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Autore: shadowsdimples_    24/10/2013    4 recensioni
Tirai addosso al muro l’ultimo vaso rimasto nelle vicinanze e mi guardai attorno: cartacce, libri aperti e strappati, il piano coperto di polvere, frammenti di vetro ovunque e il tavolo ribaltato. No, decisamente, non avrei dovuto farlo, ma sapevo che mi avrebbe aiutato. Andai nello studio con l’intenzione di distruggere pure quello, ma mi fermai quando vidi sulla scrivania un paio di fogli e una penna. Li presi e tornai in salone. Rigirai il tavolinetto davanti al divano, mi sedetti a terra e iniziai a scrivere. Non so per quanto andai avanti, la disperazione e tutto il resto non mi facevano smettere di scribacchiare parole confuse su quel foglio. Alzai finalmente la penna, lessi il testo e scrissi il titolo.
I won’t see you tonight.
Genere: Fluff, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Deals - you've been the solution for so long.

Taylor.

Non ricordo di aver risposto; so solo che presi le valigie e le riempii con tutto quello che mi capitava a tiro, non riuscivo neanche a vedere nulla per via delle lacrime. Mi vestii rapidamente e finii di prepararmi con Salazar che mi veniva dietro. Mentre prendevo le ultime cose, la porta di casa si aprì ed entrò Jason.
“Ehi, dove vai…” Era ubriaco fradicio, come al solito. Vederlo mi fece salire un odio indescrivibile, ma non solo per lui, anche per me stessa, che ero stata in grado di lasciare una persona fantastica come Jimmy per uno come lui. Mi si buttò addosso mentre mettevo il guinzaglio a Salazar.
“Levati.” La mia voce era fredda nonostante stessi piangendo ininterrottamente da quando avevo attaccato il telefono in faccia a Matt.
“Dove vai?” Ripeté altrettanto freddamente.
“Parto, dove vuoi che vada?”
“E dove stai andando?”
“Cavoli miei.” Mi fece girare e mi prese il viso con una mano, costringendomi a guardarlo. Il suo fiato puzzava di alcol in una maniera vomitevole.
“Sono cavoli miei perché tu sei la mia ragazza.” Risi senza allegria.
“Io non sono proprio un bel niente. E lasciami.” Provai a sfuggire dalla sua presa, ma era troppo forte. Premette le labbra sulle mie, sentivo la sua lingua cercare di raggiungere la mia. Serrai le labbra e mi dimenai, ma niente, era irremovibile. Quando si staccò, mi spiace doverlo dire così, ma gli sputai letteralmente in faccia.
“Puttana.”
“Capita.” Presi le valigie e uscii da casa.
“Non farti più vedere!” Mi gridò mentre montavo in macchina.
“Stai pur tranquillo che non mi vedrai più.” Risposi sarcasticamente e mi diressi all’aeroporto più velocemente possibile, Salazar che si agitava irrequieto sul sedile posteriore.
Arrivata dopo un viaggio che mi sembrò interminabile, presi le valigie e andai al centro prenotazioni.
“Salve, ho bisogno di un biglietto per Huntington Beach, solo andata, economic class.” Dopo alcuni istanti passati a ticchettare velocemente sulla tastiera, la ragazza mi fissò con sguardo desolato.
“Purtroppo è rimasto un solo posto, in...” Non la feci neanche finire di parlare, le piazzai davanti la carta di credito.
“Va benissimo lo stesso.” Una decina di minuti dopo, concluse la transazione.
“L’aereo decollerà fra pochi minuti, la consiglio di affrettarsi.” Non mi preoccupai di risponderle. Mi occupai di far imbarcare Salazar e feci rapidamente il check-in e il body scanner. Una manciata di una manciata di minuti dopo ero sull’aereo in attesa che partisse.
