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Autore: carocrazymofo    24/10/2013    0 recensioni
Nessuno dei due tiene più conto delle loro etichette e dei loro ruoli, di chi devono essere e del personaggio che devono seguire; adesso, forse non ne sono neppure consapevoli, stanno pensando esattamente alle stesse cose: ad arrivare con la propria lingua sul palato dell’altro, a mordersi possessivamente le labbra, alle loro mani che cercano di più di un bacio.
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Harry è costretto a rinchiudersi in uno dei cessi del suo liceo per fumarsi una sigaretta, ed è per questo che adesso è seduto sul pavimento a ghiacciarsi le chiappe ora che è dicembre e che le mattonelle sono gelide; prima era tutto così facile: scendeva al primo piano, usciva da una delle porte di sicurezza e fumava con tutta tranquillità la sua prima sigaretta del giorno. In quell'aerea, dove era permesso fumare, Harry ha incontrato, quattro anni e mezzo fa, alcuni dei suoi attuali migliori amici, persone con cui ha stretto dei bellissimi rapporti e qualche suo ex. 
Ora ha appena discusso - di nuovo - con quella di filosofia e - di nuovo- si è alzato dalla sedia ed è uscito dalla classe sbattendo la porta.
Sente la porta dei bagni aprirsi e qualcuno che entra, così cerca di fare il minor rumore possibile mentre fa l'ultimo tiro e si tira su dal pavimento "sta fumando qualcuno qui?" sente dire dall'altra persona oltre quella porta, e per un secondo gli si blocca il cuore perchè, davvero, gli manca solo essere sorpreso a fumare a scuola e essere sospeso; per un momento pensa che la cosa migliore da fare sia non rispondere e fare finta di niente "allora? C'è qualcuno?" Harry allora decide di aprire la porta del bagno e farsi vedere. Davanti a lui adesso c'è un professore, e Harry lo conosce, eccome. Insegna a quelli di quarto e quinto ginnasio da quest'anno, ed Harry  si è subito fatto affascinare. "eri tu a fumare?" gli chiede e il ragazzo annuisce "Si mi scusi" gli risponde, con lo sguardo basso "ma cosa dovrei fare?" aggiunge poi. Il professore lo guarda con un'espressione interrogativa, le mani in tasca e gli occhiali da vista poggiati sul ponte del naso "che vuoi dire?" "Voglio dire che questa scuola è diventata una merda" non si fa problemi a dirgli Harry, come se stesse parlando con un amico e non con un docente particolarmente sexy.
"Cos'è cambiato?" si incuriosisce il professore, addirittura assumendo una posizione di chi sia intenzionalmente interessato ad ascoltare, con una spalla poggiata al muro e le braccia conserte. "Cos'è cambiato?! Non solo hanno chiuso la sala fumatori con uno schifo di catena, non si può fumare da nessuna parte, hanno installato delle maledettissime telecamere in ogni angolo e hanno recintato il cortile con dei cancelli alti 4 metri! Ma cos'è? Un carcere?"  esclama Harry, gesticolando forse più del dovuto, rosso in viso e con la voglia di un'altra sigaretta. "Sono d'accordo con te. Io ho 25 anni, è il mio primo anno di cattedra e non molto tempo fa frequentavo questa scuola come te, e devo dire che era tutta un'altra storia." afferma il professore di cui Harry ancora non conosce il nome, deciso e con un tono che può parere nostalgico dei cosidetti bei tempi.
Harry sbarra gli occhi e rimane in silenzio, un po' perchè non si aspettava che l'altro gli desse ragione e un po' perchè è piacevolmente sorpreso dalla pochissima differenza di età. Si decide a riassumere un'espressione normale e "bè io torno in classe prima che mi vengano a cercare, arrivederci professor.." "Louis Tomlinson" si presenta "Harry" gli sorride il ragazzo dirigendosi verso l'uscita del bagno "Harry.." lo chiama il professore, "avresti una sigaretta?"

