Capitolo Undici
La spiaggia
era tranquilla, quella mattina.
Una leggera
brezza marina le scompigliava i capelli, e in lontananza si udivano le grida
dei gabbiani, che si confondevano col frangersi delle onde sulla battigia.
Ariel
passeggiava in riva al mare, lasciando che le onde le bagnassero i piedi e la
brezza le scompigliasse i capelli. Non le importava nulla, era semplicemente
felice. Un senso di pace la pervadeva, ed era tutto merito della persona che
passeggiava al suo fianco, tenendole la mano.
Ariel si voltò
alla sua sinistra e sorrise, felice come non era da tempo.
– Perché
sorridi? – le chiese l’uomo al suo fianco, inclinando la testa di lato.
– Non lo so,
quando sono con te mi viene spontaneo – rispose Ariel con un’alzata di spalle.
Si fermò e si mise di fronte a lui, senza smettere di tenergli la mano. Temeva
che se l’avesse lasciato andare non lo avrebbe mai più rivisto, e le era
mancato così tanto che a volte temeva di non sopportare tutta quella nostalgia.
– Sicura che
sia merito mio? – le domandò Eric, con una nota di tristezza nella voce.
– Certo che è
merito tuo! – ribatté Ariel, posandogli la mano libera su una spalle. – Io ti
amo, non dubitarne mai! – decretò, prima di alzarsi in punta di piedi e posare
le proprie labbra su quelle del principe, che subito la strinse a sé e ricambiò
il bacio con fervore.
Ariel chiuse
gli occhi e gli allacciò le braccia al collo, assaporando ogni momento tra le
braccia del marito. Aveva la sensazione che fossero stati separati per anni,
che le fosse stato bruscamente portato via, eppure era certa che si fossero
sposati soltanto il giorno prima.
Quando riaprì
gli occhi, ebbe un sussulto.
– Che c’è,
Ariel? – le domandò Killian, con un sorriso
malizioso. Era lui a stringerla tra le braccia in modo possessivo, ora, non più
Eric.
– Lui dov’è? –
domandò Ariel, in preda al panico.
– Lui chi? –
chiese a sua volta Killian, confuso, senza però
smettere di tenerla stretta a sé.
Ariel si
separò dal pirata e iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di Eric, disperata.
Sentì un urlo dietro di sé e si voltò subito, preoccupata.
Ciò che vide
la sconvolse: Eric era steso a terra in una pozza di sangue e una figura era
china su di lui.
– Oscar,
maledetto! – urlò Ariel, iniziando a correre verso l’amato, ma non riuscì ad
avvicinarsi nemmeno di un millimetro. Era come se una forza invisibile la
trattenesse per l’orlo della gonna, impedendole di avanzare.
– Hai già
dimenticato? – sussurrò Eric, con l’ultimo fiato che gli restava in gola.
Chiuse gli occhi e reclinò la testa di lato, ed Ariel seppe che era morto.
– No, no! –
urlò la sirena, continuando a correre senza risultato verso il capezzale
dell’amato.
– È morto,
ormai – decretò la figura vestita di nero china su di lui, e quella voce fece
arrestare Ariel dalla sua vana corsa. Com’era possibile? Credeva fosse Oscar,
l’assassino di Eric. Eppure avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.
Il sangue le si
gelò nelle vene e un brivido le corse lungo la schiena, mentre le lacrime
scorrevano sul suo viso.
– Killian – sussurrò a fatica. – Come hai potuto?
In tutta
risposta, il pirata alzò lo sguardo verso di lei e le rivolse un sorriso
sinistro, mostrandole l’uncino ricoperto di sangue.
– Io non ho
fatto proprio niente – decretò con noncuranza. – Sei tu che l’hai ucciso.
Ariel urlò.
Ariel
aprì gli occhi all’improvviso, il cuore che batteva all’impazzata.
Sbatté
le palpebre più volte per orientarsi nel buio da cui era circondata e tentò di
calmarsi.
Era
stato solo un sogno, un incubo a dirla tutta.
Quando
i suoi occhi si abituarono al buio, si rese conto di non trovarsi nella propria
stanza ad Atlantica ma nella cabina di Killian, nel
suo letto.
Sospirò.
Che
cosa aveva fatto?
Tentò
di mettersi a sedere, ma il braccio di Killian che la
stringeva possessivamente nel sonno glielo impedì, perciò lo afferrò con
entrambe le mani e provò a sollevarlo, invano.
–
Resta qui – le intimò il pirata, mugugnando. Doveva averlo svegliato
involontariamente.
Ariel,
che fino a quel momento gli aveva dato le spalle, si girò su un fianco fino a
guardarlo in viso e notò che aveva gli occhi aperti. Era sveglio, come aveva
sospettato.
–
Stai bene? – domandò Killian con voce roca, notando
il turbamento dipinto sul suo volto e avvertendo il suo respiro ancora
leggermente affannato.
Ariel
annuì, poco convinta. – Ho fatto un brutto sogno – disse, ancora turbata dalle
immagini di quell’incubo ma soprattutto dal ricordo di Eric. No, non doveva
pensarci. Non era quello il momento, non era giusto. Per riordinare i propri
pensieri aveva bisogno di restare da sola. E inoltre lì, tra le braccia del
pirata, sembrava tutto solo un lontano ricordo. Per quanto fosse assurdo, si
sentiva al sicuro.