Quella che seguì fu l’ora più lunga della mia vita: c’era un fottuto ragazzino che non la smetteva di prendermi a calci il sedile, un vecchio che mi russava davanti e un signore con problemi di gestione dello spazio, dato che mi stava praticamente seduto sopra nonostante i sedili fossero più larghi del normale.
Non riuscivo ancora a capacitarmi di quello che mi aveva detto Matt poco più di un’ora prima. Che cazzo gli era passato per la mente? L’ansia si fece strada in me a una velocità impressionante.
Era in coma. E non sapevo altro.
Poteva essere in coma irreversibile, poteva aver avuto un incidente, poteva aver preso qualcosa, non sapevo nulla.
Stavo per perderlo e non sapevo se avrei potuto scusarmi con lui e dirgli che lo amavo un’ultima volta.
Poggiai la fronte sulla mano e iniziai a piangere silenziosamente.

“Matt! Qual è l’ospedale dove sta Jimmy?” Continuavo a spingere la gente per raggiungere un taxi libero, ma mi venivano tolti tutti da sotto il naso. Salazar mi scodinzolava inquieto accanto. Una pioggia incessante aveva deciso di venir giù proprio in quel momento, rendendomi ancor più difficile capire cosa stesse dicendo Matt.
“Huntington Beach Hospital. Dove sei?”
“All’aeroporto, sto arrivando.” Riagganciai e mi fiondai a prendere un taxi appena arrivato, beccandomi un paio di occhiatacce e anche qualche vaffanculo.
“Huntington Beach Hospital, velocemente, per favore.” Ordinai.
“Signorina, con questa pioggia andare veloce mi risulterà difficile.” Rispose il tassista da davanti. Sospirai.
“Cerchi di sbrigarsi.” Mormorai con tono supplichevole. Nonostante l’aeroporto non fosse molto lontano, impiegammo quasi una ventina di minuti ad arrivare all’ospedale. Pagai e recuperai le mie valigie e Salazar, fiondandomi nell’ospedale.
“Salve, sto cercando Jim… James Sullivan.” Dissi con un nodo in gola. L’infermiera mi squadrò per un attimo: dovevo avere un aspetto orribile. Mi passai con noncuranza una mano fra i capelli annodati e umidi per via della pioggia.
“Lei è una parente?”
“Ehm… sì.” Ero tentata di dirle ‘sono la sua ragazza’, ma sarebbe stata una bugia. Tamburellai con le dita sul bancone finché il suo sguardo non si alzò dallo schermo.
“Secondo piano, stanza 108. Il cane deve rimanere fuori.” Nonostante l’ansia del momento, sgranai gli occhi a quell’affermazione assurda.
“Sta scherzando?! Fuori c’è un uragano!”
“Allora lo sistemi lì.” Mi indicò un angolo nella sala d’attesa. Legai Salazar alla poltrona lasciando anche le valigie e corsi al secondo piano. Fuori dalla porta, trovai Matt, Valary, Zacky, Gena, Brian, Johnny, Elle e Lacey, tutti a testa bassa. Non potei evitare di confrontare la faccia di Matt, Brian ed Elle di quattro mesi prima con quella che avevano in quel momento.
Erano distrutti.
“Matt…” Corsi verso di lui, che mi stritolò in un abbraccio. Era tantissimo che non lo vedevo, mi era mancato da morire - lui come gli altri - ma in quel momento volevo sapere solo se Jimmy ce l’avrebbe fatta. Respirai a fondo: profumava di casa. “Allora? Come sta?”
“Stiamo aspettando il dottore.” La sua voce era roca, gli occhi rossi e gonfi e un’espressione da funerale sul viso. Mi voltai e guardai verso la finestra della stanza, chiusa da una tendina. Sentii di nuovo le braccia di Matt avvolgermi.
“Non voglio perderlo… devo scusarmi…” Mormorai fra i singhiozzi che mi scuotevano e mi impedivano quasi di parlare.
“Non succederà. È forte, ce la farà.” Nonostante mi stesse rassicurando, sentii la sua voce rompersi alla fine della frase.
