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Autore: EmmaStarr    24/10/2013    5 recensioni
{Ace&Rufy} {AU Rivoluzione Francese} {Bromance, what else? ♥} {Fluff, Azione}
* * *
Ace grugnì. – Che cosa vuoi da me, adesso? – Era assurdo come, dopo tutto quello che gli aveva fatto, quel ragazzetto così fastidioso continuasse a considerarlo alla stregua di un vecchio amico. A rigor di logica, avrebbe dovuto odiarlo! Gli aveva fatto passare tre anni d'inferno...
Rufy alzò le spalle, senza smettere di sorridere. – Ci siamo dentro insieme, tanto vale far passare il tempo. Cos'hai fatto in questi anni? Sono cinque, giusto?
– Sette. – lo corresse gelido Ace. Sette meravigliosi anni in cui era stato seriamente convinto di essere scampato alla piaga di quel marmocchio troppo invadente. E invece...
– Oh, sì, sette, è vero. – Ridacchiò ancora. Ma non la smetteva mai, di ridere? – Bé, però ci siamo divertiti, eh?
Decisamente, il ragazzino aveva una strana opinione dell'idea di divertimento. – È stato uno spasso, sicuro. – sbuffò Ace, passandosi una mano sugli occhi.
Era complicato trovare un lato positivo della situazione: era in prigione, e di lì a poco lo avrebbero trasferito nel carcere di massima sicurezza Impel Down, la Bastiglia.
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Genere: Azione, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Oui, mon frere
Fandom: One Piece
Epoca scelta: Uhm. Una specie di Francia in rivoluzione, poi però spiego meglio. intanto, siamo là.
Personaggi: Rufy, Ace, Mugiwara di sfondo
Eventuali coppie: no, niente
Genere: un po' di fluff, azione, generale
Avvertimenti: AU (dai!)
NdA: Ecco, adesso passo a spiegare. L'idea principale si basava sulla Francia rivoluzionaria, l'epoca della Grande Rivoluzione (1789, se la memoria non m'inganna). Ora, le cose sono un po' diverse. Soperché serviva ai fini della trama anch'io che la Rivoluzione è nata dall'impegno di tutti e non perché c'era un Grande Leader che ha smosso tutto quanto e ha reso possibile la Rivoluzione. Lo so che una figura del genere non esiste. Però io ho immaginato che ci fosse, che esistesse il leader della Rivoluzione, perché se Rufy fosse stato in quel tempo, in quel periodo, non avrebbe fatto un gran casino come di suo solito, sconvolgendo tutto e tutti? XD Tutto qua, in pratica ho aggiunto questa figura non-storica perché Rufy farebbe una cosa del genere. Mi rendo conto che andiamo un po' fuori con quello che era la Francia del tempi, ma dopotutto non di molto. L'esercito reale, le carrozze, la foresta tutt'intorno, i nobili, la Bastiglia... Queste cose sono prese dalla Francia di quel periodo, ecco. Tutto qua, spero vi piaccia! ^^
Ah, chiedo perdono per il titolo, non faccio che cambiare idea e confondermi, ma sinceramente mi ci sono scervellata per millemila ore e ancora non ne ho trovato uno decente >.<
 


OUI, MON FRERE




Le guardie lo sbatterono con forza sul pavimento della cella, ghignando quando la sua faccia andò a sbattere contro il fango scuro e sporco.

Rufy mugugnò qualcosa, poi si alzò e si spolverò i vestiti. Poteva andare peggio, decise. Tutto quello che doveva fare era mettersi buono e aspettare.

Si guardò intorno, curioso. Non era la prima volta che finiva in cella, e sicuramente non sarebbe stata l'ultima. Ma che ci poteva fare? La Francia non cambiava mica da sola, si disse. Doveva pur esserci qualcuno che innescasse una Rivoluzione, e lui e i suoi amici erano lì apposta per questo.

Fu solo allora che si accorse di non essere completamente solo, nella cella.

