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Autore: sic58    23/10/2013    5 recensioni
Una lettera scritta ad una persona che non c'è più, una persona che è sparita dalla vita di tante, troppe persone in una manciata di secondi, una persona che in milioni amavano. Si, lui...Marco Simoncelli, un pilota che adoravo e stimavo.
Oggi sono passati due anni dal giorno della sua scomparsa e mi andava di ricordarlo così.
Ciao Sic...diobò quanto ci manchi...
Genere: Malinconico, Sportivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oggi è il 23 Ottobre, una data per molti senza significato, ma per chi conosce e ama il mondo delle corse

Oggi è il 23 Ottobre, una data per molti senza significato, ma per chi conosce e ama il mondo delle corse il 23 Ottobre è l’anniversario di una tragedia. Due anni fa, esattamente, questo stesso giorno Marco Simoncelli, pilota motociclistico, ha perso la vita in un incidente in pista.

Marco se né andato troppo presto, a soli 24 anni mentre faceva quello che più amava, ma la morte è riuscita a portarsi via solo il suo corpo. La sua simpatia, la sua genuinità, la sua naturalezza e il sogno li ha lasciati con noi.

Oggi sono passati due anni e mi andava di ricordarlo così…semplicemente scrivendo una lettera a lui che non è più qui tra noi, ma che certamente, ogni tanto, butta l’occhio qua giù, specialmente oggi che sono 730 giorni da quella maledetta mattina in cui è passato dall’altro lato del cammino.

 

 


 

“Per essere forti ed essere vincenti, bisogna arrivare a prendere la bandiera a schiaffi…”

 

Hey Marco,

sono passati due anni, due anni da quando tu non sei più tra noi.

Era il 23 Ottobre 2011 e si correva in Malesia il penultimo Gp della stagione. Il circuito di Sepang, in qualche modo, ti era caro perché tre anni prima, nel 2008, era stato proprio lì che ti eri laureato campione del mondo nella categoria 250 del motomondiale in sella alla Gilera, quella stessa Gilera che poi hai portato a casa infilandola nella tua camera, proprio ai piedi del tuo letto.

Mi viene da sorridere se penso a questa cosa, ma poi considero che sto parlando di te e tu eri esattamente il tipo che faceva queste cose. Eri quello che sorrideva raggiante alla telecamera facendo vedere la sua moto come accessorio nella propria camera quasi si trattasse di un cimelio dal valore inestimabile, eri quello che, qualche volta, svegliandosi presto la mattina si buttava nel letto dei suoi senza provare nessun tipo di vergogna in questo, eri quello che giocava con Paolone durante le interviste scherzando e ridendo come un pazzo, eri quello della rubrica “Dimmi di Sic” che tanto mi piaceva, eri quello che “gli tirava il culo” a perdere anche ad una banale partita di carte.

Sono passati due fottutissimi anni e ancora, se penso alla tua morte, mi sento esattamente come quella terribile mattina del 2011 e, ancora oggi mi viene difficile accettare che tu non ci sei più, che una manciata di secondi siano bastati a farti sparire per sempre, ma soprattutto mi viene difficile accettare come un ragazzo di 24 anni possa morire correndo il suo sogno. Mi sono chiesta allora, e continuo a farlo anche adesso, dove fosse Dio quel giorno e perché abbia permesso tutto questo, perché si sia portato lassù un’altra tra le persone migliori.

Mi piace pensare che tra tutti i modi di morire se avresti potuto scegliere avresti scelto di andartene così, su quella moto che tanto amavi. È più facile pensarla così, fa meno male e dà più forza. Mi viene da sorridere, sai? Si, se penso a quel fottuto incidente mi viene da sorridere perché diobò sei morto da Simoncelli, cioè, avresti potuto lasciare andare la moto e invece no, l’hai tenuta fino alla fine, l’hai tenuta con te anche a costo della vita.

Non dimenticherò mai quel maledetto 23 Ottobre, né quella dannata pista, non dimenticherò mai quegli attimi prima dell’incidente. Tu e Bautista che vi attaccavate senza esclusione di colpi, un sorpasso dietro l’altro e alla fine quella dannata curva 11, poi tutto è successo troppo in fretta. Edwards che svolta, Valentino dietro di lui, tu che tagli la strada ad entrambi e alla fine l’impatto. Tu a terra immobile, il casco volato via. Non potevo crederci. Ero lì che mi ripetevo “avanti Sic rialzati, cazzo rialzati” e, invece, niente, solo Meda che continuava a ripetere che la perdita del casco era un brutto segno. Poi la bandiera rossa, la sospensione della gara, i soccorsi, le lacrime di Kate nel paddock, l’angoscia negli occhi di tuo padre e a seguire i 45 minuti più lunghi di sempre, 45 minuti durante i quali non ho smesso di credere neppure per un attimo che c’è l’avresti fatta. Già ti vedevo sorridere alla telecamera e dire: “diobò ragazzi che botta” e, invece, niente, solo Paolone che ci comunica la tua morte spegnendo le sue speranze, le mie e quelle di tutti.

