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Autore: Francis Merman Bonnefoy    24/10/2013    1 recensioni
[Alcatraz - http://it.wikipedia.org/wiki/Alcatraz_(serie_televisiva)]
-Fanfiction sul personaggio Webb Porter, e forse anche altri, del telefilm Alcatraz-
Genere: Drammatico, Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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[TRATTO DA ROLE - GDR - Un profondo grazie, ed un abbraccio alla roler https://www.facebook.com/elektra.l.natchios?fref=ts ]

{Erano passati diversi giorni, da quando il violinista, aveva avuto a che vedere con quella strana donna, che, per una volta, non gli aveva scaturito un omicidio. Era strano, dopotutto, per egli, non riuscire nel suo intento, dinanzi una lunga chioma, come quella di lei, ma dopotutto, era andata a finire così, e non avrebbe avuto molto probabilmente, l'onore, di rivederla. Non sapeva, che in realtà, ella, che di nome faceva Elektra, era più vicina che mai a lui, e che, forse, si sarebbero a breve rivisti.} Il suono del violino, si stava propagando sempre più, in quel parco di San Francisco, che, nonostante fossero le nove, della sera, ormai sormontate, aveva lasciato aperti i battenti, a qualche visitatore.

Il violoncellista ne aveva reso subito omaggio, iniziando a suonare ''ciò che aveva in testa'', e passeggiando in somma quiete, quando poi, d'un tratto, nascosto dietro un albero, smise di suonare, notando una figura familiare: era una donna, ma non una qualunque! Si trattava esattamente della donna, che la sera prima, era riuscita a struggere la figura di Porter, per la quale era stato riconosciuto, anni prima.

Eccola, tuttavia, a pochi passi da lui, sebbene lei non si fosse ancora accorta della sua presenza.

Porter, finì perciò per ritrovarsi in bilico. Le strade, dopotutto, erano solamente due: o avvicinarsi a lei, per

continuare il paragone sulle loro esistenze, e scoprirne di più, oppure, come se niente fosse accaduto, allontanarsi dal parco, non facendosi notare, anche perché, se no, non sarebbe di certo uscito di lì, con una come Elektra inanzi.

 

 

 

 

Elektra camminava a passo spedito per il Parco, facendo scricchiolare lievemente il tappeto di foglie dorate stratificato sul sentiero, che tagliava in due quel giardino di San Francisco. Indossava un trench sopra il suo costume di ordinanza, rosso anch'esso, più per non dare nell'occhio che per proteggersi dall'infido vento autunnale che spazzava la città.

Era arrivata qualche giorno prima sulla Costa Ovest per affari personali da sbrigare, e si stava trattenendo qualche giorno in più per godere dell'aria malinconica californiana. Amava passeggiare per le strade meno turistiche, perché la immergevano nella vera atmosfera di quello Stato a cavallo tra sfarzo e decadenza; per questo aveva scelto di percorrere in lunghezza quel Parco un po' periferico. Il suo normale passo svelto rallentò di colpo all'udire una melodia triste e acuta di violino, e il pensiero andò automaticamente all'uomo incontrato la sera precedente. Poteva essere lui a suonare quelle note nel bel mezzo della sera e di quel luogo solitario? Si guardò intorno, cercando di individuare la fonte della musica, avviandosi verso un albero in semioscurità, dietro il quale notò una sagoma. Con la consueta velocità si trasferì alle spalle dell'uomo, sussurrandogli un saluto ironico. << Ci rincontriamo.. allora è destino. >>

 

Porter, scelse di abbandonare il parco, visto che si trovava ancora in tempo. La donna, dopotutto, non lo aveva ancora notato, e fu in quel momento, cui egli fece marcia indietro, che udì quella voce: era la voce di quella donna, che aveva trovato il modo di giungere dietro di lui. Ormai, non avrebbe più potuto abbandonare quel luogo, che, in fin dei conti, gli aveva scaturito dopotutto una quiete, non indifferente. Si voltò, allora, verso di lei, limitandosi ad un sorriso.

Non era un sorriso del tutto grata, la vista dell' uomo, verso la donna, ma era ricolma principalmente di folle curiosità. Non aveva, infatti, terminato quel serbatoio di dubbi, verso quel similar delle loro due esistenze.

