Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: Some kind of sociopath    23/10/2013    3 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
_____________________________________________________________________________________________
Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi risvegliai con la punta di un coltello sotto il mento e le mani legate. Qualcuno mi tratteneva alle spalle, sentii il suo alito caldo sul collo. Davanti a me, gli occhi azzurri di Charles mi fissavano divertiti, giocherellava con un coltello come avevo visto fare ad un torturatore molto tempo prima, quando abbiamo reclutato Benjamin. Si chiamava… Cutter. Lo avevo ucciso io. – Ben svegliato, Kenway.
Per tutta risposta, sputai sul suo stivale. Mi tirò una ginocchiata nelle palle con un sorriso sadico sul volto, afferrandomi per i capelli. – Non si disobbedisce ai superiori, Kenway.
Mi limitai a sogghignare. – Be’, è giunta la mia ora?
Sorrise anche lui. – Sai, Haytham, una volta ti guardavo con ammirazione, quasi con riverenza ed ossessione. Volevo essere come te. Volevo essere bravo. Volevo essere un grande Cavaliere Templare. E ci sono riuscito! – la sua voce si riempì d’orgoglio come quella di un bambino cui il padre ha appena fatto dei complimenti. – Tu, invece, ti sei fatto coinvolgere dagli Assassini e meriti la morte. Lo sai. Hai sempre saputo che avere una relazione con quella… - gli lanciai un’occhiata in cagnesco e scoppiò a ridere. – Con quella puttana indiana avrebbe avuto delle terribili conseguenze.
Sollevai una gamba e lo colpii con il tacco dello stivale al petto, macchiando la sua camicia bianca e facendolo indietreggiare. Mi guardò con la sua solita aria divertita e l’uomo alle mie spalle sollevò il pugno per colpirmi, ma Charles sollevò una mano. – No, no, John, lascialo stare – sibilò respirando a pieni polmoni. – Io non ho paura di te, Haytham Kenway, e potrei ucciderti ad occhi chiusi – si avvicinò a me e strinse il mio viso tra le mani. Sputai sulla sua guancia con stizza. – Sei solo un vecchio cane, Haytham. Abbaierai anche, ma non fai più paura a nessuno.
- Lo dici tu – sibilai.
Ridacchiò. – Non hai amici, Haytham. Non ne hai mai avuti, tolta quella donna Mohawk – si pulì lo sputo con la manica della camicia e mi riservò uno sguardo colmo di pietà. Quella che riservava a Thomas e, generalmente, a chiunque incontrassimo in strada. Pietà. Pietà per me! Io l’avevo reso quello che era, quello era il più pesante tradimento che avessi mai subito. Non potevo tollerarlo. – Nessuno ti salverà, Kenway, esattamente come nessuno ha salvato tuo padre.
Ringhiai. – Tu non sai niente di mio padre, Charles – replicai. – Potevi essere a malapena nato, quando lui è morto.
Scrollò la mano. – Non ha importanza. Perché ora, nonostante tutte le tue stronzate, nonostante tutte le tue assurde fantasie, morirai sulla forca come il traditore che sei – avvicinò le labbra la mio orecchio con aria maniacale. – E questa volta, Haytham, non avrai nessuno da sbattere contro la forca per liberarti.
Mi morsi il labbro.
Come lo sapeva? Come poteva conoscere quella storia? Era successa anni prima – ne avevo ventidue – e non l’avevo raccontato a nessuno. Forse a Reginald. Quel bastardo di Reginald.
- D’accordo, Haytham, buon viaggio! – esclamò con un ghigno. – Con un po’ di fortuna rivedrai anche il tuo vecchio, non ne sei contento?
Mi dimenai mentre John Pitcairn mi trascinava via, lungo una scala di legno e poi fuori dalla piccola cantina buia in cui ci trovavamo. Una porta si spalancò e mi voltai, accecato da una lama di luce.
Eravamo in una piazzetta che non riconobbi. C’erano pochissime persone e una forca improvvisata: probabilmente eravamo fuori da una casa o in un retrobottega, dove nessuno ci avrebbe disturbato.
