhi scuri verso i due fratelli, era
spaventato ma almeno aveva dato loro la sua attenzione, «che succede qui?»
domandò poi l’altra.
Il tributo del sette ansimava, le spalle si
alzavano ed abbassavano in contemporanea con il petto, sollevò le mani sporche
di sangue con le unghie rotte passandosele tra i capelli in un gesto di
disperazione, «non lo so… qualcosa mi ha preso e poi
mi sono ritrovato… qui» e riprese a cercare di disfarsi delle
liane. Ariel avrebbe volentieri chiesto
se il ragazzo poteva liberarli, ma non
lo avrebbe fatto per ottime ragioni: erano agli Hunger
Games, e aveva paura.
Anche il tributo del dieci si svegliò, cercando
di mettere in moto il cervello il prima possibile, «cosa…?»
si bloccò, avvertendo la presenza del ragazzo del sette, «ehi! Che stai
facendo? Perché sono legata?».
Prima che potesse rispondere, un motivetto
tribale giunse alle orecchie dei quattro per poi cessare, un momento di
silenzio riempì le orecchie dei tributi e poi il rumore di foglie spostate,
versi in una lingua sconosciuta e ancora quel tamburo.
Il ragazzo del sette sbiancò, i suoi movimenti
per liberarsi dalle liane divennero più frenetici. Ariel allungò la mano a
prendere quella del fratello, spaventata.
Fecero capolino da dietro un arbusto cinque
ominidi dalla pelle scura e un gonnellino di foglie, gli occhi scintillavano
alla penombra del fuoco di un verde radioattivo, in testa dei copricapi di una cultura che nessuno dei tre conosceva, i
fori nelle orecchie dilatate, ringhiavano mostrando le zanne tipiche degli
animali ed erano armati di lance – uno di loro possedeva un tamburo con cui
sembrava scandire il tempo. Tum tum tum.
Qualcosa scattò in Lyosha:
lasciò la mano della sorella e, ignorando il dolore ormai lancinante al polso
cercò di estrarre il coltello dai pantaloni, graffiandosi la gamba per i
movimenti poco curati, quasi violenti. Gli ominidi si avvicinavano, puntando
loro le lance come se fossero animali.
«Thahn…» pigolò piano
Ariel, mentre i cinque individui si avvicinano, al collo avevano appesi… occhi e dita. Ariel sbiancò: occhi e dita…. Erano ibridi? Ibridi di forma umana? Trattenne un
urlo di terrore e disgusto, ora che nella mente aveva stampato questo pensiero,
si concentrò su dei bulbi oculari le quali iridi portavano il colore degli
occhi di Yara – con cui aveva scambiato qualche
chiacchiera durante gli addestramenti – e le mani le cui unghie erano
martoriate: tutte rotte e tagliate cortissime, esattamente come le aveva lei.
«Sono ibridi» disse, confermando le sue teorie e informando Lyosha
della situazione, «hanno liberato gli ibridi, Ly…».
Due ibridi si avvicinarono al ragazzo del
sette, ormai quasi libero mentre esultava a voce alta, seguito da altri due dei
suoi simili, con un affondo colpirono la spalla del tributo che lanciò un urlo,
facendo rabbrividire i fratelli e gonfiare gli occhi di lacrime di Ariel,
«muoviti, ti prego…» supplicò al fratello che provava
a tagliare le liane, ottenendo qualche risultato.
Ma il piagnisteo attirò l’attenzione degli
altri due ibridi mentre l’ultimo del gruppo del cinque continuava a suonare lo
strumento, stavolta con più foga, si girarono verso di loro, avvicinandosi
lentamente con le lance puntate. Guardavano Ariel che singhiozzava ma stringeva
le labbra per non lasciarsi scappare nessun verso, dondolando a destra e a
sinistra con le ginocchia flesse. Anche il ragazzo del sette piangeva e si
lamentava del dolore mentre la ragazza del dieci, in silenzio, era quasi
riuscita a disfare il nodo che la teneva bloccata.
Lyosha si
fermò un attimo, analizzando la situazione: la ragazza del dieci era come
scomparsa per gli ibridi, e lo stesso valeva per lui che sembrava non fosse
stato avvistato, il tributo del sette piangeva e gli ominidi lo fissavano come
aspettando il momento migliore per attaccare e Ariel, chiusa nelle sue spalle,
veniva considerata solo ogni tanto – quando dalle sue labbra uscivano quei
versi tipici di qualcuno che prova a non far rumore mentre piange.
Non era difficile da comprendere, in realtà –
per una persona che non faceva mai rumore, poi… Dovevano stare zitti, se stavano zitti
sarebbe andato tutto bene.
Alla terza liana sciolta, Lyosha
cambiò mano in modo da riuscire a tagliare le corde più facilmente, dalle sue
labbra uscì un flebile «shh»
per calmare la sorella.
Il ragazzo del sette svenne, probabilmente,
perché non sentirono più singhiozzi e nessun cannone aveva sparato l’annuncio
di morte.