Non saprei dire se passarono minuti, secondi, ore o giorni da quando arrivai, so solo che a un certo punto la porta della stanza di Jimmy si aprì e ne uscì un medico. Ci alzammo tutti in piedi e iniziammo a fare domande al dottore.
“Come sta?” Chiese alla fine Zacky, che sembrava l’unico a non aver perso la facoltà di ragionare.
“Non posso dichiararlo fuori pericolo. Ha avuto un’overdose causata dal mix di farmaci e alcol. In più abbiamo scoperto che soffre di cardiomegalia, ovvero la massa del cuore è leggermente superiore alla norma. Per ora è in coma, l’unica cosa che possiamo fare è aspettare.” E sperare, soggiunsi dentro di me.
“Possiamo vederlo?” Chiese Valary.
“Uno alla volta e per pochi minuti.” Detto questo, il dottore si allontanò con la solita faccia dispiaciuta di uno che vorrebbe dirti ‘non sappiamo se sia più vivo che morto’.
“Taylor, va’ prima tu…” Mormorò Elle.
“Sicuri?” Annuirono tutti e mi fermai a fissare il legno della porta. Mi voltai un’ultima volta e vidi lo sguardo dei miei amici cercare di rassicurarmi. Presi un paio di respiri profondi e abbassai la maniglia della porta, ben attenta a non guardare in direzione della barella. Mi girai e guardai finalmente il letto, dove vidi uno degli spettacoli più… indescrivibili del mondo.
Jimmy stava sdraiato sul lettino, immobile, con gli occhi chiusi.
Dormiva.
Mi avvicinai al letto e lo guardai. Il suo sguardo era pacifico, le labbra chiuse non erano curve come ero abituata a vederle. Gli presi la mano: era calda e morbida, ma lui non reagì.
“Jimmy…” Lo chiamai come se mi aspettassi che mi rispondesse. Mi sedetti accanto a lui e gli sfiorai una guancia, aspettandomi anche lì una reazione che non arrivò.
“Ti prego, perdonami. Torna indietro, non lasciarmi. Ti amiamo tutti, io per prima, non ho mai smesso di farlo.” Chinai la testa e ricominciai a piangere sul suo braccio tatuato.
“Ti prego… torna indietro.”

Passarono due giorni, ma Jimmy non si svegliò. Trascorrevamo le giornate in ospedale, facendo i turni per rimanere con lui e non lasciarlo mai da solo. Mi ero ritrasferita nella mia vecchia casa di Long Beach e, devo ammetterlo, tornarci non mi fece bene.
Me n’ero andata proprio perché quel posto mi faceva venire in mente le serate passate con Jimmy a mangiare torta al cioccolato, a guardare film schifosamente romantici e prendere in giro gli attori e a fare l’amore. Accesi la luce e trovai tutto com’era rimasto sei anni prima: il divano incartato davanti alla tv, anch’essa coperta da un telo di cellophane, la cucina a vista, la vetrata, il giardino e la camera da letto. Accesi la luce anche in camera e mi guardai intorno: le pareti verde acqua erano più cupe del solito, come se mancasse qualcosa che le facesse illuminare. Sospirai e iniziai a mettere a posto le mie cose, in mancanza di qualcos’altro da fare. C’erano anche delle foto che avevo preso da casa di quell’energumeno di Jason: io e Salazar, io e mia sorella, la mia famiglia al completo e una foto di me e Jason; quella la strappai e misi la cornice vuota accanto alle altre. Aprii il primo cassetto per mettere a posto i vestiti e mi trovai davanti una scatola piatta e bianca. La presi e la aprii, trovando dentro delle foto. Mi sedetti sul letto e le guardai una ad una e per poco non scoppiai a piangere: c’erano mie foto e dei ragazzi da quando eravamo usciti la prima sera tutti insieme a poco prima che partissero per il tour. Ce n’era una di me ed Elle a Capodanno, una di me sulla schiena di Matt mentre cercava di fare delle flessioni, alcune di me e le ragazze tutte insieme e una schiera di foto di me e Jimmy insieme: la prima volta che siamo usciti - io stavo tirando a biliardo e lui mi guardava -, sulla spiaggia, nello studio, in piscina, a Natale, Capodanno, poco prima della sua partenza… più che altro non piansi per i ricordi felici che avevo lì, ma per il suo sorriso. Era felice, puro, non c’erano tracce di dolore o sofferenza, e non riuscivo a capacitarmi del fatto che, se era passato da una felicità così pura a una disperazione tale, era solo colpa mia. Presi la foto di me e Jimmy abbracciati a Capodanno e la misi nella cornice vuota, poggiandola sul comodino accanto al letto. Mentre la fissavo con le lacrime agli occhi, mi squillò il cellulare.
