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Autore: radioactive    21/10/2013    6 recensioni
CAP. 6 Il cigolio del legno si mischiava al battito del cuore del ragazzo tanto da confondergli le idee, non capiva più se il suo cuore era malandato come quelle travi o se l’Arena era viva quanto il suo cuore, aveva il terrore che ciò che lo teneva sospeso in aria crollasse sotto i suoi piedi.
Ma Ariel si bloccò di colpo, Lyosha avrebbe voluto chiederle che diamine stesse facendo, che erano inseguiti!. Ma lei non si muoveva, immobile, fissava ciò che solo in un secondo istante il fratello identificò come Sean, quello che li aveva derubati.
«Ciao, otto»
[...] Stavano per morire, stavano per morire!
CAP. 10 Caesar Flickerman trattava tutti i tributi come validi concorrenti, Lyosha invece, agli occhi del presentatore, era già morto.
| 72esimi Hunger Games ● Lyosha e Ariel Isaacs ● DISTRETTO 8 |
EDIT - testo in via di revisione e betaggio (01 capitoli su 14) + cambio grafica [in data 11/11/2013]
→ I capitoli 15, 16 e 17 sono degli SPINOFF di Die on the front page, just like the stars.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 11

                 dovevano stare zitti, se stavano zitti sarebbe andato tutto bene.

 

 

 

Aveva sentito il calore del fuoco vicino alla pelle scoperta del collo e delle braccia, il respiro che gli pareva tanto debole aumentare improvvisamente, come se l’aria avesse ripreso a riaffluire nei suoi polmoni. Aprì piano gli occhi scoprendo la vista annebbiata da un sottile strato di liquido, sbatté più volte le palpebre e due lacrime gli rigarono le guance facendosi strada tra lo sporco e la terra – una scena alquanto pietosa, pensava, ma almeno ora ci vedeva.

Si accorse subito di essere legato al tronco di un albero, le liane lo avvolgevano dalle spalle ad appena sopra i polsi, i piedi erano liberi. Non era un modo molto brillante  per tenere prigioniere delle persone, se era un qualche piano degli Strateghi, era finalizzato a dar la possibilità ai tributi di scappare. Vicino a lui, legata allo stesso albero, c’era Ariel con il capo chino sulla propria spalla, ancora svenuta; aveva un graffio sulla guancia e dalla tempia scivolavano due stille  di sangue che si era già seccato alla base della ferita, macchiando ed incollando al viso ciuffi biondi sfuggiti all’acconciatura.

A Lyosha venne un colpo: aveva dato per scontato che fosse ancora addormentata, ma per quel che ne sapeva poteva essere anche morta. La prima idea che gli venne in mente fu quella di chiamarla, passò in rassegna anche l’opzione di fischiare per cercare di svegliarla, ma probabilmente avrebbe fatto davvero troppo rumore. Se qualcuno li aveva legati, doveva essere ancora da quelle parti.

Optò per cercare di attirare l’attenzione della piccola con la mano che riusciva relativamente a muovere, strattonandole la manica della giubba che riusciva a raggiungere, seppur sfregando il polso contro la liana con varie smorfie di dolore. Prese la manica con indice, medio e pollice tirandola più volte – e intanto la sua mente vagava su vari pensieri a cui avrebbe dovuto dare una risposta, tra le tante cose ponderava su come liberarsi, ricordandosi poi di avere un coltello nei pantaloni.

Il focolare davanti a loro scoppiettò rumorosamente e le spalle di Ariel sobbalzarono, la testa si tirò su e gli occhietti si aprirono all’istante. Lyosha sorrise sollevato e ritrasse la mano dolente, sospirando poi di sollievo per i graffi sul polso che finalmente non sfregavano più contro la corda.

Assieme al risveglio di Ariel Lyosha si accorse che, nell’albero accanto al loro, qualcuno soffriva la stessa condizione: un ragazzo – gli pareva – tentava di liberarsi dalle liane già allentate, socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la sua figura e scorse sulla giacca il numero sette. Il tributo del sette. Vicino a lui, una ragazzina dell’età di Ariel era ancora svenuta, sulla giacca portava il numero dieci.

Borbottava qualcosa, l’Isaacs fece un ultimo sforzo e cercò di prendere la mano di Ariel che, ancora un po’ stordita lo guardava senza capire, con il mento il maschio le indicò il terzo tributo e, pochi secondi dopo, la sorellina capì le intenzioni di Lyosha.

«Ehi… ehi! Ragazzo del sette!» disse, alzando di poco la voce con una sottile venatura di disperazione, questo alzò i suoi occhi scuri verso i due fratelli, era spaventato ma almeno aveva dato loro la sua attenzione, «che succede qui?» domandò poi l’altra.

