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Autore: micRobs    22/10/2013    3 recensioni
Nick/Jeff | Long Fic | AU, Fluff, Angst lieve, Lime | Romantico
"Rescue me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza."
Dal capitolo 1: "Per essere giugno inoltrato, la temperatura non era esattamente delle più estive. L’aria di quella sera era fresca e frizzante e il cielo minacciava pioggia da un momento all’altro. Nick premette il piede sull’acceleratore, desideroso di mettere quante più miglia possibili tra se stesso e quella strada desolata. Era partito da circa sei ore e quel viaggio, già di per sé infinito, stava prendendo una piega ancora peggiore a causa di quella deviazione che lo aveva costretto ad abbandonare la sicurezza della statale in favore di quel tratto sterrato e ignoto. Il suo navigatore sembrava conoscere la direzione, però, quindi Nick si era ciecamente affidato a lui nella speranza che lo avesse condotto sano e salvo a Chicago."
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval | Coppie: Nick/Jeff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pairing: Nick/Jeff
Genere: Sentimentale / Romantico / Commedia / Fluff / Angst accennato.
Avvertimenti: Slash, AU, Lime.
Rating: Arancione.
Capitoli: ~8/10
Introduzione: Rescue me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza.
Note d’autore: As usual, tante e alla fine.
Note di Betaggio: Un nome, una garanzia. Un milione di volte, grazie. Vals. 
 
 


9. From myself.
 
 
 


«Non era vero, volevo solo trascorrere la giornata con te.»

Era stato difficile addormentarsi dopo, dopo quella confessione sussurrata, dopo lo sguardo colpevole e incerto di Jeff. Nick aveva aggrottato la fronte e aveva cercato di dare un nome al nodo che sentiva allo stomaco, al formicolio sottopelle che lo rendeva irrequieto, ma non era riuscito a trovarvi un senso o, quantomeno, una ragion d’essere. La verità era che non aveva alcun motivo di sentirsi disorientato e confuso, perché quella piccola macchinazione di Jeff si era poi rivelata provvidenziale per il proseguimento del loro viaggio, del loro viaggio insieme.

Si erano trovati, in un modo che Nick faceva ancora fatica a comprendere e razionalizzare, ma era davvero così importante che non fosse stato un avvenimento completamente casuale?

«Sentivo come se» aveva continuato Jeff e Nick aveva ripreso a passargli le dita tra i capelli, in un gesto naturale e quasi necessario. «Non lo so… come se non potessi lasciarti andare così. Per te ha senso?»

E Nick aveva semplicemente annuito, perché non aveva alcun motivo di riflettere sul concreto senso di quella domanda, quando aveva passato giorni a scendere a patti con la sensazione che lui e Jeff fossero in qualche modo legati. La connessione che sentiva con lui, la loro sintonia, era tutto lì ed era più che evidente. Se bastava a Jeff, bastava anche a lui.

«Adesso dormi, però, ne riparliamo domani» aveva proposto, ed era stato il turno di Jeff di annuire, un attimo prima che gli augurasse la buonanotte e chiudesse gli occhi. Nick era rimasto ad osservarlo per un’altra manciata di secondi, poi si era messo supino e aveva provato ad imitarlo, ma il sonno lo aveva raggiunto solo dopo parecchie ore. Nonostante la stanchezza, i muscoli doloranti e il viaggio in macchina stancante, non era riuscito a smettere di pensare a quella piccola ma significativa rivelazione.

Quando riaprì gli occhi, ci mise un po’ a rendersi conto che ormai era giorno inoltrato, perché le tende ai balconi erano ancora tirate e la stanza versava nella semioscurità. Jeff non era al suo fianco, ma Nick non ebbe alcun motivo di preoccuparsi circa la sua assenza, visto che – come il suo cervello e i suoi sensi iniziarono a carburare simultaneamente – non gli fu difficile riconoscere lo scrosciare continuo dell’acqua nella doccia.