–
Cosa hai sognato? – volle informarsi Killian,
passandole una mano tra i capelli.
–
Non lo ricordo – mentì Ariel, con un mezzo sorriso. Avvertì un grande vuoto
all’altezza del petto, all’improvviso, e un brivido le corse lungo la schiena.
Le venne spontaneo stringersi ancora di più a Killian,
che non esitò ad accoglierla. Di nuovo avvertì una sensazione rassicurante, e
si lasciò cullare da lui, cercando di concentrarsi soltanto su ciò che stava
provando in quel momento senza lasciarsi tormentare dai fantasmi del passato.
–
Stai bene? – le chiese di nuovo Killian, preoccupato.
Ariel
annuì, senza dire una parola.
Ora sì, pensò, senza
dirlo ad alta voce. Si chiese solo per quanto quella sensazione sarebbe durata.
Quando
qualche ora dopo la luce dell’alba filtrò attraverso l’oblò della cabina, Ariel
si svegliò.
Killian dormiva
ancora, e nel sonno si era mosso fino a trovarsi quasi sul bordo del letto,
lasciandola scivolare via dalla confortevole stretta delle sue braccia.
Ariel
si odiò per ciò che stava per fare, ma non aveva altra scelta.
In
silenzio, si alzò dal letto e senza fare il minimo rumore si rivestì, per poi
dirigersi in punta di piedi alla porta della cabina per uscire da lì. Gettò un
ultimo sguardo a Killian per accertarsi che non
stesse dormendo e ciò che vide le mozzò il fiato in gola. Scosse la testa e
aprì la porta con delicatezza e con altrettanta cura la richiuse, dopodiché, essendosi
accertata che i membri dell’equipaggio fossero tutti sottocoperta, andò sul
ponte e da lì si tuffò in mare senza la minima esitazione.
Subito
le gambe lasciarono posto alla coda, e a contatto con il proprio elemento
naturale, Ariel si sentì libera di pensare lucidamente.
Aveva
bisogno di stare da sola.
Quando
arrivò a palazzo, ad Atlantica, trovò sveglie solo le guardie, che la
lasciarono passare indisturbata, ormai avvezzi alle ore piccole della sirena.
Si rifugiò nella propria stanza e si stese sul letto, rendendosi conto solo in
quell’istante di avere il volto rigato di lacrime.
Che
cosa aveva fatto?
Come
aveva potuto dimenticare Eric?
In
quelle settimane passate accanto a Killian ad
elaborare un piano per liberare Bae, il pensiero del
marito defunto non l’aveva più sfiorata nemmeno per un secondo, e lei non ci
aveva neanche fatto caso. Si era lasciata andare a quel nuovo, tormentato amore
dimenticando completamente Eric e aprendo il proprio cuore ad un pirata
donnaiolo, convinta di non avere speranze, si era concessa ad un uomo che non
la amava, ad un uomo che in nome del vero amore che gli era stato strappato via
invocava solo vendetta.
Si
sentiva tremendamente in colpa, ed era la sola responsabile di tutto ciò che
stava provando.
Non
avrebbe mai dovuto accordare il proprio aiuto a Killian,
quando lo aveva incontrato di nuovo a Neverland.
Avrebbe
dovuto restare con John e Leonard, senza degnare Uncino della minima
attenzione.
Non
si sarebbe cacciata in quel guaio, così.
Quando
Killian aprì gli occhi fu sorpreso di trovarsi solo.
Ricordava
con chiarezza ciò che era successo la sera prima, la sorpresa iniziale che
aveva provato quando le labbra di Ariel si erano posate sulle sue, sorpresa
subito sostituita da un desiderio da tempo sopito che solo lei era stata in
grado di risvegliare, tra tutte le donne con cui era stato dopo la morte di Milah.
Incredibilmente,
per quella notte era riuscito a mettere da parte ogni pensiero di vendetta,
sentendosi semplicemente vivo e concentrandosi sulla donna che stringeva tra le
braccia. Era come se il suo cuore avesse iniziato a pulsare di nuovo dopo
essere rimasto a lungo in uno stato di torpore.
Era
una strana sensazione.
Senza
rendersene conto, aveva permesso ad Ariel di avvicinarsi a lui e distoglierlo
dal proprio obiettivo primario, proprio come aveva fatto Bae.
Killian si mise a
sedere sul letto, con un sospiro.
Perché
aveva permesso ad Ariel di avvicinarsi a lui a quel modo? Perché non l’aveva
respinta?
La
sirena era diversa dalle altre donne, questo lo sapeva.
Non
era la prima con cui era stato dopo la morte di Milah,
eppure era stata la prima a cui aveva concesso di dormire con lui nel letto che
aveva condiviso con l’amata, la prima con cui era stato completamente sobrio e
la prima che aveva cullato tra le proprie braccia nel sonno, la prima che aveva
desiderato di trovare al proprio fianco al risveglio.
C’era
stato un momento, quando ancora era un ragazzino appena entrato a far parte
della ciurma di Barbanera, in cui aveva pensato di esserne innamorato. Ogni
notte si addormentava pensando a quella dolce sirena che lo aveva tratto in
salvo da Neverland e lo aveva aiutato a fuggire, e
sognava di incontrarla di nuovo, un giorno, e di solcare i mari insieme a lei.
