Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: vikvanilla    24/10/2013    1 recensioni
"L'Apocalisse degli Zombi è ufficialmente cominciata. Questa è la storia di come le Nuove Direzioni sono riuscite a sopravvivere, e di chi non ce l'ha fatta, a seconda dei casi. FABERRY, Brittana, Samcedes, Klaine, Tike, Wilma e ogni altro tipo di romance o bromance mai immaginata."
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuove Direzioni, Quinn Fabray, Rachel Berry, Sue Sylvester, Will Schuester | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Quinn/Rachel
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota: Better Run, Outrun My Gun termina ufficialmente qui. Mi scuso del ritardo di pubblicazione, e ringrazio vivamente tutti coloro che hanno voluto dare una possibilità alla storia, seguendola, recensendola o anche semplicemente leggendola. Spero di aver fatto giustizia all'opera originale. 
Buon finale!


 

TERZA PARTE
22 giugno, 2012
Base Madre
Ore 11.42

 
Puck aveva lasciato soli Sam e Mike qualche minuto prima. Aveva dato l’arma a Mike e aveva lasciato intendere che sarebbe tornato dentro. Non gli ci era voluto molto per ritrovarsi accanto a Finn nel garage. Dopotutto erano migliori amici dai tempi dell'infanzia, da quando Puck aveva fatto un disegno del Dottor Doom e Finn l’aveva trovato figo.
 
Uno per uno, stavano esaurendo i fusti di benzina che avevano riempito settimane fa. Li stavano ammucchiando in due file: una per quelli vuoti e una per quelli non ancora vuoti.
 
Dimenato l’ultimo fusto, Finn lo depositò avvilito nella fila dei vuoti, con un sospiro pesante. “Dannazione. Siamo praticamente a corto di benzina.”
 
“Merda,” replicò Puck, gingillandosi con la punta dello stivale contro la parete più vicina e osservando l’unico fusto nella fila dei pieni. “E’ un problema. Abbiamo già prosciugato la maggior parte delle riserve cittadine, e non c’è tempo per avventurarsi oltre i confini per dell'altro carburante.”
 
Stava ancora fissando il fusto quando avvertì un colpo vigoroso alla spalla.
Ahia, cazzo!” esclamò. “E questo per cos’era, bello?”
 
Il ghigno di Finn era il più sciocco che avesse visto da molto tempo ormai, ma non stava ridendo mentre gli strofinava la spalla ancora sensibile. “Riesci a sentire!” replicò Finn.
 
Nel giro di mezzo secondo, il ghigno di Puck si unì a quello di Finn. “Alla grande.”
 
Si diedero il cinque.
 

Ore 11.44
 
Quando la radio, gracchiando, si accese accanto alla mano destra di Artie, per poco il ragazzo non si beccò una scossa insieme al cacciavite e ai congegni elettronici che stava esaminando.
 
“Nota personale,” brontolò, scuotendo energicamente la testa in aria “ricordarsi di staccare la spina prima di toccare oggetti in metallo.”
 
La radio richiese la sua attenzione ancora una volta. “Artie,” esclamò la voce di Quinn.
 
Il ragazzo si sporse e schiacciò il pulsante di trasmissione. “Quinn, qui è Artie. Va’ avanti.”
Cercò di domare il travolgente senso di incredulità che lo aveva investito nel realizzare che si trattava effettivamente della voce di Quinn. 
 
E se Quinn gli stava parlando, significava che era ancora viva. Significava che aveva abbandonato la scuola. Significava che (forse, solo forse) era riuscita a prendere quel dispositivo per cui aveva rischiato la vita.
 
Ho il dispositivo. Siamo diretti alla base, ora,” disse velocemente, illustrando la situazione con cinismo. Non c’era emozione nella sua voce, il che era diventato un fatto normale, dovendo affrontare cose del genere fin dallo scorso aprile. 
Ma la pelle di Artie formicolava per qualcosa in più che era assente nella sua voce. Gli stava facendo venire la nausea e le palpitazioni, gli stava seccando la bocca, e gli stava facendo vorticare la testa di domande.
 
“Noi?” chiese. Era tutto ciò che gli era venuto in mente di chiedere; aggiunse un punto interrogativo per essere sicuro.
 
Rachel e la coach Sylvester si trovano con me.”
 
Non disse altro. E Artie non aveva il fegato o la vena masochistica di chiederle come mai Kurt non fosse con loro. “Ok, tornate senza correre rischi. E Quinn…”
Sì?” La sua voce spezzò il momentaneo silenzio che Artie aveva lasciato scendere sul canale.
 
Si schiarì finalmente la gola e schiacciò il pulsante di trasmissione ancora una volta. “Finn e Puck hanno localizzato un'orda di zombi colossale proveniente da fuori città. Il tempo è estremamente prezioso. Abbiamo bisogno del dispositivo di segnalazione al più presto per farci soccorrere e andarcene da questo luogo maledetto.” Premette il bottone e mormorò, “Ammesso che i soccorsi esistano."
 
Quinn non perse tempo a stringere il cappio attorno al collo di Artie con la prossima affermazione. “Il dispositivo è rotto. La coach ha tentato di aggiustarlo, ma non ha avuto fortuna. Arriveremo il più in fretta possibile, e poi toccherà a te sistemarlo.
 
Non aggiunse mai un inutile “se ci riesci” e Artie le fu grato in eterno per questo. Era il silenzioso voto di fiducia di cui necessitava in quel momento di disperazione: il momento in cui tutto stava cominciando ad accatastarsi sulle sue spalle ad altezze sempre più assurde. E le sue spalle si erano fatte abbastanza forti in tutti quegli anni spesi sulla sedia a rotelle, ma non potevano reggere più di questo.
 
E poi lei sganciò l’ennesima bomba. Lui sperò che fosse l’ultima.
 
E Artie, l’orda nel McKinley era già irritata a sufficienza, tanto perchè tu lo sappia.”
 
Togliendosi gli occhiali e strofinandosi vivamente i dorsi delle mani contro le orbite, Artie sospirò. Alla fine si sporse ed esclamò dalla radio, “Ricevuto.”

 
 22 giugno, 2012
Centro settentrionale di Lima, lasciando il liceo William McKinley
Ore 11.47

 
La spia della benzina scivolò verso l’ultima tacca, innervosendo Quinn. E il sole splendeva troppo nel cielo, il che la irritava altrettanto.
 
Ma soprattutto, era seccata da quelle fottute lacrime incessanti che le colavano dagli angoli degli occhi. Non appena era salita al posto di guida della jeep e l’aveva fatta partire, aveva afferrato dal quadro gli occhiali da sole di Kurt, schiacciandoseli in faccia.
E il gesto era stato confortante e straziante all’ennesima potenza.
 
Sue sedeva al centro del sedile posteriore, con un'espressione ferma e stoica, quando Quinn lanciò un’occhiata nello specchietto retrovisore. Quasi si convinse di aver visto il mento della donna più anziana tremare per un attimo. Pensò che fosse solo colpa di una buca, forse.
 
Accanto a lei, Rachel stava distesa contro il poggiatesta del sedile dei passeggeri, mordendosi ferocemente un labbro e manifestando fisicamente tutto il dolore viscerale di Quinn nei tratti del viso e nelle spalle e nei pugni più che stretti. Benché sfrecciasse per le strade completamente deserte verso la sua Ducati, Quinn allungò la mano destra e prese la sinistra di Rachel nella sua. Poi entrambe le mani di Rachel si avvolsero all’improvviso attorno alla sua, e Quinn quasi si convinse che andava tutto bene ora che Rachel la stava toccando e aveva il vento tra i capelli.
 
Quinn stava cercando di cancellare dalla memoria l’ultimo grido di Kurt. E il velluto della pelle di Rachel la stava aiutando immensamente. La sua mente era corrosa da pensieri su quella pelle: pelle che la toccava, e la stringeva, e la portava in posti che non aveva mai conosciuto.
 
Era così scontato, trovare conforto nelle braccia di un’altra persona ( specialmente della più improbabile – in un mondo postapocalittico). Ma adesso Quinn aveva afferrato il senso del cliché.
 
Perché era fottutamente necessario alla sua sanità mentale. Rachel era diventata la sanità mentale di Quinn, e Quinn sperava che, forse, anche lei fosse parte della sanità mentale di Rachel. Specialmente adesso…
 
Accostò nei pressi della casa di mattoni rossi e vi parcheggiò il veicolo. Senza perdere neanche un secondo (perché non c’era tempo per sprecare più niente ormai) si girò sul sedile e prese le guance della ragazza con entrambe le mani, spingendosi verso Rachel e spingendo Rachel verso di lei, facendo schiantare le loro labbra proprio in presenza della coach Sylvester.
 
Nella lista dei cliché c’erano anche i fuochi d’artificio.
 
Tuttavia, fanculo i cliché. Questa era la vita reale, e stava succedendo, cazzo.
 
Le ultime stelle svanirono dietro le sue palpebre chiuse mentre si staccava leggermente, appoggiando la fronte su quella dell’amante. “Sarò proprio dietro di te,” soffiò, lungo le labbra già gonfie.
 
Le dita di Rachel erano aggrovigliate quasi dolorosamente tra le corte ciocche dei suoi capelli, ma una parte di lei apprezzava il dolore, il guinzaglio della sanità mentale e della realtà, e il qui e adesso. “Non fare niente di stupido,” le ordinò Rachel, lisciando i capelli sottili contro la nuca di Quinn. “O di eroico.”
 
