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Autore: gutsandglitter    22/10/2013    1 recensioni
Dopo una spiacevole diagnosi, Mycroft insiste per rompere con Greg, mentre Greg insiste nel volersi prendere cura di Mycroft. TRADUZIONE dell'omonima fiction di gutsandglitter.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Lestrade , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5                     

Greg teneva in equilibrio la sua valigetta con una mano mentre con l’altra armeggiava a fatica con il suo cellulare. Anthea gli aveva mandato un messaggio in cui gli comunicava il numero di stanza di Mycroft e gli aveva fatto avere il giorno libero, ma nemmeno lei aveva potuto risparmiargli la montagna di scartoffie che la ventiquattrore conteneva. In realtà era tutta colpa di Sherlock: aveva placcato con forza una vecchietta pensando che fosse il suo sospettato. I piani alti non gradivano quel tipo di comportamento.

Greg trovò il messaggio che stava cercando e cominciò a dirigersi verso la stanza. La bella impugnatura di pelle della ventiquattrore era morbida contro il piano ruvido del suo palmo.

Greg inarcò le sopracciglia mentre toglieva la valigetta dalla scatola di stoffa imbastita con della carta. La pelle era liscia come il burro ed ovviamente era costata più o meno quanto il nuovo condizionatore che l’Ispettore aveva inserito nella sua Fiat la settimana prima.

"Wow, My. non so cosa dire."

Il viso di Mycroft si rabbuiò. "Non ti piace."

"No, è fantastica. Ma, voglio dire, è davvero troppo. Ci frequentiamo da pochissimo. Non posso accettarla."

Mycroft si inalberò. "Gregory, hai bisogno di una nuova ventiquattrore. Quella che hai adesso sta cadendo a pezzi, letteralmente. E’ il tuo compleanno ed è mio dovere come tuo- ehm…" la sua voce si interruppe mentre cercava di trovare un titolo adatto alla loro relazione.

Greg era a sua volta perplesso su quel punto. Ragazzo sembrava infantile, amante sembrava pomposo.

"Come tuo," disse Mycroft a voce bassa. "Ecco ciò che sono. Sono tuo, - mente, corpo e anima."

Il cuore di Greg perse un battito. "Ecco, questo è il più grande regalo che avrei mai potuto ricevere," disse, chinandosi per baciare Mycroft.

Greg scese dall’ascensore una volta raggiunto il quarto piano ed incontrò un volto familiare anche se esausto.

L’espressione di Anthea si addolcì quando lo vide. "Ehi Greg," disse piano. Ci fu una pausa imbarazzata prima che lei sollevasse le braccia, chiedendogli un abbraccio in silenzio.

Greg acconsentì, avvolgendola con le sue braccia e massaggiandole la schiena per darle conforto.

La donna sospirò poi si staccò, riprendendo il suo solito contegno. “L’operazione è durata più a lungo del previsto ma pensano che sia andata a buon fine. E’ ancora sotto anestesia adesso e lo sarà per un po’. L’ho tenuto d’occhio perché non permetterei a nessuno di questi inservienti di superare la distanza a cui potrei gettarli. Anche meno in effetti," disse, flettendo appena I bicipiti.

"Sembri esausta. Da quanto sei sveglia?"

Lei gettò un’occhiata al suo delicato orologio d’oro da polso. “Cinquantadue ore e diciannove minuti," disse in modo piatto.

Greg spostò il peso da un piede all’altro. "Beh, pensavo di poter stare con lui per un po’. Non sono sicuro della distanza a cui potresti lanciarmi, ma penso di essermi dimostrato abbastanza affidabile quando si tratta di Mycroft. Perché non vai a casa e dormi un po’ mentre io controllo il fortino?"

Lei inarcò un sopracciglio. "Mi ha detto esplicitamente di non lasciarti entrare in quella stanza. Ho disobbedito ai suoi ordini solo una volta prima d’ora ed è stato durante una crisi con ostaggi in Guatemala." Guardò Greg dall’alto in basso per un istante. "Allora mi rivelai essere nel giusto, e confido di esserlo anche adesso. Se proverai che il mio giudizio è sbagliato, ti farò licenziare sommariamente dal Met e mi assicurerò che tu non lavori mai più in una qualunque forza di polizia." Annuì con sfacciataggine ed entrò nell’ascensore, le porte si chiusero dietro di lei.

Greg rimase lì sbalordito, ma si scoprì anche un po’ incoraggiato dal discorso di Anthea. Si scoprì anche a chiedersi cosa diavolo fosse successo in Guatemala, ma sapeva che non avrebbe mai trovato una risposta adeguata.

Si guardò intorno cercando la stanza numero 459 ma si accorse che il fatto che Anthea gli avesse spedito il numero di camera per telefono era stato ridondante. Avrebbe semplicemente potuto dire “quarto piano, l’unica stanza con una guardia armata piazzata fuori."