Poi
però era cresciuto e quella sciocca fantasia era stata relegata in un angolo
della sua mente, sostituita dalla voglia di vedere il mondo e di avere una
ciurma tutta sua. Aveva confuso per altro quella che era semplice gratitudine verso
colei che lo aveva salvato e quando il desiderio di rivederla si era avverato,
lo aveva fatto in un modo completamente inaspettato e il suo unico scopo era
stato quello di aiutarla e saldare il debito che riteneva di avere nei suoi
confronti, per cui c’era stato poco tempo per fermarsi a pensare a quell’amore
adolescenziale sopito e ormai dimenticato.
Ariel
poi era tornata a Neverland e lui aveva conosciuto Milah e aveva viaggiato con lei, innamorandosene. Aveva
incontrato Ariel a Tortuga, ma era stato soltanto felice di vederla, null’altro
si era celato dietro a quell’incontro.
O
almeno così credeva.
Col
senno di poi, capì finalmente che Ariel era tornata nella Foresta Incantata per
cercarlo, probabilmente doveva aver ripensato alla proposta che le aveva fatto
di solcare i mari con lui, ma lo aveva fatto troppo tardi e si era tirata
indietro, limitandosi a consegnargli il fagiolo magico con cui era tornato a Neverland dopo la morte di Milah.
E
ora a Neverland quei sentimenti da ragazzino stavano
tornando a galla, e Killian sapeva che non avrebbero
portato nulla di buono. In quel periodo trascorso con Ariel il ricordo di Milah era svanito quasi del tutto, sebbene l’intenzione di
vendicarla fosse sempre ben presente nella propria mente, come l’obiettivo primario
da perseguire e l’unica ragione che gli permettesse di andare avanti.
Poteva
gestire la vendetta, ma non il dolore. Né tantomeno l’amore.
Scosse
la testa e si alzò dal letto, iniziando a rivestirsi.
Non
era il momento di essere svenevole, specie quando Ariel era fuggita di
soppiatto mentre lui dormiva. Qualunque cosa stesse iniziando a provare per la
sirena, era meglio non pensarci.
Aveva
una vendetta da perseguire.
Allora
perché dovette fare di tutto per trattenersi dall’usare la conchiglia che Ariel
gli aveva dato per contattarla?
Perché
desiderava averla di nuovo accanto a sé?
Dopo
essersi calmata un po’, Ariel si recò da Pocahontas, al villaggio degli indiani.
Era da settimane che non la vedeva, da quando aveva iniziato ad elaborare il
piano per liberare Baelfire.
Subito
l’amica, come sempre lungimirante, notò il suo turbamento e le propose di
accompagnarla nei boschi a raccogliere provviste per il villaggio. Ariel gliene
fu grata perché così ebbe modo di tenere la mente impegnata e di concentrarsi
su altro che non fosse ciò che era successo con Killian,
almeno fino a che Pocahontas non dichiarò che avevano raccolto cibo a
sufficienza e che quindi potevano prendersi una pausa. La portò in una radura e
si distese a terra, sull’erba, invitandola a fare altrettanto.
Ariel,
un po’ perplessa, la imitò.
–
Stare in mezzo alla natura è rilassante e mi aiuta a pensare, quando ho un
problema – sentenziò Pocahontas, enigmatica.
–
Si vede tanto che ho qualcosa che non va, vero? – domandò Ariel con un sospiro,
giocherellando con un ciuffo d’erba che pendeva accanto al suo viso.
–
Sì, negli ultimi tempi ti vedo spesso pensierosa – rispose Pocahontas,
puntellandosi su un gomito per guardare l’amica. – Ha a che vedere con capitan
Uncino, vero? – chiese dunque.
–
Già – ammise Ariel, issandosi di poco e sorreggendosi su entrambi i gomiti per
restare supina.
–
Quando John è tornato alla tenda, questa notte, mi ha detto che sei entrata
nella sua cabina e non ne sei più uscita – disse Pocahontas, ricordando il
sollievo che aveva provato nel rivedere l’amato tornare da lei incolume. Subito
aveva voluto informarsi riguardo l’esito della missione, e quando John le aveva
detto di Ariel si era un po’ preoccupata.
La
sirena arrossì immediatamente, a quelle parole. Se John aveva notato la sua
assenza, anche il resto della ciurma doveva averlo fatto, e quel pensiero la
riempì di vergogna.
–
Uhm, sì – borbottò, imbarazzata. – Ho aiutato Baelfire ad andarsene da Neverland, con la mia collana – spiegò, cercando di
ignorare i battiti accelerati del proprio cuore e di non richiamare alla mente
ciò che era successo quella notte.
–
Ci è voluto così tanto tempo? – chiese Pocahontas, inarcando un sopracciglio. –
Avete discusso?
Ariel
si mise a sedere e si circondò le ginocchia con le braccia, posandovi sopra il
mento e sentendosi improvvisamente vulnerabile.
–
No, in realtà… Non esattamente. Oh, io… – balbettò. Chiuse gli occhi e prese un respiro
profondo. – L’ho baciato, Pocahontas. Ho baciato Killian
– ammise infine, ad alta voce. – E ho trascorso la notte con lui – concluse,
prendendosi la testa tra le mani.