E' il primo giorno di scuola dopo le vacanze di Natale e Harry sente che potrebbe addormentarsi da un momento all'altro; il suo compagno di banco gli da' una gomitata e, dato che non ha nessuna intenzione di seguire la lezione di letteratura francese, decide che è arrivata l'ora di una sigaretta. Cammina per il corridoio trascinando i piedi, fino ad arrivare alla porta giallognola dei bagni maschili. Non appena la spalanca la puzza di piscio e di detersivo scadente gli arriva al naso, che arriccia; riesce a sentire anche l'odore inconfondibile di fumo e tabacco che brucia, così continua a camminare fino alle porte dei singoli gabinetti. Seduto sul pavimento, poggiato alla parte accanto al termosifone, Harry lo vede, il professor Tomlinson: gli occhiali da vista sono buttati in un punto a caso sul pavimento e le mani sono tra i capelli leggermente più lunghi dell'ultima volta "salve professore" lo saluta Harry cordiale; l'altro alza di scatto la testa quando sente la sua voce  "ciao Harry" sorride flebile "vieni, ti restituisco la sigaretta che ti devo" gli dice, facendogli segno di avvicinarsi e porgendogli il pacchetto di American Spirit.
"Come va?" gli chiede Louis, un po' per cortesia e un po' perchè davvero vuole saperlo e vuole parlargli, lui lo fa sorridere. "a me tutto bene professore, apparte la solita merda di scuola. E' a lei che sembra non vada qualcosa. Cosa è successo?" si permette di dirgli Harry, ma lo fa semplicemente perchè quel ragazzo - perchè si, è un ragazzo - ha qualcosa di speciale, e non riesce a vederlo in quello stato. "Cosa mi è successo?" ripete il professore e Harry, approfittando del fatto che non lo sta guardando, gli fissa le labbra sottili "nulla, sono solo un po' stanco.. casa mediocre, auto mediocre, lavoro mediocre" sta dicendo, alzando le spalle e sorridendo giusto per sdrammatizzare; ha i gomiti poggiati sulle ginocchia, una mano tra i capelli e l'altra che regge la sigaretta. Harry ascolta ispirando qualche volta dalla sua e "non ha nessuno accanto di non mediocre a renderla felice?" gli domanda guardandolo come per implorarlo di alzare lo sguardo su di lui, e la cosa strana è che succede: è come se lo sguardo verde di Harry, insistente sul collo bianco dell’altro e sulle sue braccia sottili ma muscolose, abbia chiesto o convinto il cervello di Louis a prestargli davvero attenzione "Dammi del tu Harry, e comunque no, non ce l'ho" gli risponde quasi sussurrando, guardandolo negli occhi; poi, prima di baciarlo, getta il mozzicone della sigaretta alle sue spalle, dove c'è la finestra, senza neppure assicurarsi di averla fatta realmente finire all'esterno.
E' forse un po' squallido che si stiano baciando sul pavimento del bagno di un liceo, è forse un po’ squallido anche che sia stato un professore a baciare un alunno, forse. Per loro però non lo è, o almeno non gli importa. 
Louis non è riuscito a togliersi dalla testa  quel ragazzo per settimane: non ci è riuscito mentre era nel suo letto, mentre era tra le lenzuola o nella doccia mentre si masturbava pensando a lui. L’erezione nei suoi pantaloni cresce e lui pensa a quanto abbia desiderato poter toccare quelle labbra, come sta facendo ora. Non può fare a meno di eccitarsi di più ogni secondo che passa; nel loro bacio ci sono denti, ci sono lingue, c’è saliva sui menti e ci sono mani sui corpi bollenti e sulle mattonelle gelide. Solo in questo momento Louis si rende conto della vera funzione di denti, lingua, salive: i denti non servono per mordere e per mangiare, la lingua non serve a chiudere una busta da lettera o a gustarsi un gelato e la saliva non serve solo a pulire i suoi occhiali da vista quando non ha la pezzetta. 
Harry non sa cosa pensare in questo momento e, ok, deve ammettere che il professor Tomlinson non gli è stato indifferente nell’ultimo periodo, per niente, ma non pensava avrebbe mai avuto il coraggio o anche solo preso in considerazione l’idea di fare qualcosa, ed è proprio per questo che è al settimo cielo adesso. Ringrazia con la bocca e con i baci l’uomo davanti a lui, lo ringrazia di averlo baciato e di non averlo quindi fatto passare per il protagonista di un banale clichè: lo studente che si invaghisce del professore.
