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Autore: MandyCri    23/10/2013    21 recensioni
Ellen Mayer è la regina del liceo, l’idolo di tutte le ragazze della scuola.
Bionda con gli occhi azzurri e un fisico da pin up.
Tom Gore è invece il nerd della scuola.
Moro con gli occhi neri.
Grasso, brufoloso, occhialuto e con un vistoso apparecchio ai denti.
È ovviamente il bersaglio preferito della splendida, ma crudele Ellen.
Ma si sa, la vita riserva molte sorprese.
Cosa succederà quando i due si incontreranno, dopo sette lunghi anni dalla fine del liceo, per un colloquio di lavoro?
Scopritelo insieme a Ellen e a Tom, ma ricordatevi: non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi!
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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grazie a PinkyCCh per il meraviglioso banner

e il bellissimoTRAILER

 
 
Ciao e scusate il ritardo.
Avverto subito che il capitolo è incompleto, ci sarà il seguito, ma stava diventando troppo lungo e ho preferito dividerlo in due.
Come sempre ringrazio davvero tutti per l'affetto che mi dimostrate e spero che anche questo capitolo vi soddisfi.
Me lo farete sapere voi se vi va.
Grazie a chi mi ricorda, segue e preferisce,
Grazie a coloro che mi hanno messa come autrice preferita.
E' una grande soddisfazione!
E grazie anche a chi mi dedica il suo tempo e mi lascia sempre un ricordo con una recensione.
Grazie davvero.
Il gruppo è sempre quello se volete L'amore non è bello se non è litigarello
Ed ora buona lettura.
Besos MandyCri

 
***

CAPITOLO 11
 
Si era svegliato proprio di buon umore quella mattina.
Quei due giorni passati con Gaccio lo avevano proprio rigenerato.
A parte il piccolo inconveniente “Ellen Mayer”, il resto era filato per il meglio.
Niente era in grado di farlo sentire bene, come il suo fidato amico George Morris.
Ok, anche lo scrittore sembrava avesse un debole per Ellen, ma nessuno era perfetto, giusto?
Tom si era fatto una bella doccia, si era rasato con cura ed era andato a far colazione nel suo bar preferito, dove lavorava la sua cameriera preferita.
Aveva pasturato con la ragazza e le aveva promesso di tornare la sera a prenderla, così avrebbero mangiato un boccone insieme.
Ah! Una bella scopata era quello che ci voleva per concludere degnamente quella giornata che si prospettava entusiasmante.
Cosa poteva andare storto? Niente!
Nemmeno Satana in gonnella gli avrebbe rovinato quel giorno. Era troppo di buon umore.
Si diresse verso la “Gore” anche se era, incredibilmente, in anticipo.
Wenda apriva l’ufficio alle nove e mancavano ancora quaranta minuti suonati.
Poco male, avrebbe ispezionato per bene il suo ufficio e il lavoro di Miss Mayer, tanto era certo che non avesse svolto nemmeno la metà dei compiti che le aveva assegnato.
Sogghignò maligno: un bel motivo per far fuori Satana!
Salutò il portiere e salì in ascensore, fischiettando.
Si stiracchiò, felice di cominciare una nuova giornata lavorativa, o meglio, una giornata lavorativa in cui avrebbe fatto fuori quella palla di lardo.
Ormai la guerra era cominciata e non era stato di certo lui ad accendere la miccia.
Chi se ne fregava dei muffin e di quella brontolona del suo braccio destro!
Wenda non avrebbe certo negato l’evidenza, quando le avrebbe portato le prove inconfutabili che Ellen non era in grado di svolgere quel semplice lavoro di segreteria.
Non appena uscì dall’ascensore, il sorriso gli morì dalle labbra.
Spalancò gli occhi, stupefatto – Miss Mayer… cosa ci fa qui? – balbettò, guardando ripetutamente l’orologio da polso.
