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Autore: onlydreams    23/10/2013    1 recensioni
STORIA RISCRITTA DAL PRINCIPIO!
Una storia che ormai si è lasciata andare alle spalle torna prepotente nelle veci dei loro corrispettivi figli: Crhistine e Josh. Fin da subito attratti l’un dall’altro, legati inconsapevolmente. Ciò che non sanno è che il loro amore non è altro che il ripetersi di una storia terminata molti anni prima dai loro genitori.
Scopriranno con amarezza che il passato tende spesso a ritornare nel luogo in cui era finito, ignari di ciò che li unisce. Scopriranno come sia cattivo il fato nel fargli vivere le stesse emozioni,nello stesso contesto di un passato ormai trascorso.
DAL CAP
< Buongiorno Sono Josh Somerhalder e vi darò tutte le dritte per raggiungere gli obiettivi prefissati da questo corso e superarlo. Voglio precisare una cosa non accetto favoritismi di nessun genere. > La sua voce assottigliata, declinava a quelle che lo stavano già puntando, la possibilità di passare una notte con lui in cambio di un punteggio alto, ma lasciava anche intendere che fosse stato propenso a qualche notte di puro divertimento ma senza ripercussioni.
Non c'era nessun punto di sospensione nella sua frase, né nessuna forma di indugio nella sua voce.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Il leone e l'agnello








 
 
< Caryn... > Sussurrai in modo flebile.

Panico.

Il cuore palpitava veloce quasi avessi appena terminato una lunga corsa, la sensazione che l'oscurità avesse offuscato la mia mente rendendo tutto particolarmente confuso, contribuì a rendere più chiara la debolezza delle mie gambe, convincendomi così di averne perso la sensibilità.

Labbra tremolanti che tentavano di nascondersi dietro una mano che istintivamente corse a mimetizzare quel gesto istintivo dettato dallo shock ma i suoi occhi traditori, contraddicevano a pieno quello che la sua mano tentava di fare, nascondere il dolore, perchè anche essi come il cuore non possedevano una loro razionalità, erano le emozioni a dettarne le loro azioni.

Ero Bloccata in una visione  in cui tutto ciò che mi circondava era soltanto una marea di gente che affievoliva, lasciando sussurri poco gentili sul mio conto sovrastati da altrettanti sussurri che mi deridevano.

Quelle stesse voci che erano riuscite a tramutare il mio stato emotivo rendendolo traballante e insicuro come un ciclista principiante che perde il proprio equilibrio .

Feci un passo avanti verso di lei.

Un gesto che Caryn valutò sbagliato.

Corse via spingendo quella poca gente che avevano assunto il ruolo di telespettatori, che propensi a cogliere ogni minimo particolare di quel momento imbarazzante, ci chiusero a cerchio.

Mentre nelle loro menti, avidi di scoprire come sarebbe uscita la protagonista da questa umiliazione, ringraziavano quella santa creatura del cielo per averli graziati dal non aver vissuto quel ruolo scomodo.

La mia gamba che istintivamente si era mossa verso di lei arretrò codardamente nascondendosi dietro l'altra, dando così vita al mio desiderio di poter trovare anche io un rifugio sicuro.

Restai immobile;

Frenata dall'evidenza, dalla consapevolezza che un passato di cui ignoravo l'esistenza aveva appena fatto sorgere dei paletti nella mia vita.

< È... soddisfat-to? > Sussurrai percependo le mie labbra vibrare.

Era più un'affermazione detta a me stessa piuttosto che una domanda retorica di cui già conoscevo la risposta. No, perchè il suo senso di rivendicare quell'infanzia rubata era insaziabile, niente e nessuno gli avrebbe fatto allentare la presa su quella che era la sua possibilità di dar senso al dolore che lui da bambino aveva vissuto.