I successivi minuti furono una sequela di azioni meccaniche comandate puramente dall’inerzia con cui si teneva in piedi. Aprire le finestre, sbadigliare, continuare a camminare, andare a cercare la colazione; avvertiva i muscoli degli arti inferiori pesanti e poco collaborativi, tant’è che si ritrovò a trascinarsi da una parte all’altra della camera per non sforzarli eccessivamente.

«Ehi, ben svegliato.»

La voce di Jeff lo sorprese alle spalle nello stesso momento in cui lui individuò il carrello con il servizio in camera e vi si diresse senza ulteriori indugi. Aveva il cervello talmente sottosopra da non ricordare con esattezza l’ultima volta che aveva mangiato fino a riempirsi lo stomaco. Forse sul cofano della macchina di Jeff, ma non avrebbe saputo quantificare il tempo passato da quel momento. Avvicinatosi al carrello, però, si ritrovò ad aggrottare la fronte in un’espressione confusa e sorpresa, perché quello che vi trovò non era affatto quello che si aspettava.

«Perché ci hanno portato… pollo fritto e… piselli per colazione?» Storse il naso all’intenso odore di condimenti che gli aggredì i sensi.

«Beh, forse perché quello è il nostro pranzo. La colazione l’abbiamo mancata di… uhm… circa sei ore.»

Nick si voltò ad osservarlo con un sopracciglio inarcato e la sensazione di essersi perso qualche dettaglio di importanza fondamentale in tutta quella faccenda. «Ma quanto abbiamo dormito?»

Jeff era seduto sul letto, completamente vestito e intento ad allacciarsi le scarpe, i capelli ancora umidi di doccia che gocciolavano sull’asciugamano che teneva intorno alle spalle. «Quanto ci meritavamo» dichiarò, alzandosi in piedi e camminando verso di lui.

«Ho bisogno di un caffè» si lamentò l’altro, scrutando con disappunto i vassoi contenenti le varie pietanze. «E zuccheri. Tanti zuccheri.»

Il suo compagno tacque un attimo, come se stesse pensando a qualcosa di davvero serio, poi annuì solenne e «In tal caso, ho un piano B, ci stai?»

Nick aggrottò la fronte. «A scatola chiusa?»

«A scatola chiusa.»

Cosa mai poteva esservi di rischioso nel fidarsi di Jeff e delle sue idee strampalate? L’ultima volta che lo aveva fatto, aveva mangiato un’insalata con le bacchette giapponesi, seduto sul cofano della sua macchina; a ben pensarci, gli era andata davvero di lusso.

«Ci sto» fece schioccare la lingua e si passò una mano tra i capelli, un gesto involontario che neanche si rendeva conto di compiere piuttosto frequentemente quando era nervoso. «Dammi qualche minuto.»

«Tutti i minuti di cui hai bisogno» concesse l’altro, le labbra piegate morbidamente all’insù.

 
              *°*°*°
                     
 
Quando Jeff gli aveva detto “Ti porto a fare colazione a Venezia”, Nick aveva aggrottato la fronte in un’espressione profondamente scettica e titubante. Certo, l’idea di improvvisare una traversata atlantica, solo per mangiare un cornetto e un cappuccino in Italia, sapeva molto di commedia romantica, ma lui dubitava fortemente che il suo compagno avesse intenzione di saltare sul primo volo per l’Europa e partire all’avventura come l’eroina di un romanzo rosa. Eppure…

Eppure Nick stava passeggiando all’ombra del Ponte di Rialto, mentre osservava due Gondole incrociarsi nel canale che lui e Jeff stavano costeggiando.

«Manca solo il cappuccino» riferì a quest’ultimo, mentre prendeva un sorso di caffè dal bicchiere di plastica, «poi sembra davvero di essere lì.»

