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Autore: Sofya    22/10/2013    0 recensioni
Adesso sapeva che innamorarsi voleva dire essere irascibili, voleva dire essere noiose, pesanti e gelose. Voleva dire essere sensibili e facilmente attaccabili su qualsiasi frangente.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non era a nessun bivio. Non era costretta a nessuna scelta, non era infelice. 
Ma era confusa, era innamorata e non sapeva nemmeno lei di come combattere un pensiero a cui aveva smussato e perfezionato gli angoli per renderlo come voleva. La maggior parte delle volte che faceva qualcosa del genere finiva sempre che si innamorava di un'ideale e mai della realtà, ma il tempo, che è galantuomo, le rendeva possibili tutte le sue fantasie. Proprio perchè perfette e possibilissime, solo che lei ci credeva poco da subito.

Adesso sapeva che innamorarsi voleva dire essere irascibili, voleva dire essere noiose, pesanti e gelose. Voleva dire essere sensibili e facilmente attaccabili su qualsiasi frangente.

Ma lei, ora, non sapeva di chi fosse innamorata. Del suo ragazzo, che era il suo sogno da anni e col tempo era diventato il suo ragazzo perfetto, quello di cui lei aveva smussato angoli e pensieri, aveva creato ideali e responsabilità, sentimenti e valori morali che prima erano quasi del tutto sconosciuti a quel ragazzo così fragile ma così stupidamente infantile.

Oppure, oppure lei la sera chiudeva gli occhi e immaginava.
Assemblava immagini per creare il suo sogno, per creare il suo nuovo ragazzo perfetto. Un po' troppo magro per essere così alto. Un po' troppo sensibile per essere così menefreghista poi. Un po' troppo sicuro di se per poi non salutarla mai. Lo immaginava senza sorrisi, era raro che l'avesse visto sorridere. Lo immaginava senza timori ma con un mondo a parte nella sua testa. Lo immaginava nella sua auto, solo e serio.
Poi, poi si immaginava di tornare a casa sua, quella che aveva visitato per sbaglio; si immaginava di tornare li e d'essere accolta da un sorriso (come sorrideva lui? Non era in grado di immaginarlo) e da un bacio. Chissà poi perchè avesse questa quasi disperata voglia di sapere com'era un suo bacio. Beh, era lì, alto, magro, sorridente e in attesa di lei, per baciarla. Per portarla via con la sua auto. Le sarebbe bastato un “li vedi brillare, ora, i miei occhi quando parli?” perchè lei se li era immaginati proprio tanto quegli occhi brillare mentre lei si confessava... si era immaginata come fosse guardarlo da vicino, in realtà. Si era immaginata che profumo avesse, che smorfie facesse, si era immaginata che le sue labbra avessero creato un solco come fosse un sorriso. Ma solo perchè lei l'aveva causato.
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Era pomeriggio. Faceva veramente freddo, quel freddo che ti si infila sotto le ossa, che ti prende la schiena e non ti molla fino a quando non hai le convulsioni nello stomaco perchè sei uscita solo con una felpa e la tua giacca di pelle preferita.
Ti maledici come una stupida perchè al tg l'avevano detto che avrebbe fatto freddo, che sarebbe stato il week-end più freddo della stagione. Quest'anno, poi, la menano così tanto con la storia di dare un nome alle perturbazioni.. ma sei troppo distratta per stare a sentire il tg.

Era pomeriggio e faceva freddo, quel freddo che solo chi ha un vuoto dentro capisce. Quel freddo che ti prende la pancia e ti fa venire le convulsioni perchè tutto quello che vorresti è un abbraccio caldo che ti entri fino al cuore, che ti scaldi e ti asciughi tutte le lacrime che sai di dover poi versare la sera, come tutte le sere.

Era pomeriggio ed era in giro, sola.

Aveva bisogno di fare qualche foto, ma il tempo cambiava repentinamente. La mattina quando aveva accompagnato il nonno all'ospedale sembrava primavera inoltrata, con il cielo che si fondeva al mare e i colori accecanti; il pomeriggio invece, quel freddo pomeriggio, era nuvolo tutto.. e solo sul mare c'erano timide nuvole luminose come a dire “il paradiso è qui. E tu sei lì, sola.”