Il suo piano di infelicità peccava di un difetto, gli anni di dolore gli avevano dato la legittimità di definirsi vittima del percorso dei nostri genitori, ma anche io come lui ero vittima di una situazione di cui non mi è stato possibile tramutare gli eventi.

Adesso capivo.

La mia unica colpa era quella di essere figlia di una donna che aveva sconvolto indirettamente un'altra vita.

Il mio volto divenne l'esatta espressione della rabbia.

< È SODDISFATTO? > Sbraitai voltandomi verso di lui e non mi vergognai dell'istintività del mio corpo che reagiva al dolore mostrando delle lacrime, tantomeno prestai attenzione alle mie dita infilzate nella pelle per quanto fosse tanta la prestanza con le quale le stringevo ai palmi.

< È la vita Crhistine. Bene e male, guerra e pace. é continuo conflitto a cui lei non può porre fine > Sentenziò con arroganza, quasi come se questo processo naturale indotto dalle sue azioni fosse  qualcosa che non poteva essere evitato, incolpando la natura di qualcosa che invece era stata scaturita dai suoi stratagemmi.

Con l'amarezza dipinta sul volto, dipesa dal suo modo naturale di interpretare l'esperienza maestra di vita piuttosto che dalle sue perle di saggezza, sorrisi basita.

Le sue parole mi indussero al masochismo, strinsi fino a farmi male i polpastrelli delle mie dita contro il palmo.

Quella stessa mano che in un gesto istintivo prese a fuoco quando entrò in contatto con la sua guancia.

< Questo invece è il dolore. Lo sente? Anche a questo non c'è nessun rimedio  > Sussurrai stringendo i denti scontrandomi con i suoi occhi che fissai cercando un minimo di umanità.

Non gli concessi la possibilità di mostrarmela perchè delusa mi voltai.

E in  quel secondo per lui fui una fonte di stupore, anche se io preferivo definire quel momento come qualcosa dettata dall'istigazione perchè quando si gioca con il fuoco si finisce sempre per scottarsi.

Il mio gesto fu un fulmine a ciel sereno, una bevanda piena di schifezze dopo una sbornia o un improvviso risveglio dopo un incubo. I suoi occhi dapprima persi in qualche dimensione sconosciuta, nella quale si erano rifugiati imponendosi così di non vedere ciò che la sua mente l'aveva indotto a compiere  quella sera, si ritrovarono nuovamente su quel corpo di cui lui aveva tentato di fuggire.

Con una violenza quasi non programmata, prevista mi afferrò per un braccio incitandomi a guardarlo o addirittura schiaffeggiarlo per la seconda volta.

< Non vorrà picchiarla? > Era questo, quello che i presenti si domandavano e avevano sussurrato involontariamente, temendo perfino di aver  buttato benzina sull'ira del soggetto qui presente, quando capirono che quello era proprio il momento di tacere.

In tutto quel trambusto, non mi ero accorta che Marcel era in quel locale o comunque nelle vicinanze e che adesso aveva afferrato Josh incitandolo a lasciarmi andare.

< Josh. Josh! Lasciala andare! >

La voce di Marcel trasformò il suo volto rabbioso in uno lucido, una lucidità un po’ anomala per certi versi, le sue labbra erano contratte in un sorriso maligno, che rendevano quella chiarezza come quella di un folle che era stato appena preda di un attacco di fantasia cattiva.

Nonostante Marcel lo stesse trattenendo per le spalle impedendogli di compiere anche un solo passo in più verso di me, che in quel secondo ero per la gente un agnello che stava per essere sbranato dal leone inferocito, riuscì a chinare il viso a pochi centimetri dal mio orecchio, e nel gesto di aprire la bocca per parlare, il suo sorriso si colorò di cattiveria.

< È solo l'inizio. L'inizio di qualcosa da cui lei non può scappare. Si carichi di pazienza perchè alla fine del romanzo mancano ancora molte pagine. > Sussurrò con goduria Josh per poi arretrare con la testa non distogliendo lo sguardo da me neanche per un secondo.