Pocahontas
si mise a sedere, decisamente sorpresa. In quelle settimane che Ariel aveva trascorso
con Uncino sulla Jolly Roger, doveva essersi resa conto dei sentimenti che
provava per lui, ammettendoli a se stessa. Non avrebbe mai pensato, però, che
la situazione si fosse evoluta a tal punto.
–
Sei pentita? – domandò dunque, notando le spalle dell’amica scosse da
singhiozzi.
–
Non… Non lo so! – fu la risposta soffocata di Ariel,
che continuava a tenere il volto nascosto, con la fronte appoggiata alle
braccia.
Pocahontas
le posò una mano sulla spalla, triste nel vederla ridotta così. Voleva vedere
Ariel felice e non in preda a quel dolore che la stava dilaniando dall’interno.
Cosa aveva fatto Uncino per ridurla così?
–
Ariel, che ti succede? – le domandò con dolcezza, accarezzandole i capelli.
A
quel tocco Ariel alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi dell’amica.
–
L’ho dimenticato – ammise, in tono colpevole. – Eric – precisò, per togliere
ogni dubbio. Se persino lei aveva
trascurato l’amore che l’aveva legata al marito, di sicuro dovevano averlo
fatto anche le persone che le erano rimaste accanto per tutti quegli anni. –
L’ho dimenticato. Da quando Killian è tornato, io… Non ho più pensato a lui. E l’ho realizzato soltanto
ora, soltanto dopo aver trascorso la notte con Killian.
L’ho dimenticato.
Udendo
quelle parole, Pocahontas comprese.
Era
quello il problema, Eric. Non Uncino, come aveva pensato all’inizio. Ariel
temeva di aver tradito la sua memoria, aprendo il proprio cuore ad un nuovo
amore.
–
Non l’hai dimenticato – la contraddisse. – Lui sarà sempre una parte di te, e
lo sai. Sei soltanto andata avanti, ed è legittimo dopo tutti gli anni che sono
passati. Ne hai tutto il diritto.
–
Non è legittimo, Pocahontas, non lo è per niente! – urlò Ariel, disperata. –
Eric era il mio vero amore, ha spezzato il sortilegio della strega del mare… Il vero amore non si sostituisce così! C’è chi in una
vita intera non ne sperimenta nemmeno un briciolo, chi lo cerca senza sosta e… E io l’ho dimenticato.
–
No, non devi pensarla così. Non l’hai dimenticato, e quello che stai dicendo
ora ne è la dimostrazione lampante. Non ti crucceresti così, se l’avessi
dimenticato davvero.
–
Se così fosse non mi sarei innamorata di Killian. Da
quando è tornato qui a Neverland, io…
–
Sei andata avanti – concluse per lei Pocahontas, ripetendo il concetto espresso
in precedenza. – Ti sei lasciata andare e hai aperto il tuo cuore. Non è una
colpa. Non devi viverla come una
colpa.
–
Non la vivrei così se… se non fosse che ho aperto il
mio cuore alla persona sbagliata – confessò Ariel, scossa da nuovi singhiozzi.
Era quello il vero dubbio che l’attanagliava, che la dilaniava e che le
provocava disgusto per se stessa.
–
Lui… ti ha cacciata via? – domandò Pocahontas, cauta,
trovando conferma dei sospetti avuti all’inizio. C’era da aspettarselo, del
resto, da un uomo del genere. Era un pirata, prima che un uomo.
–
No. Sono stata io ad andarmene – rispose Ariel, passandosi una manica del
vestito sul viso per asciugare le lacrime. – Prima che lui si svegliasse,
questa mattina.
–
Oh! – disse Pocahontas, sorpresa. Sorprendentemente Uncino non aveva alcuna
colpa. – Hai avuto paura, ed è normale. Però non puoi dire di aver aperto il
tuo cuore alla persona sbagliata, se non sei certa di quello che Killian prova – spezzò dunque una lancia in suo favore.
–
Lui è ancora innamorato di Milah – decretò Ariel, con
un vuoto all’altezza dello stomaco. – Lui… – tentò di
dire, ma dovette fermarsi per fare un respiro profondo. – Lui è tornato qui per
lei, per trovare un modo per vendicare la sua morte. Stava per rinunciare alla
vendetta soltanto in nome di Baelfire, del figlio di Milah.
Tutto riconduce sempre a lei – disse, la voce condita da una nota di
disperazione mista a rabbia. – Io sono solo un passatempo – constatò con
amarezza, stringendo le mani a pugno.
–
Come puoi dirlo? Come puoi esserne certa?
–
Beh, è semplice – rispose Ariel con un’alzata di spalle. – C’è una cosa che ho
notato – esordì con voce tremante. – Sul suo braccio destro Killian
ha un tatuaggio con il nome di Milah (1) – rivelò
dunque, con un groppo in gola. Prima di uscire dalla sua cabina, quella
mattina, quando aveva gettato un’ultima occhiata al letto per accertarsi che Killian dormisse aveva notato quel tatuaggio. Subito aveva
sentito lo stomaco preso da una morsa gelida ed invisibile, quando aveva
realizzato che Killian recava il nome di Milah impresso sulla pelle.
Era
tutto sbagliato.
Entrambi
avevano perso l’amore e quella perdita aveva condizionato le loro vite, che per
quel motivo non avrebbero potuto intrecciarsi, non in senso romantico per lo
meno.