Jeff annuì e gli rivolse un sorriso sereno e soddisfatto. «Credo sia esattamente questo il concetto di “riproduzione fedele”, sai?» Gli fece notare, calciando un sassolino con la punta della scarpa. Se lo stava portando dietro da almeno cento metri, Nick si domandava quanto ancora ci sarebbe voluto prima che si stancasse.

Continuarono a camminare in silenzio, le braccia che si sfioravano casualmente più spesso di quanto loro volessero dare a vedere, osservando la città che si svegliava fiaccamente dalla sua notte di eccessi. Nick si sentiva intorpidito e un po’ stonato, ma immaginava che quella condizione fosse dovuta agli orari sballati che stava facendo e dello stress fisico a cui si stava sottoponendo, così non si preoccupò di provare a dare un senso al nodo che gli stringeva lo stomaco e a quella sensazione di ansia che si trascinava dietro da quando aveva aperto gli occhi.

«Senti» esordì Jeff, a un tratto. Si fermò ai piedi del campanile di San Marco e gli prese un braccio per indurlo a fare lo stesso.

Non gli piacevano i discorsi che iniziavano con “senti”, non portavano mai a nulla di buono e la serietà del viso di Jeff gli fece intuire che quella volta non avrebbe fatto eccezione. Non ebbe però tempo di aprire bocca e provare a rimandare quel momento che sembrava inevitabile, che il ragazzo lo interruppe e lui fu costretto a tacere e ascoltare.

«Lo so che potrei- ho fatto un casino, dicendoti quella cosa ieri… stanotte, cioè. Ma- non riuscivo più a tenermela dentro e… pensavo che avremmo potuto- parlarne, sai. Parlarne davvero» prese fiato per un attimo, ma tenne lo sguardo ben puntato davanti a sé, verso un punto oltre le spalle di Nick che lui non poteva vedere. «Invece tu… tu non lo fai e- non mi parli e… ho rovinato tutto, mh?»

La prima cosa a cui Nick pensò, per un immediato collegamento logico, fu: “Sono un idiota”. La seconda, per la stessa dinamica di causa-effetto, fu: “Anche tu sei un idiota”. La terza, su cui decise di sorvolare e approfondire poi in un secondo momento, fu: “Sarebbe così facile innamorarsi di te, adesso”.

Il punto era che, in quel viaggio voluto dal caso e non solo, di cose taciute ce ne erano state fin troppe, a cominciare dal loro primo incontro. Nick la ricordava bene, anche se non avrebbe saputo quantificare il tempo trascorso, lui quella bugia la ricordava alla perfezione e continuava a conviverci ogni giorno, a sopportare il senso di colpa che aumentava mano a mano che lui si legava a Jeff. Sapeva di essere un pessimo bugiardo, così come sapeva che Jeff non aveva mai creduto alla storia della macchina da imbarcare per Los Angeles, ma lui rimaneva comunque l’ultima persona a poter giudicare il comportamento dell’altro, dal momento che vi era quella cosa che continuava a portarsi dietro sin da quando Jeff lo aveva soccorso.

«No, non hai rovinato nulla, Jeff» gli rispose con assoluta sincerità, cercando di mantenere la voce morbida e rassicurante, per soffiare via le ombre che gli scurivano il viso. «Ha solo reso le cose più… chiare e facili, ecco. Mi hai colto alla sprovvista, ma- io sono sempre stato abituato a programmare e organizzare e- gli imprevisti così mi scombussolano un po’, ma» tacque un attimo e cercò di dare un senso alle parole che gli si accavallavano alle labbra e che si stavano rivelando più disordinate di quanto fossero nella sua mente. «Mi dispiace di averti dato l’impressione di… non aver gradito» sospirò infine.

L’espressione sul viso del ragazzo si rilassò lentamente, riprendendo i colori che Nick era abituato a vedervi, prima di colorarsi tenuamente di rosso. «Volevo- stavo solo cercando un modo per dirti che mi piaci e che- no, mi piaci, solo questo.»