“Mai,” disse Quinn, ed era già sparita.
 
 
22 giugno, 2012
Base Madre
Ore 12.02

 
Quando Rachel accostò alla Base Madre, cercò di ignorare gli sguardi indagatori che Mike e Sam stavano lanciando nella sua direzione. Probabilmente erano molto sorpresi di vedere Sue Sylvester seduta nel retro della jeep.
 
E probabilmente li angosciò parecchio constatare che Kurt non si trovava da nessuna parte: ciascuno di loro sapeva cosa doveva significare.
 
Incurante, Mike trotterellò ad aprirle il cancello, annuendo solennemente al passaggio del viso di lei macchiato di lacrime. “Grazie Mike” esclamò, varcando l’entrata. Però la sua voce era debole, ed era quasi certa che lui non l’avesse udita affatto.
 
Controllò lo specchietto retrovisore ancora una volta (come se non lo avesse già fatto centinaia di volte nel corso dell’ultimo quarto d’ora) per assicurarsi che Quinn le stesse dietro, intatta. E lo era. Perciò Rachel prese un bel respiro, di nuovo. Erano riuscite ad arrivare a casa.
 
Entrando in garage, spense il motore. Il rombo della moto di Quinn riempì lo spazio concreto, risuonando nelle sue orecchie interne mentre sedeva immobile di fronte al volante. Sue si stava già preparando a scendere dall’auto, stranamente agile per essere una matura trentenne.
 
Ma tutto quel che Rachel poteva fare era starsene seduta lì a fissare la nuda parete del garage. Mise a fuoco un’oscura macchia proprio sopra il parafango frontale della jeep, chiedendosi da cosa dipendesse. Della pittura versata, o un tubo che perdeva o…qualcosa…
 
Non si era accorta che il motore della Ducati si era spento, e non aveva notato Quinn avvicinarsi allo sportello. Ma poi lo sportello si aprì e un braccio le circondò le spalle e Quinn afferrò la sua mano, tirandola delicatamente fuori dalla jeep. Mentre attraversavano la lavanderia, Rachel sarebbe probabilmente caduta se non fosse stato per quel braccio forte e sottile avvolto intorno alla sua vita. Si lasciò andare completamente su Quinn, e si tranquillizzò sapendo di avere qualcuno a cui appoggiarsi, perlomeno.
 
Mentre attraversavano l’abitazione dirette al Quartier Generale, Quinn si fermò in fondo alle scale che portavano al secondo piano, e Rachel fu costretta ugualmente costretta a fermarsi dal momento che dipendeva da Quinn per non sbattere con la faccia a terra. Rachel si voltò per vedere cos’è che Quinn stava fissando e immediatamente notò Santana in cima alle scale, con Brittany alla sua spalla sinistra. La mano di Santana era saldamente ancorata alla ringhiera mentre fissava Quinn, una delle amiche più leali e fidate che potesse vantare al mondo.
 
Rachel lesse il sollievo negli occhi di Santana e in quell'istante, avvertì una strana affinità con l’altra ragazza.
 
E avvertì anche un breve lampo di amarezza perché non avrebbe mai avuto l’opportunità di sentirsi sollevata nel vedere Kurt camminare per quelle stanze, sano e salvo.
 
Kurt era morto. Si era frantumato in mille pezzi. Tuttavia non era un nonmorto. Un paio di lacrime le colarono dagli occhi ancora una volta, al sollievo nauseante che le procurava quel particolare pensiero.
 
Che n’era stato del mondo?
 
Avanzarono di nuovo verso il soggiorno. Rachel poteva già vedere Artie e la coach Sylvester piegati sul marchingegno che racchiudeva il loro futuro, o la loro rovina.
 
Quinn si accertò che Rachel fosse al sicuro, appoggiata al telaio della porta d’ingresso, prima di raggiungere il suo ex mentore. “Come sta procedendo?” domandò.
 
Artie parlò in fretta, ansioso di cogliere l’opportunità al volo, ansioso di avere qualcosa a cui lavorare, anziché starsene seduto su una sedia a rotelle a riferire messaggi. “I cavi sono andati. Deve essersi verificata una sorta di sovratensione temporanea a scuola qualche settimana fa, quando il gruppo elettrogeno è saltato. Ma questo attrezzo appartiene a una tecnologia incredibilmente avanzata, e non sono sicuro al cento per cento di possedere i mezzi adatti a ripararlo.” Fece una pausa e alzò lo sguardo sull’espressione gelida di Quinn. “Ma farò del mio meglio.”
 
“Allora speriamo che il tuo meglio sia sufficiente,” disse ruvida Sue. La frustrazione della sua voce rifletteva la sua stessa rabbia per non essere riuscita ad aggiustare quel dannato affare da sola. La donna portò l’attenzione di Artie su una particolare serie di fili in prossimità della scheda madre, e così iniziarono a discutere di ciò che lei aveva già sistemato sinora e cosa rimaneva da fare.
 
Ritornando sui suoi passi, Quinn ficcò la mano destra nell’incavo del gomito di Rachel, superandola. Rachel per poco non inciampò all’indietro, ma Quinn aveva una presa salda su di lei. Di nuovo. Così mantenne il passo, e insieme cominciarono a salire le scale.
 
Nel frattempo, sorpassarono anche Brittany e Santana. Le ragazze erano addossate auna parete qualsiasi, con le dita di Brittany dischiuse sopra la coscia di Santana, e la fronte della latina che sfiorava quella della bionda mentre si sussurravano parole dolci.
Erano perse l’una nell’altra, e andava bene così.
 
Rachel camminò fianco a fianco con Quinn per il corridoio. Quando oltrepassarono la stanza del signor Schue, le soffici note di Sinatra aleggiarono dalla fessura della porta. Rachel sorrise anche se non voleva.
 
Quinn tenne la porta aperta per Rachel, guidandola dentro e seguendola poi con gli occhi mentre lei si affacciava alla finestra dall’altra parte della stanza. La porta si chiuse. Questo lato della casa era riparato dal sole, perciò la luce era fioca. Delle ombre danzarono nella stanza, mentre Quinn si avvicinava a Rachel sempre di più.
 
Gli occhi di Rachel fremettero con tutta la testa non appena il corpo di Quinn, d’un tratto, si schiacciò nella sua interezza contro di lei, dalle spalle. Lasciò andare indietro il capo contro la clavicola di Quinn, e si voltò a premere il calore della sua pelle contro la freddezza del collo dell’altra. La sentì cacciare fuori la lingua, e inumidirsi le labbra già pronte prima di premerle contro la sua guancia. E all’istante, Rachel si sentì andare a fuoco dalla testa ai piedi.
 
Aveva voglia di piangere perché Kurt non c’era più. Aveva voglia di piangere perché i suoi padri erano morti. Aveva voglia di piangere perché una bellissima giovane donna le stava circondando la vita con le braccia e la stava stringendo più vicina e le stava offrendo sollievo e protezione e stabilità. Anche se il mondo era finito e non erano sicuri che si potesse ancora parlare di stabilità per la razza umana.
 
Ma se il glee club aveva insegnato loro una cosa (e detto sinceramente, aveva insegnato loro un sacco di cose) era che, non importava cosa, non potevano fermarsi. Se c’era anche la più piccola, infinitesimale possibilità che esistesse qualcosa di meglio al di là di questo posto dimenticato da Dio, le Nuove Direzioni (o cos’era rimasto, perlomeno) avrebbero lottato per essa. A un certo punto, nel corso degli ultimi tre anni, avevano sviluppato un fatale senso di ottimismo e forse quell’ottimismo sarebbe stato la chiave della loro salvezza.
 
Rachel si schiacciò nuovamente contro il corpo duro di Quinn, insinuando le braccia lungo le sue spalle e intorno al collo di lei. Le labbra esploravano ogni centimetro del suo volto e del suo collo, e le mani scorrevano lungo i suoi fianchi e le braccia fino ad arrivare ai polsi, per poi ripetere quel delizioso tracciato.
 
Rachel era una maestra nella respirazione o altrimenti, a questo punto, sarebbe già svenuta per mancanza di ossigeno.
 
Le punte delle dita scivolarono furtivamente sotto l’orlo della maglietta e tracciarono i suoi addominali fino a sfiorare il reggiseno. Non riuscì più fermare la pelle d’oca incalzante, così come non riuscì a stroncare un microscopico lamento che le partì dal fondo della gola.
 
Calde mani si chiusero sui suoi seni proprio sotto il tessuto che li costringeva, e Rachel restò senza fiato sentendosi così viva. Girò il viso, di modo che le sue labbra fossero a pochi millimetri da quelle di Quinn. Respirarono la stessa aria, siccome Rachel espirò e Quinn inspirò. “Avrò mai l’opportunità di salvarti la vita?” chiese Rachel. Mentre le parole lasciavano le sue labbra, la mente riandò fluttuando al pomeriggio in cui si era accovacciata sotto il formidabile, puzzolente cadavere di suo padre; Quinn che la salvava; Quinn che la stringeva; il silenzioso pegno di Rachel di restituirle il favore.
 
Di nuovo Quinn cacciò la lingua, percorrendo lentamente la lunghezza delle labbra dischiuse di Rachel. Rachel non potè far altro che serrare gli occhi e lottare per restare con i piedi per terra. “Rach, tesoro…” sussurrò Quinn. Le parole fluttuarono via, e Rachel non poté nemmeno allentare la presa sulle ciocche rosa dei suoi capelli per allungare le mani e afferrarle e stringerle a sé per l’eternità. Allora Quinn parlò ancora, e il cuore di Rachel smise di batterle per una frazione di tempo quasi impercettibile. “Tu lo hai già fatto.
 
