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Autore: WhileMyGuitarGentlyWeeps    24/10/2013    1 recensioni
Joan Cameron si trasferisce a New York dopo aver capito che la vita che credeva perfetta era in realtà una gabbia dorata. Arriva al 4D in una fredda mattina di febbraio e la sua porta non si apre.
Accorre in suo aiuto, come un principe su un cavallo bianco, quello che sarà poi il suo vicino, aprendo la porta di casa sua. Lui di fiabesco non ha nulla. E’ un’anima tormentata, svuotata.
Da quel freddo giorno di febbraio le loro vite si incrociano e si scontrano in una danza in cui non ci sono né vincitori né vinti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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IV.
 
Il giorno seguente Joan si sveglio tardi, di cattivo umore, con la testa pesante. Si preparò direttamente qualcosa per il pranzo, che consumò in tutta fretta, in pensiero per la sua auto.
Era anche curiosa, però, curiosa di sapere cos’avessero i tre da fare di così importante e per cui serviva un’auto.
Accese la tv, ma non c’era nulla di interessante, così decide di uscire, respirare un po’ d’aria. Andò in centro, si era fatta spiegare la strada dalla signora del 2B.
Alcune fermate di metro dopo arrivò direttamente in centro. Si perse, questa volta in senso positivo, tra i negozi, le cui vetrine erano piene di abiti pesanti e caldi. Entrò in un paio comprando qualche maglioncino e un abito blu che aveva catturato la sua attenzione e che sarebbe stato perfetto per andare in studio, dove doveva avere un aria professionale.
Rimase a fissare per minuti interminabili le centinaia, migliaia di persone che le passavano accanto.
Quando controllò l’orologio rimase scioccata nel vedere che erano già le cinque inoltrate.
Tornò alla fermata della metro per rientrare a casa.
Davanti a casa era stata parcheggiata la sua auto. La controllò su ogni lato e quasi le venne un infarto quando notò due graffi lunghi almeno una ventina di centimetri sulla fiancata destra.
Salì furiosa per le scale, arrivando col fiatone. Buttò le borse con gli acquisti in casa, dove abbandonò anche cappotto e sciarpa e si catapultò a bussare alla porta di fronte.
Aprì Steve, un’aria mortificata sul volto.
“Cercavo proprio te! Quale parte di: niente fumo, niente cenere sui sedili e niente graffi non ti è chiara, perché posso rispiegartela!” Urlava, infuriata come non mai.
“Io…Sono mortificato”.
Lo scansò per entrare in casa.
“E tu”, disse a Cult che era voltato di spalle, “non sognarti di chiedermi un altro favore”.
Lui non si girava.
“E guardami quando ti parlo!”
Quando si voltò, Joan cambiò espressione.
“Cosa è successo?” Disse alludendo al suo occhio nero.
Lui non rispose, quindi guardò Steve, che però non disse nulla, abbassando lo sguardo.
“Cosa è successo”. La sua non era più una domanda, ma nonostante questo nessuno dei due le rispose.
“Andate al diavolo!”
Se ne andò sbattendo la porta.
 