Riconobbi tutti. Reginald sistemato dietro uno sgabello con un sorriso e, attorno, disposti a semicerchio, William, Benjamin e Thomas. John mi spinse fino allo sgabello, issandomi su con malagrazia, per poi sistemarsi accanto agli altri con un sorrisetto. Un istante dopo li raggiunse anche Charles, gli occhi luccicanti per… la gioia, suppongo.
Reginald fece scrocchiare le nocche. – Addio, Haytham – esclamò.
Respirai profondamente, poi sentii solo il suo piede sul fondoschiena e il mio corpo bloccato dal cappio che ciondolava in aria, il fiato che usciva dai polmoni e non rientrava, non rientrava più, gli occhi che rischiavano di uscire dalle orbite e…
Un tonfo, la terra nuda che si riavvicinava, il cappio che si allentava velocemente e il cozzare delle armi. Qualcuno mi trascinò via per le ascelle, ansimando. Le sue piccole mani – probabilmente era poco più che un bambino – mi schiacciarono il petto, aiutandomi a respirare. Sgranai gli occhi quando un sottile filo d’aria entrò nel mio petto, gonfiandomi i polmoni. – Grazie… - sussurrai a mezza voce.
Un ragazzino apparve nel mio campo visivo. Un nativo. Un giovane nativo. Oh, buon Dio… - Figurati – brontolò in inglese. Aveva gli occhi dei Kenway e gli zigomi alti di Tiio. – Ora pensiamo solo a non farci uccidere, che ne dici?
Lo afferrai per la casacca senza riuscire a trattenermi e mi scoccò un’occhiataccia degna di sua madre. – Non sono stato io – gemetti, come avevo detto anche a Tiio. – E tua madre?
Scrollò le spalle. – È morta quando avevo cinque anni nell’incendio del mio villaggio, ma, ripeto, è meglio se ne parliamo dopo.
Senza tante cerimonie, il ragazzo mi caricò in spalla, trascinandomi lontano.
Un urlo risuonò nell’aria. – Vittoria agli Assassini!
Oh, cielo, dalla padella alla brace.
Prigioniero degli Assassini. Una favola. E quel ragazzo… non volevo nemmeno pensarci. Mi stava portando in spalla come se fossi un infante! Tenace come sua madre…
Tiio. Chissà cosa le avevano fatto. Pensai a lei nello stesso letto di Thomas e per poco non vomitai. No, Dio, se l’hanno uccisa, per piacere, fa almeno che non le abbiano fatto del male… prima.
- Avete il prigioniero? – gridò qualcuno.
- Ce l’ha Connor! – sbottò qualcun altro.
- Sul carro, dobbiamo andarcene! – di nuovo il primo uomo.
- Eccomi, eccomi… - il ragazzo mi scaricò sopra delle assi di legno e si allontanò.
Mi sollevai lentamente. – Che diamine… - sussurrai. – Parlano di libertà e non mi hanno nemmeno slegato le mani.
Poggiai un orecchio alla tenda che copriva il carro. Sentivo rumori di armi e imprecazioni. Il familiare ringhio di Reginald e i gemiti di chi è stato ferito. Era uno dei miei? Ma i miei chi erano, in quel momento? I Templari? O gli Assassini che mi avevano salvato la vita?
E Tiio? Di nuovo mi ritrovai a pensare a lei.
Una vocina mi sussurrò che era morta, stavolta sul serio. Era morta e non potevo farci nulla. Me lo sentivo.
E quel ragazzo, quello che chiamavano Connor?
Sentivo anche quello, sentivo che in realtà era Ratonhnhaké:ton, mio figlio. Nostro figlio.
Un Assassino.
 
- Muoviti, non abbiamo tutto il giorno!
Mi ero addormentato. La vecchiaia gioca brutti scherzi, a quanto pare. Un vecchio spalancò le tende e battei le palpebre come un cieco. Non era molto più vecchio di me, ma era nero e portava delle folte treccine sulla nuca. Al suo fianco c’era il ragazzo, con l’espressione seria di Tiio stampata in faccia. Di certo non aveva preso il beffardo senso dell’umorismo dei Kenway. Il mio senso dell’umorismo. – Il gallo non si usa più? – sdrammatizzai con la bocca impastata.