Camminò verso la guardia, pronto a mostrargli il suo tesserino del Met, ma l’uomo gli fece cenno di entrare. Lui entrò nella stanza con esitazione. Sentì un groppo formarglisi in gola quando i suoi occhi si posarono su Mycroft. Era pallido, più pallido di quanto l’avesse mai visto. C’erano dei cerchi neri sotto i suoi occhi ed aveva ogni sorta di tubi e monitor attaccati al suo corpo. Bende spesse erano avvolte intorno al suo collo. Era addormentato, come gli aveva detto Anthea, ma non era un vero sonno. Greg aveva sempre adorato osservare Mycroft quando dormiva, il modo in cui sembrava tranquillo e mite. Adesso sembrava solo debole. Appariva così piccolo in quel letto d’ospedale che Greg a stento poteva credere che quello fosse lo stesso uomo in grado di far capitolare un dittatore con una chiamata telefonica o di far sì che i presidenti eseguissero i suoi ordini con una singola occhiata.   

Greg andò verso il letto e lasciò cadere la valigetta accanto ad esso. Si sedette sul bordo del materasso e prese una delle mani di Mycroft, quella a cui non era attaccato il monitor che controllava il battito. Era fredda, ma familiare. Fece scorrere la punta dell’indice sulle nocche, sfiorando con piccoli cerchi la ferita a mezza luna sul suo pollice che Mycroft aveva giurato di essersi procurato durante una lotta con i coltelli contro Hugo Chavez.

"Oh Mycroft," disse piano, portandosi le nocche alle labbra mentre il suo corpo cominciava a tremare. Lacrime gli scorsero lungo le guance mentre stringeva disperatamente la mano di Mycroft. Dopo pochi minuti in cui singhiozzò senza remore cominciò ad andare in iperventilazione, perciò si costrinse a calmarsi ed a riprendere il suo respiro naturale. Inalò a fondo e sollevò un angolo del lenzuolo di Mycroft per tamponarsi gli occhi. Rise tra sé: grazie a Dio Mycroft nel suo stato di incoscienza non aveva visto quello spettacolino. Sentì una piccola fitta quando si accorse che non avrebbe dovuto tenere la mano di Mycroft, ricordandosi i desideri dell’altro. Sospirò debolmente e baciò un’altra volta le nocche prima di posare nuovamente la mano pallida sul letto.

Quando Mycroft si svegliò quattro ore dopo, Greg stava placidamente lavorando alle sue pile di scartoffie su una scrivania di fortuna.

"Buongiorno dormiglione," disse l’Ispettore con un finto sorriso.

Gli occhi di Mycroft si inumidirono per il dolore mentre sollevava con circospezione una mano verso la sua gola fasciata. Fece una smorfia.

Greg si preoccupò. "Hai bisogno che ti chiami un’infermiera?"

Mycroft inclinò appena la testa. L’Ispettore balzò nel corridoio, afferrando la prima infermiera che vide e guidandola nella stanza. La donna controllò le carte di Mycroft e gli fece un’iniezione di qualcosa che lo fece riaddormentare. L’ultima cosa che vide prima che il sonno avvolgesse la sua coscienza fu Greg, in piedi al bordo del letto con un’aria preoccupata. Si svegliò diverse ore più tardi con Anthea accanto al letto.

"Se n’è andato," disse lei, senza alzare gli occhi dal suo Blackberry. "E’ stato qui per otto ore di fila. Ho fatto venire il dottor Watson per prenderlo e portarlo al pub."

Il viso di Mycroft si rilassò ed i suoi occhi si chiusero un’altra volta.

"E’ solo, è solo che non riesco a capirlo," Greg biascicò, versando un po’ di Lager sul banco di legno. “John, mi prenderei una pallottola per quell’uomo. In effetti, l’ho quasi fatto. Rico-ricordi quella volta?"

"Sì, me la ricordo," John disse, facendo un sorrisetto compiaciuto mentre si portava il bicchiere alle labbra. "Certo che lo reggi poco l’alcool, eh?" chiese mantra la testa di Greg vacillava.

L’Ispettore lasciò gli occhi al cielo e lasciò cadere pesantemente un braccio sopra il bancone. “Tsk, sto bene."

"Oi, piccioncini potete fare più piano? Qui stiamo cercando di guardare la partita," ringhiò un uomo dall’aspetto corpulento seduto alcuni sgabelli più in là.

"Che hai detto?" chiese Greg, ruotando lo sgabello per guardare l’altro.

"Mi hai sentito, dannato frocio," l’uomo ringhiò.

Prima che John potesse reagire, Greg si era alzato e si era lanciato contro l’uomo più grosso. L’altro con un rapido movimento gettò l’Ispettore sulla schiena e cominciò a prenderlo a pugni, uno dietro l’altro in rapida successione mentre Greg si divincolava sotto la sua massa.

"Levati di dosso da lui!" John gridò, tirando la giacca di pelle dell’uomo.

All’improvviso comparve il barista, che separò i due con uno strattone. “Uscite da qui, tutti e due!"

John aiutò Greg ad alzarsi e ad andare verso la porta. Quest’ultimo sussultò, già sentendo il danno che l’uomo gli aveva inflitto. Fissò il suo, costringendo i suoi piedi a continuare a procedure. Osservò come il pavimento di legno diventava asfalto sotto le suole delle sue scarpe logore.

"Come ha-?" chiese John, facendo di lanciare un’occhiata in alto. Davanti a loro c’era la familiare macchina nera lunga, il cui motore girava pazientemente al minimo lungo il cordolo. Greg cominciò a ridacchiare, ma si fermò quando sentì una fitta di dolore nelle sue costole contuse. "Quella donna si merita un cavalierato," borbottò tra sé.

 

 

  
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