Rachel si gettò nella stretta delle sue energiche braccia. Le mani di Quinn passarono a solcarle le scapole. Le loro bocche si unirono, roventi e bisognose e madide e deliziose. Volarono bottoni, e i vestiti vennero strappati mentre le unghie graffiavano ferocemente la pelle nuda. E niente (né le masse di zombi in avvicinamento né la fine del mondo né la morte né la disperazione) poteva impedire a Rachel e Quinn in quei momenti di amarsi.
 
Quei momenti nella calma e nell’oscurità, quei momenti prima che l’inferno tutto minacciasse di scatenarsi e rovesciarsi su di loro come le onde di un fottuto, inarrestabile, tsunami concepito negli abissi infuocati degli incubi peggiori.
 
 
22 giugno, 2012
Base Madre
Ore 18.57

 
Tina tracciò i bordi del piano coperto con le punte delle dita. Si erano riuniti tutti al Quartier Generale a osservare in attesa. Artie stava esaminando il dispositivo di segnalazione e un paio di pinze con la punta deformabile, cosa che aveva fatto nel corso delle ultime ore senza mai fermarsi. Sue gli gironzolava intorno lanciandogli occhiate indagatrici a ogni sua singola mossa. Finn, Puck, Sam e Mike erano tutti seduti sul bordo del divano una volta finito di installare con successo la maggior parte della catasta di C4. Brittany sedeva sul tavolino da caffè a gambe incrociate mentre Santana le ravvivava i capelli in una treccia alla francese. Rachel camminava per la stanza (avanti e indietro e avanti e indietro)b mentre Quinn se ne stava a guardare dalla sua posizione, addossata un’altra parete, un piede nudo premuto contro la carta da parati e ispide ciocche rosa che le cadevano sugli occhi.
 
Tina si schiarì la gola. “Dunque…è possibile che gli zombi, semplicemente…non so, ci scavalchino? Per loro è obbligatorio fermarsi a mangiarci la faccia?”
 
“Questo posto è fottuto,” sospirò ringhiando Puck.
 
“E siamo gli unici esseri viventi nel giro di miglia,” chiarì per lui Finn. “Abbiamo setacciato quasi tutto il perimetro di Lima, e possiamo confermarlo. Saranno affamati, e noi viviamo qui da un po’ di tempo ormai. Non esiste che non ci fiuteranno. Anche se ce ne stiamo tranquilli e cerchiamo di non attirare l’attenzione.”
“Quindi è tutto qui?” domandò Santana. “Il dannato computer è rotto perciò dobbiamo cavarcela completamente da soli, grande. Disponiamo di esplosivi già piazzati, meraviglioso. Tonnellate di munizioni e varie cagate, me ne compiaccio moltissimo. Ma voi ragazzi fate sembrare questa orda così fottutamente terrificante. Se non possiamo cercare aiuto, disponiamo davvero della giusta potenza di fuoco (o degli uomini, per quel che conta) per far fuori centinaia o più di zombi?” Il silenzio calò nella stanza. “E se riusciamo a farli fuori, cosa facciamo con il resto? È solo una schifosa tempesta di proporzioni epiche, non riesco neanche a…”
 
“Lopez ha ragione,” dichiarò Sue. “Quando da bimbetta vivevo a Panama, ci fu una piccola fuoriuscita di zombi nei pressi della Zona del Canale.”
Tutti i presenti sollevarono un sopracciglio, scettici, o inclinarono la testa a lato imbarazzati, lanciandosi l’un l’altro sguardi curiosi e dubbiosi. Sue li ignorò tutti.
 
“Avevo solo sette anni, ma dopo il fattaccio mio padre mi insegnò tutto quello c’è da sapere sui cadaveri vaganti. Cominciarono a chiamarmi la piccola Generalessa addetta alla Soppressione e alla Decimazione degli zombi (Generale Zod, per gli amici). Ma qui o lì non fa differenza. Ecco il mio punto: so con che cosa abbiamo a che fare qui, e voi avete tutti ragione.
Si affidano molto all’udito, vero. Ma il loro olfatto si acuisce dopo la morte per un qualche motivo (soprattutto per la fame, e saranno attratti da questo posto come il gel è attratto dai capelli di Schuester). E sono instancabili, perciò non la smetteranno di trascinarsi verso la porta d'ingresso, finché i muscoli non gli si atrofizzano fino a diventare irriconoscibili e i loro resti non si trasformano in una pozza attaccaticcia.” L’immagine era ripugnante ma accurata.
 
“Pertanto, se il mio dispositivo non funziona, dovremo affrontare una battaglia infernale.” Tina tirò su con il naso. “Ma non impossibile,” aggiunse Sue. “Niente è impossibile. Voi stoccafissi dovreste saperlo meglio di chiunque , a questo punto. E se c’è una cosa che posso inculcare nei vostri inutili cervelli proprio ora è proprio questa: dovete essere disposti a tutto pur di vincere, chiaro?” Puntò un dito minaccioso per la stanza, soffermandosi di fronte a ogni singolo studente. “A tutto.
 
In ultimo la coach si concentrò su Sam. Come ne se leggesse esattamente i pensieri, benché il ragazzo non avesse spiccicato parola con nessuno. Come se sapesse l’esatto peso dei rischi e delle ricompense, e in quale verso l’ago della bilancia avrebbe finito per pendere. Era come se lei gli stesse offrendo, nel suo personale modo malato, la sua approvazione…
 
Con le perle di saggezza di Sue (o la sua intimidazione strategica) ancora rimbombanti nelle orecchie, i membri rimasti delle Nuove Direzioni presero un respiro più deciso. La tensione nelle spalle e nelle sopracciglia si allentò e tutti loro cominciarono a pensare che forse, anche se non potevano contare su rinforzi di nessun genere, sarebbero potuti comunque rimanere in vita.
 
Forse sarebbero vissuti abbastanza da vedere persino l’alba.
 
Forse.
 
E mentre ognuno discuteva strategie per le prossime ore, Sam si distese nell’angolo del divano. Portò il ginocchio sinistro all’altezza dell’anca destra, e catturò il mento nel palmo della mano. Oltre a lui, l’unico taciturno in camera era Quinn, e lei utilizzò la sua riservatezza per fissarlo, contraendo leggermente gli occhi in un’espressione vuota, con tutti gli altri che tentavano di rendersi utili.
 
 
 22 giugno 2012
Per le strade di Lima, a sudovest della Base Madre

 
 
Sam e Mike si erano offerti di andare a ispezionare i progressi delle orde in avvicinamento. Era stato facile scovare il gruppo del McKinley. Era intento a massacrare fragorosamente quel che restava del Wal-Mart vicino a Dudley Road, tra la scuola e la Base Madre. Ma erano distratti, e probabilmente non costituivano una gran minaccia, a meno che non si unissero all’ondata principale proveniente da sudest.
 
E quando Sam arrestò il furgone lungo la cresta del monte e la distesa di Lima si aprì improvvisamente davanti ai due ragazzi, le loro bocche divennero asciutte e il sudore prese a colargli dalla fronte: erano come minimo un migliaio di zombi. Probabilmente di più. Contare diventa difficile quando si è terrorizzati.
 
Con il piede spinto con forza sul freno, Sam si allungò contro il volante. Analizzò l’ambiente circostante mentre Mike si sporgeva dal finestrino, fissando a mascella spalancata. “Mike,” chiese Sam “Artie non aveva detto che sarebbero arrivati entro le quattro di mattina?”
 
 Tornando in cabina, Mike annuì fermamente. “Sì. In via ipotetica.”
 
“Perciò, in via ipotetica, sembra che abbiano acquistato velocità.”
 
“In via ipotetica, sì.”
 
“Di nuovo, in via ipotetica, siamo in grossi guai se Artie non aggiusta il congegno.”
 
Mike deglutì a fatica. “Amico mio, penso che non ci faccia bene parlare in via ipotetica, a questo punto.”
 
Sam annuì, il suo proposito era più forte che mai. “E’ proprio di questo che ho paura.”
 
Rimasero seduti per un paio di minuti in più, osservando appena i progressi dell’esercito di nonmorti a distanza. Sam non era mai stato bravo con i numeri, ma era migliorato molto. Artie lo aveva seguito un po’ durante l’anno scolastico. E mentre se ne stavano lì, nel silenzio della cabina, a studiare gli zombi con sottile curiosità, Sam cominciò a contare da solo.
E il suo pronostico, contro le quattro di mattina calcolate da Artie era…
 
Le dieci in punto di questa sera.
 
In meno di tre ore, gli zombi avrebbero raggiunto il loro dannato, fortemente critico, vicolo cieco.
 
Anche Mike doveva essere giunto bruscamente alla medesima conclusione. “Dobbiamo tornare indietro, all'istante.”
 
Sam inserì la retromarcia e lentamente indietreggiò lungo l’altura. La plastica bollente del volante sì incollò alle sue mani sudate mentre ruotava il veicolo in direzione della Base Madre. Il sole stava iniziando la sua fiacca discesa all’orizzonte alle loro spalle, e subito Sam fu più nauseato che mai al pensiero di cosa li attendeva quella notte.
 