“Forse dovremmo dirglielo, in fondo l’auto è sua ed è stata molto disponibile…”
“Piantala Steve, meno sa meglio è”.
Si buttò sul divano accendendosi una sigaretta, ne offrì una a Steve, che non fumando rifiutò come al solito.
Fece per andarsene, ma poi sembrò ricordarsi qualcosa, quindi si voltò.
“Ho controllato quel tizio, Newlin, ma non ho trovato niente. E’ nato e vive a Washington. Studia medicina, specializzazione in neurochirurgia. Fedina penale pulita”.
Cult annuì e basta.
“Ora mi vuoi dire chi è?”
“Nessuno”.
Steve scosse la testa, rassegnato e uscì dalla porta. Si ricordò di avere ancora le chiavi dell’auto di Joan, così suonò alla porta del 4D.
Quando Joan gli aprì le sorrise timidamente, sperando che potesse perdonarli.
“Ciao, ti ho riportato le chiavi dell’auto”. Disse facendole dondolare dall’indice.
“Grazie. Vuoi entrare?”
Lui annuì, entrando nell’appartamento.
“Ti posso offrire qualcosa?” Non le andava di essere maleducata e scontrosa con lui.
“No, volevo chiederti scusa”.
“Dai, siediti, non sono arrabbiata con te, o meglio, non più, almeno tu chiedi scusa”.
 Sorrise sedendosi sul divano.
“Com’è che tu e Cult siete così legati? Siete molto diversi…”
“Siamo più simili di quanto sembra…”
“Sembri un bravo ragazzo, tu”.
“Lo sono”. Disse lui mettendosi una mano sul cuore.
“E com’è che un bravo ragazzo come te non abita in una bella casa con giardino con sua moglie?”
“Forse non sono fatto per quel tipo di vita…”
Sembrava malinconico.
“Dovresti provare prima di dirlo…”
“Ci ho provato, per cinque anni, ma non è durata”.
“Mi dispiace, io…Non volevo essere invadente”.
“Non lo sei stata”. La rassicurò lui. “Avevamo vent’anni, eravamo giovani e senza pensieri, ma la amavo davvero”.
Lo poteva capire dal modo in cui parlava di lei.
“Come mai non ha funzionato?”
“Lei non accettava che fossi più presente per Cult che per lei e dopo un po’ si è stufata, soprattutto con il bambino che cresceva…”
“Hai un figlio?!” Chiese stupita Joan.
Lui sorrise annuendo e tirò fuori il portafoglio, da cui estrasse una foto di un bambino biondo, molto carino, gli occhi chiari come quelli del padre.
“Ha appena compiuto otto anni, lo abbiamo avuto quando ne avevamo solo ventidue…Bei tempi!”
“Non ti ci vedo a preparare pappe e far fare il ruttino a un bambino”.
“Rimarresti stupita!”
“E ora? Lei dov’è?”
“Vive a Brooklyn con il suo fidanzato. Stanno insieme da tre anni, è un bravo ragazzo. Ci siamo lasciati bene, insomma niente rancori, posso vedere Austin quando voglio, senza problemi e questo è l’importante”.
“E’ un bel nome, Austin intendo”.
Gli restituì la foto, sorridendo. Steve era una brava persona, era piacevole parlare con lui.
“Ora devo scappare, ci vediamo in giro”.
Lei annuì, senza smettere di sorridere.
 
Passarono otto giorni senza che Joan e Cult si parlassero. Poi, un giorno, uscendo vide la fiancata dell’auto tirata a lucido, i graffi spariti nel nulla.
Sperava che fosse stato Steve, ma quando glielo chiese, incrociandolo sulle scale, lui negò. Sperava perché se non fosse stato lui, sarebbe rimasta solo un’altra possibilità: Cult. Bè in effetti c’era anche la possibilità del miracolo, ma Joan a quelle cose non credeva.
Quando bussò delicatamente alla porta del 4C sperava non ci fosse nessuno. Ovviamente in casa c’era qualcuno e quel qualcuno era Cult.
“Ciao ragazzina”.
“Ciao, ehm…io…” Iniziò, ma Cult era sparito dalla sua vista, si era buttato sul divano, la sigaretta che pendeva dalle labbra. Non era abituata ad entrare in casa altrui senza essere invitata, quindi pensò di parlare da lì, alzando la voce.
“Ragazzina, vuoi entrare o aspetti l’arrivo del messia?” Gentile come al solito.
Fece un paio di passi, mettendosi accanto alla poltrona che c’era vicino al divano.
“Dicevo…Ho notato che non ci sono più quei graffi sull’auto…Quindi…Sì, bè..”
“Ah, sei qui per ringraziare!”
Maleducato!
“Sì, era la mia idea, ma ora che ci penso mi è passata la voglia, e poi come diavolo hai fatto ad avere le chiavi?!”
“Ti ricordi come ho fatto ad aprire la porta di casa tua?!”
Lei lo guardò scioccata.
“Non ho parole!”
“Che palle che sei, non ti va mai bene niente. Prima ti lamenti per i graffi e poi perché te li ho fatti mettere a posto”.
“Sì bè ci sono anche metodi più ortodossi”.
“Al diavolo i metodi ortodossi, così è più divertente!”
“Così è illegale…”
“Sei troppo rigida”.
“E’ per questo che non mi hai risposto l’altro giorno, quando ti ho chiesto cos’era successo?”
Non disse nulla, rimase a guardarla serio, la sigaretta ormai quasi completamente consumata.
“Rispondi!”
Si alzò, innervosito, anzi arrabbiato.
“Vuoi sapere cosa mi è successo? Bene, ho picchiato un tizio e lui non è stato fermo senza dire niente”.
Si avvicinava sempre di più a lei, che d’istinto indietreggiava.
“Perché?” Sussurrò Joan, non pensava nemmeno che Cult l’avesse udita.
“Perché ci siamo picchiati?”
Si avvicinò a lei di un altro passo.
“Dovevamo proteggere un tizio a un meeting e un uomo ha tentato di ucciderlo”.
“Quindi è questo che fai? Il bodyguard?”
“Io faccio tante cose”.
Lei era sempre più incuriosita, ma lui non le avrebbe detto nient’altro.
“E cos’altro fai?”
Lui ghignò, finalmente. Il suo sguardo serio e arrabbiato la stava spaventando.
“Te l’ho detto, tante cose!”
“Cosa.”
No, non era una domanda.
“Fai troppe domande ragazzina”. Gli sussurrò lui a un palmo dal viso.
Voleva altre risposte, per esempio perché era stato ferito, quella notte, o quali altri lavori facesse, ma sapeva che non le avrebbe ottenute.
Si arrese, ma solo per quel momento, non per sempre.
“Grazie per l’auto”. Sussurrò quando aveva già la mano sulla maniglia.
Lui non rispose, ma lei sapeva che l’aveva sentita e sapeva che stava sogghignando come suo solito.
 