“Pronto?”
“Ciao Taylor, sono Zacky.”
“Oh, ciao Zee. È successo qualcosa?” Chiesi subito allarmata.
“No, no, nulla… volevo chiederti se potevi venire allo studio, ho trovato… una cosa.” Aggrottai le sopracciglia, leggermente abbattuta per la risposta.
“Oh, ok… arrivo subito.”
“Grazie.” Riagganciai e uscii di casa, diretta a Huntington. Per tutto il tragitto mi chiesi che cosa avesse potuto trovare Zacky allo studio. Voglio dire, là non ci avevo mai lasciato o portato nulla di mio, non riuscivo a trovare una soluzione. Parcheggiai ed entrai nello studio, la curiosità che mi divorava. Trovai Zacky davanti ai mixer.
“Ciao Zee. Brian.” Feci un cenno di saluto a Brian, che era seduto vicino agli amplificatori, e tornai a squadrare Zacky, che teneva in mano un cd. “Allora?”
“C’è qualcosa che vorremmo sentissi.” Aggrottai le sopracciglia e fissai il cd che mi porgeva Zacky. Lo presi e lo infilai nel computer premendo play.
Partì una melodia tormentata, un pezzo al piano veloce e con note gravi e alte. Poco dopo, la voce fin troppo familiare di Jimmy iniziò a cantare quella che era una vera e propria lettera d’addio.
Voleva andarsene.
Mi alzai di scatto alla fine della canzone con le lacrime che mi scendevano copiosamente sul viso.
“No. No, non è possibile, lui… no…” Mi coprii la faccia con le mani e cercai di scacciare quello che era il pensiero più ovvio al momento.
Voleva morire.
“L’abbiamo trovato stamattina sullo sgabello del pianoforte…” Mormorò Zacky a voce talmente bassa che lo sentii a malapena. “Si chiama Death.”
“Lui… era depresso?” Chiesi cercando di mantenere un tono di voce che non si rompesse a ogni parola.
“Non che io sappia… Bri?” Zacky si voltò verso Brian, che portava degli occhiali da sole molto scuri sugli occhi. Tirò su col naso e si strofinò la fronte, come se stesse cercando di scacciare un imminente mal di testa.
“No, io non… non ho notato nulla.” Mugugnò guardando lontano da noi.
“Non è possibile che… che abbia scritto queste cose senza motivo. Cazzo, parlano della morte, di voler morire!” Sbottò Zacky. Sospirai e mi asciugai le guance.
“Lo sa solo lui quello che voleva, Zee. Per adesso possiamo solo aspettare. Mi servono i vostri cd da Waking the fallen in poi.” Dissi con voce fredda. Zacky sparì in una stanzetta e tornò con in mano tre cd.
“Devo andare. Grazie per avermi chiamata…”
“Figurati.”
“Fatemi sapere se ci sono novità.” Mugugnai e uscii dallo studio, tornando a casa più velocemente possibile.