– Ehi, ciao! – salutò, sorridente. – Come ti chiami? Io sono Rufy, piacere di... Ma tu sei Ace! – gridò poi, non appena vide il volto della persone sdraiata sulla brandina accanto a lui.

Il ragazzo in questione, che lo aveva a malapena ascoltato, si tirò su di scatto. Possibile? Possibile che quello fosse davvero... – Rufy. No, non è possibile. – decretò, sdraiandosi di nuovo.

Ma ovviamente il giovane non si sarebbe fatto intimorire da questo. Se lo ricordava, eccome se lo ricordava...

 

Ace voleva essere libero, era sempre stata una costante della sua vita. Era per questo che era scappato, proprio così. Era scappato nel bosco e non aveva intenzione di tornare indietro: poteva sopravvivere, poteva farcela. Era forte.

Ehi, ciao!

Come? Eppure Ace pensava che un bosco dovesse essere solitario...

Io mi chiamo Rufy e sono scappato di casa! Vuoi diventare mio amico?

Ace non aveva risposto, disgustato: un moccioso a cui badare? No, grazie. Non ne aveva assolutamente bisogno, lui ricercava la libertà.

Si voltò e corse via, ignorando gli schiamazzi pieni di energia di quel bambino, finché non fu sicuro di averlo seminato.

Avrebbe vissuto lì da solo, poteva farlo: intorno alla foresta c'era il covo di un gruppo di malviventi noto come Terminaux Grise. Sapeva che ce l'avrebbe fatta.

Si costruì un rifugio e visse in libertà, finché di nuovo quel petulante pidocchietto non lo scovò. – Ehi, allora è qui che stavi! Ti ho cercato dappertutto! – gridò, allegro.

Bisognava riconoscergli una cosa: era terribilmente testardo. Ma Ace non aveva mai sopportato quelli troppo testardi, e quel bambino gli dava davvero sui nervi. – Sei Ace, per caso? In città si parla di un bambino scappato di casa che si chiama Ace. Sei tu?

Ace non ci vide più, e dopo quel giorno, se fosse sopravvissuto, quel Rufy ci avrebbe pensato due volte prima di affrontarlo di nuovo.

 

 

Ace si rivoltò nella brandina, disperato. Com'era possibile? Era sicuro di esserselo levato dai piedi sette anni prima, andiamo...

– Non posso crederci, non sai quante cose sono cambiate, da allora! Sai che quasi non ti riconoscevo? – ridacchiò Rufy, sedendosi sul letto di fianco a lui.

Ace grugnì. – Che cosa vuoi da me, adesso? – Era assurdo come, dopo tutto quello che gli aveva fatto, quel ragazzetto così fastidioso continuasse a considerarlo alla stregua di un vecchio amico. A rigor di logica, avrebbe dovuto odiarlo! Gli aveva fatto passare tre anni d'inferno...

Rufy alzò le spalle, senza smettere di sorridere. – Ci siamo dentro insieme, tanto vale far passare il tempo. Cos'hai fatto in questi anni? Sono cinque, giusto?

– Sette. – lo corresse gelido Ace. Sette meravigliosi anni in cui era stato seriamente convinto di essere scampato alla piaga di quel marmocchio troppo invadente. E invece...

– Oh, sì, sette, è vero. – Ridacchiò ancora. Ma non la smetteva mai, di ridere? – Bé, però ci siamo divertiti, eh?

Decisamente, il ragazzino aveva una strana opinione dell'idea di divertimento. – È stato uno spasso, sicuro. – sbuffò Ace, passandosi una mano sugli occhi.

Era complicato trovare un lato positivo della situazione: era in prigione, e di lì a poco lo avrebbero trasferito nel carcere di massima sicurezza Impel Down, la Bastiglia.