“IL PAPA’ PAOLO HA DETTO CHE E’ FINITA, PURTROPPO MARCO SIMONCELLI E’ MORTO”. Sono state queste le sue parole, parole che non dimenticherò mai, così come non dimenticherò mai il suo sguardo commosso, specchio di tanti altri come il suo.

È passato del tempo da allora, ma ancora ti ricordano tutti. In fondo come si fa a dimenticarsi di te? Come posso farlo, come posso dimenticarmi di quel ragazzo dal forte accento che nel corso di questi anni ha contribuito ad alimentare la mia passione per le moto, per le corse e per il MotoGp in generale? Impossibile...non puoi essere dimenticato, non devi essere dimenticato.

Eri un puro Sic, lo eri davvero. E ci hai dato tanto, troppo, molto più di quello che meritavamo. Ci hai dato tanto quando eri in vita e ci hai dato altrettanto quando sei volato via perché ci hai regalato un insegnamento che io personalmente non credo che riuscirò mai a dimenticare. Ci hai fatto capire che non bisogna arrendersi mai e che se si ha un sogno bisogna coltivarlo. Tu l’hai inseguito quel sogno fino alla fine, volando via proprio correndolo.

Mi piacevi Sic, piacevi a molti…mi piaceva il tuo sorriso che avevi sempre stampato in faccia, mi piaceva il tuo inconfondibile accento che ti distingueva da chiunque, i tuoi riccioli sempre ribelli. 
Sai all’inizio era da questo che ti distinguevo dagli altri. Per me non eri Simoncelli, per me eri quello dalla chioma riccioluta, quello dalla chioma assurda. Eppure era un tuo segno caratteristico e forse sono stati questi riccioli, insieme al tuo timbro romagnolo, a incuriosirmi a seguirti più da vicino e così in poco tempo mi hai catturata. All’improvviso non eri più solo “quello dalla chioma assurda”, ma eri Marco, poi sei diventato Simoncelli e alla fine il Sic, Super Sic.

Mi piaceva vederti correre, mi piaceva sentirti poi commentare le gare, vederti ridere e ripetere che avresti fatto sempre meglio, ma soprattutto mi piaceva vederti sempre con quelle labbra all’insù anche quando dopo una caduta eri costretto ad interrompere la gara.

Non so perché faccia così male, perché la tua morte sia stata così devastante per me, non so se è perché ha riaperto una vecchia ferita, non poi così vecchia che mi porto dietro, o se semplicemente senza rendermene conto ti volevo bene come ad un amico che conoscevo da una vita, non lo so, so solo che le ferite bruciano e anche parecchio.

I ricordi sono tanti e lo sono altrettanto i sorrisi che mi hai fatto fare. Ricordo perfettamente una cosa che un giornalista raccontò in un servizio dedicato a te poco dopo che vincesti il tuo titolo mondiale nella 250. Il tizio in questione raccontò che, un giorno, venne a casa tua per un’intervista e mentre parlavate tu gli dicesti: “È bellissima vederla la mattina quando ti svegli” “Chi, la Kate?” ti rispose lui “Vieni che te la faccio vedere!”. L’hai portato nella tua stanza, gli hai indicato un punto ai piedi del letto e gli hai detto “Guardala, è bellissima!”. Era la Gilera 250 con cui avevi vinto il mondiale.

È esattamente così che ti ricordo, come quello che dormiva con la sua moto ai piedi del letto, come quello che, a volte, la domenica si buttava nel letto dei suoi come se fosse un bambino, come quello dai riccioli da leone e dal cuore d’oro, come quello dal sorriso intelligente e dal cerotto sul naso, come quello dall’accento spiccato, dal sorriso contagioso e dal temperamento temerario. Ti ricorderò per il guerriero che eri, per il figlio, il fratello, il fidanzato che eri, ti ricorderò perché non ricordarti sarebbe impossibile.

Nessuno si aspettava un risvolto così tragico della tua vita, nessuno si aspettava che la morte, cruenta e dolorosa, ti stesse aspettando dietro quella maledetta curva 11 di quel dannato circuito.

Avevi 24 anni, avrai sempre 24 anni e sarai ricordato per sempre con quella chioma riccioluta da leone che ti rifiutavi di tagliare e quel meraviglioso sorriso che contagiava chiunque.