Non voleva perdersi neanche il minimo cambiamento nel mio viso di marmo, aspettava pazientemente anche la più piccola delle variazioni per rinfacciarmelo con un sorriso ancora più ampio.

La mia volontà di rimanere impassibile era più grande di riempire il suo ego smisurato.

Lasciò la presa sul mio braccio per poi sistemarsi la giacca, dimostrando quasi di essere quel tipo di persona che è il primo ad andarsene senza mai scomporsi un minimo.

La folla in modo sistematico, creò una sorta di passaggio, lasciando che i suoi passi rimbombassero mentre si allontanava, ed essa tornava a circondarci.

Io a differenza sua, non avevo bisogno che la folla si aprisse per me lasciandomi fuggire da quel contesto imbarazzante, sorpassai ogni singola persona a testa alta, in fondo potevo permettermelo, perchè anche se l'opinione della gente era differente rispetto a quella che io mi ero fatta di me stessa, avrei continuato ad andare avanti, perchè l'importante era stare bene con me stessa.

Io ero l'unica che dovevo accettare me stessa, non bisognavo del permesso di nessuno.

A diversi metri, lontana da tutta quella massa di persone, una voce, quella di Marcel mi riportò in quella confusione e nonostante cercai di ignorarla continuando a camminare, lui non destò dal suo intento che mi afferrò per un braccio.

< Aspetta > Affermò stanco dopo una breve corsa per raggiungermi, incitandomi  con la sua mano a voltarmi verso di lui, proposta che rifiutai ostinandomi a dargli le spalle.

< Sta bene? > Continuò con tono pacato.

Fu quella frase, quella domanda molto probabilmente poco sincera, ma che sembrava l'unica che mi avesse toccato nell'animo, perchè era l'unica cosa che volevo sentirmi dire, fu questa a  spingermi ad ascoltare il suo invito a guardarlo in viso.

Stavo bene?

Era questo, quello che volevo, che qualcuno si accorgesse di me.

< Che succede, ha smesso di scodinzolare per Josh > Risposi in modo sarcastico, inarcando gli occhi verso l'alto mentre assumevo un'aria quasi derisa, divertita dal mio modo del tutto spontaneo con il quale mi prendevo gioco di lui, anche se in realtà lui era estraneo a quel contesto.

Sorrise altrettanto divertito.

< In questa vita non ho mai scodinzolato semmai ho tenuto il guinzaglio. > Mi contraddisse simulando con i lineamenti del suo volto la sicurezza e il piacere che provava ripetendo a voce alta il ruolo che assumeva nella vita, come se lui avesse bisogno di ripeterselo per non perdere mai la strada.

Fu quando arrivai a casa, chiusa nella mia stanza, nel buio più totale che mi sentii libera di buttare la maschera e iniziare a respirare.   
                      
Mi appoggiai alla porta, accasciandomi ad essa, lasciando che le lacrime uscissero fuori senza temere di essere giudicate.

Solo quando mi concessi una pausa da quell'estenuante pianto che riuscii a concretizzare una sensazione di dolore sulla mia pelle a cui prima non prestai attenzione.  
                                                                                               
 Portai gli occhi dove il dolore bruciava e sorrisi mentre le mie lacrime contraddicevano la bellezza di questa smorfia sulle mie labbra quando notai del sangue sul palmo della mia mano. Per tutta la sera non mi ero accorta che la rabbia si era ripercossa su me stessa.

*****



Il nuovo giorno era trascorso molto velocemente, percossi svariate svolte gli stessi metri che mi conducevano ad un piccolo supermarket sempre aperto e che in quella stessa giornata ne avevo ammirato le sue leccornie.

Il sole era tramontato da qualche ora, avevo deciso di recarmi per l'ultima volta in quel negozio per fare il mio ultimo rifornimento.