Nessuno dei due tiene più conto delle loro etichette e dei loro ruoli, di chi devono essere e del personaggio che devono seguire: Louis ha dimenticato la ventiquattro ore con incise le sue iniziali, buttata lì sul pavimento; ha dimenticato la lezione su Shakespeare che deve tenere da lì a poco in 4E e ha dimenticato la cravatta che detesta così tanto, allentata un po’ da lui e un po’ di più dall’altro.
Harry non tiene più conto del messaggio di sua madre a cui deve rispondere, della professoressa di filosofia che sicuramente manderà qualcuno a cercarlo e si è dimenticato di dover copiare la versione di latino. Adesso, forse non ne sono neppure consapevoli, stanno pensando esattamente alle stesse cose: ad arrivare con la propria lingua sul palato dell’altro, a mordersi possessivamente le labbra, alle loro mani che cercano di più di un bacio.
E Louis lo capisce, alla fine, che Harry sta pensando e cercando tutto ciò, lo capisce perché sente le sue dita tra i capelli e la sua erezione sulla coscia, ma è quando si rende conto di avere lui stesso in mente gli stessi identici pensieri che Louis, il professor Tomlinson, lo allontana; ha le labbra rosse e gonfie, i capelli scompigliati e lo fissa negli occhi verdi. “Scusami” balbetta con le mani che tremano e la bocca lucida per la saliva; si alza in fretta dal pavimento, raccoglie gli occhiali da vista , la ventiquattro ore e sta per andarsene, forse non lo vuole davvero perché tentenna nel fare il primo passo verso la porta del bagno. Harry non ha ancora detto una parola, e se i suoi occhi lo stanno fissando e implorando di restare, la sua mente e le sue labbra sono ancora su di lui, lo stanno ancora assaporando. Forse Louis sta aspettando ad andarsene definitivamente, forse sta aspettando anche solo una parola dell’altro, spera che quello apra la bocca, quella bocca che voleva tanto baciare e che in fondo si pente di aver lasciato andare.
“Aspetta” sussurra Harry, insicuro se continuare o meno, mentre pesa ogni parola e si chiede se sia quella giusta. Ha una mano a mezz’aria e gli occhi si muovono velocemente, come se cercassero loro cosa dire “dammi il tuo numero” .


Harry è a casa, sono le due, e sua madre sta lavando i piatti alle sue spalle, sua sorella è in camera sua con quel coglione del suo ragazzo e lui è steso sul divano, di fronte alla televisione accesa. Non sa neppure costa stiano trasmettendo precisamente e alle su orecchie la voce del presentatore gli arriva ovattata, coperta dai suoi pensieri talmente confusi, che sovrastano qualsiasi altra cosa.
Si sporge verso il tavolino lì accanto e afferra il pacchetto di sigarette; se ne accende una e la fuma quasi automaticamente, senza rendersi davvero conto dei movimenti che fa, ormai abituali; gli occhi chiusi, la testa sul bracciolo e la mano passa e accarezza il petto nudo. Anne gli passa accanto a sbuffa qua do lo vede fumare, ma gli poggia comunque un posacenere lì vicino.
Ogni tanto Harry apre gli occhi e fissa quel numero sul display del suo iPhone; lo sa, Harry, che quel bacio lo desiderava tantissimo e da tantissimo tempo, dal primo giorno in cui ha visto il professore varcare l’ingresso del liceo, con camicia bianca, cravatta rossa, jeans chiari. E’ arrivato in ritardo anche il primo giorno perché è rimasto a fissargli il fondoschiena  mentre quello parlava con un collega; ha fatto scena muta a domande che gli sono state poste da questo o quell’insegnante perché la sua mente era ferma sull’immagine dl professor Tomlinson nel suo letto. Quando poi quella mattina hanno parlato nel bagno, non è mai stato più felice di aver discusso con quella di filosofia.
