CAPITOLO
5
Greg
teneva in equilibrio la sua valigetta con una mano mentre con l’altra armeggiava
a fatica con il suo cellulare. Anthea gli aveva mandato un messaggio in cui gli
comunicava il numero di stanza di Mycroft e gli aveva fatto avere il giorno
libero, ma nemmeno lei aveva potuto risparmiargli la montagna di scartoffie che
la ventiquattrore conteneva. In realtà era tutta colpa di Sherlock: aveva
placcato con forza una vecchietta pensando che fosse il suo sospettato. I piani
alti non gradivano quel tipo di comportamento.
Greg
trovò il messaggio che stava cercando e cominciò a dirigersi verso la stanza. La
bella impugnatura di pelle della ventiquattrore era morbida contro il piano
ruvido del suo palmo.
Greg
inarcò le sopracciglia mentre toglieva la valigetta dalla scatola di stoffa
imbastita con della carta. La pelle era liscia come il burro ed ovviamente era
costata più o meno quanto il nuovo condizionatore che l’Ispettore aveva inserito
nella sua Fiat la settimana prima.
"Wow,
My. non so cosa dire."
Il viso
di Mycroft si rabbuiò. "Non ti piace."
"No, è
fantastica. Ma, voglio dire, è davvero troppo. Ci frequentiamo da pochissimo.
Non posso accettarla."
Mycroft
si inalberò. "Gregory, hai bisogno di una nuova ventiquattrore. Quella che hai
adesso sta cadendo a pezzi, letteralmente. E’ il tuo compleanno ed è mio dovere
come tuo- ehm…" la sua voce si interruppe mentre cercava di trovare un titolo
adatto alla loro relazione.
Greg
era a sua volta perplesso su quel punto. Ragazzo sembrava infantile, amante
sembrava pomposo.
"Come
tuo," disse Mycroft a voce bassa. "Ecco ciò che sono. Sono tuo, - mente, corpo e
anima."
Il
cuore di Greg perse un battito. "Ecco, questo è il più grande regalo che avrei
mai potuto ricevere," disse, chinandosi per baciare Mycroft.
Greg
scese dall’ascensore una volta raggiunto il quarto piano ed incontrò un volto
familiare anche se esausto.
L’espressione
di Anthea si addolcì quando lo vide. "Ehi Greg," disse piano. Ci fu una pausa
imbarazzata prima che lei sollevasse le braccia, chiedendogli un abbraccio in
silenzio.
Greg
acconsentì, avvolgendola con le sue braccia e massaggiandole la schiena per
darle conforto.
La
donna sospirò poi si staccò, riprendendo il suo solito contegno. “L’operazione è
durata più a lungo del previsto ma pensano che sia andata a buon fine. E’ ancora
sotto anestesia adesso e lo sarà per un po’. L’ho tenuto d’occhio perché non
permetterei a nessuno di questi inservienti di superare la distanza a cui potrei
gettarli. Anche meno in effetti," disse, flettendo appena I
bicipiti.
"Sembri
esausta. Da quanto sei sveglia?"
Lei
gettò un’occhiata al suo delicato orologio d’oro da polso. “Cinquantadue ore e
diciannove minuti," disse in modo piatto.
Greg
spostò il peso da un piede all’altro. "Beh, pensavo di poter stare con lui per
un po’. Non sono sicuro della distanza a cui potresti lanciarmi, ma penso di
essermi dimostrato abbastanza affidabile quando si tratta di Mycroft. Perché non
vai a casa e dormi un po’ mentre io controllo il fortino?"
Lei
inarcò un sopracciglio. "Mi ha detto esplicitamente di non lasciarti entrare in
quella stanza. Ho disobbedito ai suoi ordini solo una volta prima d’ora ed è
stato durante una crisi con ostaggi in Guatemala." Guardò Greg dall’alto in
basso per un istante. "Allora mi rivelai essere nel giusto, e confido di esserlo
anche adesso. Se proverai che il mio giudizio è sbagliato, ti farò licenziare
sommariamente dal Met e mi assicurerò che tu non lavori mai più in una qualunque
forza di polizia." Annuì con sfacciataggine ed entrò nell’ascensore, le porte si
chiusero dietro di lei.
Greg
rimase lì sbalordito, ma si scoprì anche un po’ incoraggiato dal discorso di
Anthea. Si scoprì anche a chiedersi cosa diavolo fosse successo in Guatemala, ma
sapeva che non avrebbe mai trovato una risposta adeguata.
Si
guardò intorno cercando la stanza numero 459 ma si accorse che il fatto che
Anthea gli avesse spedito il numero di camera per telefono era stato ridondante.
Avrebbe semplicemente potuto dire “quarto piano, l’unica stanza con una guardia
armata piazzata fuori."
Camminò
verso la guardia, pronto a mostrargli il suo tesserino del Met, ma l’uomo gli
fece cenno di entrare. Lui entrò nella stanza con esitazione. Sentì un groppo
formarglisi in gola quando i suoi occhi si posarono su Mycroft. Era pallido, più
pallido di quanto l’avesse mai visto. C’erano dei cerchi neri sotto i suoi occhi
ed aveva ogni sorta di tubi e monitor attaccati al suo corpo. Bende spesse erano
avvolte intorno al suo collo. Era addormentato, come gli aveva detto Anthea, ma
non era un vero sonno. Greg aveva sempre adorato osservare Mycroft quando
dormiva, il modo in cui sembrava tranquillo e mite. Adesso sembrava solo debole.