Con oggi sono due fottutissimi anni che non ti vedo correre e il brutto, in fondo, non è questo. Il brutto non è non vederti più correre in tutte le piste del mondo, il brutto è non vederti più in assoluto. Nelle interviste, nel paddock, nei giornali e soprattutto il brutto c’è per chi ha avuto la fortuna di conoscerti di persona, il brutto è certamente quello di non avere più di fronte la splendida persona che eri.

Sono passati due anni, è vero, ma mi ricordo ancora di te perfettamente, mi ricordo di te come "quel bastardo del Sic" come ti chiamava qualcuno scherzosamente, mi ricordo di te per quel "diobò" che inserivi in 9 frasi su 10, mi ricordo di te per quei sorrisi che non facevi mancare mai a nessuno anche quando ti girava male.

Una volta, durante un’intervista hai detto: “Si vive di più andando cinque minuti al massimo su una moto come questa di quanto non faccia certa gente in una vita intera”. Ed è questa, forse, l’unica consolazione che possiamo avere. Sapere che, nonostante tutto, sei morto facendo esattamente quello che tu amavi fare, ma soprattutto facendo quello che ti faceva sentire più vivo.

Sai Marco, ho un ragazzo che vive per le moto, sono la passione della sua vita e io, a volte, pur essendo una grandissima appassionata e pur guidando io stessa una moto, non riesco a capire, non riesco a concepire appieno come sia possibile questo suo amore incondizionato per le due ruote, un amore che passa sopra ad ogni cosa.

Adora sfrecciare per le vie della città e adora ancora di più andare in pista a correre, pensa che, una delle due moto che ha, la usa solo e soltanto per la pista.

Corre forte, è spericolato e non ha paura. È caduto tante di quelle volte che ho perso il conto, ma le sue cicatrici mi ricordano che è successo, ha fatto interventi su interventi a causa degli incidenti e nonostante questo non ha mai pensato, neppure per un attimo, di non rimettersi più in sella.

Tutte le volte che succede qualcosa gli urlo contro di smetterla, di fare più attenzione e di usare la moto con più parsimonia e sai lui cosa mi risponde? Che quando si sale su una qualsiasi moto lo si fa con la convinzione che potrebbe essere l’ultima volta.

All’inizio questa frase mi faceva paura, poi con il tempo ho capito cosa significassero davvero queste parole ed anche pensare a te mi ha aiutato a riuscirci. La verità è che tu, così come tutti quelli che si mettono in sella ad una moto, conoscevi perfettamente i rischi. E potevano anche dirti qualunque cosa, ma tu non avresti mollato mai.

Correre era il tuo sogno, arrivare primo era il tuo sogno e lo era soprattutto vincere un mondiale in MotoGp. Eri testardo e questo nulla poteva cambiarlo. Lo hai dimostrato anche nel momento della morte. Quella dannata moto avresti potuto lasciarla andare e, forse, oggi saresti stato qui con noi e, invece, hai lottato fino alla fine, hai cercato di tenerla e poi è successa la tragedia.

Eri uno che se la giocava sempre, fino in fondo, vivevi alla ricerca di emozioni, di avventure e di vittorie senza curarti dei pericoli di tutto questo.

I motociclisti sono gente strana, stravagante, con una mente decisamente folle e tu sei sempre stato così. Tu hai iniziato piccolissimo a correre nelle minimoto, ed era chiaro come il sole, già da allora, che da grande non ti saresti mai schiodato da una moto.

Oggi sono 730 giorni senza di te, senza quella mano che si muove, davanti ad una telecamera, per salutare chi ti guardava da dietro una tv. Oggi sono 730 giorni senza di te, ma nessuno si è dimenticato di quel pilota romagnolo folle e giocoso, avventuriero ed aggressivo in pista.

Proprio a Sepang, due settimane fa, il tuo amico Valentino ti ha ricordato facendo un giro d’onore sventolando una bandiera bianca, pura come lo eri tu, con il tuo numero, il 58 rigorosamente di colore rosso. è stato bello vedere e sentire i commenti positivi di tutti per quel gesto, è stato bello vedere che anche lì si ricordano ancora di te, che anche in un sport individuale e piuttosto competitivo come può esserlo il motociclismo c’è spazio per il privato, per i sentimenti, per le amicizie.

Tanti in quel mondo ti hanno dato contro accusandoti di essere un po’ troppo aggressivo nel tuo modo di guidare, accuse che non condivido per altro, ma comunque sia non importa, non importa più nulla. Quelle stesse persone hanno parlato di te, dopo la tragedia, con gli occhi lucidi non potendo non affermare quanto Marco l’uomo, non il pilota che poi alla fine  conta meno, fosse una persona meravigliosa.