Ellen lo accolse con un gran sorriso – Mr. Gore, buon giorno! – lo salutò con gioia – Wenda mi aveva detto che, dopo i tuoi incontri con il magnifico, strabiliante, unico e solo George Morris, saresti arrivato in anticipo in ufficio, così ne ho approfittato e sono venuta su, di solito aspetto Wenda al parco, ma sai, comincia a far freddo adesso, per sedersi su una panchina e attendere che qualcuno mi venga ad aprire. Sarebbe il caso mi dessi un mio paio di chiavi.
Tom guardò di sottecchi la ragazza.
Che cazzo ci faceva in ufficio a quell’ora?
Ok, arrivare in anticipo, non significava certo che fosse meritevole di restare, magari soffriva, semplicemente, di insonnia.
Ecco quella era l’unica soluzione! Non poteva essere così dedita ai suoi compiti, in fin dei conti era solo due giorni che lavorava per lui.
- Miss Mayer non è necessario arrivare all’alba in ufficio – protestò, cercando le chiavi.
- Lo so, ma non mi piace essere in ritardo, perché non si sa mai. Se trovassi un incidente per strada? Mi seccherebbe parecchio, darti delle scuse per lasciarmi a casa.
Tom arricciò il naso – Ah, se è per questo non mi servono delle scuse Ellen per licenziarti, avrei già tutti i presupposti. Mi hai chiamato per conoscere Gaccio, ma ti rendi conto? E poi… devo ancora vedere cosa hai combinato in ufficio, sei hai fatto quello che dovevi e, soprattutto, se hai messo in ordine, come ti avevo richiesto. Comunque, un motivo valido per dirti addio, sarà quando i duemila fogli speciali non arriveranno, come ho specificamente richiesto, entro venerdì, sai com’è… saresti fuori, esclusa dal gioco. Ti sto aspettando al varco – esclamò sicuro.
Ellen gli sorrise a trentadue denti – Sai Tom, vorrei proprio sapere quanto tempo prima li avete ordinati voi i fogli speciali che siamo andati a prendere io e te, giusto per capire se stai facendo il possibile per renderti odioso… - si fermò un attimo, lo scrutò a fondo – Ma, fortunatamente, non ne ho bisogno. Non vedo l’ora di vedere la tua faccia, quando entro venerdì, avrai tutto ciò che mi hai chiesto.
Tom sospirò.
Povera illusa, con lo stronzo non era mai detta l’ultima parola.
Lei non lo sapeva, ma Mattew Ford era il fornitore più inaffidabile che potesse esistere sulla faccia della terra, purtroppo era anche il più bravo in quel campo, quindi, nonostante tutto, ogni volta si rivolgevano a lui.
- Se lo dici tu… - disse assottigliando gli occhi, poi si girò e aprì la porta.
La prima cosa che notò, non appena entrò in ufficio, fu un leggero odore di caramella o meglio, quel profumo dolciastro che emanavano le gommine da cancellare (che ovviamente non cancellavano una sega) che, ai suoi tempi, si trovavano come regalo nelle confezioni di merendine.
Avanzò annusando l’aria come un cane da tartufo.
L’olfatto lo portò stranamente alla scrivania di Ellen.
Non appena vide come era stata trasformata, Tom si portò le mani davanti agli occhi – Miss Mayer… - gemette – Questa è un’agenzia seria – protestò, indicando la marea di rosa che la sovrastava.
- La scrivania è mia e ci faccio quel che voglio, se permetti!
Tom avrebbe voluto replicare per le rime, ma evitò.
In fin dei conti Ellen gli stava servendo su un piatto d’argento la sua lettera di licenziamento.
Alzò le mani in segno di resa – Hai ragione! A me interessa solo che tu faccia il tuo dovere, se poi ti piace guardare la faccia della gattaccia tutte le ore che passi qui dentro, non sono certo affari miei. Piuttosto hai fatto tutto quello che ti avevo dato in carico?
Ellen lo fissò imbronciata – Certo, per chi mi hai presa? Erano compiti molto semplici – rispose sostenuta – Ho fatto l’ordine di cancelleria, che tra parentesi sono andata a prendere io il giorno stesso, comprando il triplo del materiale che ordinate di solito, risparmiando un bel venti per cento, quindi siamo a posto per un bel po’ di mesi. Ho risposto al telefono e ho anche messo in ordine il tuo ufficio. Adesso finalmente lì dentro si respira!