Nick sorrise istintivamente, soffocando appena a causa della piccola morsa in cui si era stretto il suo cuore. «Anche tu mi piaci e… era un bel modo per dirlo. Il tuo, insomma.»

I suoi occhi nascondevano paure e promesse, un mondo che Nick avrebbe volentieri voluto conoscere, di cui avrebbe con piacere desiderato di essere degno.

«Pensi che- uhm, passerà mai questa sorta di… scompenso cardiaco che» il ragazzo si passò una mano tra i capelli e accompagnò quel gesto con un sospiro rassegnato, le labbra piegate inequivocabilmente all’insù. «Il batticuore, insomma.»

«Oh. No, dubito che andrà via. Penso faccia parte del pacchetto.»

Jeff rise e scosse lievemente la testa, contagiando immediatamente Nick che, dal canto suo, stava cercando la forza di non avventarsi sulle sue labbra e baciarlo a perdifiato. «Che culo» fu il suo singolare commento.

Lui non poté che dargli ragione; gettò il bicchiere del caffè in un cestino e poi allungò una mano per cercare una delle sue, Jeff la strinse prontamente e Nick considerò che, dopotutto, il cuore in gola e lo stomaco annodato non erano sensazioni così spiacevoli da sopportare.
 

Trascorsero il resto del pomeriggio ad esplorare la zona nord della Las Vegas Strip, si lasciarono alle spalle il The Venetian e proseguirono alla scoperta degli altri luoghi d’interesse di quella città così confusionaria e variopinta. A quell’ora del pomeriggio, le strade erano perlopiù silenziose e sgombre di persone, quindi passeggiare era doppiamente piacevole e rilassante. Vi era una sorta di consapevole complicità tra di loro, ora che avevano messo le cose in chiaro anche a parole. Era confortante il modo in cui la mano di Jeff non lasciasse mai quella di Nick, come continuasse a cercare il contatto fisico e visivo con lui, come se avessero fatto un altro passo l’uno verso l’altro, ma in maniera più sicura e fiduciosa. Parlare non era mai risultato così semplice, raccontarsi e indicare questo o quel dettaglio gli veniva quasi naturale, perché era giusto così e lo sapevano entrambi.

Nonostante ciò, però, Nick continuava a sentire un leggero prurito, proprio alla base dello stomaco. Era quello che gli ricordava che Jeff era stato coraggioso abbastanza da confessargli la sua bugia, mentre lui non aveva ancora trovato la forza di metterlo al corrente di tutta la verità. Riusciva a scorgere la serenità sul suo viso, il sollievo per essersi liberato da quel peso opprimente e la libertà di potersi esporre senza forzature o ulteriori inganni. Sembrava una sensazione talmente piacevole che Nick sentì il respiro incastrarsi in gola e le parole lottare per lasciare le sue labbra. Le fermò appena in tempo, un attimo prima che fluissero libere e spegnessero il bel sorriso di Jeff. Perché ne era sicuro: sarebbe accaduto esattamente quello, una volta trovato il momento giusto per dirgli tutto.
 
*°*°*°
 

«Pensavo di partire dopo colazione, così da arrivare a San Diego per… uhm- ci vogliono circa… circa cinque ore, quindi arriveremo nel primo pomeriggio, che ne dici?»

Nick annuì e rotolò sul fianco, per studiare la cartina che Jeff teneva dispiegata sul letto su cui stavano sdraiati. «Che andiamo a vedere?»

«Sarà meglio di una vacanza» sorrise il ragazzo, prendendo una manciata di noccioline dalla ciotola posata tra i cuscini. «Musei d’arte, parchi acquatici e, se abbiamo tempo, possiamo anche andare al mare.»

«Avevo capito che fossimo alla scoperta delle meraviglie architettoniche dell’America.»