<< A volte bisogna credere al destino, altre volte no. Ora.. non saprei proprio cosa pensare. Ma sei qui adesso.. >>

- Osservò, guardandole i capelli - << Sempre più lunghi, a quanto vedo... >> - Osservò, non toccandoli minimamente, e percependo ancora tale impossibilità di farle male alcuno - << Mi domando... cosa tu ci faccia qui.. dopotutto è già molto cupo, in cielo.. >> Disse, per cambiare discorso, riponendo il proprio strumento musicale, nella custodia sua, poi la guardò, in attesa di sapere cosa, ella, aveva in serbo per lui, da dire. Il clima, nel mentre, era tornato lievemente a far trasparire meno vento, che, fino quel momento, aveva saputo solo innalzare coltre di foglie, e sabbiolina, giungente dal terreno. Il cupo, a differenza, vi era stato già da diverse ore, ma era stato reso un minimo vano, dai primi lampioni che si erano illuminati, lasciando a quel parco, una così particolare atmosfera, che avrebbe potuto scaturire nella gente, il desiderio di rimanervici, anche per sempre, ma forse l'eternità, sarebbe potuta anche esser una vera e propria esagerazione.

 

Elektra rivolse per un attimo lo sguardo al cielo, appena sopra il lampione vicino a loro, constatando che in effetti si trovavano in un Parco male illuminato, piuttosto isolato e quasi per nulla frequentato. Tornò poi a guardare l'uomo con estrema curiosità, rispondendo laconicamente: Il momento per riflettere e per agire, e per discorrere con semi-sconosciuti in un Parco. >> - Atteggiò le labbra in un sorriso obliquo, tremendamente desiderosa di continuare quella conversazione. La sua innata predisposizione a tenere tutto sotto controllo, le imponeva di scoprire di più sul musicista, ne voleva conoscere personalità e abitudini.

Ciò che aveva appena intravisto sotto la sua scorza di genialità, era inquietante al punto giusto da interessarla.

Continuò a guardarlo fisso. - << Cosa ci fa un violinista a spasso, invece? In cerca di ispirazione? >>

 

Webb le sorrise appena, osservandola:  << ..Beh.. la sera e la notte, sono momenti dell'intera giornata, decisamente affascinanti, e tanto privi di confusione, cosa che non si potrebbe dire per il resto delle ore... non credi anche tu? >> - Domandò, non togliendole lo sguardo di dosso; guardò, tuttavia poi, verso la custodia del violino suo, per scaturir alle proprie labbra, un mezzo sorriso, che non pareva ricco di felicità, bensì d'un malsano piacere, verso qualcosa che avrebbe voluto far avverare, in quell'istante, e che, mai avrebbe potuto veder compiuto, per fortuna della donna.

Lo sguardo, cadde poi, ancora una volta, senza rendersene conto, verso la chioma della donna.-

<< ...Ispirazione.. temo che essa non sia che monotonia.. questo parco, in fin dei conti, mostrerebbe solo ciò che da una vita riesco a sentire, nel celato suono del silenzio, e che a quanto pare riesco ad attutire, grazie alla danzante sinfonia di queste foglie tanto variopinte. Chissà se esso sia un bene.. o un male.. >> Chiese, più a se stesso, che alla donna che aveva dinanzi.

 

Dunque aveva bisogno di un suono che coprisse la melodia perennemente presente nella propria testa, per questo aveva quell'espressione afflitta e sognante allo stesso tempo. Capiva cosa significasse sentire e vedere cose che gli altri non percepivano, e sapeva che non era affatto un dono, quanto un tormento: << So cosa intendi, non è piacevole avere i pensieri in un mondo e i sensi in un altro. >> - Accennò un sorriso amaro. -

nuovo rivolta verso i suoi capelli, ma non ne era preoccupata al momento. Prevaleva la curiosità di conoscere quel soggetto così sottilmente complicato, nonostante l'inquietudine strisciante tra loro. Nel caso si fosse reso necessario, comunque, anche lei sarebbe potuta diventare pericolosa. Più del solito. - << Mi piacerebbe sapere qualcosa in più su di te. Cosa si cela dietro il misterioso violinista, insomma... >>

 

<< Misterioso? Non penso di essere così tanto misterioso.. ma in fin dei conti.. hai dopotutto tutto il diritto di.. sapere.. forse.. >> - Forse.. qualcosa, in egli, iniziava a sentir di potersi fidare di lei, e nonostante la sua indole lo esortasse a compiere un macabro omicidio, molto probabilmente, quel giorno, Webb sarebbe riuscito a tener a bada, il celato mostro, racchiuso in sé.