Si leccò le labbra. Aumentò la stretta sul volante sotto le dita. “E se…”
 
Tuttavia si fermò. Perché le parole erano bloccate in gola. Poteva vedere la testa di Mike che si inclinava in attesa, ma non riuscì a completare la frase.
 
“E se, e se cosa?” lo spronò Mike.
 
Del tutto indesiderati, pensieri su Stevie e Stacy assalirono la mente di Sam. La casetta dove avevano vissuto dopo il tracollo era stata interamente decimata prima che Sam avesse finalmente il tempo di andare a cercare la sua famiglia. Lenzuola insanguinate e vestiti insanguinati e orme insanguinate e orsetti insanguinati erano state le uniche prove della scomparsa dei suoi cari. E poi aveva perso Mercedes. E certo, lei non era parte della famiglia, ma aveva rappresentato qualcosa.
 
E adesso erano tutti andati.
 
Fanculo.
 
“E se potessimo dirottarli in qualche modo? O perlomeno distrarli per un po’. Io confido in Artie, so che può aggiustare l’aggeggio della Sylvester. E può chiedere aiuto via radio. E i soccorsi possono raggiungerci, giusto? Ma tre ore non sono abbastanza. Se lui avesse solo un po' più di tempo…
 
“Oh,” esclamò Mike, sollevando una mano a mo’ di arresto. “Che cosa stai suggerendo? Di fare, tipo... da esca?” Sam non distolse gli occhi dalla strada che avevano di fronte, ma annuì due volte per conferma. “Diavolo no, è un suicidio!” dichiarò Mike. 
 
Stavolta, Sam rispose. “Esattamente.”
 
La luce spenta si accese, e nessuno dei due poté evitare di fissarla.
 
 
22 Giugno, 2012
Base Madre
Ore 19.43

 
Quinn si trovava sulla veranda, intenta a fissare con difficoltà l'estero mentre il sole affondava nel cielo. Attendeva il ritorno di Sam e Mike. Non sarebbe stata più in grado di respirare correttamente finché non li avesse rivisti.
 
Perché non aveva protetto Mercedes. E non aveva protetto Kurt.
 
Ma era sicuro come l’inferno che non avrebbe permesso a Sam di bersi il cervello e fare qualcosa di stupido. Non se lei poteva evitarlo.
 
Per cui restò in attesa.
 
 
Ore 19.46
 
Il furgone raggiunse la Base Madre, e lentamente Sam si fermò. “Ti dispiace aprire il cancello?” chiese, con tutta la disinvoltura di cui era cpace.
 
“Certo,” disse Mike, saltando giù dal veicolo e lasciando lo sportello aperto.
 
Mike era a circa dieci metri davanti al furgone quando sentì lo sportello chiudersi. Si girò velocemente, ma Sam aveva già iniziato la manovra di retromarcia. Le sicure addirittura scattarono quando Mike si precipitò verso di lui, menando pugni allosportello.
 
Sam, no! Dài bello, non farlo! Non puoi pensare che funzionerà davvero!” La voce di Mike era quasi isterica, e non riuscì a trattenere le lacrime che gli si stavano formando negli occhi. “Sam, per favore…”
 
Sam abbassò soltanto una piccolissima frazione di finestrino, e Mike cercò di infilarvi le dita per abbassarlo tutto. Ma non c’era tempo per quello. Non poteva fare niente.
 
Sam parlò. “Grazie di tutto, Mike. Sei un ragazzo incredibile. E le Nuove Direzioni sono la nostra famiglia e tutto quanto, ma io non sono niente senza quella vecchia. Adesso, tocca a me fare qualcosa per proteggere questa. Capisci?”
 
Non stava guardando Mike, ma non significava che Mike non potesse leggere il dolore e la determinazione incisi nella sua figura. Smise di lottare. “Sam, ci sono altri modi.” La voce di Mike si incrinò e il suo pomo d’Adamo si gonfiò attorno ai singhiozzi soffocati che minacciavano di sfuggirgli dalla gola.
 
Alla fine, Sam si voltò a fissare Mike dritto negli occhi. “Potrebbero esserci altri modi,” disse “ma non ne abbiamo il tempo.” Sam schiacciò le nocche della mano destra contro il finestrino, e aspettò.
 
Dopo aver fissato il viso dell’amico per qualche secondo, Mike schiacciò le nocche della mano contro il finestrino, assieme a quelle di Sam.
 
Non vennero proferite altre parole. Perché non c’era altro da dire.
 
 Ore 19.47
 
Quinn si spinse via dal palo frontale della veranda a cui si era appoggiata non appena osservò lo scambio che stava avvenendo nel cortile, dall’altra parte dello steccato. Stava succedendo qualcosa, e non le piaceva affatto.
 
Mentre le grida di Mike echeggiavano lontano dalla facciata di mattoni di casa Jones, Quinn era già dentro. Corse da Rachel che prontamente l’afferrò per le spalle. “Quinn”, le disse, in cerca dei suoi occhi, “che succede?” 
 
Fermandosi un attimo per rispondere alla domanda di Rachel, Quinn disse soltanto, “Sam è sul punto di fare qualcosa di assolutamente idiota. Devo andare a fermarlo”.
 
Si stava già infilando gli stivali militari, precipitandosi alla porta e poi al garage. La sua Ducati stava prendendo vita, e lei si stava abbassando sotto il garage che si apriva, prima ancora di avere il tempo di agguantare un casco.
 
Mike aveva aperto il cancello abbastanza da riuscire a entrare, ma quando vide il lampo verde avvicinarsi, con le spalle fece pressione sul pesante metallo affinché la moto di Quinn potesse passarci.
 
I pensieri di Quinn accellerarono mentre spingeva la moto per seguire la scia polverosa di Sam. A questo punto, aveva un’idea piuttosto chiara di cosa il ragazzo sperava di fare.
 
Diavolo, sarebbe stata una bugia sostenere di non averci pensato lei stessa..
 
Ma una parte di lei aveva realizzato molto tempo fa che qualunque tipo di supporto fornisse ai suoi amici da viva, era sicuramente meno inutile che da morta.
 
Sam non aveva afferrato il concetto.
 
Non le ci volle molto per raggiungere il pickup. Accostò lungo il bordo del veicolo che andava a cinquanta all’ora. Lui si voltò a sinistra e rallentò in automatico quasi per lo shock. Abbassando il finestrino, gridò, “Quinn! Che stai facendo?”
 
“Dovrei chiederti la stessa cosa, scemo!” gridò lei di rimando.
 
“Quinn, fermati! Torna indietro!” Il ragazzo fece una pausa, guardando verso la strada che si apriva loro davanti. “Rachel ti ammazzerà, non indossi nemmeno il casco!”
 
La ragazza rilasciò un ringhio di frustrazione represso dal profondo del petto, frustrazione per l’intera situazione in cui si trovavano a questo punto, frustrazione per il fatto che tutto questo era addirittura necessario. “Samuel Evans, ferma questo dannato furgone adesso altrimenti…”
 
“Altrimenti cosa, Q?” le domandò. E non c’era bisogno di urlare stavolta, siccome aveva rallentato tanto che il rombo della Ducati di Quinn si era ridotto a un borbottio. “Lasciamelo fare. Gli zombi raggiungeranno casa di Mercedes in meno di tre ore se continuano a muoversi di questo passo.” Le sopracciglia di Quinn si arcuarono per questa nuova informazione, unita al fatto che Artie riteneva di essere a un passo dal riparare il dispositivo, anche se non così vicino. “Posso distrarli, anche se per poco. Posso rallentarli, dirottarli leggermente, fare qualcosa. Ma se non lo faccio, allora nessuno di noi riuscirà mai a uscire da qui. Smettila di pensare tanto e vedi di comprendere per un secondo buono.”
                                                                                          
Ora si erano completamente fermati. Quinn stava tenendo la moto in equilibrio tra le gambe, e Sam era appoggiato a un gomito fuori dal finestrino. E solo per un secondo buono, Quinn smise di pensare. E lasciò a se stessa il tempo di comprendere che…
 
Sam aveva ragione.
 
Abbassò la motocicletta posizionandola sul cavalletto e camminò dritta al furgone. Sam la guardò avvicinarsi con il sorriso più triste che Quinn pensava di aver mai visto in vita sua. Infilò le mani nello spazio del finestrino e nelle sue lunghe, scombinate ciocche di capelli, attirandolo a sé. Appoggiando la fronte contro la sua, Quinn rilasciò un sospiro esausto. E poi si alzò a posargli un bacio sulla fronte.
 
“Non buttarti in mezzo a loro,” mormorò. “Il furgone non sopravvivrà così a lungo. Pedinali, attira la loro attenzione prima.”
 
Lui annuì, e la soffice pelle delle sue mani gli sfiorò le guance. “Chiaro,” rispose. “Non vi deluderò ragazzi.”
 
“Non lo hai fatto mai.”
 
Quinn osservò il furgone di Sam raggiungere la cima della collina. Il ragazzo si fermò per un momento, e i bassi di una musica a tutto volume, assordante, spacca-timpani cominciarono a sgorgare dai finestrini totalmente aperti.
 
Il motore andò su di giri, e il furgone svanì lungo la vetta. E Quinn rise amaramente tra le lacrime e le sue spalle tremarono e riuscì a malapena a credere che questo servisse a mantenerli ancora in vita.
 
