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Autore: Kira_Hewson    24/10/2013    2 recensioni
Nel dialetto antico del Villaggio, quello che anche le antiche madri talvolta fanno faica a ricordare, Daneraan significa Figlia della Foresta. Mi abbandonarono sulla soglia di una casa. Nessuno seppe mai chi fossero i miei genitori, così mia madre divenne la Foresta e mio padre il Lampo che illumina il cielo. La mia famiglia mi diede un nome nuovo.
Ma il giorno in cui mia madre venne a prendermi non ebbi bisogno di essere chiamata per nome.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era buio e confuso. I bambini hanno paura del buio perché pensano che nel buio si nanscondano i mostri, ma non sanno che anche i mostri hanno paura del buio. Invece le ombre mi cullavano, quasi fossi nata dalla paura e dal silenzio. Per il Villaggio, i miei genitori erano la Foresta e il Lampo che corre luminoso nel cielo. Per i miei fratelli ero una sorella, una piccola gioia scarmigliata, chiunque fossero i miei veri genitori non aveva importanza. Per mia madre ero la sua bambina. Il nome che mi diede disse di averlo letto in un vecchio libro, un libro di antiche storie scritte in un'altra lingua, un libro brunito dagli anni, ruvido e rugoso come la pelle delle vecchie madri che mi chiamavano Daneraan, bambina abbandonata figlia della Foresta.

La mia famiglia viveva in una casa quasi al limitare del Villaggio. La ricordo grigia e luminosa, come lo erano tutte le nostre case. Ricordo il caldo abbraccio del sole che splendeva alto sopra le nostre strade, ricordo la frescura della pioggia e il solletico dell'erba sotto i piedi. Ma quel giorno, tutto era buio e confuso, e le ombre che non mi avevano mai spaventata non mi facevano paura solo perché ero troppo debole per averne. Sentivo la malattia mangiar via dalle mie guance tutto il calore del sole e la mia piccola gola riarsa non conosceva più il sapore della pioggia. La malattia aveva chiuso gli occhi a tutti i miei fratelli e molti altri bambini nel Villaggio. Sapevo che prima o poi l'ombra avrebbe preso anche me.

Mio padre era così forte che pensavo avrebbe potuto prendere il fiume in una mano e scaraventarlovia come avevano fatto gli antichi Dei. Mi portava sulle spalle e giocava con i miei fratelli ed ogni sera ci baciava uno per uno sulla fronte per cacciare le nebbie dai nostri sogni prima di socchiudere la porta della nostra stanza e tornare a distendersi davanti al fuoco con nostra madre. Le febbri lo presero per primo.

Mia madre era la donna più bella che avessi mai visto, come lo è per ogni bambino. Aveva la pelle brunita dal sole dei campi, e lunghi capelli castani e vividi occhi marroni e verdi come un tronco coperto da soffice muschio. Mi amava come solo una madre può amare, anche se mia madre era la Foresta e mio padre il Lampo che illumina il cielo. Ricordo che mi raccontava tutte le vecchie storie, quella della giovane donna che era diventata spuma del mare e quella del bellissimo giovane tramutato in un fiore. La malattia la consumò lentamente, mentre metteva a dormire i miei fratelli, e prima che l'oscurità me la strappasse mi abbracciò e mi diede un bacio offuscato com'erano diventati i suoi occhi.

Il buio confuso della casa mi bruciava dietro gli occhi, e divenne un dolore lancinante. Pensai che non sarei mai riuscita a chiudere gli occhi come mia madre, forse avrei sofferto in eterno come l'uomo della leggenda.

Ricordai che un giorno una delle vecchie madri in visita alla nostra casa ci raccontò una storia nuova. C'era un uomo che aveva sedotto e ingannato la Morte stessa. Ma l'uono era superbo e arrogante, e non riuscì a tacere. Propose alla Morte un vile ricatto: egli non avrebbe raccontato nulla se ella gli avesse fatto dono della Vita Eterna. Egli ottenne ciò che voleva, ma commise un errore. La Morte,superiore all'arroganza e alla superbia degli uomini, non gli donò la Giovinezza. Così l'uomo invecchiava e non poteva morire, e sentiva le viscere stridere per la fame senza che alcun cibo potesse saziarlo, e il vino più dolce non riusciva a placare la sua eterna sete, e le febbri lo divoravano dall'interno senza che lui potesse curarsi. Inorridito dal suo continuo invecchiare, l'uomo che non poteva morire si incamminò sulle pianure e non fece più ritorno. Chiesi a mia madre se la Morte fosse davvero così implacabile come raccontava la storia. Mia madre mi disse che solo i superbi venivano puniti, e che la morte per gli uomini assomigliava ad un lungo e placido sonno.