- Non fare troppo la spiritosa Miss Mayer. Devi ancora superare il periodo di prova – l’ammonì.
Ellen abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore – Dovrebbe andare bene come ho sistemato. Ho messo tutte le pratiche in ordine e le ho suddivise in cartelline, rigorosamente dello stesso colore, per te ho scelto l’azzurro. Ognuna ha un etichetta con il nome del cliente e le ho messe in ordine alfabetico, così si fa prima a trovarle. Ti ho trascritto tutti i numeri di telefono su una rubrica nuova, perché quella vecchia ormai perdeva fogli e poi era oscena, come si fa mi chiedo io, ad usare mille colori di penna diversi? Ti ho anche segnalato tutte le telefonate che hai ricevuto in questi giorni, in ordine di importanza, sarà facile capire, ti ho fatto un indice da seguire e infine, ho anche spolverato. Vedrai Mr. Gore non lo riconoscerai il tuo ufficio. Quando entrerai non crederai ai tuoi occhi – disse orgogliosa.
Tom assottigliò lo sguardo.
Possibile che avesse fatto davvero tutte quelle cose in due miseri giorni? – E dimmi Miss Mayer, quando hai trovato il tempo per trascrivere addirittura un’intera rubrica? – chiese sospettoso.
- L’ho portata a casa e l’ho fatta nel pomeriggio e di sera – rispose seria.
Tom avvertì nitida una stretta al cuore.
Si era portata il lavoro a casa per fargli vedere che era all’altezza di quel posto?
Ancora una volta si sentì, letteralmente, una merda.
Si voltò e si diresse verso il suo ufficio, giusto per non farle vedere che si sentiva in colpa.
Era già tanto che la cancelleria fosse arrivata.
Ok, per se stessa se l’era scelta un po’ colorata e fuori dalla norma, ma poteva soprassedere.
A dire la verità, a parte la gommina fetida, la scrivania di Ellen gli era sembrata ordinata e piena di vita.
Ariel, la vecchia segretaria, doveva sollecitare almeno cinque volte gli ordini di cancelleria, prima che lo stronzo si decidesse ad spedirli. Ellen, invece, era riuscita ad averli il giorno stesso ed era pure andata a prenderseli.
Forse, forse…  FORSE si era sbagliato sul suo conto.
Entrò nel suo ufficio e rimase di stucco.
Tutto era perfettamente in ordine, tutto era pulito.
Tom spalancò gli occhi sorpreso e chiuse subito la porta dietro di sé, per non dare nessuna soddisfazione a Miss Mayer.
Non era possibile!
L’aria era pulita e non sapeva più di polvere. Si guardò intorno.
Proprio come Ellen gli aveva accennato, non c’erano più mille fogli svolazzanti. Sulla cassettiera c’erano centinaia di cartelline, tutte rigorosamente azzurre, divise in varie pile. Si avvicinò guardingo e ne prese una a caso. Sul davanti, in bella calligrafia, era segnalato il nome del cliente in alto e poi tutti i documenti contenuti all’interno.
Ci teneva ai suoi fogli perché, nonostante fosse tutto registrato e archiviato in files al computer, se per caso, succedeva qualcosa, almeno avevano tutte le copie cartacee.
Spostò lo sguardo dalla parte opposta e vide un’altra pila di cartelline.
Si avvicinò curioso e ne aprì una.
Ellen aveva diviso i clienti che avevano regolarmente firmato un contratto da quelli che avevano solo una proposta e dovevano ancora dare una risposta.
Non sarebbe più impazzito per sollecitare o magari migliorare la sua offerta.
Incredibile! Miss Mayer aveva davvero un potenziale per quel lavoro.
Guardò distrattamente la cornice in cui c’era la sua foto con Gaccio.
Stava per andare verso la sua scrivania per continuare a controllore, quando si fermò di colpo e ritornò sui suoi passi.
La sua faccia era completamente coperta da un vasetto di vetro con dentro una rosa fatta con le perline, mentre quella di Gaccio risplendeva sovrana.