«Lo siamo, ma al SeaWorld ci sono i globicefali e io so che tu muori dalla voglia di andare a vederli, insieme a» si prese un labbro tra i denti, mentre sfogliava freneticamente l’immancabile piccola guida dedicata alla città a cui stavano per approdare. «Ferdinand!» Esultò infine, mettendogli davanti agli occhi la foto di un grosso cetaceo imbronciato. In un primo momento, Nick pensò che Jeff fosse completamente impazzito, ma poi si prese qualche secondo per far scorrere lo sguardo sulla didascalia dell’immagine e dovette ricredersi. Si chiamava proprio Ferdinand.

«È un po’ bruttino» constatò, con tutta la sincerità di cui disponeva.

«È un beluga, non deve essere bello, deve mettere paura ai predatori e indurli a fuggire.»

«Non fa una piega.»

Risero insieme con naturalezza e confidenza e, quando poi le risate scemarono, il silenzio che si venne a creare tra loro non aveva nulla di teso o imbarazzato. Jeff continuava a mangiare le sue noccioline, alternando lo sguardo dalla cartina alla guida che stava consultando, mentre Nick si era lasciato cadere sulla schiena e fissava il soffitto. Fuori, la sera era ormai calata su Las Vegas e la città si iniziava a riempire delle sue luci caratteristiche e scintillanti.

«Pensavo» esordì Jeff, dopo qualche attimo, e Nick voltò solo la testa per rivolgergli la sua attenzione. «Di restare a San Diego per… un paio di giorni, più o meno.»

L’altro annuì, ma l’espressione sul viso del ragazzo gli fece intuire che vi era dell’altro, altro che non sarebbe stato così piacevole da ascoltare.

«Da lì poi ci vogliono circa due ore per arrivare a Los Angeles.»

Oh. Oh. Ecco spiegato il mistero della sua espressione triste. Nick avvertì qualcosa incastrarsi e fare male, da qualche parte nella gabbia toracica. Era una sensazione fastidiosa e logorante, perché sapeva quello che Jeff stava per dire, così come sapeva che non voleva che lo dicesse. Non voleva sentirlo, era già tanto riuscire a sopportare la consapevolezza che quel viaggio stesse per finire: dirlo lo avrebbe solo reso più reale e doloroso.

«Non pensarci, ti va?» Propose infine, addolcendo quella richiesta con un sorriso che sperava essere convincente e incoraggiante. «Non voglio rovinare questi ultimi due giorni, non me lo perdonerei mai» così dicendo, posò una mano sulla sua e la strinse teneramente. Quello annuì e si aprì in un piccolo sorriso incerto, così lui si permise di lasciargli qualche carezza sul dorso, per provare a tranquillizzarlo del tutto.

«E poi non sarà un addio, no?» Provò a sorridere Jeff. «Insomma, stiamo entrambi a New York e- vederci non dovrebbe essere un problema. Vero?» Chiese conferma dopo un attimo.

Avrebbe tanto voluto dirgli di sì, rassicurarlo che avrebbero continuato a vedersi e frequentarsi, sporgersi e poi baciarlo per dissolvere ogni suo dubbio, ma non poteva. Non poteva, perché avrebbe significato mentire e distorcere ancora la realtà, e lui aveva già troppi segreti con Jeff. Così chiuse per un attimo gli occhi e prese un respiro profondo, prima di riaprirli e rivolgergli uno sguardo rammaricato e dispiaciuto.

«Non lo so, Jeff. Io- c’è la possibilità che... rimanga a Los Angeles. E non solo per quest’estate.»

Scorse distintamente il viso di Jeff rabbuiarsi, le sue labbra schiudersi per la sorpresa, la fronte aggrottarsi per la confusione. «Nel senso che hai intenzione di trasferirti lì? Perché?»