Perché non frequenta il ginnasio? Perchè non è nato qualche anno più tardi? A quest’ora sarebbe suo alunno e lo vedrebbe tutti i giorni; potrebbe guardargli il culo ogni volta che passa tra i banchi, potrebbe fissargli le labbra sottili e rosse mentre spiega e potrebbe immaginarlo senza maglietta mentre è seduto dietro la cattedra ad ascoltare un’interrogazione.
Ora è ancora steso sul divano e la sigaretta è quasi finita nel frattempo che pensava. Fissa ancora il suo cellulare e alla fine lo fa. “stavo pensando a lei”
Harry non è uno di quelli che aspetta il memento giusto per inviare un messaggio, non è uno di quelli che resta con il pollice sospeso sul tasto ‘invia’ prima di premerlo davvero e non si fa mille domande; Harry semplicemente scrive ciò che gli viene in mente, velocemente, e preme ‘invia’ immediatamente dopo, senza indugiare o stare lì a rileggere l’sms cento volte. 
E’ dopo il dramma. 
Il dramma arriva dopo che la scritta ‘consegnato’ appare sotto la nuvoletta: lancia il cellulare sull’altro divano, di fronte a lui, quasi come se avesse paura di averlo tra le mani, si copre il viso con un cuscino dentro il quale soffoca un urlo.
Scatta in piedi velocissimo solo quando sente l’iPhone vibrare poco lontano da lui: per pochissimo non inciampa sul suo gatto, e poi afferra il telefono. Il display gli mostra un nuovo messaggio in arrivo da parte di un contatto salvato solo con ‘L’, e non è difficile capire di chi si tratti; ad Harry tremano le mani e non sa quanto gli reggeranno le gambe fasciate in quegli strettissimi pantaloni neri che gli bloccano la circolazione.
Non è mai stato il tipo di ragazzo che si agita per qualcuno, che suda quando aspetta una risposta ad un messaggio e va in fibrillazione quando la riceve, ma quel professore, quel ragazzo, gli fa un effetto strano e non sa se sia un bene o un male.
Quando la cartella verde dei messaggi si apre, trattiene il respiro quasi involontariamente e quasi il cuore gli esce dal petto quando legge “vieni qui. Leonord street 142”. Harry comincia a saltare in giro per la casa, bacia sulla guancia sua sorella quando la incontra per le scale , che gentilmente gli risponde con un “che cazzo fai?!”, abbraccia sua madre che sta lavorando al computer e urla a squarciagola uscendo sul balcone di camera sua. Si infila una t shirt nera, si spruzza del deodorante inodore, si cambia i pantaloni che indossa sostituendoli con degli altri identici eccetto per delle toppe sulle ginocchia – giusto per far capire che se li è cambiati – ed esce senza tante cerimonie, giusto con un “Ciao!” volante ad Anne. Si mette in auto, accende la radio, canta a squarciagola le canzoni trasmesse e guida per le strade di Londra fumando una sigaretta. In dieci minuti è a Leonord street 142. Non sa come, forse per un miracolo di un dio in cui non crede, trova parcheggio di fronte al portone, così chiude l’auto, si specchia nella vetrina di un negozio e spinge il portone già aperto. Sul citofono esterno ha letto “Tomlinson 4° piano”così, in un palazzo senza ascensore, sta salendo le scale.
La voglia di rivedere Louis, il professore, il desiderio di poterlo di nuovo toccare e il non vedere l’ora di parlarci e, perché no, di baciarlo, hanno soprafatto l’agitazione e il nervosismo. Fino ad adesso. Sale le scale piano, un gradino alla volta, e man mano si sta rendendo conto di quello che sta facendo: ha realizzato solo ora di stare salendo le scale di un palazzo mai visto prima. Per andare nell’appartamento di un professore del suo liceo. Sta per entrare in casa di Louis.
E’ la cosa giusta? si chiede, tra sé e sé.
Che cazzo ne so.
Lo vuoi davvero?
Si, cazzo.
Si passa una mano nei capelli; fa d’un tratto caldissimo in quel palazzo e il cuore di Harry lo sta seriamente minacciando di andare a farsi fottere. Ok, è arrivato. Cerca di respirare profondamente, ma è in momenti come questi che si rende conto di quanto fumi e di quanto fumare faccia male. A proposito “ho bisogno di una sigaretta” si dice, mentre tira fuori dalla tasca posteriore dei jeans il pacchetto, e le sue mani stanno tremando. Si siede lì, accanto alla porta rossa dell’appartamento, con il numero 5 di ottone al centro, al quarto piano; com’è che si ritrova sempre a fumare su un pavimento?