Come avrei voluto che fosse un sonno. Le ombre ora mi facevano paura, i mostri mi aspettavano nel silenzio. Nel buio confuso della mia casa, brulicante di oscurità, ero rimasta da sola.

Ma qualcuno bussò alla porta e la schiuse. Nella falce di luce che illuminò la stanza, uno spiraglio che diventò sempre più grande e più bianco, una figura mi tese la mano.

 

Avevo sette anni quando mia madre venne a prendermi.

 

Camminammo per molto tempo, ma non mi sentivo stanca. Mia madre camminava di fianco a me, tenendo la mia manina tra le sue dita, il silenzio e il suo mantello nero nascondevano il suo volto ai miei occhi. Attraversammo la Foresta, quella che levecchie madri dicevano che fosse mia madre, e quando ne uscimmo era già scesa la notte. Non mi ero mai spinta così lontano. La luna illuminava alberi bianchi e grigi, così alti e antichi e solenni, scheletri di giganti pietrificati. Mia madre si sedette tra le radici nodose di un albero e mi prese in braccio. Le ombre spaventose dei rami degli alberi mi sembravano così accoglienti, così familiari... Mia madre si abbassò il cappuccio. Era di una bellezza sconvolgente, con la pelle argentea come la Luna e i capelli neri come la Notte. Aveva l'aspetto che immaginavo potesse avere una dea. Poi parlò, e la sua voce fluì dolce come il miele.

- Daneraan - disse – le vecchie madri ti hanno dato un nome giusto senza sapere la verità. Tu sei veramente figlia di questa foresta. - si voltò verso di me e mi sorrise. I suoi occhi erano neri come il ventre della fiamma di una candela. - Conosci ciò che i cantastorie errabondi cantano riguardo alla storia di questa foresta?

Un uomo mi amò, un tempo, ma era un uomo arrogante e superbo, e mi offese. - sospirò quasi con rabbia – Egli venne punito, ma io avevo paura. Temevo che qualcuno, qualcosa ancora più potente ed eterno della Morte stessa, potesse trovarmi e fare del male alla bambina che portavo nel grembo. Scappai. Vagai per tutte le Terre, senza trovare mai un riparo. Una notte, stremata, giunsi in questa Foresta. Era ancora rigogliosa e verde, e d'estate vi risuonavano i fruscii delle ali degli uccelli e i canti degli insetti. Sedetti proprio qui, dove siamo adesso, per riposare. Ma gli alberi videro le grida negli occhi di una madre in trappola, e mi offrirono il loro aiuto. Così io tornavo in forze, ma non mi accorgevo che la Foresta mi stava donando la propria vita. Più mi ristabilivo, più gli alberi perdevano le foglie, diventando secchi e malati. La notte in cui tu venisti alla luce, gli alberi fremettero un'ultima volta e restarono fermi, per sempre immobili e grigi. Da allora nessun uccello si avvicina più alla Foresta di Pietra, non si sentono zoccoli calpestare le foglie cadute e le cicale non cantano più il loro inno all'estate.

Non potevo tenerti con me. La Foresta era morta per salvarmi, non potevo permettere che altri pagassero il fio perché avevo amato un mortale. Ti lasciai al villaggio, Daneraan, sicura che ti avrebbero cresciuta come una figlia anche se tua madre era molto lontano. - mia madre tornò a guardarmi con tenerezza – Speravo di dover venire da te molto più tardi, ma non potevo lasciarti da sola, bambina mia.

 

Avevo sette anni e più nessuno al mondo quando mia madre venne a prendermi per portarmi nel suo regno. Lasciai il mio corpicino nella casa del Villaggio, ed ombra fra le Ombre mia madre la Morte venne a prendermi per mano ed io la seguii senza che avesse bisogno di chiamarmi.

  
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