«Perché» si schiarì la voce che gli era uscita leggermente incerta e arrochita, al pensiero di dar voce a quella storia. «Perché c’è una cosa che non ti ho detto e che- il motivo per cui stavo andando a Los Angeles in auto. Anche io ti ho mentito e-»

«Okay, però non ti agitare» lo interruppe Jeff, strinse un po’ più forte la sua mano e poi si tirò a sedere, facendogli un cenno con la testa per indurlo a fare lo stesso. Nick lo imitò all’istante e Jeff sorrise, incoraggiante. «Lo avevo capito da un pezzo che nascondevi qualcosa, sei un pessimo bugiardo.»

«Non voglio dirtela, perché non mi va di rovinarti la vacanza e lasciartene un ricordo spiacevole.»

Jeff scosse la testa e raggiunse anche l’altra sua mano, stringendola con la propria. «Penso che qualsiasi cosa mi dirai, non potrà cambiare il ricordo che avrò di questa vacanza.»

Stava sorridendo, sebbene Nick riuscisse a scorgere l’incertezza nel suo sguardo, nascosta tra le iridi più opache del solito. Era evidente che stesse cercando di infondergli sicurezza, di essere una roccia e sostenerlo in quel momento così delicato e precario, nonostante sapesse che ne sarebbe uscito ferito. Nick gliene era profondamente grato, ma quel comportamento non faceva altro che acuire il suo senso di colpa.

«Ti ho detto che avrei trascorso l’estate dalla mia famiglia, ma la realtà è che non lo avrei mai fatto volontariamente. Ho un rapporto molto conflittuale con loro, specialmente con mio padre.»

«Quindi ti hanno chiesto loro di andare?»

Nick annuì e lasciò che le lievi carezze di Jeff gli distendessero maggiormente i nervi tesi e stanchi. «Mio padre ha sempre preteso di avere il controllo sulla mia vita, sai. Sulle mie scelte, sulle mie decisioni, la strada da seguire, gli studi da intraprendere. Non sono mai stato particolarmente bravo a farmi ascoltare, perché- non lo so, forse perché non mi andava di deludere lui e mia madre e quindi ho sempre finto che mi andasse bene fare come dicevano loro.»

«Non volevi trascorrere le vacanze da loro?» Domandò allora Jeff, stringendo un po’ l’intreccio delle sue gambe e avvicinandosi a Nick, seduto specularmente a lui. «Volevi rimanere a New York?»

«In realtà non mi sarebbe dispiaciuto trascorrere un po’ di tempo con loro, ma» sospirò e scrollò appena le spalle, «non era solo quello.»

La stretta delle mani di Jeff aumentò, come se il ragazzo avesse compreso che quel momento era importante e che Nick aveva bisogno di tutta la sua presenza, per riuscire a dire quello che doveva. Così lui, semplicemente, lo fece. Sollevò lo sguardo su di lui e gli rivolse un sorriso triste e spento.

«Mio padre possiede una piccola catena di alberghi e case per le vacanze, a Los Angeles. È in affari con suo fratello e, insomma, insieme stanno cercando di allargare un po’ le loro proprietà ed espandersi anche oltre i confini della città» aspettò che Jeff annuisse lentamente, poi proseguì. «E ha pensato di coinvolgere anche me in questo progetto, perché sono l’unico figlio maschio e, a quanto pare, l’idea che io prenda le redini della mia vita e mi trasferisca in pianta stabile a New York non è di suo gradimento.»

«Dunque rimarrai lì e lavorerai per lui?»

«La sua intenzione» gli spiegò, non senza provare un leggero fastidio dalle parti della bocca dello stomaco. «È che io sposi la figlia di un suo socio, proprietario di una catena di ristorazione privata, per unire le due società con un… matrimonio di interessi e non solo.»

L’espressione sul viso di Jeff mutò nel giro di una frazione di secondo. «Oh» boccheggiò e allentò la presa sulle mani di Nick, presa che Nick si premurò di serrare di nuovo. «Direi che… ha un senso. Cioè, sono certo che lo abbia, devo solo… trovarlo, ecco.»

