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Autore: Pikky    21/10/2013    6 recensioni
SPOILER di tutta la seconda stagione e lievi spoiler della TERZA
Capitan Uncino è già stato a Neverland, da ragazzino. Era un Ragazzo Sperduto che a differenza degli altri è riuscito a fuggire, anche grazie all'aiuto di una sirena, Ariel. Qualche anno dopo la ritrova nella Foresta Incantata e avrà modo di ricambiare il favore.
Tempo dopo, infine, quando torna a Neverland per trovare il modo di vendicare la morte di Milah, la ritrova per caso. Cosa succederà? Cosa li vedrà accomunati? Come potrà essergli utile nei suoi piani di vendetta contro il Coccodrillo?
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Ariel, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo Undici

 

La spiaggia era tranquilla, quella mattina.

Una leggera brezza marina le scompigliava i capelli, e in lontananza si udivano le grida dei gabbiani, che si confondevano col frangersi delle onde sulla battigia.

Ariel passeggiava in riva al mare, lasciando che le onde le bagnassero i piedi e la brezza le scompigliasse i capelli. Non le importava nulla, era semplicemente felice. Un senso di pace la pervadeva, ed era tutto merito della persona che passeggiava al suo fianco, tenendole la mano.

Ariel si voltò alla sua sinistra e sorrise, felice come non era da tempo.

– Perché sorridi? – le chiese l’uomo al suo fianco, inclinando la testa di lato.

– Non lo so, quando sono con te mi viene spontaneo – rispose Ariel con un’alzata di spalle. Si fermò e si mise di fronte a lui, senza smettere di tenergli la mano. Temeva che se l’avesse lasciato andare non lo avrebbe mai più rivisto, e le era mancato così tanto che a volte temeva di non sopportare tutta quella nostalgia.

– Sicura che sia merito mio? – le domandò Eric, con una nota di tristezza nella voce.

– Certo che è merito tuo! – ribatté Ariel, posandogli la mano libera su una spalle. – Io ti amo, non dubitarne mai! – decretò, prima di alzarsi in punta di piedi e posare le proprie labbra su quelle del principe, che subito la strinse a sé e ricambiò il bacio con fervore.

Ariel chiuse gli occhi e gli allacciò le braccia al collo, assaporando ogni momento tra le braccia del marito. Aveva la sensazione che fossero stati separati per anni, che le fosse stato bruscamente portato via, eppure era certa che si fossero sposati soltanto il giorno prima.

Quando riaprì gli occhi, ebbe un sussulto.

– Che c’è, Ariel? – le domandò Killian, con un sorriso malizioso. Era lui a stringerla tra le braccia in modo possessivo, ora, non più Eric.

– Lui dov’è? – domandò Ariel, in preda al panico.

– Lui chi? – chiese a sua volta Killian, confuso, senza però smettere di tenerla stretta a sé.

Ariel si separò dal pirata e iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di Eric, disperata. Sentì un urlo dietro di sé e si voltò subito, preoccupata.

Ciò che vide la sconvolse: Eric era steso a terra in una pozza di sangue e una figura era china su di lui.

– Oscar, maledetto! – urlò Ariel, iniziando a correre verso l’amato, ma non riuscì ad avvicinarsi nemmeno di un millimetro. Era come se una forza invisibile la trattenesse per l’orlo della gonna, impedendole di avanzare.

– Hai già dimenticato? – sussurrò Eric, con l’ultimo fiato che gli restava in gola. Chiuse gli occhi e reclinò la testa di lato, ed Ariel seppe che era morto.

– No, no! – urlò la sirena, continuando a correre senza risultato verso il capezzale dell’amato.

– È morto, ormai – decretò la figura vestita di nero china su di lui, e quella voce fece arrestare Ariel dalla sua vana corsa. Com’era possibile? Credeva fosse Oscar, l’assassino di Eric. Eppure avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.

Il sangue le si gelò nelle vene e un brivido le corse lungo la schiena, mentre le lacrime scorrevano sul suo viso.

Killian – sussurrò a fatica. – Come hai potuto?

In tutta risposta, il pirata alzò lo sguardo verso di lei e le rivolse un sorriso sinistro, mostrandole l’uncino ricoperto di sangue.

– Io non ho fatto proprio niente – decretò con noncuranza. – Sei tu che l’hai ucciso.

Ariel urlò.

 

 

Ariel aprì gli occhi all’improvviso, il cuore che batteva all’impazzata.

Sbatté le palpebre più volte per orientarsi nel buio da cui era circondata e tentò di calmarsi.

Era stato solo un sogno, un incubo a dirla tutta.

Quando i suoi occhi si abituarono al buio, si rese conto di non trovarsi nella propria stanza ad Atlantica ma nella cabina di Killian, nel suo letto.

Sospirò.

Che cosa aveva fatto?

Tentò di mettersi a sedere, ma il braccio di Killian che la stringeva possessivamente nel sonno glielo impedì, perciò lo afferrò con entrambe le mani e provò a sollevarlo, invano.

– Resta qui – le intimò il pirata, mugugnando. Doveva averlo svegliato involontariamente.

Ariel, che fino a quel momento gli aveva dato le spalle, si girò su un fianco fino a guardarlo in viso e notò che aveva gli occhi aperti. Era sveglio, come aveva sospettato.