Appariva così piccolo in quel letto d’ospedale che Greg a stento poteva credere
che quello fosse lo stesso uomo in grado di far capitolare un dittatore con una
chiamata telefonica o di far sì che i presidenti eseguissero i suoi ordini con
una singola occhiata.
Greg
andò verso il letto e lasciò cadere la valigetta accanto ad esso. Si sedette sul
bordo del materasso e prese una delle mani di Mycroft, quella a cui non era
attaccato il monitor che controllava il battito. Era fredda, ma familiare. Fece
scorrere la punta dell’indice sulle nocche, sfiorando con piccoli cerchi la
ferita a mezza luna sul suo pollice che Mycroft aveva giurato di essersi
procurato durante una lotta con i coltelli contro Hugo Chavez.
"Oh
Mycroft," disse piano, portandosi le nocche alle labbra mentre il suo corpo
cominciava a tremare. Lacrime gli scorsero lungo le guance mentre stringeva
disperatamente la mano di Mycroft. Dopo pochi minuti in cui singhiozzò senza
remore cominciò ad andare in iperventilazione, perciò si costrinse a calmarsi ed
a riprendere il suo respiro naturale. Inalò a fondo e sollevò un angolo del
lenzuolo di Mycroft per tamponarsi gli occhi. Rise tra sé: grazie a Dio Mycroft
nel suo stato di incoscienza non aveva visto quello spettacolino. Sentì una
piccola fitta quando si accorse che non avrebbe dovuto tenere la mano di
Mycroft, ricordandosi i desideri dell’altro. Sospirò debolmente e baciò un’altra
volta le nocche prima di posare nuovamente la mano pallida sul
letto.
Quando
Mycroft si svegliò quattro ore dopo, Greg stava placidamente lavorando alle sue
pile di scartoffie su una scrivania di fortuna.
"Buongiorno
dormiglione," disse l’Ispettore con un finto sorriso.
Gli
occhi di Mycroft si inumidirono per il dolore mentre sollevava con circospezione
una mano verso la sua gola fasciata. Fece una smorfia.
Greg si
preoccupò. "Hai bisogno che ti chiami un’infermiera?"
Mycroft
inclinò appena la testa. L’Ispettore balzò nel corridoio, afferrando la prima
infermiera che vide e guidandola nella stanza. La donna controllò le carte di
Mycroft e gli fece un’iniezione di qualcosa che lo fece riaddormentare. L’ultima
cosa che vide prima che il sonno avvolgesse la sua coscienza fu Greg, in piedi
al bordo del letto con un’aria preoccupata. Si svegliò diverse ore più tardi con
Anthea accanto al letto.
"Se n’è
andato," disse lei, senza alzare gli occhi dal suo Blackberry. "E’ stato qui per
otto ore di fila. Ho fatto venire il dottor Watson per prenderlo e portarlo al
pub."
Il viso
di Mycroft si rilassò ed i suoi occhi si chiusero un’altra
volta.
"E’
solo, è solo che non riesco a capirlo," Greg biascicò, versando un po’ di Lager
sul banco di legno. “John, mi prenderei una pallottola per quell’uomo. In
effetti, l’ho quasi fatto. Rico-ricordi quella volta?"
"Sì, me
la ricordo," John disse, facendo un sorrisetto compiaciuto mentre si portava il
bicchiere alle labbra. "Certo che lo reggi poco l’alcool, eh?" chiese mantra la
testa di Greg vacillava.
L’Ispettore
lasciò gli occhi al cielo e lasciò cadere pesantemente un braccio sopra il
bancone. “Tsk, sto bene."
"Oi,
piccioncini potete fare più piano? Qui stiamo cercando di guardare la partita,"
ringhiò un uomo dall’aspetto corpulento seduto alcuni sgabelli più in
là.
"Che
hai detto?" chiese Greg, ruotando lo sgabello per guardare
l’altro.
"Mi hai
sentito, dannato frocio," l’uomo ringhiò.
Prima
che John potesse reagire, Greg si era alzato e si era lanciato contro l’uomo più
grosso. L’altro con un rapido movimento gettò l’Ispettore sulla schiena e
cominciò a prenderlo a pugni, uno dietro l’altro in rapida successione mentre
Greg si divincolava sotto la sua massa.
"Levati
di dosso da lui!" John gridò, tirando la giacca di pelle
dell’uomo.
All’improvviso
comparve il barista, che separò i due con uno strattone. “Uscite da qui, tutti e
due!"
John
aiutò Greg ad alzarsi e ad andare verso la porta. Quest’ultimo sussultò, già
sentendo il danno che l’uomo gli aveva inflitto. Fissò il suo, costringendo i
suoi piedi a continuare a procedure. Osservò come il pavimento di legno
diventava asfalto sotto le suole delle sue scarpe logore.
"Come
ha-?" chiese John, facendo di lanciare un’occhiata in alto. Davanti a loro c’era
la familiare macchina nera lunga, il cui motore girava pazientemente al minimo
lungo il cordolo. Greg cominciò a ridacchiare, ma si fermò quando sentì una
fitta di dolore nelle sue costole contuse. "Quella donna si merita un
cavalierato," borbottò tra sé.