«Sto andando lì per… cercare di contrattare, almeno per quanto riguarda il matrimonio.»

Jeff annuì e distolse lo sguardo, mordendosi un labbro. Nick avrebbe voluto sporgersi e stringerlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, perché era con lui che si era reso conto di voler stare, ma aspettò che il ragazzo metabolizzasse quella notizia per fare alcunché.

«Quindi. Quindi nella migliore delle ipotesi rimarrai lì, mentre male che vada… dovrai anche prestarti a questa storia del matrimonio. Ho capito bene?»

«Sto cercando di pensare ad un’alternativa efficace, ma… non mi è ancora venuto in mente nulla.»

Osservò l’altro distogliere lo sguardo e stringere le labbra in disappunto: quell’espressione così rammaricata e quasi severa, lo portò ad ingoiare a vuoto e a stringere maggiormente le sue mani, per la paura che lui scivolasse via.

«Che fine ha fatto il… il credere in te stesso? I tuoi sogni sono all’altezza della persona che sei, ricordi?» Sorrise tristemente e Nick si odiò quando lo vide aggrottare la fronte in una smorfia contrariata e delusa. «Vuoi davvero mettere tutto da parte per… per non deludere loro? Sei disposto a deludere te stesso per…?»

«No. No, Jeff, non lo sono e non voglio, ma- è mio padre» sospirò, come se quello bastasse a giustificare ogni cosa. Ogni sua debolezza, ogni suo “sì” espresso e ogni suo “no” mancato. «Io ho altri progetti, altre aspirazioni e- voglio restare a New York, voglio tornare a New York. Con te. E voglio rivederti e chiederti di uscire ufficialmente e portarti a cena in un ristorante di lusso e conoscere Sebastian e regalarti fiori e cioccolatini e-»

…e le labbra di Jeff si impossessarono delle sue prima che lui potesse continuare, prima che lui potesse confessargli quanto lo aveva sconvolto, quanto era felice di averlo incontrato, quanto desiderava viverlo e quanto, soprattutto, si sarebbe impegnato per far sì che ciò accadesse. Ma Jeff lo sapeva, Jeff capiva ciò che lui voleva comunicargli con lo sguardo, perché era un tipo di tante parole, ma a conti fatti gliene servivano davvero poche per prendere le sue di decisioni. Lasciò andare le sue mani e si mise in ginocchio sul letto, senza però allontanarsi dalla sua bocca che continuò a baciare con dolcezza e frenesia, come se ne andasse della sua vita e quella fosse davvero l’ultima notte che avevano per stare insieme.

«Sei davvero» bisbigliò, tra un bacio l’altro, mentre Nick spostava le mani tra i suoi capelli per impedirgli di interrompere quel contatto. «Come Robb Stark, allora.»

«Posso essere davvero come Robb Stark» rabbrividì quando Jeff infilò una mano sotto la sua T-shirt e si premette maggiormente sulle sue labbra. «Posso scegliere te… e mandare al diavolo lui.»

A quelle parole, il ragazzo strinse improvvisamente la presa sulla pelle del suo fianco e Nick distinse l’esatto istante in cui il suo sguardo cambiò, le pupille che si dilatavano e inghiottivano le iridi chiare. «Fallo, allora» mormorò, la sua voce bassa e strascicata celava una leggera nota di preghiera mista a disperazione; Nick sentì il sangue pompargli più velocemente nelle vene e impedirgli di pensare lucidamente. «Scegli me

E Nick lo fece, perché era Jeff ed era quello che voleva sin da quando lo aveva incontrato accanto alla sua auto in panne. Scelse lui, spegnendo il cervello e limitandosi a vivere quell’attimo con assoluta libertà; scelse lui, facendolo stendere sul letto e continuando a baciarlo con passione e delicatezza; scelse lui quando gli sfilò la maglia e scelse ancora lui quando si chinò a baciargli la pelle chiara e liscia del torace.