E tutto questo perché? Perché si era ribellato alle sue origini, uccidendo un nobile. Forse avrebbe fatto meglio ad arruolarsi con i Ribelli, quelli che portavano avanti la Rivoluzione vera e propria. Forse. Però non sapeva niente di quel movimento, solo il nome in codice del capo, e decisamente quello non era un elemento sufficiente perché ci si potesse fidare di qualcuno.

No, Ace era più un tipo che risolveva le questioni per conto suo. Certo, l'ultima non era andata molto bene, visto dov'era finito...

Nonostante la situazione pressoché disperata, però, quel Rufy non la smetteva di parlare, e continuava a sorridere.

L'avrebbe strozzato.

– Bé, sì, la foresta era proprio affascinante. E dimmi, Sabo come sta?

Affascinante. Perfetto, adesso parlava anche come un aristocratico. E poi... Che cosa importava a lui di Sabo?

 

Ace viveva da solo da un po', quando apparve Sabo. Non erano proprio amici, più un “io non uccido te se tu non uccidi me”. E funzionava.

Si coprivano le spalle a vicenda, e poco a poco impararono a fidarsi l'uno dell'altro: andava bene, a Ace era mancata un po' di compagnia. Bé, se si escludeva quello stupido ragazzino che girava per la foresta e gli finiva sempre tra i piedi.

Ma non aveva un posto dove stare? Non poteva semplicemente levarsi dalle scatole?

E invece no: puntualmente, ogni due o tre giorni rispuntava fuori con quel suo sorriso idiota e chiamandolo per nome. Ace. Poi anche Sabo. Diventiamo amici?

Sabo non era poi così ostile, anzi: ogni tanto aveva anche proposto di prenderlo con loro, così, perché almeno la smettesse di rompere. Ace si era sempre opposto: solo un inutile marmocchio combinaguai. Non ne aveva bisogno.

Un giorno Sabo si comportò in modo strano, borbottando di chissà quali ingiustizie e bambini incomprensibili, ma quando Ace gli chiese di spiegarsi si limitò ad alzare le spalle e a dire che se Rufy non voleva che se ne parlasse, non sarebbe stato lui a farlo.

Ace insistette, ma Sabo fu irremovibile, e nemmeno quando Rufy si presentò coperto da capo a piedi di bende e ferite che sembravano provenire da una mazza ferrata, nemmeno allora Sabo si decise a parlare. Diceva che Rufy non voleva che Ace lo sapesse, e quindi lui non avrebbe detto una parola.

Ace dimenticò velocemente la faccenda, ma Sabo non lo aiutò mai più quando si trattava di dare una lezione a Rufy. Va' a capire perché.

 

– Sabo sta bene. Credo. È un po' che non ci vediamo, lui è nel... – attaccò Ace, svogliato.

– Nel Movimento, sì, lo so. Non lo vedi da quando c'è entrato, allora? Oh, bé, peccato. – E adesso come faceva Rufy a sapere che Sabo era nei Ribelli, che lavorava per il fantomatico leader della Grande Rivoluzione?

Ace rischiava di non capire più niente.

– Bé, io non lo vedo da un po', ma sono sicuro che sta bene. – disse Rufy calorosamente. – Senti, se quando esci ti capita di vederlo, puoi dirgli che abbiamo sistemato Polchemy? Quello del Terminaux Grise? Lo farebbe stare bene! – proseguì poi.

Ace scosse la testa, incredulo. – Quando esci? Ehi, bello, ma non l'hai capito? Questi ci portano a Impel Down, la Bastiglia. La Bastiglia! Non ne usciremo tanto presto, stanne certo. E poi... ma chi è questo Polchemy?

Rufy sembrò confuso. – Non lo sai? Oh, ma allora Sabo non te l'ha detto davvero! – scoppiò a ridere. – Non credevo che avrebbe mantenuto il silenzio, dovrò ringraziarlo! Ti ricordi quella volta, da piccoli, che sono arrivato tutto coperto di bende?

Ace annuì, infastidito. Certo che se lo ricordava, quello e tutto il mistero che Sabo manteneva in quel periodo, però... e adesso cosa c'entrava?