Mi guardavo intorno mentre la commessa rideva ascoltando le mie divertenti lamentele sulle marche strane riportate nelle confezioni, che lei stava passando nel battitore.

Accadde tutto in un attimo.

Quell'attimo in cui i miei occhi per pura coincidenza incrociarono gli occhi di colei che mi stava di fronte, che aveva smesso di ridere per la mia pessima battutaccia quando dietro di me catturò qualcosa che nei suoi occhi si tradusse in terrore.

Mi voltai, o almeno  provai a farlo.

Un braccio violento con uno strano tatuaggio disegnato mi si materializzò di fronte al  viso mentre la sua mano impugnava un coltello a pochissimi millimetri dal mio collo.

 Il mio cuore subì un duro colpo ma fu quando il mio respiro affannoso mi costrinse  a percepire la consistenza di quella lama sulla mia pelle che mi convinsi di non riuscire a farcela.

< I soldi bella signorina > Sghignazzò l'uomo dietro di me, nella quale le mie esili spalle erano state costrette a ritrovare rifugio in corpo che mi teneva prigioniera al confine di una lama assottigliata che riduceva al minimo le possibilità di fuga da quell'incubo.

Rise incattivito.

Questa voce ben presto sarebbe diventata un’eco fastidiosa, un ronzio ripetuto nella mia mente come un cd inceppato, una sveglia che mi avrebbe svegliato ogni ora della notte.

Il cuore batteva veloce, le gambe tremavano, paralizzata dalla paura concentrai la mia attenzione sulla ragazza che con fare confuso aveva perso la presa su quella bottiglietta di vetro che  passata sul battitore di cassa, frantumandosi contro il pavimento, facendola sussultare sul posto mentre terrorizzata apriva la cassa e estraeva il contante appoggiandolo sul bancone.

Alla vista di quei soldi, lui non poté che ridere estasiato al pensiero di uscire da quella porta con una somma di denaro equivalente a più che un mese di paga, sicuro di averci lasciato così tanto terrore negli occhi  al punto da indurci a identificarci come cieche e sorde di un momento di cui noi non saremmo mai riuscite a parlarne.

< Stasera potremmo divertici?! > Sussurrò con malizia, lasciando intuire il significato che aveva appropriato ad una parola come divertimento con molteplici modi di interpretazione, scoppiando dopodiché in una fragorosa risata, lasciando così che il suo alito intriso di alcol mi risvegliasse da quello stato di paralisi in cui ero caduta.

Mossa dal pensiero che il bivio non mi era mai piaciuto, che tra una serata in sua compagnia e la possibilità di diventare apatica provando cosa significasse sentire un coltello conficcato nella pelle avrei scelto la seconda, scalciai all'indietro centrando il punto debole di ogni uomo.

Un gesto inaspettato il mio, che nella sua natura umana lo costrinse a deviare la sua attenzione sul dolore scaraventandomi a terra per poi piegarsi istintivamente su se stesso arretrando di diversi passi.

Quando il dolore sembrò essere alleviato, cercò con difficoltà di tornare ad una posizione quasi dritta imprecando contro di me, spostò i suoi occhi da un lato all'altro, scoprii subito cosa cercava e per un momento persi il coraggio, rimanendo immobile su quel punto invece di prendere spunto della ragazza che si era volatilizzata cogliendo l'attimo.

Accadde tutto velocemente.

Afferrò bruscamente una bottiglia di birra, appoggiata casualmente in uno scafale a pochi passi da lui, lasciata da qualche cliente che nel dubbio della scelta l'aveva lasciata lì, e il sorriso maligno che aleggiava sul suo viso  rendeva chiare le sue intenzioni.

L'attimo prima di chiudere gli occhi, l'unica immagine che catturai fu quella di una bottiglia in direzione sul mio viso di cui non vidi lo schianto giacché prontamente chiusi con forza gli occhi.