E tu lo eri, tu eri tanto. La tua morte ha dimostrato che eri in primo luogo Marco e solo dopo eri il Sic perché non ti serve a nulla essere bravo in pista se poi nella vita non vali nulla. Tu valevi, valevi tantissimo e questo manca, manca la tua genuinità perché tu eri esattamente come apparivi in tv. Non avevi maschere né ti eri fatto corrompere dalla popolarità, eri una persona meravigliosa e ti mostravi alle telecamere esattamente per la fantastica persona che eri nella tua quotidianità.

Eri troppo speciale Marco e le persone come te ci vengono regalate solo per brevi istanti, istanti di cui non possiamo godere per sempre perché probabilmente non lo meritiamo.

Ha ragione Kate, la tua Kate quando, al funerale, ha detto: “Lui aveva solo pregi ed era una persona perfetta, e le persone troppo perfette non possono vivere con noi comuni mortali”.

Davi sempre il massimo Marco, pur con i muscoli doloranti, con gli occhi stanchi, ma lo sguardo che brilla, con il cuore, che sotto la tuta, batte al ritmo del motore. Salivi su quella moto e niente aveva più importanza, non esisteva più nulla, solo quella striscia d’asfalto, quelle curve dove piegarsi al massimo, qualche bagarre con gli altri e uno scorcio di cielo…il cielo, proprio quella è stata la tua ultima meta.

È vero, in moto si muore e la dimostrazione la danno tutti quelli, famosi e non, che hanno perso la vita sopra le due ruote, eppure tutti continuano, continuiamo ostinatamente a correre.

Quest’anno nel mondo delle corse qualcun altro ti ha raggiunto: Andrea Antonelli, morto durante una gara nel campionato di SuperSport. E hanno rischiato di fare lo stesso Alessia Polita, che in un incidente nel circuito di Misano ha perso l’uso delle gambe e poche settimane dopo il suo fidanzato Eddi La Marra che durante un test di prova ha sbattuto violentemente la testa entrando in coma.

Per fortuna loro non hanno perso la vita, ma entrambi hanno rischiato parecchio, eppure nessuno dei due ha intenzione di smettere. La Marra tornerà probabilmente a correre già dalla prossima stagione e la Polita ha assicurato che in qualche modo, con o senza le gambe, tornerà a guidare una moto. Un motivo per queste decisione deve esserci. E quale può essere se non una sfegatata passione per questo sport? La stessa che avevi tu.

La verità Marco è che tu ci hai dato un grande insegnamento. In moto si muore, è vero, ma non esiste modo migliore per vivere il tempo che ci viene concesso. Era un po’ la tua filosofia di vita credo, altrimenti non sarei qui a parlare con te, altrimenti non te ne saresti andato inseguendo il tuo sogno e realizzando la tua passione.

O forse, semplicemente, sei andato via perché hai deciso di correre in sella alla tua adorata moto a prenderti le ali che qui sulla terra non ti era concesso possedere

In giornate come oggi la mancanza si sente più forte, oggi più che mai mi manca Marco e mi manca il Sic. Probabilmente una persona come te mi mancherà e mancherà a tutti sempre, ma abbiamo la fortuna di avere molte immagini di te, molti video. Non è molto lo so, ma a volte ci sono giorni in cui rivederti e risentire la tua voce, aiuta a sentirti più vicino, a sentirti ancora con noi.

Giornate come oggi, oggi che volevo semplicemente scriverti per dirti grazie, grazie Sic, grazie per avermi e per averci ricordato che essere uomini significa cercare di superare i propri limiti inseguendo fino in fondo le proprie passioni e i propri sogni senza avere paura di perdere tutto. Sono sicura che la cera delle tue ali abbia lasciato la scia su molti di noi dandoci la forza di vivere con più passione e convinzione il nostro quotidiano.

Ribadirti che manchi sarebbe ripetitivo, ma lo faccio comunque. Manchi tanto…e niente Marco, solo questo.

Lassù dai gas come tu sapevi fare e creati una pista tra quelle nuvole..tu puoi farlo, tu puoi fare tutto.

Ciao Marco…ti voglio bene…

 

“Praticamente, boh avevo 14 anni e andavo con lo scooterone del mio babbo su e giù per la stradina di casa. E mia mamma che faceva: "Diobò va piano, st'attento che arriva la zia su, st'attento ad andar giù". Io pensavo: “Frega n'casso se arriva la zia”. Io andavo giù a tutto gas. È arrivata la zia. Ho visto la sagoma bianca con la scritta rossa Opel comparire. Ho avuto la prontezza di riflessi di prenderla in pieno...”

 


  
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