Il vecchio sbuffò e mi trascinò giù dal carro per un braccio. – Portiamolo dentro.
Connor sgranò gli occhi. – Vuoi che ci pensi io, Achille?
- No, no. Non sono ancora morto, ragazzo! Piuttosto prepara una sedia nel mio studio.
Il ragazzo annuì con fermezza e corse dentro la casa. Achille mi lanciò un’occhiatina sarcastica. – Ha tante domande per te, lo sai?
Sorrisi. – Immagino che la prima sia: vuoi essere cremato o preferisci una sepoltura cristiana? – bofonchiai a mezza voce. – Crede che l’abbia uccisa io, vero? Parlo di sua madre.  
Sospirò con una certa amarezza. – Perché, non è così? – replicò.
Sbuffai. Perché quando, per una volta, dicevo la verità ad un Assassino, nessuno mi credeva? Era insulso e frustrante.
Mi guardai intorno: eravamo in una tenuta, probabilmente la stessa di cui mi aveva parlato Tiio. Una villa di mattoni rossi, con le porte, le finestre e i balconi bianchi, circondata da alcune stalle e un paio di magazzini. Niente di troppo sfarzoso, niente stendardi degli Assassini esposti e nessun motto dipinto sulla porta d’ingresso. Chissà che m’aspettavo.
Achille mi fece accomodare su una grande sedia, quasi una poltrona, in un ufficio un po’ buio. Di fronte a me c’era solo una scrivania coperta di carte, libri e registri e dietro vi erano seduti Achille e il ragazzo, Connor.
Sbuffai di nuovo. – Perché mi avete salvato?
Achille scrollò le spalle. – Eri un prigioniero dei Templari. Meglio con noi che morto, non credi? – spalancai la bocca, pronto a ribadire la mia appartenenza all’Ordine, ma l’uomo mi fermò con la mano. – Sì, sappiamo che anche tu sei un Templare. Ma non sei come gli altri, non è così?
Sorrisi tra me, annuendo. – Un Templare con il cervello di un Assassino, mi hanno definito – dissi con un certo orgoglio.
Il ragazzo scosse la testa. – Non è possibile – brontolò. – O sei un Templare o sei un Assassino.
Per un istante vidi l’espressione sul suo volto e mi chiesi se sapesse chi ero in realtà. Quell’espressione confusa, però, scomparve subito, sostituita dalla durezza tipica dei nativi. Sapeva bene che ero un Templare e, con ogni probabilità, sapeva anche che ero suo padre. – Mio padre era un Assassino – spiegai.
- Ma tu sei un Templare – il ragazzo parve di nuovo confuso. – E sei mio padre. Non è vero? – non aspettò la mia risposta. – E io sono un Assassino.
Achille gli diede uno schiaffo sulla mano. – Tu non sei ancora un bel niente, ragazzino! – sbottò. – Ci vuole tempo per diventare un Assassino. Il fatto che tu sia sotto la nostra custodia non ti rende uno di noi. E cerca di mantenere la calma.
Quando Achille disse quelle parole, scoppiai a ridere piano. – Mi ucciderai, ragazzo? – chiesi, davvero incuriosito. – Sii sincero.
Vidi il suo sguardo indurirsi ulteriormente e i suoi pugni stringersi. – Lo farei – sussurrò.
- Allora fallo.
- Haytham! – Achille scattò in piedi. Non pensavo conoscesse il mio nome. Probabilmente gliel’ha rivelato Tiio quando gli ha affidato il bamboccio. Oh, sì, forse dovrei anche fare il padre amorevole, ma non ci riesco. – Cerca di controllarti!
- Di che stai parlando, vecchio? – brontolai verso Achille. – Gli sto dicendo solo che se vuole ammazzarmi può.
- Deve conoscere la verità.
- Non la conosce nessuno! Morirebbe insieme a me – replicai. – Nessun danno. E tu avresti la tua vendetta, ragazzo.