– Stai bene? – domandò Killian con voce roca, notando il turbamento dipinto sul suo volto e avvertendo il suo respiro ancora leggermente affannato.

Ariel annuì, poco convinta. – Ho fatto un brutto sogno – disse, ancora turbata dalle immagini di quell’incubo ma soprattutto dal ricordo di Eric. No, non doveva pensarci. Non era quello il momento, non era giusto. Per riordinare i propri pensieri aveva bisogno di restare da sola. E inoltre lì, tra le braccia del pirata, sembrava tutto solo un lontano ricordo. Per quanto fosse assurdo, si sentiva al sicuro.

– Cosa hai sognato? – volle informarsi Killian, passandole una mano tra i capelli.

– Non lo ricordo – mentì Ariel, con un mezzo sorriso. Avvertì un grande vuoto all’altezza del petto, all’improvviso, e un brivido le corse lungo la schiena. Le venne spontaneo stringersi ancora di più a Killian, che non esitò ad accoglierla. Di nuovo avvertì una sensazione rassicurante, e si lasciò cullare da lui, cercando di concentrarsi soltanto su ciò che stava provando in quel momento senza lasciarsi tormentare dai fantasmi del passato.

– Stai bene? – le chiese di nuovo Killian, preoccupato.

Ariel annuì, senza dire una parola.

Ora sì, pensò, senza dirlo ad alta voce. Si chiese solo per quanto quella sensazione sarebbe durata.

 

 

Quando qualche ora dopo la luce dell’alba filtrò attraverso l’oblò della cabina, Ariel si svegliò.

Killian dormiva ancora, e nel sonno si era mosso fino a trovarsi quasi sul bordo del letto, lasciandola scivolare via dalla confortevole stretta delle sue braccia.

Ariel si odiò per ciò che stava per fare, ma non aveva altra scelta.

In silenzio, si alzò dal letto e senza fare il minimo rumore si rivestì, per poi dirigersi in punta di piedi alla porta della cabina per uscire da lì. Gettò un ultimo sguardo a Killian per accertarsi che non stesse dormendo e ciò che vide le mozzò il fiato in gola. Scosse la testa e aprì la porta con delicatezza e con altrettanta cura la richiuse, dopodiché, essendosi accertata che i membri dell’equipaggio fossero tutti sottocoperta, andò sul ponte e da lì si tuffò in mare senza la minima esitazione.

Subito le gambe lasciarono posto alla coda, e a contatto con il proprio elemento naturale, Ariel si sentì libera di pensare lucidamente.

Aveva bisogno di stare da sola.

Quando arrivò a palazzo, ad Atlantica, trovò sveglie solo le guardie, che la lasciarono passare indisturbata, ormai avvezzi alle ore piccole della sirena. Si rifugiò nella propria stanza e si stese sul letto, rendendosi conto solo in quell’istante di avere il volto rigato di lacrime.

Che cosa aveva fatto?

Come aveva potuto dimenticare Eric?

In quelle settimane passate accanto a Killian ad elaborare un piano per liberare Bae, il pensiero del marito defunto non l’aveva più sfiorata nemmeno per un secondo, e lei non ci aveva neanche fatto caso. Si era lasciata andare a quel nuovo, tormentato amore dimenticando completamente Eric e aprendo il proprio cuore ad un pirata donnaiolo, convinta di non avere speranze, si era concessa ad un uomo che non la amava, ad un uomo che in nome del vero amore che gli era stato strappato via invocava solo vendetta.

Si sentiva tremendamente in colpa, ed era la sola responsabile di tutto ciò che stava provando.

Non avrebbe mai dovuto accordare il proprio aiuto a Killian, quando lo aveva incontrato di nuovo a Neverland.

Avrebbe dovuto restare con John e Leonard, senza degnare Uncino della minima attenzione.

Non si sarebbe cacciata in quel guaio, così.

 

 

Quando Killian aprì gli occhi fu sorpreso di trovarsi solo.

Ricordava con chiarezza ciò che era successo la sera prima, la sorpresa iniziale che aveva provato quando le labbra di Ariel si erano posate sulle sue, sorpresa subito sostituita da un desiderio da tempo sopito che solo lei era stata in grado di risvegliare, tra tutte le donne con cui era stato dopo la morte di Milah.

Incredibilmente, per quella notte era riuscito a mettere da parte ogni pensiero di vendetta, sentendosi semplicemente vivo e concentrandosi sulla donna che stringeva tra le braccia. Era come se il suo cuore avesse iniziato a pulsare di nuovo dopo essere rimasto a lungo in uno stato di torpore.

Era una strana sensazione.

Senza rendersene conto, aveva permesso ad Ariel di avvicinarsi a lui e distoglierlo dal proprio obiettivo primario, proprio come aveva fatto Bae.

Killian si mise a sedere sul letto, con un sospiro.

Perché aveva permesso ad Ariel di avvicinarsi a lui a quel modo? Perché non l’aveva respinta?

La sirena era diversa dalle altre donne, questo lo sapeva.

Non era la prima con cui era stato dopo la morte di Milah, eppure era stata la prima a cui aveva concesso di dormire con lui nel letto che aveva condiviso con l’amata, la prima con cui era stato completamente sobrio e la prima che aveva cullato tra le proprie braccia nel sonno, la prima che aveva desiderato di trovare al proprio fianco al risveglio.