Neanche una settimana dopo, Joan si stava preparando per il suo primo giorno di lavoro a New York. Lo studio distava un quarto d’ora di auto da casa sua.
Erano giorni che non parlava con Cult, o meglio, lo salutava quando lo incrociava sul pianerottolo o sulle scale, ma nulla di più.
La prima giornata da lavoro passò in fretta, fu tranquilla, conobbe alcuni dei pazienti del dottor Randall, lo psicologo che era partito per il Giappone.
Alcuni erano diffidenti, cambiare psicologo nel bel mezzo del proprio percorso non è il massimo, ma nel complesso era stata una giornata soddisfacente.
Quando rientrò a casa trovò Cult e Steve sul pianerottolo. C’era anche un bambino, il figlio di Steve.
“Lui è Austin, mio figlio”.
“Ciao, Austin, io sono Joan”. Rispose lei stringendogli la piccola mano.
Cult la prese per un braccio, andando verso le scale.
“Dovresti tenere Austin per un paio d’ore”.
“No, non posso”.
“Stammi a sentire, dobbiamo occuparci di una cosa importante, non possiamo portarci il bambino”.
“No, stammi tu a sentire! Ok la macchina, ma la baby sitter non la faccio. Io e i bambini non andiamo d’accordo!”
“Sei una donna e non ami i bambini?!”
“Insieme alla vagina non ti danno anche l’istinto materno, sai grande uomo?!”
Ridacchiò per quella battuta inaspettata mentre lei lo guardava in malo modo.
“Te l’ho detto è importante!”
“E’ sempre importante, ma la mia vita non ruota intorno a te e ai tuoi interessi, sai?!”
“Per favore, non sappiamo a chi altro lasciarlo”.
Joan guardò Steve che faceva ridere Austin.
“Va bene, ma non lo faccio per te”.
Andò incontro a Steve e Austin.
“Bene gnomo, sembra che starai con me per un po’ mentre Batman e Robin vanno a salvare il mondo”.
Il bambino rise. Aveva lo stesso sorriso di Steve.
“Tesoro, ora va con Joan e fai il bravo, non farla arrabbiare, perché lei è sempre gentile e se la fai arrabbiare poi non ci aiuta più”.
Austin si allungò verso il padre per abbracciarlo.
“Ciao zio Cult!” Lui rispose con un cenno.
Il bambino si diresse indeciso verso Joan, che gli stava sorridendo gentilmente.
Aprì la porta e fece entrare il bambino.
“Allora, se devi andare in bagno, è in fondo al corridoio. Hai già mangiato?”
Annuì. “Papà mi ha portato a mangiare un cheeseburger”.
“Spero almeno che fosse carne senza grassi idrogenati”.
“Senza che?!”
“Lascia perdere, ora assaggerai la mia buonissima frittata, sana e senza quelle salse piene di schifezze”.
Si mise ai fornelli.
“Cosa ci fai lì impalato?! Siediti”.
“Anche la mia mamma cucina la frittata”.
“Ah, sì?! Sono sicura che è molto buona”.
Disse lei sorridendogli. Quella strana donna piaceva ad Austin, era gentile, sorrideva molto e gli piaceva.
“Tu sei un’amica del mio papà?”
“Più o meno…”
“E sei la fidanzata dello zio Cult?”
Quasi le cadde la padella dalle mani.
“Cosa?! No, no no! Assolutamente, categoricamente no!”
Quando la frittata fu pronta la mise su un piatto per tagliala a fette. Ne porse una abbondate al bambino, che la assaggiò subito.
“Ho solo acqua, mi dispiace”.
Il bambino non disse nulla, sorrise continuando a mangiare.
Quando finirono, Joan si mise a lavare i piatti.
“Bè sei un bambino del terzo millennio, sai come si una un televisore, giusto?”
Austin annuì, sedendosi sulla poltrona e guardando dei cartoni.
Joan lo raggiunse alcuni minuti più tardi, sedendosi sul divano. Prese delle cartella di alcuni pazienti per studiarle, li avrebbe incontrati il giorno dopo.
 