Si voltò per ritornare alla moto e notò uno zombi che ciondolava nella sua direzione. Era a circa trenta iarde di distanza. Le sue pistole erano sui fianchi, tuttavia ne comparve un altro, davvero sfizioso, accanto alla Ducati. Si mosse leggermente in avanti, si piegò in due, e ne prese una. Un lato del legno era caldo nelle sue mani; l’altro era freddo.
 
Quinn iniziò a camminare verso lo zombi. E poi cominciò a correre di filato, armi puntate in alto dietro la schiena. E nel tempo che lo zombi affamato fu a pochi metri da lei (saliva che colava dalle sue disgustose labbra dischiuse, e unghie storte e rotte su tutti i lati mentre cercava di raggiungerla e tanfo che appestava totalmentel’aria arrivandole alle narici) Quinn era pronta. Fracassò letteralmente la fottuta testa del bastardo così forte da farlo volare all’indietro per diversi metri, prima che sbandasse pietosamente sull'asfalto. Dopodiché passò al fottuto dessert, crivellando la sua faccia demente e marcia ancora e ancora e ancora.
 
E dopo pianse e pianse e pianse, cazzo, ascoltando il suono del furgone di Sam schiamazzare in lontananza.
 
 
22 Giugno, 2012
 Base Madre
Ore 20.20

 
Probabilmente non era prudente guidare con le lacrime agli occhi. Ma a Quinn non fregava un accidente.
 
A questo punto, era malapena prudente esistere. Eppure non avevano mica smesso.
La prima cosa che vide tra le lacrime fu Mike posizionato al cancello con in braccio il fucile. Avviò le manovre di apertura non appena lei si avvicinò, e poteva vedere la tristezza del ragazzo riflessa nelle sue spalle incurvate prima di essere abbastanza vicina da leggergliela in viso.
 
La seconda cosa che vide fu Rachel, sulla veranda principale. Un immediato senso di colpa investì Quinn quando si accorse di non indossare il casco. Cosa avrebbe detto Rachel se si fosse fracassata e sbriciolata il cranio nell'impatto con l'asfalto? Non ne sarebbe stata contenta, questo è sicuro.
 
Una violenta ondata di colpevolezza e rammarico e perdita travolse Quinn al pensiero della propria morte. Perché era stato Sam a sacrificarsi per il bene della famiglia. E Quinn, senza pensarci, era stata così sciocca da fare affidamento sul suo sacrificio.
 
Era da molto tempo che cercava di vivere il presente in modo da non pentirsi del futuro. Era difficile, a volte.
 
Sperò che Rachel non dicesse nulla a riguardo. Si sentiva già abbastanza male così.
 
Il garage si sollevò, e Quinn parcheggiò la Ducati in uno spazio libero. E quando passò davanti al posto in cui solitamente veniva parcheggiato il pickup nero, dovette serrare le palpebre e respirare duramente con il naso. Era lontana miglia, oramai, ma una parte di lei poteva ancora sentire il baccano e gli schiamazzi mentre Sam svaniva lungo la collina.
 
Nel corso degli ultimi cinquantotto giorni, si erano verificati piccoli miracoli per i quali una ricompensa era stata doverosa. Le conoscenze di Rachel, tanto per cominciare, li avevano aiutati a restare in piedi. Il benessere economico dei Jones era stato un magnifico sostegno. Il talento finora nascosto di Quinn nell’ammazzare zombi e l’instancabilità del duo Finn e Puck e l’ottimismo costante di Mike e le competenze tecnologiche di Artie. Piccoli miracoli, piccoli successi. Prendevano ciò che potevano, e non si guardavano indietro.
 
Ma per Quinn (in questo giorno in cui tante altre cose si stavano disintegrando e cadevano a pezzi intorno a lei)vedere quella lavanderia aprirsi ancora prima di poterci entrare, vedere la sagoma di Rachel Berry con un nuovo completo, a braccia conserte e con un’espressione in viso tremendamente simile all’amore che nessuno al mondo avrebbe potuto fraintendere…
 
Forse fu il momento più miracoloso che Quinn avesse mai vissuto da quando la terra aveva smesso di girare.
 
Rachel non le chiese che fine avesse fatto Sam. Non le chiese se stesse bene. Non s’intromise né tantomeno la spronò né la stuzzicò né le fece domande. Le permise semplicemente di entrare in lavanderia. E si inginocchiò ai suoi piedi, slacciandole gli stivali militari e aiutandola a levarseli. Non si fece impressionare dai vestiti macchiati di sangue che Quinn ostentava, e non esitò a intrecciare le dita con le sue e a condurla nel bagno di sotto. Le tolse gli abiti e le pulì il volto e le spazzolò via i capelli dagli occhi e l’amò.
 
E quando Rachel finì di prendersi cura dell’aspetto fisico di Quinn, avvolse le braccia intorno alla ragazza più alta. E insieme, si lasciarono cadere sul pavimento accanto alla tazza in porcellana e Quinn si attaccò a Rachel come fosse un’ancora e, in qualche modo, da qualche parte lungo il sentiero, Rachel iniziò a guarire anche le ferite interne di Quinn.
 
 
22 Giugno, 2012
Per le strade di Lima, a sudovest della Base Madre
Ore 20.22

 
Le nocche bianche di Sam non sembravano assolutamente intenzionate a mollare la presa sul volante. La vivida luce arancione che segnava “vuoto” non si sarebbe spenta, e da troppo tempo la lancetta restava mollemente ferma al punto più basso.
 
Però gli zombi lo avevano seguito. Si erano voltati quando lui li aveva sorpassati sul fianco occidentale, e al momento stavano cercando di artigliarlo voracemente da tutti i lati del furgone.
                                                                                                             
Oooooh!” urlò nella cabina, staccando la mano sinistra dal volante e gemendo sul clacson per dei secondi buoni, l’adrenalina che gli scorreva potente nelle vene. Ma la musica assordante gli mozzò la voce.
 
Il cuore gli stava battendo più veloce di quanto avesse mai fatto in tutta la sua vita.
 
Era ancora in grado di spingere il furgone tra le masse. Ed era ciò che aveva in mente di fare, dopotutto: spingere in avanti più che poteva, attirare la loro attenzione e tenere duro il più possibile. Doveva procurare ad Artie più tempo.
 
Più tempo.
 
Guardò nello specchietto retrovisore, scuotendo la testa in modo che i suoi scombinati capelli biondi, che stavano crescendo scuri alle radici, non gli offuscassero più la vista.
 
E quel che vide lo spaventò. Anche se sapeva che il suo piano consisteva in questo: morire, sacrificare tutto per i suoi amici. Era comunque agghiacciante guardare in quello specchio e vedere tanti zombi furiosi quanti i suoi occhi fossero in grado di sopportare.
 
Poi il furgone vibrò e si arrestò. Andato.
 
Fu solo allora che Sam si concesse di ricordare. Perché non era come nei film, dove scorci della tua vita, rapidi e vividi, prendono a girarti nella testa all'impazzata. Sam chiuse semplicemente gli occhi e si abbandonò al poggiatesta, permettendo ai ricordi di raggiungerlo con calma, in mezzo a colpi di mani putride contro lo sportello dell’auto e lamenti di nonmorti che penetravano i finestrini.
 
Sam all’ospedale con la mano del padre stretta alla sua spalla. Stevie era nato. Sam era il fratello maggiore ora. Il che comportava delle responsabilità e tutto il resto.
 
Un anno più tardi Sam stava tenenendo Stevie fra le braccia per guardare insieme la camera dei bambini dell’ospedale. “Quella è Stacy,” gli sussurrò, “e sarà la nostra piccola sorellina. Come fratello maggiore, avrai un sacco di responsabilità…”
 
Stava giocando a baseball con gli altri ragazzi della classe. Guardò Stevie sulle gradinate che lo incoraggiava anche se si trattava solo di un’amichevole.
 
Era seduto tra il pubblico, incastrato tra il padre e il fratello minore al primo concerto di violini di Stacy. “Che noia,” aveva sussurrato Stevie tirandosi un buco nei jeans. “Per niente,” aveva risposto Sam, toccandogli leggermente la spalla senza mai staccare gli occhi dalla sorella, “è fantastico.”
 
 Gli dissero che si sarebbero trasferiti. Si colorò i capelli. Cercò di essere qualcun altro. E arrivò al McKinley realizzando che quasi tutti stavano cercando di essere qualcuno che non erano. Avrebbe potuto mescolarsi alla folla. Ma poi trovò l’unico gruppo della scuola dove nessuno aveva paura di mostrarsi per ciò che era.
 
Cantò. Ballò. Rise e amò. Amicizie e il football e la coach Bestie e il signor Schuester e perfino la Sylvester talvolta.
 
Il Glee Club.
 
Famiglia.
 
Appartenenza.
 
La fine del mondo…
 
Gli occhi di Sam si aprirono di scatto. E quando si allungò verso il bagagliaio in cerca della sua doppietta, non sentì altro che un’ondata di pace scendergli sulle spalle come una coperta calda e confortante nell’inverno più gelido.
 
La batteria stava alimentando ancora i circuiti elettronici dell’auto, per cui Sam aprì il tettuccio del furgone, rivolgendo un tacito grazie al dottor Jones per aver scelto in concessionaria un veicolo tosto. Afferrò l’arma nella destra e si infilò nell’apertura e nella luce del sole calante, che apprezzò per brevissimo istante.
 
Dal momento che sarebbe stato il suo ultimo e tutto quanto.
 