Non lo fece apposta, ma si trovò di fronte a casa sua. Lo sapeva che era tutto cambiato il giardino... e solo il pensiero che lui si ricordava di lei in quel giardino fece per un momento passare le convulsioni allo stomaco.

Era lì davanti, e desiderava solo una cosa.

Lui, lì davanti.

Alto, magro, curioso e sorridente.

Ed ovviamente, che fosse lì per baciarla.

Pigramente le convulsioni per il freddo tornarono a reclamare l'attenzione e lei si spostò verso la prima vetrina illuminata. Erano circa le 17,30 e faceva già buio.

Si rigirò in mano la sua piccola compagna d'avventure, la canon.

Si sentì improvvisamente stupida.

E sola.

E stupida.

E sola.

E aveva freddo, tanto freddo.

Per non passare da totale idiota, scelse di andare giù ai giardini per scattare qualche foto.

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Hai presente quando ti senti che devi fare qualcosa, non sai nemmeno bene cosa, ma devi farlo?

Lui era in casa.

Alto, magro.

Ma era in casa.

Quindi sapeva che doveva uscire, qualcosa (forse la curiosità?) gli aveva suggerito di sbirciare fuori dalla porta, che lì vicino, in quel suo vicolo sgangherato, c'era qualcuno.

Anzi, probabilmente era molto più di qualcuno.

Era qualcuno con una macchina fotografica, quindi qualcuno con tutto il suo destino tra e mani.

E probabilmente questo qualcuno aveva anche un freddo cane.

Anche lui aveva freddo.
Era troppo magro.


Scese le scale. Le risalì.

Scese di nuovo e poi prese la giacca.

Salì.

Scese.

Aveva la giacca tra le mani e il sorriso stampato sul volto.

Si sentiva un totale deficente.

 

Un passo, un altro.

Freddo.

Un passo, un altro.

Qualcosa le diceva di fermarsi.

 

Lui, forse.

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“Sali, devi vedere il giardino nuovo.”

Giurò che in quel momento tutto prese un senso.

Tutto, dentro di lei, si sistemò.

Le convulsioni cessarono, ma la voglia d'essere abbracciata fin dentro l'anima restò.

 

Si girò e lo vide.

Ed era alto, magro. Curioso. E sorridente.

 

Innamorato, era la parola adatta.

 

Non volle altro che un suo bacio per tutta la durata della visita al nuovo giardino risistemato e, come diceva lui, migliorato.

 

Innamorata, era la parola più scontata.

 

“Hai freddo, si vede.”

“Dici così perchè non vedi come tremo sulla pancia. Dal freddo mi prendono le convulsioni.”
“Fatti abbracciare.”
“Prima voglio guardarti negli occhi.”

Brillavano? No.

Erano impassibili.

Ma bellissimi, perchè erano occhi di chi sapeva cosa doveva fare.

La baciò.

E in quel momento capì perchè aveva un sorriso ebete prima di aprirle la porta.

Lui si era innamorato e lo sapeva appena aveva incrociato i suoi occhi. Rideva di se stesso, rideva del fatto che per una volta aveva ottenuto ciò di cui era consapevole ed impaurito.

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“Hai un sorriso meraviglioso. Questo proprio non avrei saputo come immaginarmelo.”

Le convulsioni erano finite. Quell'abbraccio caldo che desiderava da troppo tempo era arrivato portandosi dietro anche un bacio. Un bacio solo.

Un bacio perfetto.


“Tu invece sei così come ti ho immaginata. Nel senso, tra le mie braccia.”



 

Nota dell'autrice:
premetto che ho scritto queste righe l'inverno scorso,
e tutto quello che c'è scritto è frutto di un mio pensiero elaborato poi in forma di monologo interiore.
Spero vi piaccia, come al solito cerco di metterci i miei sentimenti nelle parole che scrivo.
Sofya.

  
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