–
Cosa farai ora? – le domandò Pocahontas interrompendo il flusso di quei
pensieri. Era preoccupata per Ariel, ma al tempo stesso si sentiva impotente
perché non poteva fare nulla per aiutarla. Ogni parola di conforto sarebbe
stata vana. Poteva solo ascoltarla.
–
Non lo so. Proprio non lo so – sospirò Ariel, ancora più confusa.
Ci
volle suo padre, re Tritone, per farla ragionare e farle chiarire le idee.
Quando
tornò ad Atlantica, dopo aver parlato con Pocahontas, Ariel si rifugiò ancora
nella propria stanza, alla porta della quale venne a bussare poco dopo re
Tritone.
–
Avanti – lo invitò ad entrare Ariel, seduta sul letto a rigirarsi tra le mani
l’anello che Eric le aveva messo al dito il giorno del matrimonio, e che da
quando era tornata a Neverland custodiva in una
conchiglia che fungeva da portagioie.
–
Ariel, figlia mia – la salutò re Tritone con un sorriso affettuoso. – Le
guardie mi hanno detto che sei appena tornata – disse, prendendo posto
all’estremità del letto opposta rispetto a quella su sui sedeva Ariel. – È raro
vederti a palazzo, negli ultimi tempi.
–
Già, sono stata un po’ impegnata – borbottò Ariel con un’alzata di spalle,
tenendo lo sguardo fisso su quel cerchietto che reggeva tra pollice e indice
della mano sinistra.
–
Oso troppo chiedendoti in che faccende fossi impegnata? – azzardò re Tritone,
cauto. Gli era bastata un’occhiata per capire che era successo qualcosa alla
figlia.
–
Dipende – rispose Ariel, atona. – Se te lo dico prometti di non montare su
tutte le furie? – tastò il terreno, alzando lo sguardo verso il padre, che la
stava fissando con sguardo severo, tradito però da una leggera incurvatura
degli angoli delle labbra verso l’alto.
–
Prometto – disse dunque.
–
Killian, il pirata che mi ha aiutata quando ero nella
Foresta Incantata, è tornato a Neverland – esordì.
Era la prima volta che parlava a quattr’occhi con suo padre, da quando il
pirata era tornato a far parte della propria vita. – Per fartela breve, in
questo periodo l’ho aiutato a liberare un ragazzino dalla prigionia di Peter
Pan, e ieri abbiamo concluso la missione con successo – riassunse, omettendo
volutamente la parte in cui aveva accordato il suo aiuto a Killian
per aiutarlo a tornare nella Foresta Incantata. Faceva male pensare che prima o
poi avrebbe dovuto dirgli addio.
Re
Tritone sospirò. – Lo hai fatto di nuovo? – domandò, rassegnato.
Ariel
annuì, tornando a guardare l’anello.
–
Ormai sei adulta, e sai meglio di me i rischi che hai corso – decretò re
Tritone, rassegnato. – Con Peter Pan non si scherza. Avresti potuto chiedere il
mio aiuto, anzi, avresti dovuto.
–
No, papà, non volevo coinvolgerti. Gli equilibri tra Atlantica e Peter Pan sono
già fin troppo delicati così, se ti avessi coinvolto sarebbe stato peggio –
ribatté Ariel, decisa. Non che non ci avesse pensato. Re Tritone e il suo
tridente dalla loro parte sarebbero stati un valido aiuto, ma temeva le
ripercussioni che ci sarebbero state, con un suo coinvolgimento.
–
Se la missione è andata bene perché sei così giù di morale, allora? – domandò l’uomo,
inclinando la testa di lato.
Ariel
sospirò. Non poteva mentirgli, lo avrebbe capito subito.
–
Sono un po’ confusa – mormorò, agitando leggermente la coda oltre il bordo del
letto.
–
La tua confusione ha a che fare con quel Killian? –
indagò re Tritone, iniziando a capire. Tutto tornava.
–
E tu come lo sai? – scattò Ariel, alzando subito lo sguardo.
–
Si vede che gli sei molto affezionata, Ariel. Da come sei sparita negli ultimi
tempi. Dal modo in cui nei parli, da come ti si illuminano gli occhi quando
pronunci il suo nome. Ti conosco bene ed è facile per me notare queste cose –
le spiegò re Tritone, con un sorriso comprensivo.
–
Oh, papà! – esclamò Ariel, prima di gettarsi su di lui con uno slancio e
buttargli le braccia al collo. Aveva bisogno di conforto, di essere abbracciata
da suo padre come quando da bambina si faceva male e nuotava da lui e dalla
madre in cerca d’aiuto.
Re
Tritone la abbracciò e la tenne stretta per qualche istante, prima di scostarla
e farle cenno di sedersi accanto a lui. Le prese una mano tra le proprie e nel
farlo notò che nell’altra reggeva un oggetto luccicante che riconobbe subito.
Era l’anello di nozze, e subito comprese la vera ragione della sua confusione.
–
Credi che non sia giusto nei confronti di Eric, non è così? – le domandò
dunque, indicando con lo sguardo l’anello.
Ariel
annuì, mordendosi il labbro inferiore per impedirsi di piangere.
–
L’ho dimenticato, papà – sussurrò.
–
Non è vero! – esclamò re Tritone. – Non l’hai dimenticato, lui resterà sempre
nel tuo cuore e nei tuoi ricordi – aggiunse, stringendole con forza la mano che
teneva tra le sue. – Non devi sentirti in colpa!