E questo pensiero lo riporta a quel giorno di gennaio in cui Louis lo ha baciato; lui lo voleva davvero, lo sperava e lo aspettava con tutto se stesso, da giorni; non pensava lo avrebbe fatto ma quando l’ha fatto, da quel momento non ha più desiderato altro. Non credeva davvero di poter essere preso così tanto da una persona dopo l’ultima volta, dopo che Niall l’ha lasciato, quasi un anno fa. 
Non si è più innamorato dopo di lui: Harry e Niall erano l’uno l’opposto dell’altro ma – clichè – erano perfetti insieme. Harry vedeva Niall come il ragazzo migliore del mondo, era tutto per lui, si è accorto di amarlo dal primo giorno. Niall era il più bello, intelligente, dolce, divertente, era tutto; facevano ogni cosa insieme, Harry gli aveva affidato la vita. Poi Niall non si è dimostrato tanto bello, intelligente, dolce e divertente quando ha deciso di liquidarsi semplicemente con un sms,  un giorno: non si è fatto più vedere né sentire, non si è preoccupato di parlargli in faccia e neppure di chiedergli come stesse. E Harry stava male.
Non ha mangiato per giorni, non parlava con nessuno, ha cominciato a non andare a scuola e per questo è stato bocciato. Da un lato però deve quasi ringraziarlo, perché se non avesse perso un anno non sarebbe stato a scuola, lì in quel bagno, quel giorno, quando lui e Louis si sono conosciuti. E anche se adesso Louis non è nulla di più di un ragazzo per cui ha una cotta – o qualcosa di più -, Harry pensa che sia la cosa più bella che gli sia capitata. Adesso, se paragona quello che era il suo Niall, il suo primo vero ragazzo, che ha amato con tutto il cuore, a Louis, un amico, un professore, che l’ha baciato un giorno in cui bagno, se li paragona, Harry non ha dubbi: se Niall era il rumore del mare, Louis è l’oceano, se Niall era I’m a fool (for loving you), Louis è Suspicious mind, se Niall è una sigaretta. Louis è il pacchetto intero.
Ora è ancora seduto lì accanto alla porta, neppure lui sa da quanto tempo, la prima sigaretta è finita, così come la seconda, e la terza; le cicche sono conficcate nel terreno di una delle piante e Harry ha gli occhi fissi nel vuoto e per la prima volta forse non sa cosa fare. Non riesce ad alzarsi da lì, qualcosa lo blocca; si mette le mani tra i capelli e quasi se li tira e poi se le passa sul viso; guarda l'orologio che tiene al polso e vorrebbe piangere quando vede le lancette segnare le 18.30. E' arrivato alle quattro. Come sono passate due ore e mezza?! Non riesce a credere di stare seduto lì da così tanto tempo. E' arrivato sicuro di sè, eccitato, non vedeva l'ora di parlare con lui di loro, delle loro famiglie, di musica e cinema, di amore e sesso, e invece sta lì, seduto in quel pianerottolo da più di due ore, come un coglione, e non si riconosce più. Sa di dover fare qualcosa, ma non fa in tempo nemmeno a pensarci che la porta, quella rossa accanto a lui, si apre.
"Che cazzo fai qui?" eclama Louis fissandolo ad occhi aperti. Harry apre la bocca per parlare ma non ne esce una parola, la richiude; i suoi occhi vogliono spiegare, vogliono scusarsi "saresti dovuto arrivare da più di due ore" gli dice l'altro, più tranquillo forse, ma con un tono piccato, il tono di chi vorrebbe arrabbiarsi ma non ci riesce, di chi vorrebbe sgridare il cucciolo più dolce del mondo ma non ne ha il coraggio. "Sono arrivato da più di due ore" si affretta a dirgli Harry "solo che.. cioè.. ero qui ma" Louis alza gli occhi al cielo e muove energicamente una mano "lascia stare. Dai entra" gli dice già facendosi da parte per liberargli l'entrata. Harry sorride, si alza aiutandosi piantando i palmi delle mani sul pavimento, e poi se le pulisce alla meglio sui jeans scuri. Varca la soglia dell'appartamento mentre Louis "stavo venendo a picchiarti, quando ho aperto la porta" sta dicendo ma non lo ascolta; Harry è perso tra le pareti chiare e tra i mobili antichi di quella casa.