– Bé, era stato Polchemy a ridurmi così. Poi però Sabo mi ha tirato fuori dai guai. Ora io e i miei amici lo abbiamo fatto fuori... Oh, ma tu non sai ancora dei miei amici! – Rufy scoppiò a ridere, e anche se la faccia di Ace sembrava dire “già, non lo so, e non ci tengo a saperlo”, prese a raccontare.

– Lo sai, no, che a dieci anni me ne sono andato dal bosco. Mio nonno è venuto a prendermi e voleva fare di me un soldato del re, ma a diciassette anni sono scappato per rovesciare il governo, come voleva fare Shanks. Non ti ho parlato di Shanks, vero? No, l'ho conosciuto dopo. In sostanza, anche lui voleva cambiare il mondo, ma ha già li suo bel daffare in Inghilterra, anche se laggiù non ci sono rivoluzioni come qui. Comunque, sono partito e per primo ho incontrato Zoro.

Il nome ricordava a Ace qualcosa. Possibile che fosse...

– Sì, l'avrai senz'altro già sentito, era un cacciatore di taglie piuttosto famoso. Però era stato preso da alcuni soldati del re che se l'erano presa con lui per non so quale mastino reale ucciso, una cosa stupida. Io l'ho tirato fuori prima che lo facessero secco, ma solo se lui si fosse unito a me per cambiare il mondo. Poi...

Ma Ace era già al limite di sopportazione. Non era mai stato molto bravo a sopportare Rufy.

– Ma cosa ne vuoi sapere tu di cambiare il mondo! – sbuffò, ostile. – Tu, piccolo figlio di papà, cosa vuoi fare... Dovresti startene a casa con tuo nonno e i tuoi genitori davanti ad un caminetto, come fanno tutti quelli che possono farlo in questo maledetto paese!

Rufy abbassò lo sguardo, un'ombra di tristezza sul volto. – Ma io non posso farlo. A parte che sono scappato di casa, l'avevo già detto... Non ho i genitori. Insomma, sono orfano. Nonno dice così.

Per la prima volta da quando Rufy era entrato nella cella, Ace si sentì vagamente in colpa.

E tutte le volte che...

 

Ace, vuoi diventare mio amico?

No, Ace non voleva diventare suo amico. Ma a quanto pareva, quel concetto era davvero troppo difficile per un cervello elementare come quello di Rufy.

Basta, piantala di scocciarmi! – gridò Ace, lanciandogli contro un sasso. Il moccioso lo schivò. Ormai erano tre anni che andava avanti così, finalmente stava imparando qualcosa.

Rufy non demordeva. – Andiamo, Ace! Sarà divertente!

Ace non ce la faceva più. Sabo non c'era, e di solito era lui che cercava di mediare e di portarlo via quando le cose diventavano troppo pesanti. In quel momento, tuttavia, Ace sentiva solo il sangue che pulsava e la testa che fumava, mentre tutto l'odio che provava verso quello stupido esserino gli ribolliva nello stomaco.

Ho detto di NO! No e basta, stupido piccolo figlio di papà che non sei altro! Non hai niente di meglio da fare che stare qui a rompermi le scatole? Ogni giorno, tutti i giorni! – non era vero, ma Ace non ci vedeva più. Prese un altro sasso, più grande, e glielo lanciò addosso. – Ma non puoi tornartene a casa tua? Alla tua schifosa – un sasso – lurida – un altro sasso – piccola – un altro ancora – sporca casa? Non hai degli stupidi genitori che si occupano di te? Vattene! Vattene e smettila di darmi fastidio, vattene e non farti più vedere, vattene e allora forse non ti ucciderò! Ma lasciami in pace, stupido Rufy!

Per la prima volta da quando si conoscevano, Ace credette di vedere un'ombra di dolore negli occhi del bambino. Parte di lui ne era felice, ma un'altra parte stava gridando di dolore insieme al visetto triste di Rufy, e avrebbe solo voluto abbracciarlo.