Tirò un’eresia e spostò il fiore.
Era lui che le pagava lo stipendio, non George Morris!
Si avviò quindi a grandi falcate verso il suo tavolo e fu in quel momento che le sue gambe cedettero.
Tom spalancò gli occhi incredulo, si portò le mani alla gola ed emise un lamento soffocato.
La sua preziosa scrivania di vetro nero era sparita, al suo posto c’era una cosa dal gusto a dir poco pacchiano.
Sentì il respiro abbandonarlo.
Non poteva essere vero.
Fissò lo scempio senza riuscire a far nient’altro.
Lo toccò.
Sembrava carta adesiva.
Si piegò sulle ginocchia e guardò sotto.
Quella disgraziata aveva attaccato della carta adesiva sul suo prezioso tavolo di vetro nero, quel tavolo che gli era costato un occhio della testa.
Era inebetito.
Guardò la fantasia e scosse la testa, sconvolto.
Che cazzo le era venuto in mente di attaccare ad un sobrio ed elegante tavolo di vetro nero, una cartaccia adesiva con il firmamento?
Cos’era una presa per il culo.
L’avrebbe cacciata a calci in culo, altro che tagliata per quest’impiego!
Era deciso ad uscire e mettere in atto quell’ultimo pensiero, quando vide il resto.
Una miriade di stelline colorate, cuoricini fosforescenti e post-it della gattaccia troneggiavano attaccati al suo monitor.
Sotto il suo mouse c’era un orrendo tappetino di “cars”.
Tom scrollò la testa sconcertato, prima che gli occhi si adagiassero su una rubrica celeste con la faccia gigantesca di quella schifosa gattaccia che gli sorrideva.
Era un incubo.
Si sedette sulla sua poltrona e cominciò a fare gli esercizi di respirazione.
Non poteva uscire in quel momento, altrimenti l’avrebbe ammazzata.
Ispirò, espirò, ispirò ed espirò circa un centinaio di volte, finché non si ritenne definitivamente calmo e fu allora che, ancora una volta, l’occhio gli cadde dove non doveva.
Nel suo portapenne di vetro trasparente troneggiava una penna strana, non la sua. Era bianca con il muso della bestiaccia e una ridicola stella gialla sul tappo.
L’aprì e vide con orrore che era una stilografica.
Aprì il cassetto, ma trovò solo un foglio plastificato con la scrittura di Ellen: DISDACALIA TELEFONATE IMPORTANTI.
Lesse le prime tre righe e rimase sbigottito.
Cuore fucsia = telefonata molto importante da richiamare subito.
Cuore giallo = telefonata molto importante, ma richiama il cliente.
Stellina azzurra = telefonata che forse potrebbe essere importante. Credo sia il caso di richiamare.
Tom non proseguì oltre.
Tutto ciò era uno scherzo. Non poteva essere altro.
Lasciò stare quella stupida cosa e continuò la sua ricerca.
Dov’era finita?
Aprì tutti i cassetti, ma niente.
Cercò in tutte le cartelline, magari era stata dimenticata dentro una di quelle, aprì la vetrina.
Settacciò ovunque, ma niente.
La sua preziosa stilografica non c’era.
Con le dita tremanti fece l’interno di Ellen – Puoi venire subito qui? – disse non appena la ragazza rispose.
Quando bussò alla porta, Tom riuscì a dire a malapena un “avanti”.
- Posso fare qualcosa per te, Mr. Gore? – gli chiese pimpante.
- ELLEN! – sbraitò con tutta la forza che aveva in corpo – Dove cazzo è la mia stilo?
Miss Mayer gli si avvicinò perplessa, poi sorrise e indicò la schifezza – Eccola qua! Avevo paura di averla rubata io, ne ho comprata una uguale per me – affermò felice.
Tom spalancò gli occhi inorridito – Mi stai prendendo in giro? Dove cazzo è la mia Montblanc?
Ellen lo guardò corrucciata – Quale Montblanc?