Presto le liane furono spezzate e adagiate
lentamente a terra, come il ragazzo aveva supposto, gli umanoidi non vedevano
realmente – erano come macchine attirate dalle grida di gioia o disperazione
che fossero il quale compito era quello
di procurare ancora più disperazione.
Al segnale di Lyosha,
i due fratelli sarebbero corsi via.
Dietro di loro i passi degli ibridi si facevano
sempre più lontani, eppure non scomparivano come i due avrebbero dovuto.
Il suono del respiro che veniva a mancare sempre
più invadeva le loro orecchie e le mani strette trasmettevano una forza che né
Ariel né Lyosha avrebbero avuto singolarmente. Il
maschio non vide una radice sbucare da terra e ci inciampò sopra iniziando poi
a capitombolare giù per un pendio che non avevano viso per colpa della nebbia, Lyosha si portò inevitabilmente dietro il corpo di Ariel
curandosi di proteggerlo stringendolo a sé, con il viso premuto sul suo petto.
Quando finalmente la discesa finì e loro si
rotolarono per qualche metro lungo il piano, sentirono con sollievo che il
tamburo non li seguiva più. Erano salvi.
Ariel si scostò dal fratello, strappandogli un
verso muto di dolore, facendolo girare a pancia in su e inarcando appena la
schiena – lo stomaco gli faceva malissimo e la fitta gli dilaniava il fianco
destro, provò a poggiarsi una mano sopra ma la pelle sembrò prendergli fuoco.
La sorella si guardava le mani graffiate, sfregandole poi sui pantaloni come a
volersele pulire, si girò in un secondo momento il maggiore, nel vederlo con
quella smorfia di dolore sul viso, impallidì e gli si avvicinò.
«Che ti senti?» gli chiese, percorrendo con
occhi attenti ma ansiosi l’esile corpo di Lyosha,
quasi paralizzato dal dolore ma che dondolava lievemente a destra e a sinistra
come un cane bastonato – le indicò il fianco e l’altra si ritrovò ad alzargli
piano la maglia, scoprendo un livido di considerevoli dimensioni. Ariel si
tappò la bocca per non lasciarsi scappare neanche una parole o un verso che
fosse.
Lentamente, Lyosha
riuscì ad alzarsi e con l’aiuto di un ramo per terra e di Ariel, di quella
specie di magia che la sorella gli donava, era riuscito a trascinarsi dietro ad
un arbusto particolarmente grande,
gettandosi poi a terra alla ricerca di conforto nel sonno.
Chiuse gli occhi, scoprendo di avere ancora il
pugnale – probabilmente lo aveva messo nei pantaloni durante la corsa, senza
badarci troppo – lo afferrò e se lo tenne ben stretto, dormendo di lato, steso
sul fianco buono. Prima di abbandonarsi ai sogni, sentì una fastidiosa puntura
al mignolo sinistro, che si ripeté nell’anulare della stessa mano – scosse
l’arto scacciando via quel fastidiosissimo insetto che non lo disturbò oltre e
volò via.
La mattina furono svegliati dal suono di un
cannone, dalla loro posizione non era stato possibile vedere da che luogo gli
uccelli si fossero levati in volo.
Ariel si tirò a sedere, sbadigliando e
sfregandosi gli occhi, il suo stomaco brontolò e con dispiacere entrambi
notarono di non essere più in possesso dello zaino. Lyosha
fece un calcolo di quanti tributi erano rimasti.
«Otto» proferì Ariel, come se avesse pensato in
sincronia all’altro alla stessa domanda, «siamo rimasti in otto…»
ripeté con voce più bassa, raccogliendo poi le ginocchia al petto e nascondendo
il viso in queste. Il fratello si tirò a sedere, lamentandosi ancora del fianco
dolente e con la mano accarezzò le spalle alla sorella in un gesto di conforto:
andrà bene.
La sua preoccupazione era comprensibile: a otto
tributi dalla fine, Capitol City andava a martoriare
le famiglie dei superstiti a casa, e chissà cosa avrebbero chiesto alla loro
madre, genitrice di entrambi i tributi dell’otto – che un figlio l’avrebbe
perso né più né meno, forse. Forse sarebbero morti entrambi.
A Lyosha si fermò un
groppo in gola, la bile gli salì lungo la trachea e avrebbe volentieri vomitato
se non avesse avuto un attimo di buon senso.
Con due pacche sulla spalla alla sorella, tentò
di rialzarsi con l’aiuto del bastone improvvisato, offrendole poi la mano per
accoglierla in un caldo abbraccio. Nello stringerla, lo sguardo gli ricadde
sulle proprie mani che premevano la schiena di Ariel contro sé stessa.
Che
strano, pensò – scosso da un improvviso moto di terrore, a cui non avrebbe
badato più di tanto: la prima falange dell’anulare e del mignolo avevano assunto
un vago colorito violaceo, sulle punte sembravano quasi nere.