Tutto lì dentro grida il nome di Louis, tutto odora di lui, racconta di lui e sa di lui: l'intonaco panna, i divani morbidi nei quali si sprofonda solo a guardarli, i quadri impressionisti, la labreria di legno che occupa un'intera parete, la tenda viola e la pila di cd alta un metro e mezzo. I libri sono sistemati davvero ovunque, sulle mensole, sul tavolino da caffè al centro del salotto, sui ripiani della cucina e sul televisore; le finestre sono grandi e offrono la visuale di una Londra più antica, meno caotica e più alla mano, e la cucina profuma di nuovo e di inesperto.
La poltrona rossiccia, grande come per far sedere un gigante, sistemata tra il divano e una libreria più piccola- che Harry scommette contenga i libri preferiti e più letti- è come se ti implorasse di sederti, di provarla e di addormentartici sopra. Quella poltrona agli occhi di Harry è l'essenza della familiarità, della comodità e della quiete e per un momento - solo per un momento - si immagina Louis accucciato su di lui su quella poltrona, mentre insieme guardano un film.
"E' esattamente come me la immaginavo" sussurra il più piccolo, ancora analizzando i particolari. Louis nota i suoi occhi brillare e l'espressione sincera sul suo volto, e arrosisce, si infila le mani nelle tasche dei pantaloni di tuta che indossa e abbassa la testa "niente male, ma niente di che" ammette, comunque fiero della sua casetta, che ha comprato, arredato e personalizzato tutto da solo, per farsela calzare a pennello.
Louis gli propone una tazza di thè, che Harry accetta, e gliela porge non appena finisce di versare il liquido marrognolo bollente; restano in silenzio mentre iniziano a sorseggiare, sorridendosi semplicemente, e mentre si spostano dalla cuina al salotto; Harry decide di non sapersi trattenere quando si siede, come aveva desiderato fare da quando l'aveva vista, sulla poltrona, sorridendo a 32 denti al solo contatto "piace a tutti quella poltrona, per quante persone abbiano avuto la possibilità di vederla" dice Louis, sedendosi invece sul divano lì accanto e nascondendo parte delle gambe sotto il fondoschiena "cioè?" "cioè che non viene quasi mai nessuno qui.." e Harry sorride ancora di più se possibile, un tantino imbarazzato ma tanto, tanto, compiaciuto e contento per quello che l'altro ha appena detto, e Louis gli sorride a sua volta.
Ora si guardano e basta, entrambi sanno cosa stanno evitando e allo stesso tempo di cosa non vedono l'ora di parlare "non pensi che dovremmo parlare?" esordisce il più grande, con una voce così bassa che neppure lui è sicuro di aver detto sul serio qualcosa, e infatti è indeciso se ripetere o meno non ricevendo alcuna risposta dall'altro. Lo guarda e ora capisce che sì, ha sentito e afferrato ciò che ha detto "sai Harry" decide di continuare "quello che è successo.." "è stato bellissimo" termina per lui la frase l'altro e sorride ancora. Il cuore di Louis comincia a correre " si lo è stato, ma è stato anche improvviso, troppo affrettato.. è stato.." non sa come andare avanti, non sa cosa dire per giustificare la cosa, perchè in fondo per lui non deve essere giustificata, la rifarebbe mille volte; lo guarda negli occhi e lo vede tranquillo, sereno, sicuro di sè e quel sorriso è ancora lì e pensa che se fosse nei suoi panni, se fosse Harry a dirgli ciò che lui sta dicendo, pensa che morirebbe.