Tom non riuscì a trattenere un moto di stizza – La mia cazzo di penna stilografica MONTBLANC! Hai presente quelle penne di valore riconoscibili dalla stellina bianca? Eh? Hai presente? È il ricordo del mio diploma! Me l’hanno regalata i miei genitori! Hanno speso un sacco di soldi. Dove l’hai messa?
Ellen si passò una mano sulla fronte e scostò una ciocca ribelle – Davvero ti hanno regalato una misera penna per il diploma? – domandò esterrefatta.
Tom avvertì nitidamente la vena del collo gonfiarsi, il viso diventare incandescente e il sangue affluirgli al cervello – Tu… tu… tu… - alzò l’indice tremante verso Miss Mayer – Dove. Cazzo. Hai. Messo. La. Mia. Preziosa. Penna.
Lo fissò perplessa – Ma intendi quel rudere che era sopra la tua scrivania e che graffiava anche la carta? Bè… se è quella che intendi… ecco… ehm… l’ho buttata. Non credevo fosse così preziosa per te – il tono di Ellen era diventato quasi un sussurro.
Tom sentì un tamburo indefinito nel cuore – Hai buttato la mia Montblanc? Dimmi che è uno scherzo Ellen, ti prego, dimmi che è uno scherzo.
- Ecco… Mr. Gore scusami, davvero, io… - aprì la bocca in una smorfia, poi d’un tratto si illuminò – Dai, il sacchetto nero è ancora qui, l’ho visto anche ieri! La recuperiamo in un attimo.
Tom sospirò – Muoviamoci! – ordinò perentorio.
Mentre la seguiva, cercò di sedare lo spirito omicida che si era fatto strada dentro di lui.
Quella ragazza gli portava solo disgrazie!
Come l’avrebbe giustificato alla madre che non aveva più quella preziosa penna? Erano ben otto anni che gli rinfacciava il costo sostenuto.
Arrivarono allo stanzino dove le ditte depositavano i sacchi neri e lo trovarono vuoto.
- Ti giuro Mr. Gore. Fino a ieri sera c’era tutto… - si giustificò Ellen.
Tom si mise le mani nei capelli e li tirò forte – Io ti uccido Ellen. Tu sei un difetto sociale. Ecco cosa sei! – sbraitò.
- Magari il mezzo della nettezza urbana deve ancora passare. Forse ce la facciamo – balbettò un’affranta Miss Mayer.
Che Dio lo aiutasse.
Ora capiva bene le persone prese da raptus omicidi.
Anche lui in quel momento se avesse avuto una pistola, avrebbe fatto una strage.
Perché aveva assunto Miss Mayer? Perché?
- Dai, forza Tom non scoraggiarti. Te la recupero io! – Ellen si batté un pugno sul petto e gli sorrise, proprio con quel sorriso che gli dava ai nervi.
Tom alzò gli occhi al cielo disperato – Vediamo se riusciamo ad evitare il disastro.
Ellen allargò leggermente gli occhi e sospirò – Scusa se te lo dico Mr. Gore, ma mi sembra tutto un po’ esagerato. Stiamo parlando di una misera penna che, tra l’altro, scriveva anche decisamente male. Te ne ho presa una nuova, ha il tratto perfetto ed è decisamente graziosa.
- È una stilo della gattaccia, Miss Mayer! Sono un uomo, non un’adolescente isterica, forse la cosa ti è sfuggita, ma detto tra me e te: ho le palle e non solo!  – sbuffò – E poi non è per il valore monetario della penna in sé. È per quello affettivo! – precisò.
Era meglio non spiegare ad Ellen che se, la sua cara mammina super bigotta e decisamente tirchia, a Natale non l’avesse visto con quella penna nel taschino della giacca, sarebbe andata fuori di testa.
Una tragedia familiare!
Arrivarono dietro il palazzo, nel vicolo scuro, dove c’erano i contenitori delle immondizie.
- Ecco, vedi non ci sono più i sacchetti! – si disperò.
- Uff! come la fai lunga… da un’occhiata dentro – replicò lei stizzita.
- Io ti licenzio Miss Mayer. Ti ho avvisata! – brontolò lui, mentre saltellava per vedere all’interno del grosso bidone della spazzatura.
