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Autore: Some kind of sociopath    15/10/2013    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Noi dovremmo davvero restare uniti, o, molto probabilmente, verremo tutti impiccati separatamente.
– Benjamin Franklin. 

Non respiravo. – Haytham Kenway – sibilò una voce conosciuta. Scalciai con tutte le mie forze, boccheggiando in cerca di aria. – Io, Charles Lee, ti condanno a morte per tradimento all’Ordine dei Cavalieri Templari.
Charles? Il mio giovane pupillo? Il ragazzo dallo sguardo vispo e curioso per me e sdegnato verso tutti gli altri? Lui? Oh, Dio, no. No, per piacere. Io l’avevo cresciuto e gli avevo insegnato i nostri principi, le nostre mosse. Era una mia creatura.
E l’ossigeno al mio cervello continuava a diminuire. Non… Non era possibile. Era crudele che fosse proprio lui a farmi così male, a portarmi via la vita. L’avevo reso ciò che era oggi. Era come se mi stessi soffocando con le mie stesse mani.
Reagisci!, pensai ad un tratto. Non puoi farti soggiogare così. Tu sei uno di loro! Forse il Templare più leale ai principi dell’Ordine che si sia mai visto! Forza!
Tirai indietro un gomito con forza, centrando la mascella di Charles. Mi lasciò andare imprecando e caddi a terra con la spada in una mano e l’altra premuta sul petto mentre inspiravo. Potevo essere morto.
Alzai lo sguardo e attorno a me c’erano i miei fratelli. Gli altri Cavalieri. Thomas, John, Charles, Benjamin e William. E poi, l’ultimo uomo che mi aspettavo di vedere.
– Reginald? – non riuscii a trattenere il lampo di sorpresa nella mia voce. Era lì. Il mio mentore. L’uomo che, dopo mio padre, mi aveva insegnato tutto. Tutto sull’Ordine e su Coloro Che Vennero Prima. Da quanti anni non lo vedevo? Eppure non era invecchiato di una virgola. Stesso sguardo profondo, intelligente, e le labbra piegate in un sorriso quasi malizioso, da chi sa cose che nessun altro può immaginare.
Birch sogghignò. – Mi piace vederti acuto come un tempo, Kenway – esclamò, sfoderando la spada. Non era cambiato. Poteva sembrare calmo e rassicurante, ma era sempre pronto a sguainare la spada per ogni inezia. E se l’inezia era un presunto tradimento, be’, a maggior ragione. – Anche se sei stato sciocco a far scoprire i tuoi piani in questo modo.
Sentii il bisogno di giustificarmi. Presi silenziosamente la mano di Tiio e vidi che i suoi occhi erano lucidi di lacrime. Non l’avevo mai vista piangere. Dico sul serio, mai. – Non sono un traditore, Reginald – esclamai, la spada sollevata. – Sono pronto a dimostrarlo. – Eppure ero tornato nelle Colonie, andando da lei prima che da chiunque altro, e avevo detto che non m’importava niente dell’Ordine se potevo averla con me.
Ve l’ho detto. Non siate fedeli a una causa, vi ritroverete fottuti. Malamente fottuti.
– E a chi? – replicò lui. Come sempre, sfoderava quella sua classe burocratica solo con gli altri. Quando si parlava di discutere con me nei suoi occhi si accendeva una scintilla violenta a cui ora, finalmente, poteva dare sfogo. Ammazzandomi.
– All’Ordine intero, se necessario! – sbottai. – Io sono un Templare. – Oh, che rivelazione. Idiota.  
Rise con violenza, reclinando la testa come un folle. – Già. Un Templare, ma con il cervello di un Assassino.
Quella frase mi fece uno strano effetto. All’inizio sussultai, ma dentro di me non provavo nulla. Mi fece sentire bene. Mi rivelò una verità che avevo sempre nascosto a me stesso, nel senso che non l’avevo mai ammesso, ma lo sapevo.. In fondo, mio padre era un Assassino. Era logico che avessi il cervello di uno di loro, come diceva Reginald. Che cosa significasse per lui non lo so, ma di certo niente di buono. Era il mio modo di essere, l’unica cosa che mi era rimasta mentre tutti intorno a me se ne andavano, morivano, oppure cambiavano idea sulla mia persona. La maniera di pensare che mi aveva instillato mio padre e la consapevolezza ereditata da Reginald, dall’Ordine, erano le uniche cose in me cui non avevo permesso di cambiare. Il mio cinismo mi teneva a galla da anni. Dall’assassinio di mio padre, giorno più, giorno meno. – È un male, vero, Reginald? – dissi a voce abbastanza alta. – Che cosa mi condanni? Che cosa ho sbagliato?
Mi puntò un dito contro, accusatorio, e un brivido corse lungo la mia schiena. – Rapporti troppo stretti con gli Assassini. Allontanamento dall’ordine per quanto – quindici anni?
– Tu eri in ottimi rapporti con mio padre – sibilai. No, no, basta, non ricordarlo. Non tirarlo fuori. – Ed era un Assassino.
Rise di nuovo, facendomi gelare il sangue nelle vene. – Per favore, Haytham! – esclamò. – Sei davvero un ingenuo, come tutti gli Assassini. Sono stato io ad uccidere tuo padre. Oh, certo, non in prima persona, ma l’ordine l’ho dato io.
No.
No.
No!