Il tributo del sette ansimava, le spalle si alzavano ed abbassavano in contemporanea con il petto, sollevò le mani sporche di sangue con le unghie rotte passandosele tra i capelli in un gesto di disperazione, «non lo so… qualcosa mi ha preso e poi mi sono ritrovato… qui»  e riprese a cercare di disfarsi delle liane.  Ariel avrebbe volentieri chiesto se il  ragazzo poteva liberarli, ma non lo avrebbe fatto per ottime ragioni: erano agli Hunger Games, e aveva paura.

Anche il tributo del dieci si svegliò, cercando di mettere in moto il cervello il prima possibile, «cosa…?» si bloccò, avvertendo la presenza del ragazzo del sette, «ehi! Che stai facendo? Perché sono legata?».

Prima che potesse rispondere, un motivetto tribale giunse alle orecchie dei quattro per poi cessare, un momento di silenzio riempì le orecchie dei tributi e poi il rumore di foglie spostate, versi in una lingua sconosciuta e ancora quel tamburo.

Il ragazzo del sette sbiancò, i suoi movimenti per liberarsi dalle liane divennero più frenetici. Ariel allungò la mano a prendere quella del fratello, spaventata.

Fecero capolino da dietro un arbusto cinque ominidi dalla pelle scura e un gonnellino di foglie, gli occhi scintillavano alla penombra del fuoco di un verde radioattivo, in testa dei copricapi di una cultura che nessuno dei tre conosceva, i fori nelle orecchie dilatate, ringhiavano mostrando le zanne tipiche degli animali ed erano armati di lance – uno di loro possedeva un tamburo con cui sembrava scandire il tempo. Tum tum tum.

Qualcosa scattò in Lyosha: lasciò la mano della sorella e, ignorando il dolore ormai lancinante al polso cercò di estrarre il coltello dai pantaloni, graffiandosi la gamba per i movimenti poco curati, quasi violenti. Gli ominidi si avvicinavano, puntando loro le lance come se fossero animali.

«Thahn…» pigolò piano Ariel, mentre i cinque individui si avvicinano, al collo avevano appesi… occhi e dita. Ariel sbiancò: occhi e dita…. Erano ibridi? Ibridi di forma umana? Trattenne un urlo di terrore e disgusto, ora che nella mente aveva stampato questo pensiero, si concentrò su dei bulbi oculari le quali iridi portavano il colore degli occhi di Yara – con cui aveva scambiato qualche chiacchiera durante gli addestramenti – e le mani le cui unghie erano martoriate: tutte rotte e tagliate cortissime, esattamente come le aveva lei. «Sono ibridi» disse, confermando le sue teorie e informando Lyosha della situazione, «hanno liberato gli ibridi, Ly…».

Due ibridi si avvicinarono al ragazzo del sette, ormai quasi libero mentre esultava a voce alta, seguito da altri due dei suoi simili, con un affondo colpirono la spalla del tributo che lanciò un urlo, facendo rabbrividire i fratelli e gonfiare gli occhi di lacrime di Ariel, «muoviti, ti prego…» supplicò al fratello che provava a tagliare le liane, ottenendo qualche risultato.

Ma il piagnisteo attirò l’attenzione degli altri due ibridi mentre l’ultimo del gruppo del cinque continuava a suonare lo strumento, stavolta con più foga, si girarono verso di loro, avvicinandosi lentamente con le lance puntate. Guardavano Ariel che singhiozzava ma stringeva le labbra per non lasciarsi scappare nessun verso, dondolando a destra e a sinistra con le ginocchia flesse. Anche il ragazzo del sette piangeva e si lamentava del dolore mentre la ragazza del dieci, in silenzio, era quasi riuscita a disfare il nodo che la teneva bloccata.

Lyosha si fermò un attimo, analizzando la situazione: la ragazza del dieci era come scomparsa per gli ibridi, e lo stesso valeva per lui che sembrava non fosse stato avvistato, il tributo del sette piangeva e gli ominidi lo fissavano come aspettando il momento migliore per attaccare e Ariel, chiusa nelle sue spalle, veniva considerata solo ogni tanto – quando dalle sue labbra uscivano quei versi tipici di qualcuno che prova a non far rumore mentre piange.

Non era difficile da comprendere, in realtà – per una persona che non faceva mai rumore, poi… Dovevano stare zitti, se stavano zitti sarebbe andato tutto bene.

Alla terza liana sciolta, Lyosha cambiò mano in modo da riuscire a tagliare le corde più facilmente, dalle sue labbra uscì un flebile «shh» per calmare la sorella.

Il ragazzo del sette svenne, probabilmente, perché non sentirono più singhiozzi e nessun cannone aveva sparato l’annuncio di morte.