- Allora c’è qualcosa? – gli chiese alzando la voce.
Tom ebbe un capogiro – A parte una puzza infernale, è pieno di sacchi neri, tutti identici, se lo vuoi sapere – disse indignato.
Si mise le mani sui fianchi e la guardò – E adesso? Si può sapere perché sorridi? Non c’è niente di cui essere felici in questo momento – bofonchiò acido.
- Scherzi? Invece sì! Il mezzo della nettezza urbana non è ancora passato. Ciò significa che la tua amata Montblanc è ancora qui! Adesso tu cerchi il nostro sacchetto nero, è facile trovarlo, perché c’è attaccato un foglio bianco con scritto “cose da buttare”, lo togli dal bidone e il gioco è fatto! – disse lei battendo le mani tutta contenta.
Tom la guardò di traverso – Scusa… non ho capito una cosa. Una cosuccia, niente di che sai… mi spieghi come cazzo faccio a trovare il nostro sacco? – ululò inviperito.
Ellen fece spallucce – Semplice, facciamo una scaletta momentanea con qualche cassetta. Tu ci vai sopra e ti sporgi dentro il bidone – rispose ovvia.
Tom la fissò incredulo – Tu stai scherzando, vero?
- La rivuoi la tua penna? Io ti sto solo aiutando a trovare una soluzione.
- Io… io… io… ti uccido Miss Mayer. Tu vai dentro a quel bidone della spazzatura puzzolente e nauseabondo, non io! Questo è poco, ma sicuro! – sbraitò.
- Senti Mr. Gore rispondi a queste semplici domande. Di chi è la preziosa Montblanc?
- Mia…
Ellen annuì contenta – Chi rivuole a tutti i costi quel rottame di penna?
- Io…
Ellen batté le mani – Bravo Mr. Gore! Risposta esatta. Ed ora… chi si calerà dentro quel bidone per recuperare il sacco nero in cui si trova quel preziosissimo rottame di Montblanc?
Tom assottigliò gli occhi – Ti odio Ellen.
- Non si può avere tutto dalla vita, ma credo che riuscirò a sopravvivere lo stesso anche senza il tuo amore – dichiarò lei con quel fastidiosissimo sorriso da “star hollywoodiana”.
Prepararono quindi una scaletta con delle cassette di legno che qualche imbecille incivile non aveva messo all’interno del bidone e vi salì – Tienimi almeno, mentre faccio perno per non cascare dentro a questo schifo – l’ammonì lui.
- Ehi! Per chi mi hai presa, certo che ti tengo! Giuro che non ti mollo per nessuna ragione al mondo.
Tom sbuffò.
Entrò con il busto dentro il bidone della spazzatura e cominciò a cercare il sacco nero incriminato.
Ogni tanto ritornava su e prendeva un po’ di aria.
Gliel’avrebbe pagata.
Dannata Miss Mayer.
Dopo circa dieci minuti di ricerche, vari conati di vomito, imprecazioni e bestemmie varie, finalmente trovò il sacco che cercava.
Nemmeno a dirlo era quello più in fondo.
Cercò di sollevarsi sulle punte facendo attenzione di non essere catapulto dentro.
Era un vero schifo! E tutto per una penna che graffiava anche la carta.
Maledetta Montblanc e maledetta Ellen Mayer.
- Tienimi, mi raccomando – l’avvertì, quando cercò di allungarsi per afferrare il sacco.
Fu in quel preciso momento che sentì una voce maschile chiamare la ragazza, poi tutto avvenne in una frazione di secondo.
Non avvertì più il calore della stretta di Ellen sulle gambe e, strano a dirsi, nemmeno lo sguardo compiaciuto (almeno così gli sembrava) della ragazza sul suo sedere.
- Jordan! – chiamò la ragazza tutta eccitata.
Ellen lo lasciò all’improvviso e lui si ritrovò, con tutto il corpo, catapultato dentro al bidone della spazzatura.
- ELLEN IO NON TI LICENZIO, IO TI UCCIDO – abbaiò incazzattissimo, con l’ultimo barlume di ragione che gli era rimasto.
 

 
   
 
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