C’era stato un momento, quando ancora era un ragazzino appena entrato a far parte della ciurma di Barbanera, in cui aveva pensato di esserne innamorato. Ogni notte si addormentava pensando a quella dolce sirena che lo aveva tratto in salvo da Neverland e lo aveva aiutato a fuggire, e sognava di incontrarla di nuovo, un giorno, e di solcare i mari insieme a lei.

Poi però era cresciuto e quella sciocca fantasia era stata relegata in un angolo della sua mente, sostituita dalla voglia di vedere il mondo e di avere una ciurma tutta sua. Aveva confuso per altro quella che era semplice gratitudine verso colei che lo aveva salvato e quando il desiderio di rivederla si era avverato, lo aveva fatto in un modo completamente inaspettato e il suo unico scopo era stato quello di aiutarla e saldare il debito che riteneva di avere nei suoi confronti, per cui c’era stato poco tempo per fermarsi a pensare a quell’amore adolescenziale sopito e ormai dimenticato.

Ariel poi era tornata a Neverland e lui aveva conosciuto Milah e aveva viaggiato con lei, innamorandosene. Aveva incontrato Ariel a Tortuga, ma era stato soltanto felice di vederla, null’altro si era celato dietro a quell’incontro.

O almeno così credeva.

Col senno di poi, capì finalmente che Ariel era tornata nella Foresta Incantata per cercarlo, probabilmente doveva aver ripensato alla proposta che le aveva fatto di solcare i mari con lui, ma lo aveva fatto troppo tardi e si era tirata indietro, limitandosi a consegnargli il fagiolo magico con cui era tornato a Neverland dopo la morte di Milah.

E ora a Neverland quei sentimenti da ragazzino stavano tornando a galla, e Killian sapeva che non avrebbero portato nulla di buono. In quel periodo trascorso con Ariel il ricordo di Milah era svanito quasi del tutto, sebbene l’intenzione di vendicarla fosse sempre ben presente nella propria mente, come l’obiettivo primario da perseguire e l’unica ragione che gli permettesse di andare avanti.

Poteva gestire la vendetta, ma non il dolore. Né tantomeno l’amore.

Scosse la testa e si alzò dal letto, iniziando a rivestirsi.

Non era il momento di essere svenevole, specie quando Ariel era fuggita di soppiatto mentre lui dormiva. Qualunque cosa stesse iniziando a provare per la sirena, era meglio non pensarci.

Aveva una vendetta da perseguire.

Allora perché dovette fare di tutto per trattenersi dall’usare la conchiglia che Ariel gli aveva dato per contattarla?

Perché desiderava averla di nuovo accanto a sé?

 

 

Dopo essersi calmata un po’, Ariel si recò da Pocahontas, al villaggio degli indiani. Era da settimane che non la vedeva, da quando aveva iniziato ad elaborare il piano per liberare Baelfire.

Subito l’amica, come sempre lungimirante, notò il suo turbamento e le propose di accompagnarla nei boschi a raccogliere provviste per il villaggio. Ariel gliene fu grata perché così ebbe modo di tenere la mente impegnata e di concentrarsi su altro che non fosse ciò che era successo con Killian, almeno fino a che Pocahontas non dichiarò che avevano raccolto cibo a sufficienza e che quindi potevano prendersi una pausa. La portò in una radura e si distese a terra, sull’erba, invitandola a fare altrettanto.

Ariel, un po’ perplessa, la imitò.

– Stare in mezzo alla natura è rilassante e mi aiuta a pensare, quando ho un problema – sentenziò Pocahontas, enigmatica.

– Si vede tanto che ho qualcosa che non va, vero? – domandò Ariel con un sospiro, giocherellando con un ciuffo d’erba che pendeva accanto al suo viso.

– Sì, negli ultimi tempi ti vedo spesso pensierosa – rispose Pocahontas, puntellandosi su un gomito per guardare l’amica. – Ha a che vedere con capitan Uncino, vero? – chiese dunque.

– Già – ammise Ariel, issandosi di poco e sorreggendosi su entrambi i gomiti per restare supina.

– Quando John è tornato alla tenda, questa notte, mi ha detto che sei entrata nella sua cabina e non ne sei più uscita – disse Pocahontas, ricordando il sollievo che aveva provato nel rivedere l’amato tornare da lei incolume. Subito aveva voluto informarsi riguardo l’esito della missione, e quando John le aveva detto di Ariel si era un po’ preoccupata.

La sirena arrossì immediatamente, a quelle parole. Se John aveva notato la sua assenza, anche il resto della ciurma doveva averlo fatto, e quel pensiero la riempì di vergogna.

– Uhm, sì – borbottò, imbarazzata. – Ho aiutato Baelfire ad andarsene da Neverland, con la mia collana – spiegò, cercando di ignorare i battiti accelerati del proprio cuore e di non richiamare alla mente ciò che era successo quella notte.

– Ci è voluto così tanto tempo? – chiese Pocahontas, inarcando un sopracciglio. – Avete discusso?

Ariel si mise a sedere e si circondò le ginocchia con le braccia, posandovi sopra il mento e sentendosi improvvisamente vulnerabile.