Il bambino si voltò e corse via.

Quella notte, mentre Sabo stava dormendo, Ace sentì delle grida. Si incuriosì.

Senza fare rumore, scivolò fuori dal rifugio che condivideva con Sabo e si avvicinò al luogo d'origine del rumore. C'era un falò vicino al luogo in cui era solito rifugiarsi Rufy, e intorno ad esso una grande figura umana dall'aria decisamente arrabbiata.

Ed ecco dove ti nascondevi, piccola serpe! – gridava un vecchio. Tra le sue braccia, si dimenava una piccola figura.

Lasciami! Lasciami, ho detto! Ace! Aiutami, Ace! Lasciami, devi lasciarmi andare, io... – strillava il bambino. Era decisamente Rufy.

Ace non sapeva se essere felice o preoccupato: e adesso, chi era quel vecchio?

Gli occhi di Rufy incontrarono i suoi per un lungo, spaventoso momento. Il bambino tacque per un istante, poi riprese a gridare. – Ace, aiutami! Non lasciare che mi porti via!

E la cosa strana era che Ace sarebbe andato. Sarebbe corso a strappare il bambino dalle grinfie di quel vecchio dall'aria spaventosa, perché Rufy terrorizzato da quell'uomo, magari chiuso in una stanza e con le guance rigate di lacrime, era un'immagine troppo orribile da sopportare.

Sarebbe andato senza pensarci due volte, sul serio, stupendo se stesso prima di tutti. Ma non ci riuscì, perché proprio in quell'istante alle sue spalle comparve un cinghiale, immenso e fumante di rabbia.

Non era raro trovare animali di quella taglia nei boschi, anzi erano la principale forma di sostentamento di Ace e Sabo. Ma comunque non andavano sottovalutati: Ace gli balzò addosso, spingendolo a terra.

Il tempo che ci mise a sopraffare l'animale, e di Rufy e il vecchio non c'era più la minima traccia.

Sconvolto, cercò di inseguirli, ma era buio: seguire le tracce non era mai stato il suo forte, e ben presto si ritrovò al punto di partenza.

Scosse la testa, cercando di tornare in sé: se Rufy era sparito, bé, meglio per lui, no? Un po' di pace, finalmente! Trascinò il cinghiale fino al suo rifugio e si rimise a letto, cercando di cancellare dalla mente lo sguardo ferito di Rufy di quel pomeriggio e le sue grida strazianti di quella sera.

 

 

Immediatamente, i ricordi di quella notte irruppero nella mente di Ace come un fiume in piena. Si ritrovò a chiedersi cos'avrebbe fatto se non fosse apparso quel cinghiale: avrebbe preso Rufy con sé? Sarebbe venuto con lui al rifugio? Avrebbero vissuto insieme? Sarebbero davvero... diventati amici?

Rimasero entrambi in silenzio per un po'.

– Senti, io... – attaccò Ace, ma Rufy lo interruppe.

– Io non avrei dato fastidio, sai? Sul serio, sarei stato bravissimo. Potevo andare a caccia, e sapevo lottare. Non volevo stare da solo, era per questo che io... – abbassò lo sguardo, affranto. – Io volevo davvero diventare vostro amico.

Ace non sapeva cosa dire, ma l'ombra di tristezza sul viso di Rufy sparì in fretta. – Oh, non importa. Andava bene anche così, tranquillo. Era divertente: inseguirti, rincorrerti e farti arrabbiare. Avevi un'espressione così buffa, tutte le volte!

Ace ghignò. – Ah, sì? Buffa, dici? Ma se questa faccia qui ha terrorizzato milioni di persone e animali! – fece una smorfia orribile.

Rufy rise di gusto. – Non farmi ridere! Non spaventavi me, figuriamoci milioni di persone! – disse fra le risate.

– Ah, non ti spaventavo? – chiese Ace, ridendo. Gli si avventò addosso, spingendolo via dal letto. – Devo rimediare adesso, allora!