Connor mi guardò in modo strano. Sembrava davvero pronto a farmi fuori in pochi secondi, con la clemenza tipica degli Assassini e il loro modo di buttare tutto sul sentimentale. Lo avrei voluto più simile a me. Più Templare, forse. – Hai ucciso tu mia madre?
Sorrisi. – No – ammisi semplicemente. – Ma ha importanza?
- Certo che ne ha – s’intromise Achille. – Tu non hai ucciso Kaniehti:io, quindi non meriti la morte.
- Secondo i Templari merito la morte esattamente per questo.
Per un attimo pensai che Achille fosse sul punto di darmi un ceffone. Invece si limitò a sbuffare. – Smettila di fare l’impertinente, Haytham – mi ammonì guardandomi torvo. – Potremmo rispedirti ai Templari e lasciarti al tuo destino.
- Ma non è quello che volete, no?
Messi in scacco. Come sempre.
Achille imprecò tra sé e Connor mi lanciò uno sguardo interrogativo. Gli sorrisi appena, mentre il vecchio si alzava in piedi e andava avanti e indietro per la stanza con la testa bassa. – Se non sei stato tu – chiese Achille – allora chi l’ha uccisa?
Sospirai. – Non so nemmeno se sia morta. Prima della mia cattura era viva, ma prigioniera dei Templari. Mi hanno teso un’imboscata – spiegai il tutto molto velocemente. Ripensare a quei momenti mi dava la nausea. Ricordare la nostra… combriccola, se così la posso definire, com’era prima di tutto questo, prima che Washington desse alle fiamme il villaggio di Tiio e Connor cominciasse a progettare la sua vendetta contro i Templari.
Connor abbassò lo sguardo. – Ecco cosa significava quel “non sono stato io” – brontolò.
- Sei perspicace – replicai sarcastico. Achille mi fulminò con lo sguardo. – Io la amavo, ragazzo.
- Ma l’hai abbandonata.
Reclinai il capo. Buon Dio, il ragazzo era davvero troppo, troppo sentimentale e… stupido. Me n’ero andato per cercare Jenny. Per salvare mia sorella. Troppo tardi, come al solito. Il mio ultimo legame con la mia vecchia vita se n’era andato con lei. No! Non era l’ultimo. Restava ancora Reginald. Un brivido corse lungo la mia schiena. – Ho avuto degli affari di famiglia – mi giustificai. – E lei… non voleva un Templare al suo fianco.
Il ragazzo sbuffò. – E chi lo vorrebbe?
- Connor! – il vecchio lo ammonì con un’occhiataccia. – Per piacere!
- Ragazzo, sii più saggio – sussurrai tra i denti. – Se avessi un minimo di cervello sapresti che hai anche sangue templare nelle vene, quindi io non farei troppo lo spavaldo.
Mi scoccò un’occhiataccia. – Io ho un nome – brontolò.
Roteai gli occhi. – Lo so. Ratonhnhakè:ton – mormorai tra i denti. – Tu conosci il mio nome, invece?
Strinse i pugni, come se quel nome lo riportasse a dei ricordi dolorosi. – Qui sono Connor. E il tuo nome non mi interessa.
Si alzò di scatto e Achille dovette afferrarlo per un braccio per impedirgli di andare via. – Non fare il bambino – ringhiò.
- E lui è più infantile di me! – sbottò il ragazzo indicandomi con un cenno del capo.
Gli feci il verso. – Io ho un nome.
Sentii che mi avrebbe ucciso se Achille non l’avesse fatto sedere di nuovo, borbottando qualcosa a mezza voce. Sorrisi tra me. Mi piaceva prendere in giro gli Assassini, nonostante tutto. Come ho detto, sono sempre e comunque un Templare, non potevano aspettarsi chissà cosa. Gli ideali dell’Ordine sono ancora nella mia testa, ci sono fedele. – Calmati – disse Achille a voce più alta, allontanandosi dal ragazzo. Aveva il viso rosso dalla rabbia e questo mi fece sorridere ancora. – E tu cerca di comportarti bene.
Scrollai le spalle, pensando che il tempo in cui qualcuno poteva dirmi di comportarmi da bravo bambino era passato. E nemmeno da poco. – Allora? Che cosa volete da me? – chiesi, seriamente incuriosito.