–
Sì, invece, lui era il mio vero amore! – sbottò Ariel, liberando la mano da
quella stretta e incrociando le braccia al petto.
Re
Tritone scoppiò in una risata amara. – Certe volte sei così ingenua, Ariel! – affermò,
addolcendosi. – Quanti anni hai, venticinque? E credi già di sapere tutto sul
vero amore… Non è così, bambina mia. Il vero amore è
la magia più potente di tutte e proprio per questo è anche la più complessa e
imprevedibile. Non chiuderti nella convinzione che Eric fosse il tuo unico e
vero amore, così pecchi di presunzione. Non c’è solo un unico vero amore, nella
vita delle persone.
–
Stai dicendo che devo accontentarmi? – domandò Ariel, perplessa. Credeva che
suo padre l’avrebbe capita meglio di chiunque altro, dato che dopo la morte di
sua madre non era più stato con un donna.
–
No, al contrario. Sto dicendo che hai ancora tutta una vita davanti, una vita
in cui puoi di nuovo incontrare l’amore. E chissà, potrebbe essere anche vero
amore, ma non puoi saperlo se non ti dai delle possibilità. Il vero amore non è
facile, va costruito giorno dopo giorno e richiede molti sacrifici. È unico
perché ogni storia d’amore ha delle peculiarità che le sono proprie, ma non per
questo motivo una persona può incontrarlo una sola volta nella vita – rispose
re Tritone, con un sorriso. Sua figlia doveva sapere la verità, non era giusto
che si tediasse così. – Non capita a tutti di innamorarsi di nuovo, dopo aver
perso una persona amata. A te è successo, e non devi sprecare questa occasione.
(2)
Ariel
alzò lo sguardo, iniziando a sentire un senso di sollievo che si irradiava dal
centro del petto a tutto il proprio corpo. Che suo padre avesse ragione? Che le
avesse detto ciò che del resto aveva sempre saputo? Che davvero le fosse
concessa una seconda occasione per amare qualcuno ed essere felice?
Quell’ultima
domanda però la fece riflettere ulteriormente: amare Killian
non significava essere felice, e questo lo sapeva bene. Sarebbe stato doloroso,
e l’amore sarebbe stato solo da parte sua. Sarebbe bastato?
–
Non è detto che questa sia un’occasione, papà – sospirò Ariel. – Dubito che
questa sia la mia possibilità per essere felice.
–
Perché, non sei corrisposta? – indagò re Tritone.
–
Non credo proprio – sussurrò Ariel, rassegnata. L’immagine del tatuaggio di Killian era ancora vivida nella sua mente, rossa come il
cuore pulsante che raffigurava. E quel cuore recava un nome che non era il suo.
–
Ne sei certa?
–
In un certo senso sì…
–
Ti ha rifiutata? – domandò re Tritone, apprensivo. Voleva che sua figlia fosse
di nuovo felice, non che soffrisse.
–
No, non ancora per lo meno.
–
E allora che aspetti a parlargli? Solo così potrai capire se ne vale la pena –
si sentì in dovere di consigliarle re Tritone, posandole una mano su una
spalla.
Ariel
fece un respiro profondo, più calma rispetto a quando era iniziata la
conversazione. Suo padre aveva ragione su molte cose, ma soprattutto su una.
Cosa
stava aspettando?
Ariel
rivide Killian quella sera, da Flounder’s.
Quando
quella mattina John l’aveva vista tornare all’accampamento con Pocahontas,
infatti, le era corso incontro e l’aveva invitata alla locanda a festeggiare la
buona riuscita della loro missione con il resto della ciurma, e a malincuore
Ariel aveva detto che ci avrebbe pensato. In realtà era più propensa verso il
no, ma dopo aver parlato con suo padre aveva cambiato idea.
Poteva
essere una buona occasione per mettere le cose in chiaro con Killian e capire cosa provasse per lei, per cui si era
fatta coraggio e aveva nuotato fino alla superficie, fino a Pandora.
Il
momento della verità era arrivato, finalmente avrebbe potuto capire se valesse
la pena aprire di nuovo il proprio cuore oppure se avesse dovuto attendere
ancora un po’.
Col
cuore che batteva all’impazzata e una lieve morsa allo stomaco uscì dall’acqua
e si diresse da Flounder’s, ignara di ciò che
l’attendeva.
Killian la ignorò,
quando entrò nella locanda.
Ariel
doveva aspettarselo, del resto. Era fuggita senza dirgli una parola e
probabilmente lui doveva essersi conto di aver commesso un grave errore. O
forse quella freddezza era il trattamento abituale che riservava alle donne con
cui trascorreva la notte.
Con
un sospiro, prese una sedia e la mise accanto alla sua, che si trovava a
capotavola.
–
Ciao – lo salutò poi, con un mezzo sorriso.
Killian la osservò
come se fosse un insetto fastidioso, dopodiché distolse lo sguardo,
impassibile.
–
Non credevo saresti venuta – andò subito al dunque, prima di bere un lungo
sorso di birra.
–
John ha insistito – si giustificò Ariel con un’alzata di spalle, facendo un
cenno di saluto all’amico che in tutta risposta levò il boccale di birra verso
di lei, prima di berne il contenuto. – E poi volevo parlarti – aggiunse poi la
sirena, posando una mano sul braccio di Killian, che
si scostò immediatamente e scoppiò a ridere, sprezzante.