– No, in realtà… Non esattamente. Oh, io… – balbettò. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. – L’ho baciato, Pocahontas. Ho baciato Killian – ammise infine, ad alta voce. – E ho trascorso la notte con lui – concluse, prendendosi la testa tra le mani.

Pocahontas si mise a sedere, decisamente sorpresa. In quelle settimane che Ariel aveva trascorso con Uncino sulla Jolly Roger, doveva essersi resa conto dei sentimenti che provava per lui, ammettendoli a se stessa. Non avrebbe mai pensato, però, che la situazione si fosse evoluta a tal punto.

– Sei pentita? – domandò dunque, notando le spalle dell’amica scosse da singhiozzi.

Non… Non lo so! – fu la risposta soffocata di Ariel, che continuava a tenere il volto nascosto, con la fronte appoggiata alle braccia.

Pocahontas le posò una mano sulla spalla, triste nel vederla ridotta così. Voleva vedere Ariel felice e non in preda a quel dolore che la stava dilaniando dall’interno. Cosa aveva fatto Uncino per ridurla così?

– Ariel, che ti succede? – le domandò con dolcezza, accarezzandole i capelli.

A quel tocco Ariel alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi dell’amica.

– L’ho dimenticato – ammise, in tono colpevole. – Eric – precisò, per togliere ogni dubbio. Se persino lei  aveva trascurato l’amore che l’aveva legata al marito, di sicuro dovevano averlo fatto anche le persone che le erano rimaste accanto per tutti quegli anni. – L’ho dimenticato. Da quando Killian è tornato, io… Non ho più pensato a lui. E l’ho realizzato soltanto ora, soltanto dopo aver trascorso la notte con Killian. L’ho dimenticato.

Udendo quelle parole, Pocahontas comprese.

Era quello il problema, Eric. Non Uncino, come aveva pensato all’inizio. Ariel temeva di aver tradito la sua memoria, aprendo il proprio cuore ad un nuovo amore.

– Non l’hai dimenticato – la contraddisse. – Lui sarà sempre una parte di te, e lo sai. Sei soltanto andata avanti, ed è legittimo dopo tutti gli anni che sono passati. Ne hai tutto il diritto.

– Non è legittimo, Pocahontas, non lo è per niente! – urlò Ariel, disperata. – Eric era il mio vero amore, ha spezzato il sortilegio della strega del mare… Il vero amore non si sostituisce così! C’è chi in una vita intera non ne sperimenta nemmeno un briciolo, chi lo cerca senza sosta e… E io l’ho dimenticato.

– No, non devi pensarla così. Non l’hai dimenticato, e quello che stai dicendo ora ne è la dimostrazione lampante. Non ti crucceresti così, se l’avessi dimenticato davvero.

– Se così fosse non mi sarei innamorata di Killian. Da quando è tornato qui a Neverland, io…

– Sei andata avanti – concluse per lei Pocahontas, ripetendo il concetto espresso in precedenza. – Ti sei lasciata andare e hai aperto il tuo cuore. Non è una colpa. Non devi viverla come una colpa.

– Non la vivrei così se… se non fosse che ho aperto il mio cuore alla persona sbagliata – confessò Ariel, scossa da nuovi singhiozzi. Era quello il vero dubbio che l’attanagliava, che la dilaniava e che le provocava disgusto per se stessa.

Lui… ti ha cacciata via? – domandò Pocahontas, cauta, trovando conferma dei sospetti avuti all’inizio. C’era da aspettarselo, del resto, da un uomo del genere. Era un pirata, prima che un uomo.

– No. Sono stata io ad andarmene – rispose Ariel, passandosi una manica del vestito sul viso per asciugare le lacrime. – Prima che lui si svegliasse, questa mattina.

– Oh! – disse Pocahontas, sorpresa. Sorprendentemente Uncino non aveva alcuna colpa. – Hai avuto paura, ed è normale. Però non puoi dire di aver aperto il tuo cuore alla persona sbagliata, se non sei certa di quello che Killian prova – spezzò dunque una lancia in suo favore.

– Lui è ancora innamorato di Milah – decretò Ariel, con un vuoto all’altezza dello stomaco. – Lui… – tentò di dire, ma dovette fermarsi per fare un respiro profondo. – Lui è tornato qui per lei, per trovare un modo per vendicare la sua morte. Stava per rinunciare alla vendetta soltanto in nome di Baelfire, del figlio di Milah. Tutto riconduce sempre a lei – disse, la voce condita da una nota di disperazione mista a rabbia. – Io sono solo un passatempo – constatò con amarezza, stringendo le mani a pugno.

– Come puoi dirlo? Come puoi esserne certa?

– Beh, è semplice – rispose Ariel con un’alzata di spalle. – C’è una cosa che ho notato – esordì con voce tremante. – Sul suo braccio destro Killian ha un tatuaggio con il nome di Milah (1) – rivelò dunque, con un groppo in gola. Prima di uscire dalla sua cabina, quella mattina, quando aveva gettato un’ultima occhiata al letto per accertarsi che Killian dormisse aveva notato quel tatuaggio. Subito aveva sentito lo stomaco preso da una morsa gelida ed invisibile, quando aveva realizzato che Killian recava il nome di Milah impresso sulla pelle.