Rufy rideva tanto che probabilmente sarebbe soffocato, morto dalle troppe risate. – Devi solo provarci, hai capito?

Ace non aveva mai riso così di gusto. Anzi, in realtà non ricordava di aver mai riso. Erano entrambi così presi che all'inizio non sentirono nemmeno il clangore delle chiavi che giravano nella toppa della porta.

– Ma bene, vedo che ci divertiamo, qui. – fece una voce.

– Pare che Rufy Cappello di Paglia, il grande leader della Rivoluzione, non si faccia intimorire nemmeno dalla minaccia di Impel Down, eh? – fece un'altra voce, vagamente divertita.

Rufy alzò la testa di scatto, un enorme sorriso dipinto in volto. – Ma io sapevo che i miei fedeli compagni sarebbero venuti a salvarmi! – ridacchiò, afferrando al volo l'inconfondibile cappello di paglia che gli veniva lanciato. – Sanji, Zoro, si può sempre contare su di voi!

Ace era ancora paralizzato. Rufy si voltò a guardarlo, già sulla soglia della prigione. – Che fai, non vieni? – domandò, ghignando.

Ace si riscosse, annuì e si alzò. Prese la porta insieme agli altri e si mise a correre verso l'uscita. – Lui è Zoro, te ne ho già parlato. L'altro invece è Sanji. Sono i miei primi ufficiali nel comando della Rivoluzione, o qualcosa così. I titoli ce li inventiamo. – spiegò Rufy brevemente. – Ragazzi, questo è Ace, un vecchio amico mio e di Sabo.

Sanji e Zoro lo salutarono con un cenno del capo, mentre Ace ancora cercava di realizzare che Rufy, quel Rufy, era davvero Cappello di Paglia, il leader del Movimento per la Rivoluzione Francese.

Ma andiamo, non era possibile, non lui!

– Non te l'aspettavi, eh? – ridacchiò Sanji.

– Dall'aspetto nessuno gli darebbe un Franco bucato, però sa davvero farsi valere! – continuò Zoro. – Anche se non fa che cacciarsi nei guai...

Rufy si imbronciò. – Se sono finito in prigione è stato per dare a voi il tempo di tagliare la corda con tutti quei documenti per Robin, chiaro? Siete stati voi che mi avete messo nei pasticci. – bofonchiò, fingendosi mortalmente offeso.

– Certo, Rufy. E le guardie non sono arrivate perché hai fregato tutto quel cibo da una bancarella, erano lì per caso. – ridacchiò Sanji, accondiscendente.

Zoro alzò gli occhi al cielo, e si rivolse ad Ace. – Non badarci, non è sempre così. La maggior parte delle volte, ma non sempre. Rufy è un buon leader, sul serio. lui sa capire il popolo, si fa carico delle speranze altrui, dei sogni altrui. È un bravo... – Imprecò, e non ci voleva un genio per capire perché: all'uscita della prigione, in tutta la piazza c'era un intero battaglione di soldati reali.

Sanji non perse tempo, passando a tutti una pistola. – Diamoci da fare, Chopper e Usop ci aspettano con la carrozza grande nel vicolo là dietro! – esclamò, indicando un punto poco lontano. Potevano farcela, si disse Ace. Imbracciò la pistola e cominciò ad avanzare.

I soldati erano tanti, e loro solo in quattro. Ma Ace non avrebbe potuto chiedere compagni migliori. Sanji e Zoro combattevano con un'intesa formidabile, aprendosi la strada tra i soldati come se fossero moscerini. Ace rimase stupito dal vedere che Zoro si era impadronito di alcune spade dei nemici abbandonando la pistola: era uno spadaccino formidabile! Sanji, dal canto suo, se la cavava egregiamente con le gambe: non aveva mai visto nessuno combattere in quel modo, tirando calci di quella forza.