–
Hai una bella faccia tosta – decretò, scuotendo la testa. – Avanti, sono
tutt’orecchie – la incitò, con un gesto della mano.
–
Possiamo uscire? Andare in un posto in cui possiamo restare da soli,
tranquilli? – domandò Ariel. Non voleva che tutta la ciurma assistesse alla
propria umiliazione.
Killian sospirò, con
lentezza calcolata finì di bere la propria birra e senza dire una parola si
alzò, dirigendosi verso l’uscita. Una volta fuori dalla locanda si diresse alla
Jolly Roger e Ariel lo seguì, ripetendo per l’ennesima volta nella propria
testa il discorso che aveva preparato quel giorno, dopo aver parlato con suo
padre. Aveva pensato e ripensato più volte a cosa dirgli, a un punto di
partenza in base al quale impostare il proprio monologo, alle parole più
indicate per esprimere ciò che provava.
–
Parla – la esortò Killian incrociando le braccia e
appoggiandosi al parapetto della nave con la parte bassa della schiena. La
sirena in quel momento comprese che a nulla sarebbero valsi tutti i discorsi a
cui aveva pensato. Dimenticò tutto e si lasciò andare all’improvvisazione.
–
Mi dispiace per essere fuggita via a quel modo, questa mattina – sputò il rospo
Ariel, guardandolo negli occhi con sincero dispiacere. – Ero spaventata.
–
Faccio molti effetti alle donne, ma mai nessuna si è definita spaventata dopo
una notte passata con me – commentò Killian, fingendo
di riflettere. – E nemmeno tu lo sembravi, anzi. Tutt’altro. Gridavi, è vero,
ma non certo di paura – decretò dunque con un sorriso di scherno.
Ariel
arrossì e aprì la bocca per ribattere, ma ciò che ne uscì fu solo un balbettio
sconnesso. – Gradirei che tu evitassi questo tipo di commenti – riuscì poi a
borbottare, avvertendo oltre all’imbarazzo una fitta di gelosia al pensiero che
Killian fosse stato con altre donne, oltre a lei. L’aveva
immaginato, certo, ma sentirselo dire faceva tutto un altro effetto.
–
Va bene, va bene – accordò il pirata, alzando le braccia in segno di resa. Dal
suo viso però non scomparve l’espressione divertita che aveva assunto da quando
Ariel era arrossita. – Va’ avanti, ti ascolto.
–
Ricordi quando mi sono svegliata, durante la notte? – domandò la sirena. Killian annuì, finalmente serio, e lei allora proseguì: – Ti
ho mentito quando ti ho detto di non ricordare l’incubo che ho fatto.
–
È stato quello a spaventarti? – chiese Killian
corrugando la fronte.
–
Sì, io… Ho sognato Eric. Eravamo insieme e poi veniva
ucciso da qualcuno. Credevo fosse Oscar, ma in realtà eri tu – spiegò
brevemente Ariel. Non voleva soffermarsi troppo a pensare su quel sogno, temeva
che così facendo si sarebbe fatta di nuovo assalire dai dubbi che l’avevano
attanagliata quella mattina, e non era quello di cui aveva bisogno in quel momento.
– Ho avuto paura. Ho realizzato di aver dimenticato Eric, di provare per te un
sentimento così forte da offuscare quello che ho vissuto in precedenza con lui… Ero confusa, e pensavo che non fosse giusto.
–
Perché non me ne hai parlato? – sbottò Killian. Quella
notte, quando Ariel si era svegliata, aveva intuito che c’era qualcosa che non
andava, ma mai sarebbe andato a pensare che si sentisse in colpa nei confronti
del marito defunto. Credeva che ormai l’avesse superata.
–
Perché ho paura! – esclamò Ariel, alzando la voce. – Ho paura! – ripeté, come
se il fatto stesso di ammetterlo potesse darle forza. – Ho paura che voltare
pagina sia un errore, ho paura di soffrire di nuovo! Ho paura di perderti! –
urlò. Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi. – Ma soprattutto ho paura
di ciò che provi tu. Ho paura di essere per te solo un passatempo – sussurrò,
abbassando lo sguardo. L’aveva detto, l’aveva ammesso finalmente ad alta voce.
–
Ariel, se tu fossi un passatempo non ti avrei permesso di dormire al mio
fianco, questa notte – ribatté Killian, scuotendo la
testa e alzando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
–
E cosa sono, allora? – chiese Ariel, la testa inclinata da un lato e i denti a
torturare il labbro inferiore.
–
Onestamente? Non lo so – rispose Killian, con
un’alzata di spalle. – Non fraintendermi! – si affrettò a dire, notando gli
occhi di Ariel che si inumidivano. – Il nostro non è un rapporto superficiale. Non
sei un passatempo, ci conosciamo da anni, mi hai aiutato a fuggire da qui… Sei una persona importante nella mia vita.
–
Però? – domandò Ariel, aspettandosi il peggio.
–
Però sai bene che in questo momento il mio obiettivo è un solo – rispose Killian, ben determinato a portare a termine la propria
vendetta. Solo allora avrebbe potuto voltare pagina e ricominciare da capo,
magari con Ariel al suo fianco.
–
Già, la vendetta –annuì Ariel, con un sorriso amaro. – Sei ancora intenzionato
a perseguirla, vero?