Era talmente facile scegliere lui, che Nick si domandò come avesse potuto anche solo pensare di farne a meno, di lasciarlo da parte e proseguire oltre. Di rinunciare a lui volontariamente, di privarsi delle sue dita sottili, delle sue labbra morbide e del suo calore che riscaldava anche lui. Se lo chiese più volte e poi smise di farlo, perché la risposta a quel quesito era talmente semplice e banale che non vi era necessità di soffermarvici.

Lasciò che il corpo di Jeff si formasse intorno al suo, che si abituasse al suo tocco e adattasse alla sua presenza; lasciò che le sue mani lo accarezzassero e che le sue labbra lo baciassero, che i loro cuori battessero all’unisono. Si prese ciò che Jeff era disposto a concedergli, a piccole dosi, senza il bisogno o la voglia di affrettare i tempi e bruciare le tappe, con calma e complicità. Piccoli tocchi e fruscii di lenzuola, le cartine spostate alla cieca e le noccioline rovesciate tra i cuscini; i “Nick” chiamati sottovoce e i “Jeff” sussurrati tra pieghe accoglienti di pelle chiara.

Strinse la mano di Jeff come aggrappandosi ad essa, senza mai abbandonare il suo sguardo o il porto sicuro che era il suo corpo. Jeff intrecciò le dita alle sue e condusse le loro mani lungo il proprio torace, tra brevi sospiri e brividi caldi, raggiunse l’anca sinistra e lì si fermò.

Fu allora che Nick capì, abbassando lo sguardo sulla pelle a contatto con le sue dita, dove le linee scure del tatuaggio di Jeff si armonizzavano.

Credi in te stesso.

Jeff lo stava salvando di nuovo.
 
 

 
 

 
 
 
Lo so che scusarmi per il ritardo servirebbe a ben poco, visto che sono passati altri tre mesi, ma spero che almeno il capitolo sia stato di vostro gradimento e che sia valso l’attesa estenuante. Ho avuto un po’ di problemi con i Niff, in questo periodo, sentivo di non riuscire più a scriverli bene e di non essere più capace di tenerli IC rispetto ai personaggi che io stessa avevo presentato; così me la sono presa un po’ più comoda e ho aspettato che la voglia di scrivere di loro mi tornasse da sola, senza che fossi io a costringermi a farlo. Alla fine, spero che il risultato sia stato di vostro gradimento, perché io ammetto di esserne molto soddisfatta.

Anzi, vi dirò: ho in mente quest’ultima scena sin dal primo capitolo e ci ho fantasticato su talmente tanto e talmente a lungo, che più la rileggo e più sono soddisfatta di notare che è venuta esattamente come volevo scriverla io. Di nuovo, spero sia piaciuta anche a voi; non avete idea di quanto sia stato difficile mantenermi sul rating arancione, anche perché per i Niff non mi sono mai spinta oltre il giallo pallido xD

Non mi perdo in molte chiacchiere, anche perché non ho molto altro da dire riguardo questo capitolo. L’unica cosa che ci tenevo a precisare è che ho finalmente trovato il tempo per plottare tutta Rescue Me e che quindi posso annunciarci con sicurezza che saranno 15 capitoli tondi tondi (14 + epilogo) e che, da ora in poi, mi impegnerò solennemente a garantirvi aggiornamenti più regolari.

Per il resto, potete tranquillamente venirmi a trovare in pagina, per informazioni circa le mie storie, spoiler e aggiornamenti, deliri fangirlici o, semplicemente, per fare quattro chiacchiere ♥

Un grazie a chi è ancora qui dopo tutto questo tempo e a chi, eventualmente, si prenderà qualche minuto per farmi sapere cosa pensa di questo ennesimo capitolo chilometrico ♥
 

Robs ♥
   
 
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