Le sue labbra erano dischiuse in quello che, probabilmente, si sarebbe potuto descrivere come un sorriso sadico non appena prese ad annientare gli zombi più vicini alle fiancate del veicolo. Ciononostante, loro continuavano ad avventarsi sull’auto come le onde incessanti dell’oceano.
 
Dopo aver sferrato l’ultima pallottola, Sam ricaricò l’arma inserendo una delle cartucce sistemate nelle tasche. Sentì delle mani avvinghiarsi all’orlo dei suoi pantaloni, si girò e centrò un proiettile nella faccia di un nonmorto. Ancora e ancora e ancora. Fece fuori quanti più fottuti cadaveri purulenti poteva.
 
Ma alla fine, esaurì i proiettili.
 
 
22 Giugno, 2012
Base Madre
Ore 20.47

 
“Santa merda!” sussurrò Artie osservando il debole luccichio verde del dispositivo di segnalazione. “Santa…merda…” ripetè.
 
Sue non commentò. Non era il tipo da complimenti. Anche quando si trattava di questioni di vita o di morte.
 
“Penso di…” iniziò il ragazzo, deglutendo e risistemandosi gli occhiali sul naso. “Penso che funzioni.”
 
Come se gli si fosse finalmente accesa una lampadina in testa, Artie cominciò immediatamente a liberare la scrivania principale da fogli e circuiti elettronici non richiesti. Si voltò e agguantò il dispositivo e lo depositò con delicatezza sulla scrivania vuota prima di agganciarlo al trasponditore. Interrompendo il messaggio che aveva registrato precedentemente, Artie si portò il microfono al viso e schiacciò il pulsante. Asciugò la fronte da una striscia di sudore con il dorso della mano sinistra.
 
“Qui è Artie Abrams di Lima, Ohio. Siamo in dodici,” la sua voce si incrinò, ricordandosi che Sam e Kurt erano andati e Sue si trovava con loro adesso, “undici sopravvissuti. Ci troviamo in un alloggio sicuro sul lato nordorientale di Lima, ai confini della città. Richiediamo ogni tipo di assistenza disponibile in zona. Il tempo sta per scadere. Ripeto, richiediamo qualunque tipo di assistenza disponibile.”
 
Sue gli era alle spalle con la mano stretta sullo schienale della sua sedia a rotelle. Artie arcuò un sopracciglio e la pulsazione accellerò e una goccia di sudore gli colò dal viso atterrando sulla coscia coperta dai jeans.
 
I secondi si stavano rapidamente trasformando in minuti, e lo stomaco di Artie stava sprofondando e la sua speranza si stava disgregando ogni momento che passava senza che la radio emettesse suoni.
 
Le sue spalle erano tese mentre esaminava la scatola che emetteva un ronzio leggero, proprietà di Sue. La scatola che poteva salvarli, se solo fosse riuscito a farla funzionare correttamente. Se solo ci fosse stato qualcuno nei paraggi che poteva udire le sue suppliche…
 
Si fece ancora più avanti col sedile e librò le punte delle dita lungo il bottone di trasmissione un’altra volta. Si leccò le labbra e si preparò a ripetere la richiesta d’aiuto.
 
Era pronto a ripeterla tutte le fottute volte che ci sarebbero volute.
 
E quando fu sul punto di premere il bottone ad un centimetro di distanza, la radio gracchiò prendendo vita, e per poco il ragazzo non si ingoiò la lingua. Ma avevano già affrontato abbastanza merda nel corso degli ultimi cinquantotto giorni: aveva semplicemente senso che qualcosa di buono stesse per raggiungerli.
 
Se lo meritavano, come minimo.
 
“Abrams, ricevuto. Qui è Eli Rodriguez. Mi trovo con quel che è rimasto della Guardia Costiera Statunitense. Siamo alla ricerca di sopravvissuti, perciò è un sollievo sentire la tua voce. Mandami le vostre esatte coordinate, e vedremo cosa possiamo fare. Passo.”
 
Le lacrime di Artie scoppiarono in fiammate di semplice, pura felicità, mentre cercava il post-it su cui aveva scribacchiato diverso tempo fa le coordinate GPS della Base Madre generate dal computer.
 
Mentre leggeva le coordinate con un sorriso radioso e in tono allegro, Sue si voltò e si diresse nell’atrio. Salì le scale e girò a sinistra, ignorando gli sguardi indagatori dell’asiatica e dell’altro asiatico. Non bussò alla terza porta a sinistra, si limitò a girare la maniglia e a arciare all’interno come se il posto le appartenesse.
 
“Bene William,” sghignazzò con le mani sui fianchi e un sorriso compiaciuto sulle labbra, “non hai fatto un cattivo lavoro con questa banda di disadattati, dopotutto.” Avanzò allungando in basso la mano, sul viso dell’uomo. Le sue sopracciglia erano contratte, ma i suoi occhi erano concentrati come non lo erano stati da lungo tempo. “Ora diamoci una ripulita. Forse troveremo anche qualche Deputato sul punto di marcire rintanato nella tua boscaglia di ricci!" 
 
Il signor Schue non disse una parola. Ma l’angolo sinistro delle sue labbra si inclinò verso l’alto così lievemente, e allungò la mano per afferrare quella che Sue gli stava offrendo.
 
 
Ore 20.52

 
Ragazzi!” urlò Artie per le scale. “Scendete giù!”
 
Fu soltanto una questione di attimi prima che tutti (Quinn, Rachel, Brittany, Santana, Tina, Mike, Puck, Finn e anche il signor Schue e Sue) si riunissero in soggiorno.
 
“Dov’è il fuoco?” chiese Santana una volta che tutti si furono messi comodi, con Artie di fronte.
 
“Ho riparato il congegno”, cominciò il ragazzo, “e ho ricevuto una risposta al primo tentativo!”
 
“Stai raccontando balle,” disse Puck, il volto che irradiava diffidenza.
 
Artie annuì con convinzione. “Seriamente, era la Guardia Costiera. Hanno perlustrato le città principali dalla costa orientale interna. A quanto pare hanno trovato anche posti in cui rifugiarsi, posti che sono sicuri. Gli ho dato le nostre coordinate e mi ha detto che sarebbero venuti a prenderci con un elicottero abbastanza capiente entro le prossime due ore.” 
 
“Due ore…” mormorò sottovoce Rachel. Sapevano tutti del resoconto di Mike e di come gli zombi sarebbero probabilmente arrivati attorno alle due spaccate.
Il che voleva dire che –
 
“Quindi se Sam ha fallito,” affermò piano Brittany, seduta sul pavimento di fronte al divano. La sua schiena era premuta contro le ginocchia di Santana e i suoi occhi erano puntati alla lampada del soffitto, riflettendone la luce nelle più vivaci sfumature di blu e nei più tenui accenni di verde. “Gli zombi saranno qui prima delle eliche.”
 
“Dell’elicottero,” la corresse Mike, “e sì. Ha ragione.”
 
Un silenzio maestoso discese sul gruppo. E Quinn non poté evitare di pensare non al successo o al fallimento di Sam (perché credeva nel più profondo del cuore che lui ce l’avesse fatta ) ma piuttosto cosa intendessero esattamente questi militari per “sicuro. Aveva trascorso gli ultimi cinquantotto giorni tentando (valorosamente) di proteggere le persone in questa stanza. E a volte aveva fallito, aveva fallito abbastanza da sapere, in fondo, che non sarebbe più stata la Quinn Fabray di un tempo, prima di tutto questo casino. Ma una parte di lei si ridestò al pensiero di cedere quella responsabilità a un anonimo volto in divisa.
 
E un’altra parte di lei era così sollevata a quel pensiero che si sentì come sprofondare nel cuscino del divano accanto a Santana, fino a dormire per la prossima settimana o giù di lì.
 
“Supponiamo che ce l’abbia fatta,” disse Quinn. La sua voce era calma, ma la sentirono tutti. Sollevò lo sguardo dal pavimento e lo fece spaziare attraverso la camera. “Supponiamo che abbia fatto del suo meglio. E noi ci prepariamo a difenderci finché non arrivano i soccorsi.”
 
I suoi occhi si posarono infine su Rachel. E la piccola mora annuì una volta, fermamente, portandosi le lunghe frange dietro l’orecchio.
 
“Perciò stai dicendo che dovremo far comunque esplodere un paio di schifezze?” domandò Puck, alzandosi in piedi e strofinandosi le mani con fare subdolo.
 
“Sì,” annuì Quinn. Non provò nemmeno a respingere il sogghigno che le avvolse le guance per l’entusiasmo di Puck. “Rach, dove hai messo quei binocoli per la visione notturna?”
 
 
Ore 21.29
 
“Credi che ci lasceranno fare docce bollenti? Del tipo, molto molto bollenti, e non semplicemente tiepide?” chiese Tina con la più microscopica punta di speranza e felicità nella voce, al pensiero.
 
Se ne stava sul dondolo bianco della veranda a gambe incrociate, appoggiata al lato destro di Mike. Il suo braccio le circondava le spalle, strusciando delicatamente quello di lei. Una delle sue mani era intrecciata con quella libera di lui, e l’altra era stretta al materiale sottile della sua maglia blu militare.
 
L’aria era fresca e tonificante. Il cielo era scuro eccetto per lo sfavillio delle stelle e la luna. Era luna piena, perciò era grossa e luminosa e stranamente confortante.
 
“Scommetto di sì,” disse Mike, e un sorriso tenero gli piegò le labbra all’insù.
 