Sentii perfettamente il suono del vetro andare in frantumi ma la cosa che mi lasciò stupita fu che quello stesso suono non si ripercosse sul mio corpo come avevo immaginato, non percepii neanche le schegge di vetro sulla mia pelle dovuto allo schianto, fu questa sorpresa che mi incoraggiò ad aprire gli occhi con lentezza e preoccupazione.

Ma di quell'orso pauroso era rimasto soltanto un uomo svenuto per terra circondato dal vetro.

Sospirai, sentendomi sollevata e percependo il mio cuore diminuire la velocità con la quale aveva iniziato una lunga corsa.

Inizialmente rimasi indifferente al motivo o alla cosa che l'aveva steso, quando alzando gli occhi incontrai quelli intriganti di Marcel e in quel secondo, fui curiosa perfino di quanto fosse doppia la consistenza del ghiaccio nel polo nord.

 < Se non sei in grado di trasformarti in qualche super eroina ricordarti di non attaccare mai un uomo nel suo punto debole > Asserì Marcel con naturalezza con entrambe le mani poste ai lati dei suoi fianchi e lo sguardo sfaticato come se stendere un uomo di quella portata fosse stata un'impresa ardua. Quello che doveva essere interpretato come un rimprovero lo vidi come una lezione di vita.

Appoggiai la mia schiena gettando un respiro di sollievo.

Lo vidi prendere il telefono e digitare probabilmente il numero di soccorso, ma non prestai attenzione alla sua chiamata tanto meno alle sue parole, socchiusi gli occhi e mi concessi un attimo per ristabilire la respirazione.

Li aprii subito dopo che la sua voce fu tanto vicina da mettermi in allerta.

< Vieni. Ti aiuto ad alzarti > Il suo fu quasi un sussurro accompagnato dal gesto caloroso di pormi una mano.

Guardai i suoi occhi.

Guardai la sua mano e senza indugio l'afferrai, gesto che mi slanciò verso di lui, quando con uno scatto veloce mi fece scontrare con la sua camicia.    

Sembrava l'immagine di un abbraccio, qualcosa di cui non esistevano  i presupposti per essere considerato tale ma che io avevo necessariamente bisogno per sentirmi meno sola.

Era la consolazione che cercavo, anche se dall'uomo sbagliato, poteva anche trattarsi di un estraneo nulla cambiava il mio bisogno estremo di affetto.

< Stai tremando > Sussurrò lui stupefatto, quando il suo gesto di aiutarmi divenne il rifugio perfetto in grado di garantirmi la sicurezza di cui avevo bisogno, anche se si trattava di qualche secondo mentre per lui, rappresentava la scoperta della mia paura.

La sua voce era calma, pacata, come quella di ogni essere umano, nulla lo riconduceva dall'essere il segugio di Jonathan, sembrava avesse quel qualcosa che lo differenziava da lui, il cuore, ma anche questa poteva trattarsi di una meschina apparenza.

Sussultai spaventata quando staccandomi da lui, apparvero dalla porta quattro uomini armati mentre uno di questi prendeva  subito la parola.

< State bene? > Chiese con sincera preoccupazione facendo un cenno ai suoi colleghi per prendere il malvivente stordito nel pavimento.

< Sì. Tutto bene, se non ci sono problemi vorrei accompagnare la ragazza a casa. > Rispose prontamente Marcel non lasciando la presa sul mio fianco, quasi avesse paura che fossi svenuta da un momento all'altro oppure solo perchè mostrare la sua indole dolce era qualcosa che non poteva prevedere nè tantomeno gestire.

Con un lieve cenno della testa ci lasciò uscire dalla scena del crimine, con l'unica clausola di lasciare il mio numero di telefono a loro disposizione, affinché lasciassi  una deposizione una volta ripresa dallo shock.