Era tutto sbagliato.

Entrambi avevano perso l’amore e quella perdita aveva condizionato le loro vite, che per quel motivo non avrebbero potuto intrecciarsi, non in senso romantico per lo meno.

– Cosa farai ora? – le domandò Pocahontas interrompendo il flusso di quei pensieri. Era preoccupata per Ariel, ma al tempo stesso si sentiva impotente perché non poteva fare nulla per aiutarla. Ogni parola di conforto sarebbe stata vana. Poteva solo ascoltarla.

– Non lo so. Proprio non lo so – sospirò Ariel, ancora più confusa.

 

 

Ci volle suo padre, re Tritone, per farla ragionare e farle chiarire le idee.

Quando tornò ad Atlantica, dopo aver parlato con Pocahontas, Ariel si rifugiò ancora nella propria stanza, alla porta della quale venne a bussare poco dopo re Tritone.

– Avanti – lo invitò ad entrare Ariel, seduta sul letto a rigirarsi tra le mani l’anello che Eric le aveva messo al dito il giorno del matrimonio, e che da quando era tornata a Neverland custodiva in una conchiglia che fungeva da portagioie.

– Ariel, figlia mia – la salutò re Tritone con un sorriso affettuoso. – Le guardie mi hanno detto che sei appena tornata – disse, prendendo posto all’estremità del letto opposta rispetto a quella su sui sedeva Ariel. – È raro vederti a palazzo, negli ultimi tempi.

– Già, sono stata un po’ impegnata – borbottò Ariel con un’alzata di spalle, tenendo lo sguardo fisso su quel cerchietto che reggeva tra pollice e indice della mano sinistra.

– Oso troppo chiedendoti in che faccende fossi impegnata? – azzardò re Tritone, cauto. Gli era bastata un’occhiata per capire che era successo qualcosa alla figlia.

– Dipende – rispose Ariel, atona. – Se te lo dico prometti di non montare su tutte le furie? – tastò il terreno, alzando lo sguardo verso il padre, che la stava fissando con sguardo severo, tradito però da una leggera incurvatura degli angoli delle labbra verso l’alto.

– Prometto – disse dunque.

Killian, il pirata che mi ha aiutata quando ero nella Foresta Incantata, è tornato a Neverland – esordì. Era la prima volta che parlava a quattr’occhi con suo padre, da quando il pirata era tornato a far parte della propria vita. – Per fartela breve, in questo periodo l’ho aiutato a liberare un ragazzino dalla prigionia di Peter Pan, e ieri abbiamo concluso la missione con successo – riassunse, omettendo volutamente la parte in cui aveva accordato il suo aiuto a Killian per aiutarlo a tornare nella Foresta Incantata. Faceva male pensare che prima o poi avrebbe dovuto dirgli addio.

Re Tritone sospirò. – Lo hai fatto di nuovo? – domandò, rassegnato.

Ariel annuì, tornando a guardare l’anello.

– Ormai sei adulta, e sai meglio di me i rischi che hai corso – decretò re Tritone, rassegnato. – Con Peter Pan non si scherza. Avresti potuto chiedere il mio aiuto, anzi, avresti dovuto.

– No, papà, non volevo coinvolgerti. Gli equilibri tra Atlantica e Peter Pan sono già fin troppo delicati così, se ti avessi coinvolto sarebbe stato peggio – ribatté Ariel, decisa. Non che non ci avesse pensato. Re Tritone e il suo tridente dalla loro parte sarebbero stati un valido aiuto, ma temeva le ripercussioni che ci sarebbero state, con un suo coinvolgimento.

– Se la missione è andata bene perché sei così giù di morale, allora? – domandò l’uomo, inclinando la testa di lato.

Ariel sospirò. Non poteva mentirgli, lo avrebbe capito subito.

– Sono un po’ confusa – mormorò, agitando leggermente la coda oltre il bordo del letto.

– La tua confusione ha a che fare con quel Killian? – indagò re Tritone, iniziando a capire. Tutto tornava.

– E tu come lo sai? – scattò Ariel, alzando subito lo sguardo.

– Si vede che gli sei molto affezionata, Ariel. Da come sei sparita negli ultimi tempi. Dal modo in cui nei parli, da come ti si illuminano gli occhi quando pronunci il suo nome. Ti conosco bene ed è facile per me notare queste cose – le spiegò re Tritone, con un sorriso comprensivo.

– Oh, papà! – esclamò Ariel, prima di gettarsi su di lui con uno slancio e buttargli le braccia al collo. Aveva bisogno di conforto, di essere abbracciata da suo padre come quando da bambina si faceva male e nuotava da lui e dalla madre in cerca d’aiuto.

Re Tritone la abbracciò e la tenne stretta per qualche istante, prima di scostarla e farle cenno di sedersi accanto a lui. Le prese una mano tra le proprie e nel farlo notò che nell’altra reggeva un oggetto luccicante che riconobbe subito. Era l’anello di nozze, e subito comprese la vera ragione della sua confusione.

– Credi che non sia giusto nei confronti di Eric, non è così? – le domandò dunque, indicando con lo sguardo l’anello.

Ariel annuì, mordendosi il labbro inferiore per impedirsi di piangere.

– L’ho dimenticato, papà – sussurrò.