Restarono a dondolare un altro po', i piedi di Mike saldamente ancorati a terra, mentre lui li spingeva avanti e dietro. Un venticello increspò i capelli di Tina, e d'istinto si rannicchiò più vicina al calore di Mike.
 
“Le cose stanno per cambiare, vero?” gli chiese alla fine.
 
Mike arricciò l’angolo delle labbra e annuì, in serena contemplazione.
“Già,” replicò, “le cose stanno per cambiare. Ma erano già cambiate prima degli zombi, per cui ha senso che cambieranno adesso e dopo gli zombi, giusto?” Tina serrò gli occhi, intrecciando il dito con quello di lui. “Ma non importa quanto le cose cambieranno, non importa quanto resteranno uguali, avremo sempre noi due.”
 
Le sue parole erano la dolce promessa di cui Tina aveva bisogno per essere in grado di affrontare la notte. E non lo aveva ancora capito.
 
 
Ore 21.40

 
“Tu sei bellissima,” disse Santana fra i baci “e brava”, un altro bacio, “e intelligente,” ripetuti baci, “e starò con te per il resto della vita.”
 
“Promesso?” le chiese Brittany, con la testa premuta all’indietro contro la parete del letto in estasi mentre Santana le dimostrava quanto conoscesse alla perfezione il suo corpo.
 
A quella domanda, Santana interruppe i suoi dolci incarichi in modo da staccarsi, avvolgere con le mani quelle guance deliziosamente soffici, e portare gli occhi al livello dei suoi. “Bambolina,” disse “finché ci sarai tu, io ci sarò sempre.
 
 
Ore 21.59
 
Prendendo scorte di munizioni e provviste, Sue raccolse le ultime cose che tutti volevano portare con sé in una piccola pila nell’atrio. Non erano molte: un paio di vestiti e qualche fotografia di famiglia che alcuni di loro erano riusciti a recuperare da casa. Era triste, davvero, come le loro vite si fossero ridotte a questa pila.
 
Questa pila di roba.
 
Artie si era accampato vicino alla radio, in fervida attesa di un qualunque messaggio di Rodriguez con la mascella leggermente spinta a lato, intento a masticarsi l’interno della guancia. Il signor Schuester gli sedeva accanto.
 
Il signor Schue aveva fatto la doccia. E si era dato una ripulita. Somigliava un po’ allo Schuester di una volta, solo leggermente più pallido, più magro e più malinconico.
 
“Giuro, questo posto puzza di mediocrità!” esclamò Sue appena fuori dal Quartier Generale.
 
Artie si sporse giusto per vedere di cosa si trattasse. La guardò scaraventare un maglione sulla pila, le dita goffamente contratte. Poi passò a strofinarsi furiosamente le mani sui pantaloni della tuta sportiva con una smorfia eclatante.
 
Improvvisamente, sgranò gli occhi e si tuffò nella pila. “Il mio registratore!” gridò.
 
Roteando gli occhi, Artie tornò alla scrivania. Ma non prima di aver smesso di lanciare brevi sguardi al signor Schuester, un paio di metri alla sua destra.
 
E pure il signor Schue roteò gli occhi. Forse aveva persino mostrato il sorriso compiaciuto più microscopico della storia.
 
Le fossette di Artie si allargarono e il ragazzo esibì il sorriso più grande che avesse mai fatto da molto tempo a questa parte, perfino più grande di quello che gli spuntò quando la voce di Eli fluì dalla radio.
 
“E’ bello riaverla, signor Schue,” disse Artie, con un barlume cospiratorio negli occhi.
 
Il signor Schue sorrise di rimando alle sue parole. Era il più piccolo dei sorrisi piccoli.
 
Ma era un inizio.
 
 
Ore 22.14
 
“Manca circa mezz’ora all’arrivo della cavalleria, giusto?” chiese Finn, guardando l’orologio sul quadro comandi.
 
“Già. Circa. Forse un po’ di meno,” replicò Puck.
 
Si premette in faccia i binocoli per la visione notturna, scrutando in lontananza. La prima fila dell’orda era lontana due o tre blocchi buoni. Mentre Puck osservava, un altro gruppo di zombi (presumibilmente la sezione del liceo William McKinley) si unì ai suddetti ex cittadini. Il che li rallentò per un momento. Quasi un sinistro senso di confusione investì la massa dei cadaveri non appena il loro numero aumentò.
 
Tuttavia ripresero il cammino. Si stavano dirigendo proprio dove Finn aveva parcheggiato l’auto. E sì, erano comunque lontani un paio di blocchi. E sì, Puck sapeva il fatto suo.
 
Comunque sì, aveva paura.
 
Perché erano solo a cinque blocchi di distanza dalla Base Madre. Il che significava che gli zombi si trovavano soltanto a sette blocchi di distanza.
 
Sette fottuti blocchi. Era tutto ciò che li separava da questa autentica armata della morte.
 
“Torniamo indietro,” disse Finn, lasciando cadere i suoi binocoli sul sedile del mezzo. Si allungò per inserire la chiave di accensione.
 
Il motore tossì e scoppiettò. E morì. Ma le luci si accesero. E per una qualche ragione, anche gli anabbaglianti.
 
Merda!” sibilò Finn, girando la chiave e spingendo l’accelleratore in un secondo tentativo di avviare il motore.
 
Gli occhi di Puck lo osservarono sgranati. “Amico, sei sicuro di aver caricato l’ultimo fusto di benzina?”
 
Finn spalancò la mascella e si lasciò cadere in avanti, e a Puck non servirono altre risposte.
 
Ruotandosi sul sedile, si premette i binocoli sugli occhi un’altra volta. E gli ci volle un millisecondo per capire che gli zombi li avevano avvistati o fiutati o entrambe le cose: avevano preso velocità.
 
Avevano preso notevole velocità.
 
“Fanculo,” sussurrò senza respiro.
 
“Dài,dài,dài,dài,” stava borbottando ininterrottamente Finn, girando le chiavi, spingendo il pedale dell’accelleratore e sperando con tutte le forze che il dannato motore girasse, partisse, e li facesse uscire vivi da lì, cazzo!
 
E lo fece. Finalmente partì, e loro esultarono, tanto essere cauti a questo punto era irrilevante.
 
Finn girò la Jeep e schizzò via lungo la strada che li avrebbe riportati alla Base Madre.
 
“Meno di trenta minuti?” domandò.
 
Puck annuì. “Meno di trenta minuti.”
 
 
Ore 22.37
 
Finn e Puck riuscirono a tornare alla Base Madre, e l’intero gruppo si era già gettato a capofitto in un’orrenda furia da preparativi, con corpi che sfrecciavano, armi che si caricavano, e vampe che si allestivano per i loro ipotetici soccorsi.
Ma si sperava che le vampe sarebbero state meno necessarie una volta attivati gli C4.
 
Quinn si precipitò per la scala diretta alla porta d’ingresso quando l’armadio dei cappotti si aprì e una mano soffice la tirò dentro. Assorbita nell’oscurità, per un attimo Quinn si sbalordì per la perdita di uno dei suoi sensi.
 
“Rach?” sussurrò.
 
“Naturalmente”, rispose Rachel, premendo il corpo proprio contro il suo, sigillando le loro labbra con un bacio.
 
“Mmm,” sospirò Quinn dal profondo della gola. Le lingue e le labbra lottarono con ferocia per diversi istanti prima che Quinn si tirasse indietro, sentendosi mancare l’aria.
“Dovremmo,” ansò “finire di raccogliere le provviste…e assicurarci che tutti gli altri siano…”
 
Rachel la attirò a sé dalle punte dei suoi capelli rosa e schiacciò violentemente le loro labbra assieme, di nuovo. “Oppure altro,” mormorò Quinn contro quel paio di morbide labbra dischiuse.
 
Poi il tuono di un’esplosione a una distanza non tanto distante fece tremare la casa. Quinn si tirò indietro e ringhiò. “Non ci posso credere che quei cazzoni non mi hanno aspettato per premere il bottone.”
 
Aprì l’armadio ed era già in corridoio prima di voltarsi a prendere il polso di Rachel. Gli occhi della mora erano vitrei, e il suo era un sogghigno frivolo.
 
“Tu, vieni” ringhiò ancora Quinn, questa volta scherzando. “Abbiamo degli zombi figli di puttana da massacrare.”
 
 
Ore 10.39
 
“Bene,” disse Puck attraverso il walkie. “Gli esplosivi del settore A sono pronti a scoppiare tra tre, due, uno, via!” urlò nella linea libera non appena la prima ondata di zombi si avvicinò al posto designato.
 
Nella Base Madre invece, Artie azionò un interruttore, premette un bottone e attese.
 
Non dovettero trattenere il respiro per molto, poiché il C4 formò un piccolo cratere sulla strada. Ma, cosa più importante, formò un enorme buco nel muro dei nonmorti.
 
Uhuuuh” esultarono Finn e Puck prima di agitare contemporaneamente i pugni e darsi il cinque.
Erano sufficientemente lontani da non rischiare di farsi male, per adesso. Perciò si misero d’impegno e si infilarono nuovamente i binocoli osservando i progressi degli zombi. I nonmorti non si stancavano di avanzare come un unico cavallone. Questione di secondi e la prossima fila di C4 sarebbe stata ricoperta di corpi decomposti.
 
Finn agguantò la radiotrasmittente dal sedile centrale. “Artie,” lo chiamò dalla linea “settore B tra tre, due, uno, VIA!”
 