Presto le liane furono spezzate e adagiate lentamente a terra, come il ragazzo aveva supposto, gli umanoidi non vedevano realmente – erano come macchine attirate dalle grida di gioia o disperazione che fossero  il quale compito era quello di procurare ancora più disperazione.

Al segnale di Lyosha, i due fratelli sarebbero corsi via.

 

Dietro di loro i passi degli ibridi si facevano sempre più lontani, eppure non scomparivano come i due avrebbero dovuto.

Il suono del respiro che veniva a mancare sempre più invadeva le loro orecchie e le mani strette trasmettevano una forza che né Ariel né Lyosha avrebbero avuto singolarmente. Il maschio non vide una radice sbucare da terra e ci inciampò sopra iniziando poi a capitombolare giù per un pendio che non avevano viso per colpa della nebbia, Lyosha si portò inevitabilmente dietro il corpo di Ariel curandosi di proteggerlo stringendolo a sé, con il viso premuto sul suo petto.

Quando finalmente la discesa finì e loro si rotolarono per qualche metro lungo il piano, sentirono con sollievo che il tamburo non li seguiva più. Erano salvi.

Ariel si scostò dal fratello, strappandogli un verso muto di dolore, facendolo girare a pancia in su e inarcando appena la schiena – lo stomaco gli faceva malissimo e la fitta gli dilaniava il fianco destro, provò a poggiarsi una mano sopra ma la pelle sembrò prendergli fuoco. La sorella si guardava le mani graffiate, sfregandole poi sui pantaloni come a volersele pulire, si girò in un secondo momento il maggiore, nel vederlo con quella smorfia di dolore sul viso, impallidì e gli si avvicinò.

«Che ti senti?» gli chiese, percorrendo con occhi attenti ma ansiosi l’esile corpo di Lyosha, quasi paralizzato dal dolore ma che dondolava lievemente a destra e a sinistra come un cane bastonato – le indicò il fianco e l’altra si ritrovò ad alzargli piano la maglia, scoprendo un livido di considerevoli dimensioni. Ariel si tappò la bocca per non lasciarsi scappare neanche una parole o un verso che fosse.

Lentamente, Lyosha riuscì ad alzarsi e con l’aiuto di un ramo per terra e di Ariel, di quella specie di magia che la sorella gli donava, era riuscito a trascinarsi dietro ad un arbusto particolarmente grande,  gettandosi poi a terra alla ricerca di conforto nel sonno.

Chiuse gli occhi, scoprendo di avere ancora il pugnale – probabilmente lo aveva messo nei pantaloni durante la corsa, senza badarci troppo – lo afferrò e se lo tenne ben stretto, dormendo di lato, steso sul fianco buono. Prima di abbandonarsi ai sogni, sentì una fastidiosa puntura al mignolo sinistro, che si ripeté nell’anulare della stessa mano – scosse l’arto scacciando via quel fastidiosissimo insetto che non lo disturbò oltre e volò via.

 

La mattina furono svegliati dal suono di un cannone, dalla loro posizione non era stato possibile vedere da che luogo gli uccelli si fossero levati in volo.

Ariel si tirò a sedere, sbadigliando e sfregandosi gli occhi, il suo stomaco brontolò e con dispiacere entrambi notarono di non essere più in possesso dello zaino. Lyosha fece un calcolo di quanti tributi erano rimasti.

«Otto» proferì Ariel, come se avesse pensato in sincronia all’altro alla stessa domanda, «siamo rimasti in otto…» ripeté con voce più bassa, raccogliendo poi le ginocchia al petto e nascondendo il viso in queste. Il fratello si tirò a sedere, lamentandosi ancora del fianco dolente e con la mano accarezzò le spalle alla sorella in un gesto di conforto: andrà bene.

La sua preoccupazione era comprensibile: a otto tributi dalla fine, Capitol City andava a martoriare le famiglie dei superstiti a casa, e chissà cosa avrebbero chiesto alla loro madre, genitrice di entrambi i tributi dell’otto – che un figlio l’avrebbe perso né più né meno, forse. Forse sarebbero morti entrambi.

A Lyosha si fermò un groppo in gola, la bile gli salì lungo la trachea e avrebbe volentieri vomitato se non avesse avuto un attimo di buon senso.

Con due pacche sulla spalla alla sorella, tentò di rialzarsi con l’aiuto del bastone improvvisato, offrendole poi la mano per accoglierla in un caldo abbraccio. Nello stringerla, lo sguardo gli ricadde sulle proprie mani che premevano la schiena di Ariel contro sé stessa.

Che strano, pensò – scosso da un improvviso moto di terrore, a cui non avrebbe badato più di tanto: la prima falange dell’anulare e del mignolo avevano assunto un vago colorito violaceo, sulle punte sembravano quasi nere.