– Non è vero! – esclamò re Tritone. – Non l’hai dimenticato, lui resterà sempre nel tuo cuore e nei tuoi ricordi – aggiunse, stringendole con forza la mano che teneva tra le sue. – Non devi sentirti in colpa!

– Sì, invece, lui era il mio vero amore! – sbottò Ariel, liberando la mano da quella stretta e incrociando le braccia al petto.

Re Tritone scoppiò in una risata amara. – Certe volte sei così ingenua, Ariel! – affermò, addolcendosi. – Quanti anni hai, venticinque? E credi già di sapere tutto sul vero amore… Non è così, bambina mia. Il vero amore è la magia più potente di tutte e proprio per questo è anche la più complessa e imprevedibile. Non chiuderti nella convinzione che Eric fosse il tuo unico e vero amore, così pecchi di presunzione. Non c’è solo un unico vero amore, nella vita delle persone.

– Stai dicendo che devo accontentarmi? – domandò Ariel, perplessa. Credeva che suo padre l’avrebbe capita meglio di chiunque altro, dato che dopo la morte di sua madre non era più stato con un donna.

– No, al contrario. Sto dicendo che hai ancora tutta una vita davanti, una vita in cui puoi di nuovo incontrare l’amore. E chissà, potrebbe essere anche vero amore, ma non puoi saperlo se non ti dai delle possibilità. Il vero amore non è facile, va costruito giorno dopo giorno e richiede molti sacrifici. È unico perché ogni storia d’amore ha delle peculiarità che le sono proprie, ma non per questo motivo una persona può incontrarlo una sola volta nella vita – rispose re Tritone, con un sorriso. Sua figlia doveva sapere la verità, non era giusto che si tediasse così. – Non capita a tutti di innamorarsi di nuovo, dopo aver perso una persona amata. A te è successo, e non devi sprecare questa occasione. (2)

Ariel alzò lo sguardo, iniziando a sentire un senso di sollievo che si irradiava dal centro del petto a tutto il proprio corpo. Che suo padre avesse ragione? Che le avesse detto ciò che del resto aveva sempre saputo? Che davvero le fosse concessa una seconda occasione per amare qualcuno ed essere felice?

Quell’ultima domanda però la fece riflettere ulteriormente: amare Killian non significava essere felice, e questo lo sapeva bene. Sarebbe stato doloroso, e l’amore sarebbe stato solo da parte sua. Sarebbe bastato?

– Non è detto che questa sia un’occasione, papà – sospirò Ariel. – Dubito che questa sia la mia possibilità per essere felice.

– Perché, non sei corrisposta? – indagò re Tritone.

– Non credo proprio – sussurrò Ariel, rassegnata. L’immagine del tatuaggio di Killian era ancora vivida nella sua mente, rossa come il cuore pulsante che raffigurava. E quel cuore recava un nome che non era il suo.

– Ne sei certa?

– In un certo senso sì…

– Ti ha rifiutata? – domandò re Tritone, apprensivo. Voleva che sua figlia fosse di nuovo felice, non che soffrisse.

– No, non ancora per lo meno.

– E allora che aspetti a parlargli? Solo così potrai capire se ne vale la pena – si sentì in dovere di consigliarle re Tritone, posandole una mano su una spalla.

Ariel fece un respiro profondo, più calma rispetto a quando era iniziata la conversazione. Suo padre aveva ragione su molte cose, ma soprattutto su una.

Cosa stava aspettando?

 

 

Ariel rivide Killian quella sera, da Flounder’s.

Quando quella mattina John l’aveva vista tornare all’accampamento con Pocahontas, infatti, le era corso incontro e l’aveva invitata alla locanda a festeggiare la buona riuscita della loro missione con il resto della ciurma, e a malincuore Ariel aveva detto che ci avrebbe pensato. In realtà era più propensa verso il no, ma dopo aver parlato con suo padre aveva cambiato idea.

Poteva essere una buona occasione per mettere le cose in chiaro con Killian e capire cosa provasse per lei, per cui si era fatta coraggio e aveva nuotato fino alla superficie, fino a Pandora.

Il momento della verità era arrivato, finalmente avrebbe potuto capire se valesse la pena aprire di nuovo il proprio cuore oppure se avesse dovuto attendere ancora un po’.

Col cuore che batteva all’impazzata e una lieve morsa allo stomaco uscì dall’acqua e si diresse da Flounder’s, ignara di ciò che l’attendeva.

Killian la ignorò, quando entrò nella locanda.

Ariel doveva aspettarselo, del resto. Era fuggita senza dirgli una parola e probabilmente lui doveva essersi conto di aver commesso un grave errore. O forse quella freddezza era il trattamento abituale che riservava alle donne con cui trascorreva la notte.

Con un sospiro, prese una sedia e la mise accanto alla sua, che si trovava a capotavola.

– Ciao – lo salutò poi, con un mezzo sorriso.

Killian la osservò come se fosse un insetto fastidioso, dopodiché distolse lo sguardo, impassibile.

– Non credevo saresti venuta – andò subito al dunque, prima di bere un lungo sorso di birra.