–
Solo così potrò lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare da capo – disse Killian, esprimendo ad alta voce ciò che aveva pensato poco
prima. L’unico modo per esorcizzare il proprio passato era scuoiare il
Coccodrillo.
–
Lo faresti sul sangue di Tremotino – decretò Ariel, avanzando di un passo.
–
Imparerei a conviverci – ribatté il pirata, sicuro.
Calò
un silenzio, tra loro. Per qualche minuto non proferirono parola, ognuno
immerso nei propri pensieri.
Ariel
da un lato era più tranquilla, felice di sapere che Killian
tenesse a lei, anche se ancora non le aveva detto in che modo. Il fantasma
della vendetta che il pirata si sentiva in dovere di perseguire aleggiava tra
loro, rendendoli distanti e ponendo degli ostacoli difficili da superare, se
non impossibili.
–
Vuoi ancora aiutarmi? – domandò Killian, inarcando un
sopracciglio. Non avrebbe cambiato idea, non si sarebbe dato pace finché il
Coccodrillo non fosse morto, infilzato dal suo uncino. Al tempo stesso però non
voleva separarsi da Ariel.
–
Sì – rispose Ariel con un sospiro. – Non riesco a starti lontana, purtroppo –
aggiunse, con una risata amara, avanzando di un altro passo. Sapeva che non
sarebbe mai riuscita ad abbandonarlo, finché lui fosse rimasto a Neverland. Anche se avesse deciso di punto in bianco di non
aiutarlo più, di lasciarlo da solo con la propria vendetta, sapeva che avrebbe
dovuto lottare con se stessa con tutte le proprie forze per stargli lontano.
Non ne sarebbe stata in grado, lo sapeva, prima o poi si sarebbe arresa e
sarebbe tornata sulla Jolly Roger, pronta a offrirgli di nuovo il suo aiuto.
–
Sei importante per me, Ariel – dichiarò Killian, serio,
raggiungendola e circondandole la vita con le braccia.
–
Non quanto la tua vendetta, però – sussurrò Ariel, con gli occhi lucidi. Gli
posò le mani sul petto e gli rivolse un sorriso triste. – È il tuo unico
pensiero, ormai.
–
Se così fosse ti caccerei via e non ti chiederei di aiutarmi – ribatté Killian, quasi divertito dall’ingenuità della sirena.
–
Mi vuoi al tuo fianco dunque? – domandò quest’ultima, titubante. Sapeva che
quello era il massimo che poteva ottenere, e non intendeva lasciarselo
sfuggire. In lei era ancora viva la speranza di poterlo di poterlo distogliere
dal proprio obiettivo, dopotutto. Col tempo forse ce l’avrebbe fatta.
–
Sì, ti voglio al mio fianco – soffiò sulle sue labbra Killian,
prima di annullare completamente la distanza che restava tra il suo viso e
quello di Ariel, baciandola con passione, esprimendo a fatti quello che non era
riuscito a dire a parole.
–
Non so come andrà a finire, ma ti voglio al mio fianco – ribadì poco dopo, separandosi
dalle labbra della sirena giusto il tempo necessario e dire quella frase.
A
quelle parole, Ariel sorrise, felice. Con quella conversazione aveva ottenuto
molto di più di quello che si era aspettata all’inizio. Credeva che Killian l’avrebbe cacciata, che le avrebbe detto che quello
che era successo tra loro era stato solo un errore, ed era felice di essersi
sbagliata.
Nonostante
fosse ancora accecato dalla vendetta, Killian la
voleva al proprio fianco, ed era ciò che più contava.
Al
resto ci avrebbero pensato giorno per giorno.
E
notte per notte.
Note
(1) È il tatuaggio
che vediamo nella 2x06. Ho preferito che Ariel lo notasse solo in questo
momento perché, aehm, durante la notte era distratta
da altro, diciamo.
(2) Nelle parole
di re Tritone sul vero amore ho fatto un po’ un mix di ciò che fino ad ora
hanno detto a riguardo nella serie tv, condito da alcune mie personali teorie.
Spero di non essere risultata troppo fluff. xD
Eccomi
qui, finalmente.
Ariel
ha fatto chiarezza tra i propri sentimenti, e finalmente lei e Killian sono arrivati ad un dunque. Certo, non è proprio
una cosa ben definita, ma è già qualcosa, visto e considerato che Killian è ancora ben intenzionato a uccidere Tremotino.
Per
quanto riguarda il prossimo capitolo, non so quando riuscirò a scrivere e
pubblicare, perché sarà bello corposo. Avevo un’idea, all’inizio, ma poi con la
terza stagione ho cambiato un po’ le carte in tavola, e quindi devo fare un
avviso: è possibile che dal prossimo capitolo in poi compaiano SPOILER della
terza stagione. Nulla di eclatante, ne trarrò solo qualche dettaglio su Neverland, Peter Pan e i Bimbi Sperduti che prima non
potevo sapere. Quindi, se non volete rovinarvi nulla della nuova stagione,
tornate a leggere quando l’avrete vista. ^^
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, ad ogni modo. Come sempre non ne sono
convinta, ma sarete voi a giudicare.
Ringrazio
di cuore chi legge, chi recensisce e chi mi ha inserita in una delle tre
categorie. Siete fantastiche e mi spronate a continuare! :)
A
presto!^^
Sara