Louis vorrebbe poter non sforzarsi nel dire quello che sta cercando di dirgli, vorrebbe poter non preoccuparsi, andare da lui, semplicemente affondare le dita nei ricci e baciarlo ancora. "Ho sbagliato io, Harry" dice invece, con gli occhi fissi sulla tazza "no, non hai sbagliato" gli risponde fermo, sicuro, Harry "non ha sbagliato, hai fatto benissimo, la cosa migliore che potessi fare" continua a dirgli, sorridendo, iniziando a far crollare in Louis tutte quelle certezze -  non molto certe - che si era prefisso di crearsi, quelle idee che si era costretto a credere giuste; lo guarda negli occhi e per la prima volta si accorge che non sono semplicemente verdi, hanno mille colori, mille sfumature e mille tonalità. Con quegli occhi Harry gli ha rubato le parole, gliele ha estirpate con la forza, se le è portate nel cuore e le ha nascoste, per non fargliele pronunciare e per non sentirgliele dire.
"Non sono riuscito a non pensarci tutto il giorno, a non pensare a te" si guardano ancora, mentre Harry parla, e Harry sa ciò che vuole e lo vuole davvero, Louis invece, nonostante voglia la stessa cosa, cerca di convincersi che sia sbagliato volerla. "Vieni qui, Lou" gli ordina quasi, ma dolcemente, il più piccolo e per la prima volta dalla sua bocca esce quel soprannome, e averlo chiamato in quel modo lo rende speciale, ufficiale, suo in qualche modo, Louis se lo sente, lo sa. Odia essere chiamato con stupidi nomignoli, ma detto da Harry quel soprannome pare dolcissimo, il più bello "vieni qui" gli ripete. Il più grande lo guarda, gli occhi e l'anima in difficoltà e il cuore in tilt, non muove un muscolo; Harry non parla più, ma la sua espressione e le sue iridi continuano a ripetere quella frase, nonostante la totale assenza di voce.
Louis si alza, alla fine, cammina lento e le gambe tremano ma sa di stare facendo la cosa giusta in fondo, sa di stare facendo ciò che vuole veramente; arriva davanti alla poltrona e si accovaccia piano accanto all'altro, standogli quasi in braccio e gli prende una mano; entrambi si sorridono, si afferrano le dita e le intrecciano e Louis posa la testa sul suo petto, sente il cuore battere forte, come il suo e coglie solo adesso la sua agitazione, che c'era, c'è sempre stata, ma non voleva mostrarsi. "Sei uno studente" sussurra sul suo corpo, quasi divertito questa volta, molto più sereno, sorridendo "già, e tu sei un professore" il tono di Harry è ironico, ma rassicurante e riesce a far apparire la loro situazione come la migliore che si possa desiderare.
Adesso Louis, su quella poltrona, accoccolato a quel ragazzo, con la testa sul suo torace e le mani che gli accarezzano i capelli lisci, si accorge di come sia più bello, più piacevole di quando ci è seduto da solo, in compagnia solo di uno dei suoi libri.

Quella sera Harry manda un sms a sua madre in cui la avvisa che dorme da Liam, e Louis per la prima volta apparecchia per due e per la prima volta il suo letto matrimoniale non ospita una sola persona.
Quella sera Harry riesce a lasciarsi andare veramente, così come faceva con Niall e riesce a passare una serata davvero piacevole, diversa da quelle che passa a casa sua, davanti alla ps3 fino a tarda notte, con sua madre e sua sorella che urlano.
Quella sera Louis finalmente mangia un pasto come si deve, che sa di cucina, di vero cibo - e che non comprende roba da scongelare o precotta - perchè Harry gli ordina di sedersi al tavolo e di mostrargli dove tiene la pasta.
Quella sera sono le mani di Harry che si muovono per prime sul corpo di Louis, che gli sfilano la t shirt, gli slacciano le cordicelle dei pantaloni e lo accarezzano ovunque; sono i brividi di Louis quelli che vengono fuori non appena le mani grandi e chiare di Harry entrano in contatto con la sua colonna vertebrale e con la sua erezione, e sono i gemiti di entrambi quelli che si sentono durante l'intera notte, tra le lenzuola del letto matrimoniale, quando la bocca del più piccolo, rossa e gonfia per i baci e i morsi, si posa sulla lunghezza del più grande e quando il corpo di Louis viene preso e riempito da Harry, fatto suo.
  
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