Appena arrivai, presi il portatile, un blocco, una matita e i cd che mi aveva dato Zacky. Nel primo, City of evil, non c’era nulla che facesse pensare a manie suicide o roba simile; Seize the day era più una canzone d’amore che d’addio per qualcuno che vorrebbe uccidersi, Betrayed era dedicata a Dimebag Darrell e M.I.A parlava di soldati. Nulla di strano. Misi l’omonimo album dei Sevenfold e lo ascoltai fino in fondo. Tutte le canzoni cercavano di mandare una richiesta di aiuto, ma avevano tutti frainteso: avevano visto quella richiesta come l’ultima delle creazioni del genio infinito di Jimmy. Alcune parlavano della prospettiva dell’aldilà, di come sarebbe stata la morte; altre di come sarebbe stato lasciare le persone care.
Jimmy non era stupido, sapeva benissimo che pillole e alcol insieme non andavano d’accordo. Avevo la verità sotto il naso e non riuscivo ad accettarla.
Aveva tentato il suicidio. 

Pochi giorni dopo era il 2010, e Jimmy ancora era in coma. Per quanto volessi rimanergli accanto, la mia ultima visita mi aveva quasi uccisa e volevo egoisticamente evitare l’ospedale il più possibile; mi facevo dire dai ragazzi le novità o i responsi dei medici, ma nulla sembrava indicare un risveglio in tempi brevi.
Quel giorno, tuttavia, mi resi conto di una cosa: Jimmy poteva andarsene da un momento all’altro, e io non sarei potuta rimanere con lui. Non sarei stata là, presente, mentre lui se ne andava. Non avrei potuto reggere il senso di colpa se fosse successo e non me lo sarei mai perdonato.
Deglutii pesantemente e uscii di casa, diretta all’ospedale. Valary e Matt furono sorpresi nel vedermi.
“Tay, tutto bene?” Mi chiese Val stringendo nervosamente una tazza fumante fra le mani stretta nel suo cardigan di lana pesante grigio.
“Sì, voglio stare con Jimmy. Andate pure a prendere un po’ d’aria, voi.” Matt mi guardò come se fossi impazzita.
“Taylor, è successo qualcosa?”
“No, assolutamente nulla. Voglio stare un po’ con lui.” Lui annuì e alzò le spalle.
“Oh, ok. Se ci sono novità…”
“Vi chiamerò. Tranquilli.” Lo anticipai con un sorriso. Loro annuirono e si allontanarono. Entrai nella stanza e mi sedetti accanto a Jimmy.
“Ciao Jimmy, sono io, Taylor. Ti ricordi di me, vero?” Gli strinsi la mano e risi senz’allegria. “Forse adesso ce l’avrai un po’ con me, ma vorrei dirti alcune cose prima… prima che sia troppo tardi.” Dissi deglutendo pesantemente. “Volevo dirti che… non ho mai avuto paura. Non avrei mai voluto lasciarti, non eri tu il problema, anzi, tu sei stato la soluzione per tanto tempo… il problema ero io. Pensavo di non essere all’altezza, di non essere abbastanza per te. Se fossi stata un po’ meno egoista sarei venuta in tour con te e non ti avrei mai abbandonato, ma… non l’ho fatto.
Ti sto aspettando. Torna da me, ti prego, non lasciarmi da sola.” Tirai su col naso e alzai gli occhi dalla mano con la flebo. “Ti amo, Jimmy. Non dimenticarlo.” Rimasi con la testa china per non so quanto tempo, so solo che poi sentii una mano sulla spalla. Alzai gli occhi e guardai Matt.
“Vieni, hai bisogno d’aria.” Mi aiutò ad alzarmi e mi accompagnò fuori dall’ospedale. Presi un respiro profondo, respirando l’aria leggermente salmastra e mi resi conto che rantolavo. Fantastico. Mi portò dentro un caffè e mi mise davanti una tazza.
Si chinò sul tavolo e non smise di fissarmi neanche mentre bevevo. “Dovresti smettere di piangere.” Considerò con un leggero sorriso.