Ma il più sorprendente di tutti era Rufy: si era posizionato alle sue spalle così, istintivamente, e si muoveva con lui come se stessero condividendo i pensieri. Si coprivano le spalle a vicenda, avanzando attraverso il fiume di nemici senza fatica. Da quando Rufy era così forte? Da quando si intendevano così bene? Era tutto una gran confusione.

Accadde così in fretta che persino Ace fece fatica a capirci qualcosa. Stava combattendo con un soldato particolarmente tenace quando sentì un rumore inconfondibile: qualcuno gli stava puntando addosso una pistola. Poteva scappare? No, era impegnato nel combattimento, se si fosse appena distratto sarebbe stato ucciso... Il cecchino che lo aveva mirato fece fuoco, puntando al cuore. Ace non poteva schivarlo, e si vide già con un piede nella fossa.

Aveva pochi rimpianti, la maggior parte dei quali riguardavano Rufy, ma sentiva che andandosene così aveva più o meno rimediato le cose. Istintivamente, sorrise: era pronto. Dietro di lui, Rufy gridò.

Era lì che le cose diventavano confuse. Un secondo prima, aspettava di morire. Un secondo dopo, invece, si trovava disteso a terra, il corpo di Rufy sopra il suo e la figura sanguinante dell'uomo contro cui stava lottando fino ad un istante prima a terra.

Ace si alzò subito in piedi. – Sei ferito? Rufy, che succede?

Rufy cercò di alzarsi, traballante. – N-niente, solo... la spalla... – formulò a fatica. Ace abbassò lo sguardo, preoccupato, e vide un lago rosso scuro che si spargeva dalla spalla di Rufy. Era pericolosamente vicino al cuore. – A-Ace... – balbettò Rufy, lanciando occhiate spaventate intorno a sé. – Devi andare... guarda!

Ace voltò lo sguardo, e vide che Sanji e Zoro cercavano di tenere occupati i soldati intorno a loro, ma non sarebbe durata molto. Poco lontano, tuttavia, si vedeva la carrozza che li avrebbe portati in salvo. C'era un buco, un corridoio tra i soldati, Ace lo vedeva come lo vedeva Rufy. Se fossero stati entrambi in salute, avrebbero potuto correre per di là ed essere in salvo in un battibaleno. Ma così...

– No, Rufy, non ti lascio qua. – disse Ace con decisione, scuotendo la testa. – O ci arriviamo entrambi, o non ci arriva nessuno.

– Ma... – tentò di protestare Rufy.

– Niente ma! – ribatté Ace, un velo di panico nella voce. – Voglio essere tuo amico, ok? Voglio entrare nel Movimento della Rivoluzione! E come facciamo se tu muori qui?

Il volto di Rufy si dischiuse in un'espressione incredula, meravigliata. – Vuoi essere mio... amico? Sul serio?

Ace annuì, teso. – Sul serio. Tutto quello che vuoi. – e questa da dove gli era uscita? Ace non lo sapeva. Sapeva solo che se Rufy fosse morto lì, in quel momento, per aver protetto proprio lui, non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.

– Quello che... voglio... – ripeté Rufy, concentrato. Il dolore doveva essere forte, ma il ragazzo si alzò traballante in piedi. Ace fu veloce a passargli un braccio intorno ai fianchi per sostenerlo. – Vorresti diventare mio... fratello, Ace? – chiese, la faccia verde per lo sforzo di non svenire.

Ace annuì, disperato. – Tuo fratello. Te lo prometto. Ma non morire, intesi?

Rufy annuì, cereo. – I-intesi.

Da poco lontano, Sanji gridò. – Qui non resisteremo in eterno! Ce la fate?

Rufy recuperò abbastanza energie per rispondere. – Sì, arriviamo...

Era così piccolo, così fragile, che Ace si sentì tornare bambino: questa volta doveva difenderlo, per forza. Con la mano libera impugnò una pistola, e un po' correndo e un po' zoppicando, si fece strada insieme agli altri due fino alla carrozza.