– John ha insistito – si giustificò Ariel con un’alzata di spalle, facendo un cenno di saluto all’amico che in tutta risposta levò il boccale di birra verso di lei, prima di berne il contenuto. – E poi volevo parlarti – aggiunse poi la sirena, posando una mano sul braccio di Killian, che si scostò immediatamente e scoppiò a ridere, sprezzante.

– Hai una bella faccia tosta – decretò, scuotendo la testa. – Avanti, sono tutt’orecchie – la incitò, con un gesto della mano.

– Possiamo uscire? Andare in un posto in cui possiamo restare da soli, tranquilli? – domandò Ariel. Non voleva che tutta la ciurma assistesse alla propria umiliazione.

Killian sospirò, con lentezza calcolata finì di bere la propria birra e senza dire una parola si alzò, dirigendosi verso l’uscita. Una volta fuori dalla locanda si diresse alla Jolly Roger e Ariel lo seguì, ripetendo per l’ennesima volta nella propria testa il discorso che aveva preparato quel giorno, dopo aver parlato con suo padre. Aveva pensato e ripensato più volte a cosa dirgli, a un punto di partenza in base al quale impostare il proprio monologo, alle parole più indicate per esprimere ciò che provava.

– Parla – la esortò Killian incrociando le braccia e appoggiandosi al parapetto della nave con la parte bassa della schiena. La sirena in quel momento comprese che a nulla sarebbero valsi tutti i discorsi a cui aveva pensato. Dimenticò tutto e si lasciò andare all’improvvisazione.

– Mi dispiace per essere fuggita via a quel modo, questa mattina – sputò il rospo Ariel, guardandolo negli occhi con sincero dispiacere. – Ero spaventata.

– Faccio molti effetti alle donne, ma mai nessuna si è definita spaventata dopo una notte passata con me – commentò Killian, fingendo di riflettere. – E nemmeno tu lo sembravi, anzi. Tutt’altro. Gridavi, è vero, ma non certo di paura – decretò dunque con un sorriso di scherno.

Ariel arrossì e aprì la bocca per ribattere, ma ciò che ne uscì fu solo un balbettio sconnesso. – Gradirei che tu evitassi questo tipo di commenti – riuscì poi a borbottare, avvertendo oltre all’imbarazzo una fitta di gelosia al pensiero che Killian fosse stato con altre donne, oltre a lei. L’aveva immaginato, certo, ma sentirselo dire faceva tutto un altro effetto.

– Va bene, va bene – accordò il pirata, alzando le braccia in segno di resa. Dal suo viso però non scomparve l’espressione divertita che aveva assunto da quando Ariel era arrossita. – Va’ avanti, ti ascolto.

– Ricordi quando mi sono svegliata, durante la notte? – domandò la sirena. Killian annuì, finalmente serio, e lei allora proseguì: – Ti ho mentito quando ti ho detto di non ricordare l’incubo che ho fatto.

– È stato quello a spaventarti? – chiese Killian corrugando la fronte.

– Sì, io… Ho sognato Eric. Eravamo insieme e poi veniva ucciso da qualcuno. Credevo fosse Oscar, ma in realtà eri tu – spiegò brevemente Ariel. Non voleva soffermarsi troppo a pensare su quel sogno, temeva che così facendo si sarebbe fatta di nuovo assalire dai dubbi che l’avevano attanagliata quella mattina, e non era quello di cui aveva bisogno in quel momento. – Ho avuto paura. Ho realizzato di aver dimenticato Eric, di provare per te un sentimento così forte da offuscare quello che ho vissuto in precedenza con lui… Ero confusa, e pensavo che non fosse giusto.

– Perché non me ne hai parlato? – sbottò Killian. Quella notte, quando Ariel si era svegliata, aveva intuito che c’era qualcosa che non andava, ma mai sarebbe andato a pensare che si sentisse in colpa nei confronti del marito defunto. Credeva che ormai l’avesse superata.

– Perché ho paura! – esclamò Ariel, alzando la voce. – Ho paura! – ripeté, come se il fatto stesso di ammetterlo potesse darle forza. – Ho paura che voltare pagina sia un errore, ho paura di soffrire di nuovo! Ho paura di perderti! – urlò. Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi. – Ma soprattutto ho paura di ciò che provi tu. Ho paura di essere per te solo un passatempo – sussurrò, abbassando lo sguardo. L’aveva detto, l’aveva ammesso finalmente ad alta voce.

– Ariel, se tu fossi un passatempo non ti avrei permesso di dormire al mio fianco, questa notte – ribatté Killian, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

– E cosa sono, allora? – chiese Ariel, la testa inclinata da un lato e i denti a torturare il labbro inferiore.

– Onestamente? Non lo so – rispose Killian, con un’alzata di spalle. – Non fraintendermi! – si affrettò a dire, notando gli occhi di Ariel che si inumidivano. – Il nostro non è un rapporto superficiale. Non sei un passatempo, ci conosciamo da anni, mi hai aiutato a fuggire da qui… Sei una persona importante nella mia vita.

– Però? – domandò Ariel, aspettandosi il peggio.

– Però sai bene che in questo momento il mio obiettivo è un solo – rispose Killian, ben determinato a portare a termine la propria vendetta. Solo allora avrebbe potuto voltare pagina e ricominciare da capo, magari con Ariel al suo fianco.

– Già, la vendetta –annuì Ariel, con un sorriso amaro. – Sei ancora intenzionato a perseguirla, vero?