“In effetti non so neanche io da dove le prenda tutte queste lacrime.” Il tono della mia voce era spaventoso, per quanto apatico e incolore. Rise.
“Beh, mi meraviglio di quanto tu riesca a farlo.” Sospirai di nuovo e guardai fuori dalla finestra.
“Ho paura di perderlo, Matt.” Con quelle parole mi rivenne in mente il giorno prima dell’intervento, quando gli avevo detto che non volevo morire.
“Neanche noi vogliamo perderlo.”
“No, non capisci… io gli ho spezzato il cuore. Se lui è lì dentro è solo per colpa mia. L’ho fatto soffrire.”
“Non dire cazzate, non è colpa tua.” Mi voltai di scatto, nella mia voce solo rabbia e senso di colpa.
“Matt, non hai mai sentito l’ultimo album della tua band?”
“Certo che sì, ma…”
“Hai mai ascoltato Brompton cocktail? Ti sei mai fermato a riflettere sul significato di quella canzone? E Death?”
“Sono solo canzoni…” Rispose lui nervosamente.
“Un musicista scrive canzoni basandosi su cose che sente. Jimmy non ha scritto quelle canzoni tanto per.” Ribattei determinata. “Lui ha tutto: una famiglia, soldi, fans, amici… perché mai avrebbe dovuto provare a suicidarsi?”
“Lui non ha tentato il suicidio.” Replicò fermamente Matt.
“Ah no? Jimmy non è stupido, Matt. Sa che medicine e alcol non vanno mischiati, se non fosse stato così… depresso - non mi viene un termine migliore - non avrebbe provato ad uccidersi.”
“Taylor, sono solo elucubrazioni.”
“Elucubrazioni che hanno senso.”
Sospirò pesantemente e si appoggiò allo schienale della sedia. “Quindi?” Sospirai anche io e lo imitai.
“Vorrei non averlo mai lasciato…”
“Non penso che sia colpa tua. Non è colpa di nessuno.”
Sospirai di nuovo. Lo facevo un sacco negli ultimi tempi. “Sei molto convincente.” Lui rise, facendo uscire fuori le sue adorabili fossette. Gli vibrò il cellulare in tasca e rispose subito.
“Sì, Val?” Bevvi un sorso di caffè e osservai la faccia di Matt passare dall’apatia allo sgomento più totale. Mi strozzai. “Arriviamo subito.” Attaccò e, prima che potessi rendermene conto, mi trascinò fuori dal caffè, diretto non so dove.
“Matt, che cavolo…”
“È Jimmy. Si è svegliato.” 

***

Saaaalve bella gente!
Che capitolo lungo :o me ne sono accorta solo mentre lo revisionavo, ma tanto non vi dispiace, quindi lol 
Dunque, è il momento che spieghi un paio di cose. Non penso esattamente che Jimmy si sia suicidato, ma quello che ho scritto dal punto di vista di Taylor è in parte vero: Jimmy aveva un QI altissimo, non poteva non sapere che farmaci e alcol non vanno mischiati; magari era ubriaco, magari non ci ha pensato, magari era depresso e nessuno se n'è accorto o nessuno ha voluto dircelo, ma questa è la conclusione a cui sono giunta dopo due anni e mezzo che ci rimugino sopra. Se volete rispondere o dirmi le vostre opinioni a riguardo, non esitate, scrivetelo nella recensione oppure contattatemi tramite messaggio privato, non ho mai mangiato nessuno :)
Volevo inoltre scusarmi per la poca concretezza presente in questo capitolo: Jimmy che si sveglia dopo un paio di giorni e senza danni celebrali, che parla subito... insomma, ho accelerato un po' i tempi, chiedo scusa per questa mia mancanza (:
A presto <3
Ilaria.

PS: se c'è un errore di grammatica nel titolo, perdonatemelo, sono un po' arrugginita in inglese :c

 
   
 
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