Fortunatamente i metri che mi distanziavano da casa erano davvero pochi, il tragitto fu breve e intriso di silenzio.
Dopo avermi aperto la portiera e invitata ad accomodarmi, nessuno dei due aprì bocca, forse stava semplicemente assecondando la mia poca volontà di parlare o meglio ancora aveva esaudito il mio desiderio di comprensione.

Solo quando le luci della sua macchina illuminarono il mio vialetto rischiarato da un solo palo che tentava di resistere alla concorrenza delle villette accanto che mi resi conto di essere arrivata a casa.

Accostò  solo qualche metro lontano.

< Grazie > Sussurrai aprendo la portiera pronta per scappare via. Mi costava dirlo.

Una portiera che rimase semichiusa quando il suo braccio mi frenò dal mettere un piede fuori, costringendomi con lentezza ad alzare lo sguardo verso di lui, sguardo colorato dall'imbarazzo dovuto non solo all'umiltà della parola che avevo adoperato ma dalla sua innata capacità di rendermi ai suoi occhi piccola come un chicco d'uva ancora troppo acerbo per essere guardata dagli occhi di un adulto.

Era così che mi sentivo, come la più piccola delle cose, guardata dall'alto verso il basso non per una questione di superiorità ma per il mio semplice complesso di sentirmi in soggezione dallo sguardo di un uomo.

Ed era strano, in un contesto assurdo avevo riconosciuto che lui ai miei occhi era un uomo.

Per quanto paurosa potesse essere come consapevolezza ne ero attratta.
Lui mi guardava stranito e stupito nello stesso modo.

Dalla tasca dei suoi pantaloni tirò fuori un bigliettino di visita che si affrettò a passarmi lasciando la presa su di me.

Guardai dapprima basita il biglietto e poi lui che mi guardava altrettanto incuriosito dalle mie espressioni che a quanto pare non combaciavano con la reazione sperata.

 < Agenz-ia Pompe... - Tossicchiai e non riuscendo a leggere il resto del nome decisi di sorvolare arrivando dritta al punto - Non ho intenzione di suicidarmi se è quello che crede >  Precisai con un non so che di rassicurazione nella mia voce.

Le sue pupille si ingrandirono e le sue labbra si lasciarono andare a una risata divertita.

< Scusa ho sbagliato. > Bisbigliò

Involontariamente mi lasciai contagiare da quel sorriso che le mie labbra ne imitarono il gesto.

< Almeno sono riuscito a farti scappare un sorriso > Vantò silenziosamente.
Non mi lasciò il tempo di ribattere o smentire che continuò a parlare.

< Qui c'è il numero del mio ufficio e del mio cellulare, puoi chiamarmi. Se ti va  > Mi chiarii indicandomi i rispettivi numeri riportati in quel pezzo di cartoncino, accennando ad un sorriso quando precisò la mia libertà nel volerlo chiamare o meno.

Non risposi tanto meno diedi cenno della mia volontà di volerlo fare, dentro di me sapevo che quel numero sarebbe rimasto posto in qualche cassetto della mia scrivania. Chissà, forse sarei riuscita ad usarlo a mio piacimento, a renderlo la pedina perfetta di un gioco che si sarebbe ripercosso su Jordan, diventando così la perfetta copia di una vita vendicativa o forse sarei stata l'unica a rimetterci.







SPAZIO AUTORE.



Inizio col dirvi che mi dispiace veramente tanto per questo ritardo, tra i vari impegni e la perdita di fantasia sono riuscita solo adesso ha trovare un pò di tempo per continuare.
Che dire? L'idea era quella di far passare Josh per un pazzo XD Spero di essere riuscita nell'intento, nel frattempo c'è chi si diverte a fare il doppio gioco ma tutto verrà spiegato a tempo debito no?
Ringrazio i fanciulli e le fanciulle ù.ù che hanno avuto la cortesia di aspettarmi e che sono arrivate fin qui.
Per i nuovi lettori lascio qui sotto il link per accedere al gruppo su face!
Grazie ancora, al prossimo capitolo >.<

  
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