Achille incrociò le braccia. – L’amuleto.
- Ce l’hanno loro.
- Allora ce lo riprendiamo – replicò lui.
Ridacchiai. – La fai facile – brontolai. – Ringrazia che non siano già qui pronti a tagliarti la gola. Ti sei ficcato in un bel guaio, vecchio. Hai rapito un prigioniero di guerra.
Sorrise anche lui. – Un utile prigioniero di guerra.
  • Se lo dici tu… - intervenne il ragazzo con il mio stesso tono impertinente. Alleluia, finalmente appare un po’ del carattere dei Kenway! Lode sia al cielo!
Achille gli riservò un’occhiataccia. – Haytham, io credo che tu sia più utile come Assassino.
Roteai gli occhi. – Ancora non l’avete capito? Non sono un Assassino! – sbottai.
- Allora cosa sei?
- Un Templare – dissi. – Io credo nei principi dell’Ordine.
- I principi dell’Ordine che stava per impiccarti – bofonchiò Connor senza un briciolo di sarcasmo. Mi corressi mentalmente.
Scrollai il capo. – Loro non sono come me. E so che voi pensate che la maggior parte dei Templari sia come loro, ma non è così. Almeno – abbassai la voce – io non lo sono. L’Ordine si basa sulla consapevolezza e la conoscenza del mondo per ciò che è.
- Sul cinismo, dunque – mi corresse il ragazzo. Lo ignorai.
- Fatto sta che io credo nei principi templari. Non nei vostri.
- Tra i Templari non sei ben accetto – mi ricordò Achille.
Scoppiai a ridere. – Non vorrai dirmi che sono ben accetto tra gli Assassini?
Abbozzò un sorriso. – Potresti diventarlo. Fingere di essere uno di noi. Vedo che le armi le hai.
Indicò la mia lama celata con un cenno. Non me l’avevano sfilata, prima di impiccarmi. Dovevo morire con i simboli del mio maledetto tradimento addosso. Tipico di Reginald. Se ero affiliato con gli Assassini, be’, non c’era miglior prova della lama celata, per dimostrarlo. – Scordatelo – replicai. – Io non mi metto tra le vostre fila. Se devo collaborare, collaborerò in veste di Templare.
Di nuovo, Achille sorrise. – E chi ha detto che tu avresti avuto voce in capitolo?
- Non puoi portarmi in giro legato. E anche in queste condizioni potrei uccidervi entrambi. Ne ho i mezzi e l’abilità – parlai senza alcuna vanità. Lo sapevo, avevo sempre saputo di essere abile nell’arte dell’omicidio. Posso uccidere un uomo senza che se ne accorga. Non sono un pivello.
Connor sorrise tristemente. – E perché non lo hai fatto?
- Perché voglio sapere di che pasta siete fatti – ammisi. – Voglio sapere cosa avete intenzione di fare. Uccidere Reginald?
- Vogliamo l’amuleto. E, se necessario, uccideremo anche gli altri.
Un’idea mi passò per la mente in quell’istante. – D’accordo – esclamai. – Collaborerò alle vostre condizioni. Ma chiedo solo una cosa.
Achille e Connor mi guardarono annuendo. Erano pronti. – Devo essere io ad uccidere Reginald Birch. Io e nessun altro. È tutto ciò che chiedo.
Connor roteò gli occhi, come se pensasse che quella mossa fosse assolutamente tipica di un Templare, un mostro assetato di sangue come suo padre. Achille, invece, sembrò pensarci su, poi sfoderò la lama celata con un clic e tagliò le corde che mi stringevano i polsi. – D’accordo, Haytham. Se è Birch che vuoi, lo avrai.
Non volevo semplicemente Reginald. Lo volevo su un piatto d’argento. Volevo vederlo stramazzare ai miei piedi. Volevo vederlo boccheggiare in cerca d’aria mentre stringevo le mani attorno al suo stupido collo.
Oh, non potevano avere idea di quanta furia assassina ribollisse nel mio sangue in quel momento. 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: Some kind of sociopath