Com’era possibile? Mi ero sempre fidato di Reginald. Sempre. Era… non dico un mio amico, ma un alleato, un maestro. Un uomo con dei principi, la testa ben salda sulle spalle e delle idee marchiate a fuoco nella mente, uno di quelli con posizioni precise e stabilite, ma… Mi aveva mentito. Mi aveva raccontato un sacco di balle, facendomi scorrazzare per mezzo mondo alla ricerca dell’assassino di mio padre quando ce l’avevo davanti agli occhi. – Sì, piccolo Haytham, erano tutte bugie – sibilò osservando la mia espressione stupita. Sconvolta. – Oh, povero bambino. Tessa era distrutta e io avevo la mia occasione! Lasciare un abile guerriero come te senza una guida, in casa a fare la dama di compagnia di tua madre… non l’avrei mai permesso. Così sei diventato uno di noi. Un Templare con la testa da Assassino, come ho già detto, ma pur sempre un uomo devoto alla nostra causa. Fino ad ora.
Volevo ucciderlo.
Affondare la lama nella sua gola e pisciare sul suo misero cadavere. Sputarci sopra e darlo in pasto ai cani, tagliarlo a pezzi e bruciare il suo corpo. E poi pisciare di nuovo sulle ceneri.
 Per fortuna c’era la mano di Tiio, che stringeva forte la mia e mi trattenne dall’impalarlo con la spada. – Sei un bastardo, Reginald – sibilai a denti stretti. – E giuro che ti ucciderò. Fosse l’ultima cosa che faccio.
Scoppiò a ridere. – Be’, avrai tutto il tempo per realizzare il tuo misero piano in cella. Oh, e nell’altro mondo. Domani sarai impiccato davanti all’intero Ordine – Mi rivolse un sorriso a labbra strette, il tipico ghigno di chi sa di avere la preda in pugno. – Legatelo.
Thomas azzardò un passo avanti, sfiorando il viso di Tiio con la mano. Gli puntai contro la spada. – Non ci provare, Hickey.
Ridacchiò tra sé. – Pensi davvero di uccidermi, Kenway?
Kenway, ora mi chiamavano così. Non ero mai stato Kenway, per loro. Sempre signore, Gran Maestro o Mentore. Raramente Haytham. Ora ero diventato Kenway. Il cognome di mio padre pronunciato dal suo assassino e dagli uomini che credevo essermi fedeli era come una bestemmia.
– Se necessario – replicai, la voce fremente dalla rabbia. Tiio mi lanciò uno sguardo disperato e scosse la testa.
– Haytham, non lo fare – sussurrò. – Non lo fare.
Quelle parole mi lasciarono sbigottito: come poteva dirmi di non farlo? Non erano mille volte più traditori di me? Io volevo solo una famiglia! Loro volevano negarmela, e non era finita lì! Ero stato il loro maestro, il loro faro, li avevo portati sulla via della grandezza, fino ai rami più alti dell’Ordine.
E volevano uccidermi. Non avevo parole.
William strappò Tiio dalla mia stretta mentre Thomas Hickey e John Pitcairn mi  afferravano per la braccia, strappandomi la spada di mano e gettandola a terra. Avrei voluto reagire, davvero, ma c’era… C’era troppo in ballo. Reginald aveva ucciso mio padre, l’Ordine voleva impiccarmi, stavo per morire. E non ero riuscito nemmeno a salvare Tiio. Non ero neanche riuscito a portarla da nostro figlio, a vederli insieme, mentre lei lo abbracciava e lo stringeva al petto come solo una madre sa fare. Avevo fallito su qualsiasi fronte, e l’Ordine me lo stava rinfacciando, sputandomelo contro con tutto il disprezzo possibile.
Reginald ridacchiò e avanzò di un passo, tendendo la mano verso di me.
D’istinto mi trassi indietro, divincolandomi senza successo: avevo addestrato bene i miei polli, purtroppo. Al mio fianco, Thomas mi fissava con il suo sorriso più subdolo e John sembrava deluso dal mio comportamento. Pareva un padre che guarda il figliolo cattivo, pronto a riempirlo di bastonate sulla schiena. Reginald sorrise ancora e afferrò la cordicella avvolta al mio collo, tirando via la medaglietta dall’aspetto così antico e mistico che avevo conquistato con tanta fatica.
Quando la prese tra le mani, quella che credevamo essere la chiave del Grande Tempio brillò come non aveva mai fatto contro il mio petto, e Reginald la fissò per qualche secondo prima di infilarla nella tasca del cappotto, dalla quale, anche attraverso il tessuto spesso e caldo, era ancora visibile la lucentezza dell’amuleto. – Credo che questa sia più al sicuro nelle mie tasche, Haytham – disse, come se non fossi in grado di capire. Si stava rivolgendo al ragazzo più talentuoso – non per vantarmi – che fosse mai entrato nelle fila dei Templari, e lo trattava come un decerebrato, il bambinetto più insulso e stupido che avesse mai visto.
– Non ti servirà a nulla – sibilai rabbiosamente, tentando di liberarmi dalla stretta di John e Hickey.
In tutta risposta un terzo uomo alle mie spalle affondò lo stivale nelle mie natiche. Che gioia.
Reginald ridacchiò. – Avresti dovuto pensarci prima di tradire l’Ordine – disse con un sorrisetto, e qualcuno – riconobbi la risata di Charles – mi colpì alla nuca.
Poi, il buio. 
  
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