Una frazione di secondi dopo, un altro giro di esplosivi fu disinnescato. I ragazzi esultarono di nuovo prima di allontanarsi un altro paio di metri o giù di lì.
 
Continuarono per altri sei giri di C4. Poi Puck e Finn furono costretti a tornare al cancello in metallo pesante della Base Madre, aperto e richiuso da un Mike mai così efficiente.
 
E ora, si stavano ritirando al secondo piano. Perché era giunto il momento di sparare a distanza. E di darsi alle fottute preghiere.
 
 
Ore 22.55
 
“Non sentirti in colpa se li uccidi, B!” gridò Santana alla sua ragazza.
“Sono già morti!”
 
Tutti gli attuali undici sopravvissuti del McKinley si trovavano al secondo piano della Base Madre. Artie si era portato in grembo la radiotrasmittente e Finn e Puck lo avevano spinto per le scale: il dispositivo di segnalazione era servito a contattare Eli quando il pilota si trovava da tutt’altra parte dello Stato, ma ora che si stava avvicinando, i loro congegni a raggio più limitato erano abbastanza efficaci.
 
Il che dava al gruppo un casino di speranza.
 
Tutti loro stavano sparando dalle finestre aperte. Persino Tina, che non ci aveva mai saputo fare con le armi da fuoco, aveva spappolato la testa di due o tre zombi.
 
“Gesù, quell’odore è una tragedia” si lamentò Santana a voce alta.
 
Nessuno ribatté, e nessuno sprecò due parole a riguardo. L’odore era talmente forte da mettere al tappeto un uomo adulto (letteralmente, il signor Schue era quasi svenuto, due volte).
 
Abrams, mi ricevi?”
 
Diverse teste si voltarono nella direzione di Artie, in terrazza, prima di ritornare all’esercito dei nonmorti che si stava avvicinando. “Eli, qui è Artie. Riceviamo, passo.”
Suona come una violenta sparatoria, ragazzo. Riesco a vedere le fiamme dall’alto. Immagino che sia qui che vi trovate. Avrò la possibilità di atterrare senza danni?”
 
Artie annuì anche se Eli non poteva vederlo. “Sì, siamo riusciti a mantenere l’ingresso del cortile quantomeno pulito. Dovrebbe esserci spazio sufficiente perché tu possa atterrare davanti l’abitazione.”
 
Il mio volatile è piuttosto grosso, amico.
 
Lo è anche il cortile.
 
Prima che la radio filtrasse la sua voce, Eli ridacchiò. “Sarò lì in due minuti. Tenete duro. Passo e chiudo.
 

 Ore 22.59
 
Al secondo piano Quinn, Rachel, Santana, Brittany, Sue e Puck erano ancora occupati ad abbattere nonmorti dall’altro lato dello steccato. Mike e Finn avevano portato Artie di sotto, e Tina e il signor Schue li avevano accompagnati. Le cinque persone al pian terreno adesso si trovavano sulla veranda bianca principale che circondava tutto l’edificio, anche loro a falciare zombi.
 
Poi il tonfo pulsante e il ronzio delle pale dell’elica di un elicottero furono di colpo distinguibili al di sopra dei lamenti e dei suoni simili a urla emessi dai cadaveri affamati: cadaveri che spingevano incessantemente contro il nero baluardo in ferro battuto attorno alla casa.
 
Il suono degli urrà si mescolò ai lamenti dei cadaveri e al baccano delle pale trincianti dell’aereoplano che Eli stava pilotando sopra l’abitazione. Era come se stesse atterrando al suolo con lentezza assurda, ma dopo cinquantotto giorni, anche cinque secondi in più sembravano un’eternità.
 
Tutti coloro che erano rimasti al secondo piano sbandarono selvaggiamente per le scale. Presero tutti le proprie borse nell’atrio e corsero fuori nella notte. Lo sportello laterale dell’elicottero piuttosto ampio si aprì e un uomo alto in uniforme li chiamò sopra i ruggiti turbolenti. “Ehi! Sono Roger! E credo che abbiate già incontrato in qualche modo Eli!” Il pilota li salutò dalla cabina di pilotaggio. “E’ bello vedervi tutti vivi e pimpanti! Ora portate il culo qui!”
 
Alla svelta, Puck e Mike fecero salire Artie a bordo e Roger iniziò a legargli adeguatamente la sedia a rotelle. La prossima fu Tina. La ragazza venne rapidamente seguita da Santana, Brittany, e Sue. Con delicatezza Quinn spinse avanti Rachel per farla salire e poi, sporgendosi dalla fiancata dell’elicottero, centrò con le sue RSB il cervello di un manipolo di zombi distanti appena quindici metri.
 
Alcuni stavano scavalcando con successo lo steccato.
 
Doppiette alla mano, Puck e Finn tempestarono di proiettili le masse di cadaveri che premevano contro lo steccato mentre Mike e il signor Schue salivano sull’elicottero.
“Forza ragazzi!” urlò Mike.
 
E allora il cancello cigolò e stridette prima di torcersi violentemente su se stesso.
 
Adesso!” gridò il signor Schue.
 
Finn saltò velocemente su seguito da Puck. Eli stava già innalzando il velivolo a un paio di centimetri da terra mentre Quinn correva (sparando ai nonmorti per tutto il fottuto tempo) diretta allo sportello. Girandosi, sfrecciò verso l’entrata e si lanciò in avanti e tra le braccia tremanti di Puck e Rachel, che la tirarono rapidamente dentro.
 
Ma non era sola.
 
Diversi nonmorti si erano aggrappati alle ringhiere dell’elicottero nonostante Eli cercasse di elevare l’aereoplano al cielo.
 
“Non riesco a sbarazzarmene!” gridò di spalle.
 
Quinn si volse a Rachel e le prese la guancia con la mano libera. “Tieniti a me”, le disse rapidamente. Dopodichè si rivolse a Puck. “E tu ti tieni a lei”. Non aggiunse “o altrimenti”, né fu necessario.
 
Tenendosi al polso di Rachel e con entrambe le mani di lei strette al suo polso (e le braccia di Puck saldamente strette attorno alla vita di Rachel) Quinn si sporse con tutto il corpo fuori dallo sportello dell’elicottero. Si trovavano almeno a dieci metri di altezza ora, e pertanto non più alla portata dei nonmorti. Tuttavia diversi zombi si erano attaccati e stavano tentando faticosamente di aprirsi la strada con gli artigli, dritti alla faccia di Quinn.
 
Con i piedi saldamente piantati sul lato aperto dell’elicottero e il suo destino letteralmente nelle mani di Rachel e Puck, Quinn si voltò di fianco restando sospesa nell’aria caotica sotto le pale e proprio sopra morte certa.
 
E allora Quinn centrò sei diverse pallottole in sei diversi cervelli marci. E sei disgustosi, biscadaveri persero la presa e caddero giù in mezzo ai compagni decrepiti.
 
Libero da turbolenze in eccesso, Eli fu finalmente in grado di gestire l’elicottero per bene.
Rachel diede soltanto un vigoroso strattone al braccio di Quinn e la tirò dentro con sicurezza, facendola sedere su un sedile sgombro.
 
“Diavolo, se quei bastardi fossero spuntati cinque minuti prima,” gridò Eli dalla cabina di pilotaggio “non ci sarebbe stato possibile in nessun modo atterrare e caricarvi, ragazzi!”
 
Non per la prima volta, e certamente non per l’ultima nelle loro vite, l'intero gruppo pensò a Sam Evans.
 
E mentre pensava a Porcellana e a Sam, Sue sgranocchiò il suo twinkie in larga parte sbriciolato ma ancora delizioso.
 
Erano capitati un sacco di momenti nel corso della giornata. La maggior parte di essi rimaneva completamente, chiaramente, rovinata oltre ogni umana comprensione. Ma nel momento in cui Quinn si lasciò cadere sul sedile permettendo a Rachel di allacciarle la cintura lungo la vita, nel momento in cui la Guardia Costiera li stava portando via da Lima, nel momento in cui quasi tutti loro erano vivi e in salute…
 
Fu un bel momento. E Quinn si rifiutò di provare a contenere la risata che le ribolliva in gola.
 
“Stai bene, tesoro?” le chiese Rachel, allungandosi e spostandole gentilmente i capelli dal viso.
 
Quinn sorrise a quel vezzeggiativo che Rachel aveva usato per la prima volta. “Rach, tesoro,” sospirò, dal corpo esausto. “Sto bene. Promesso.”
 
Rachel si allungò di più baciandole teneramente la guancia. Fece scorrere le dita tra i capelli scombinati di Quinn e disse, “Tesoro, le radici…ti stanno ricrescendo!”
 
Quinn si voltò verso Rachel con un sorriso a trentadue denti. “Sul serio?” le domandò, chiedendosi quand’era stata l’ultima volta in cui si era effettivamente guardata allo specchio. Rachel annuì e sollevò divertita un sopracciglio per lo stato di euforia apparente di Quinn, sebbene lei stessa sembrasse terribilmente seria al riguardo.
 
Era buffo come il mondo potesse finire e loro potessero sopravvivervi e come le radici visibilmente bionde di Quinn fossero improvvisamente diventate la più grave delle preoccupazioni di Rachel.
 
“Bene allora,” sussurrò Quinn, avvolgendo una mano nelle ciocche castane di Rachel e unendo le loro fronti calde. “Forse sceglierò un colore diverso, sì? È tempo di un nuovo inizio comunque.”

 
 
FINE




 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: vikvanilla