Sembrava impossibile, eppure...

– Salite, presto! – gridò uno ragazzo dal naso lunghissimo. Zoro prese posto davanti, mentre Sanji, Ace e Rufy si strizzavano dietro, dove già si trovava un'altra persona.

– Rufy, ma tu sei ferito! – esclamò la voce di un ragazzino molto preoccupato.

Zoro sbuffò. – Si mette sempre nei guai, io l'avevo detto. Com'è, Chopper?

Il ragazzino armeggiò nella sua valigetta. – È una brutta ferita, ma guarirà. Devo fermare l'emorragia. – disse, il tono fermo. – Ehm, tu... potresti spostarti? – chiese poi, rivolgendosi ad Ace.

Il ragazzo ci mise un po' a capire di essere ancora stretto a Rufy, il suo sangue gli si spandeva sulla maglietta.

– Oh, ehm, sì... Sì, ovvio. – rispose, imbarazzato.

Il ragazzino chiamato Chopper ripulì con fare esperto la ferita di Rufy, e il suo volto riprese lentamente colore.

Sanji colse lo sguardo di Ace e gli batté una mano sulla spalla. – Se la caverà, vedrai. È sopravvissuto a ferite peggiori. Certo, alzarsi e attraversare un campo di battaglia con una ferita del genere... Devi piacergli proprio, Ace! – si accese una sigaretta e sorrise.

Alla fine raggiunsero un grande edificio dall'aria abbandonata, e Zoro e Chopper portarono subito Rufy all'interno.

Ace non sapeva bene cosa fare, ma Sanji lo guidò fino ad una stanza bianca. – Si sveglia sempre subito, anche con ferite simili. A volte mi chiedo se sia umano. – alzò le spalle, aspirando una boccata di fumo. – Bé, se hai bisogno di me mi trovi in cucina.

Ace stava per dirgli che grazie, ma lui non aveva la minima idea di dove fosse la cucina, quando sentì una voce.

– No, Rufy, ho appena estratto il proiettile, non è il caso di...

Ace spalancò la porta, il cuore in gola.

Rufy era seduto su un letto, il volto decisamente meno pallido e l'espressione vagamente confusa. – Oh, siamo già arrivati? Bé, poteva andare peggio. – si tastò la bendatura, curioso, poi fece per alzarsi.

Chopper si agitò. – No, non puoi ancora muoverti, e se la ferita si riapre? Farebbe infezione, e...

Ma Rufy già non lo ascoltava più. – Ace! Che bello, sei venuto fin qui! – sorrise, e Ace si sentì stringere il cuore.

Chopper uscì borbottando qualcosa sul fatto che nessuno lo ascoltava solo perché era più piccolo, e i due rimasero soli.

– Allora... Sei sopravvissuto. – fece Ace, dandosi poi dello stupido per la frase idiota.

– Così pare. – ribatté Rufy, sorridendo appena.

Ace deglutì. – Senti, per prima...

Rufy alzò una mano per fermarlo. – Lo so, è che era una situazione critica e allora mi hai assecondato. Tranquillo, non è un problema, fa lo stesso... Non devi stare qui per forza. Va bene lo stesso, è stato bello rivederti. – sospirò, e sembrava così piccolo, così inadatto al peso di una intera Rivoluzione. Ace avrebbe voluto abbracciarlo.

– Frena, frena, aspetta. Che cosa... – fece un sospiro. – Rufy, io quelle cose le avrei dette anche se tu non fossi stato in pericolo di vita, chiaro? Io voglio essere tuo amico e unirmi al Movimento. Sembrate persone simpatiche. E... – sapeva che Rufy aspettava solo quella parte, quindi prese il coraggio a due mani e parlò. Quanto si sentiva in colpa per il suo comportamento di tanti anni prima... Ma ora poteva rimediare. Doveva rimediare. E tutto un una semplice frase. – E voglio essere tuo fratello, Rufy.

 

 

  
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