– Solo così potrò lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare da capo – disse Killian, esprimendo ad alta voce ciò che aveva pensato poco prima. L’unico modo per esorcizzare il proprio passato era scuoiare il Coccodrillo.

– Lo faresti sul sangue di Tremotino – decretò Ariel, avanzando di un passo.

– Imparerei a conviverci – ribatté il pirata, sicuro.

Calò un silenzio, tra loro. Per qualche minuto non proferirono parola, ognuno immerso nei propri pensieri.

Ariel da un lato era più tranquilla, felice di sapere che Killian tenesse a lei, anche se ancora non le aveva detto in che modo. Il fantasma della vendetta che il pirata si sentiva in dovere di perseguire aleggiava tra loro, rendendoli distanti e ponendo degli ostacoli difficili da superare, se non impossibili.

– Vuoi ancora aiutarmi? – domandò Killian, inarcando un sopracciglio. Non avrebbe cambiato idea, non si sarebbe dato pace finché il Coccodrillo non fosse morto, infilzato dal suo uncino. Al tempo stesso però non voleva separarsi da Ariel.

– Sì – rispose Ariel con un sospiro. – Non riesco a starti lontana, purtroppo – aggiunse, con una risata amara, avanzando di un altro passo. Sapeva che non sarebbe mai riuscita ad abbandonarlo, finché lui fosse rimasto a Neverland. Anche se avesse deciso di punto in bianco di non aiutarlo più, di lasciarlo da solo con la propria vendetta, sapeva che avrebbe dovuto lottare con se stessa con tutte le proprie forze per stargli lontano. Non ne sarebbe stata in grado, lo sapeva, prima o poi si sarebbe arresa e sarebbe tornata sulla Jolly Roger, pronta a offrirgli di nuovo il suo aiuto.

– Sei importante per me, Ariel – dichiarò Killian, serio, raggiungendola e circondandole la vita con le braccia.

– Non quanto la tua vendetta, però – sussurrò Ariel, con gli occhi lucidi. Gli posò le mani sul petto e gli rivolse un sorriso triste. – È il tuo unico pensiero, ormai.

– Se così fosse ti caccerei via e non ti chiederei di aiutarmi – ribatté Killian, quasi divertito dall’ingenuità della sirena.

– Mi vuoi al tuo fianco dunque? – domandò quest’ultima, titubante. Sapeva che quello era il massimo che poteva ottenere, e non intendeva lasciarselo sfuggire. In lei era ancora viva la speranza di poterlo di poterlo distogliere dal proprio obiettivo, dopotutto. Col tempo forse ce l’avrebbe fatta.

– Sì, ti voglio al mio fianco – soffiò sulle sue labbra Killian, prima di annullare completamente la distanza che restava tra il suo viso e quello di Ariel, baciandola con passione, esprimendo a fatti quello che non era riuscito a dire a parole.

– Non so come andrà a finire, ma ti voglio al mio fianco – ribadì poco dopo, separandosi dalle labbra della sirena giusto il tempo necessario e dire quella frase.

A quelle parole, Ariel sorrise, felice. Con quella conversazione aveva ottenuto molto di più di quello che si era aspettata all’inizio. Credeva che Killian l’avrebbe cacciata, che le avrebbe detto che quello che era successo tra loro era stato solo un errore, ed era felice di essersi sbagliata.

Nonostante fosse ancora accecato dalla vendetta, Killian la voleva al proprio fianco, ed era ciò che più contava.

Al resto ci avrebbero pensato giorno per giorno.

E notte per notte.

 

 

 

Note

(1)  È il tatuaggio che vediamo nella 2x06. Ho preferito che Ariel lo notasse solo in questo momento perché, aehm, durante la notte era distratta da altro, diciamo.

(2)  Nelle parole di re Tritone sul vero amore ho fatto un po’ un mix di ciò che fino ad ora hanno detto a riguardo nella serie tv, condito da alcune mie personali teorie. Spero di non essere risultata troppo fluff. xD

 

Eccomi qui, finalmente.

Ariel ha fatto chiarezza tra i propri sentimenti, e finalmente lei e Killian sono arrivati ad un dunque. Certo, non è proprio una cosa ben definita, ma è già qualcosa, visto e considerato che Killian è ancora ben intenzionato a uccidere Tremotino.

Per quanto riguarda il prossimo capitolo, non so quando riuscirò a scrivere e pubblicare, perché sarà bello corposo. Avevo un’idea, all’inizio, ma poi con la terza stagione ho cambiato un po’ le carte in tavola, e quindi devo fare un avviso: è possibile che dal prossimo capitolo in poi compaiano SPOILER della terza stagione. Nulla di eclatante, ne trarrò solo qualche dettaglio su Neverland, Peter Pan e i Bimbi Sperduti che prima non potevo sapere. Quindi, se non volete rovinarvi nulla della nuova stagione, tornate a leggere quando l’avrete vista. ^^

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ad ogni modo. Come sempre non ne sono convinta, ma sarete voi a giudicare.

Ringrazio di cuore chi legge, chi recensisce e chi mi ha inserita in una delle tre categorie. Siete fantastiche e mi spronate a continuare! :)

A presto!^^

Sara

   
 
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