 
“Joan, cosa stanno facendo papà e Cult?”
La donna alzò lo sguardo spostandosi una lunga ciocca di capelli castani.
“Stanno lavorando, devono occuparsi di una cosa importante”.
Come faceva a spiegare a quel bambino che nemmeno lei lo sapeva cosa stessero facendo?!
“Ma staranno bene, vero? Perché a volte loro tornano a casa con dei lividi…”
“Certo che staranno bene, vedrai che saranno di ritorno prima che te ne renda conto!”
Gli sorrise.
“Facciamo così, vieni a farmi compagnia sul divano, così mi spieghi questo cartone che non l’ho mai visto”.
Usò la scusa del cartone per distrarre quel bambino. Ripose le cartelline sul tavolino e fece spazio al bambino, che gli si sedette accanto iniziando a spiegargli la storia del cartone.
 
Un’ora più tardi Cult e Steve rientrarono. Erano stanchi, avevano dovuto proteggere ancora Hotchins, ma era andato tutto per il verso giusto. Avevano avuto anche dei soldi in più per avergli salvato la vita.
Steve bussò delicatamente alla porta, nel caso in cui Joan o Austin stessero dormendo.
Nessuno rispose, così riprovò. Di nuovo nulla.
“Devo preoccuparmi?” Chiese Steve.
Cult scosse la testa e in pochi secondo aprì la porta dell’appartamento, così come l’aveva aperta la prima volta, quando Joan era appena arrivata.
La scena che gli si presentò davanti intenerì Steve tanto da farlo sorridere.
Austin era accovacciato e aveva la testa appoggiata alle gambe di Joan, che invece dormiva seduta, la testa appoggiata allo schienale. Un braccio ricadeva sulle gambe, l’altro era abbandonato sul corpicino del bambino. Sembravano il ritratto della pace.
Steve si avvicinò, sollevando Austin, che non si svegliò nemmeno.
“Lo porto a casa”. Sussurrò rivolto a Cult.
L’amico annuì, guardando Steve andare via.
Si avvicinò a Joan, che dormiva rilassata. Pensò che non l’aveva mai vista tanto tranquilla, nemmeno quando le aveva dormito accanto la notte in cui l’aveva ricucito aveva quell’espressione.
Sembrava quasi stesse sorridendo, o forse era lui che se l’era immaginato.
Scacciò quei pensieri.
Le sollevò le gambe in modo la distenderla completamente sul divano e la coprì con la coperta che era stata riposta sulla poltrona.
Si soffermò ancora qualche secondo a guardarla. Sì stava sorridendo e di riflesso sorrise anche lui.

 
Eccomi con il quarto capitolo, spero come sempre che vi piaccia. Sentitevi liberi di commentare, consigliare, insultarmi...No va bè magari quello evitatelo che sono più felice...
Scherzi a parte ci terrei tanto a sapere il vostro parere. Sto lavorando ad un banner, chissà se riuscirò a finire prima la storia o il banner...Si accettano scommesse!
Passo e chiudo, a presto! :)
xx
  
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