Tremò appena, dando la colpa al freddo, chiuse il palmo e prese Ariel per mano – con quella buona – uscendo dalla radura alla ricerca di un torrente in cui potevano abbeverarsi.

 

Successe tutto senza particolari cerimonie: Fraser, Lexi e Liv si svegliarono mentre Ines era rimasta di guardia come deciso, si armarono e prepararono le proprie cose al suono del cannone che annunciava il sedicesimo tributo morto. Erano a meno otto – e come d’accordo era arrivato il momento di separarci.

Fraser aveva fatto una qualche battuta che suonava come «ci vediamo presto, miei cari» ed era stato il primo ad andarsene, Lexi si era diretta nella direzione opposta. Liv e Ines si guardarono, sorridendo lievemente l’una all’altra, per poi prendere una terza direzione.

Poco tempo dopo, le due avevano notato una figura aggirarsi tra gli alberi, in mano teneva un pugnale e camminava a passo abbastanza veloce. Senza aspettare il consenso dell’alleata, Liv scoccò una freccia, attraversando la schiena del tributo.

Quando cadde a terra, le Favorite si avvicinarono sentendo i mugolii di dolore della loro preda, con decisione, Ines affondò il tridente nella schiena del ragazzo ai loro piedi – poco dopo il cannone suonò e attorno a loro gli uccelli si levarono in volo.

Ripresero a camminare, Liv memorizzava il ragazzo che avevano appena ucciso, sulla sua giacca, c’era stampato il numero “3”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 






 

«Don’t you worry –  don’t you worry child, see heaven’s got a plan for you   

[SWEDISH HOUSE MAFIA; “Don’t you worry child”]

 

 

 

 

 

 

 

Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»

 

Ehilà :D~

Allora, sarò breve perché non ho davvero niente da dire – fosse per me riempirei questo spazio di insulti verso me stessa considerando il capitolo che no, non mi è piaciuto per niente. E yingsu – che stavolta mi ha anche betato il capitolo e solo questo vi fa capire quando mi faccia ribrezzo questo 11 - sa quante volte mi sono lamentata, anyway.

Ho ucciso Sirius Black Sean! Io non so voi, ma non vedevo l’ora di togliermelo dai piedi – davvero, l’ho odiato come poche cose in questo capitolo. Insomma, mi dispiace di aver deluso – probabilmente – qualcuno per la sua morte così… fredda, insignificante? c:

No, seriamente, sono convinta di aver deluso qualcuno con questo capitolo – per la storia degli ibridi-bulabula e in generale tutto, ovviamente temo anche che in generale, la conclusione di tutto, non vi piaccia come spero e continuerò a sperare. Non fate caso agli errori di coniugazione verbale in questa frase ahhahaha, non ho assolutamente voglia di rileggerla XD

A titolo informativo, dato che sarà impossibile mostrarlo nella fanfic, sappiate che l’intervista alla madre sarà una cosa straziante – ma che in un futuro vicino (capitolo dopo!) aiuterà i nostri protagonisti.

Anyway, siamo arrivati a meno sette tributi – e i due fratelli sono ancora insieme, eheh uvu

Mi scuso anche per tutte le recensioni a cui non ho risposto XD ma la pigrizia si è impossessata del mio corpo e davvero, non ce la faccio. Ma sappiate che amo i vostri commenti e mi fanno davvero davvero felice çuç vorrei fosse così sempre(?).

E, per rispondere a Ivola, i banner sono stati fatti da me, ovviamente non mi soddisfano ma non importa uvu così come tutta la grafica è curata dalla sottoscritta :D che si può sfruttare quando volete – yingsu lo fa perennemente, esatto – basta chiedere e avere pazienza(?). Ok.

Inoltre, per chi volesse essere aggiornato sul countdown della conclusione di Die on the front page, just like the stars – può amorevolmente cliccare qui [pagine rubate sono gli snippet post!72 con il/la suo/a vincitore/ice]. Successiva a questa, scriverò un’altra edizione degli Hunger Games sempre in collaborazione con yingsu, che però arriverà mooooolto dopo(?).

Ok, dovevo scrivere poco e invece vi ho intasato di nozioni(?), vado a farmi i fatti miei e spero che almeno un pochino questo capitolo vi sia piaciuto~

 

Alla prossima!

radioactive,

 

 

 

a n g o l o s p a m

            Sarò lì quando cadrai { Soprannaturale – LONG • yingsu }

         I’m frozen to the bones { Hunger Games – LONG – 73esima EdizioneRoel (D2) • yingsu }

         Blur { Hunger Games – LONG – Klaus & London (D6) • ivola }

         Senza di te non posso sopportare il suono della pioggia { Hunger Games – ONESHOT – pre!Die on the front page, just like the stars – Roel/Liv (D2) • yingsu }

   
 
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