Tremò appena, dando la colpa al freddo, chiuse
il palmo e prese Ariel per mano – con quella buona – uscendo dalla radura alla
ricerca di un torrente in cui potevano abbeverarsi.
Successe tutto senza particolari cerimonie:
Fraser, Lexi e Liv si svegliarono mentre Ines era
rimasta di guardia come deciso, si armarono e prepararono le proprie cose al
suono del cannone che annunciava il sedicesimo tributo morto. Erano a meno otto
– e come d’accordo era arrivato il momento di separarci.
Fraser aveva fatto una qualche battuta che
suonava come «ci vediamo presto, miei cari» ed era stato il primo ad andarsene,
Lexi si era diretta nella direzione opposta. Liv e
Ines si guardarono, sorridendo lievemente l’una all’altra, per poi prendere una
terza direzione.
Poco tempo dopo, le due avevano notato una
figura aggirarsi tra gli alberi, in mano teneva un pugnale e camminava a passo
abbastanza veloce. Senza aspettare il consenso dell’alleata, Liv scoccò una freccia,
attraversando la schiena del tributo.
Quando cadde a terra, le Favorite si
avvicinarono sentendo i mugolii di dolore della loro preda, con decisione, Ines
affondò il tridente nella schiena del ragazzo ai loro piedi – poco dopo il
cannone suonò e attorno a loro gli uccelli si levarono in volo.
Ripresero a camminare, Liv memorizzava il
ragazzo che avevano appena ucciso, sulla sua giacca, c’era stampato il numero
“3”.
«Don’t you
worry – don’t you worry child, see heaven’s got a plan for you.»
[SWEDISH HOUSE
MAFIA; “Don’t you worry child”]
Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»
Ehilà :D~
Allora, sarò breve perché non ho
davvero niente da dire – fosse per me riempirei questo spazio di insulti verso
me stessa considerando il capitolo che no, non mi è piaciuto per niente. E yingsu – che stavolta
mi ha anche betato il capitolo ♡ e solo questo vi fa capire quando mi
faccia ribrezzo questo 11 x° - sa quante volte mi
sono lamentata, anyway.
Ho ucciso Sirius
Black Sean! Io non so voi, ma non vedevo l’ora di togliermelo dai
piedi – davvero, l’ho odiato come poche cose in questo capitolo. Insomma, mi
dispiace di aver deluso – probabilmente – qualcuno per la sua morte così… fredda, insignificante? c:
No, seriamente, sono convinta di aver
deluso qualcuno con questo capitolo – per la storia degli ibridi-bulabula
e in generale tutto, ovviamente temo anche che in generale, la conclusione di
tutto, non vi piaccia come spero e continuerò a sperare. Non fate caso agli
errori di coniugazione verbale in questa frase ahhahaha,
non ho assolutamente voglia di rileggerla XD
A titolo informativo, dato che sarà
impossibile mostrarlo nella fanfic, sappiate che l’intervista
alla madre sarà una cosa straziante – ma che in un futuro vicino (capitolo
dopo!) aiuterà i nostri protagonisti.
Anyway, siamo arrivati a meno sette tributi –
e i due fratelli sono ancora insieme, eheh uvu
Mi scuso anche per tutte le recensioni
a cui non ho risposto XD ma la pigrizia si è impossessata del mio corpo e
davvero, non ce la faccio. Ma sappiate che amo i vostri commenti e mi fanno
davvero davvero
felice çuç vorrei fosse così sempre(?).
E, per rispondere a Ivola, i banner
sono stati fatti da me, ovviamente non mi soddisfano ma non importa uvu così come tutta la grafica è curata dalla sottoscritta
:D ♡
che si può sfruttare quando volete – yingsu lo fa perennemente, esatto – basta chiedere e avere
pazienza(?). Ok.
Inoltre, per chi volesse essere
aggiornato sul countdown della conclusione di Die on the front page,
just like the stars –
può amorevolmente cliccare qui [pagine
rubate sono gli snippet post!72 con il/la suo/a
vincitore/ice]. Successiva a questa, scriverò un’altra
edizione degli Hunger Games
sempre in collaborazione con yingsu, che però
arriverà mooooolto dopo(?).
Ok, dovevo scrivere poco e invece vi
ho intasato di nozioni(?), vado a farmi i fatti miei e spero che almeno un
pochino questo capitolo vi sia piaciuto~
Alla prossima!
radioactive,
▪ a n g o l o s p a m ▪
Sarò lì quando cadrai
― { Soprannaturale
– LONG • yingsu }
I’m frozen to the
bones ― { Hunger Games – LONG – 73esima Edizione – Roel (D2) • yingsu }
Blur ― { Hunger Games –
LONG – Klaus & London (D6) • ivola }
Senza di te non posso sopportare
il suono della pioggia ― { Hunger Games – ONESHOT – pre!Die
on the front page, just like the stars – Roel/Liv (D2) • yingsu }