Le scrutò, ancora una volta, i capelli, per poi guardarla negli occhi, e limitarsi ad annuire, come se le precedenti parole della sua interlocutrice, non contenessero altro che verità, seppur d'amara natura, quasi aspra, visto che la vita non gli aveva sorriso mai, e non era un dono, la sua capacità musicale, semmai, una vera e propria maledizione.

Ma quanto, egli, avrebbe potuto, raccontarle di sé? Forse, era davvero un pazzo, forse anche lei avrebbe finito col pensare egualmente agli altri, senza comprenderlo, e si sarebbe allontanata. Qualcosa, in Webb, avrebbe voluto che ciò non potesse capitare; perché? - << Non qui.. non qui, in questo contorto silenzio.. non qui.. >> - Continuò a dire, quasi infastidito. Dopotutto, egli avrebbe continuato a sentirsi graffiar l'udito suo, ma lei, molto probabilmente, mai sarebbe stata in grado di percepire tale fastidioso suono, quasi simile ad un vociare, nella propria testa.

Era anche vero che a volte, anche Webb era in grado di provar a ''sentire la musica in testa'', eliminando quel tanto odiato acufene, ma non in quel momento, visti i troppi pensieri, per aggiunto, che in egli stavano vorticosamente vagando nel profondo della sua psiche: tutte quelle donne, ch'egli aveva ucciso, quelle grida, in un attimo, erano tornate come un boato. Non avrebbe, tuttavia, recato divergenza alcuna: lei, non avrebbe comunque sentito nulla. - << Non saprai mai, cosa vuol dire, però. La gratificante musica, che una persona può suonare armoniosa, proprio un attimo prima, dell' ora fatale. È così.. soddisfacente.. non riuscirò mai a descrivere appieno, un momento simile.. ed è per questo, che ripeterò.. >> I suoi occhi puntarono sulla custodia, ora chiusa, del suo fidato violino, ed un ghigno vi si stampò, sulle labbra di Porter, un ghigno che sembrava possedere una dolce tristezza, mista ad un'inquietante cattiveria, e voglia d'uccidere; forse, cattiveria, dopotutto, non sarebbe mai stata una buona spiegazione, semmai.. era l'istinto incontrollabile, che lo avrebbe per sempre spinto, a simili gesti, come un fumatore, non si sarebbe scollato per nulla a quel mondo, dalla propria amabile sigaretta.

 

L'uomo affermò -con somma sorpresa di Elektra- di essere disposto a raccontarle della sua vita, perché lei aveva guadagnato il "diritto" di saperne qualcosa in più. Come si fosse guadagnata quel privilegio non avrebbe saputo dirlo, ma se avesse dovuto tirare a indovinare, ella avrebbe detto che fosse stato a causa della solitudine.

Probabilmente era una delle poche persone che si fossero soffermate a parlare con lui, e ne comprendeva il motivo: era un serial killer, avrebbe spaventato chiunque con quel suo modo di fare ambiguo. Tranne lei. Abituata com'era a convivere con le brutture del suo mestiere, non provava repulsione per quell'uomo fragile. Perché sì, fragile come cristallo le appariva agli occhi, pronto a frantumarsi davanti a una rabbia non contenuta o a scintillare suonando l'amato violino. Ebbene Elektra continuava ad essere internamente incuriosita da quella figura, anelando il momento in cui le avrebbe rivelato qualcosa in più. Cosa non immediata, nonostante le premesse, poiché egli seguitava in un intervallarsi di silenzi trasognati e frasi enigmatiche, che erano sì pittoresche, ma non spiegavano niente della sua misteriosa esistenza. Dato che la domanda diretta non aveva sortito un grande effetto, tentò con un'altra tecnica.

Si avvicinò di un passo al suo interlocutore, alternando lo sguardo tra lui e gli alberi che facevano da sfondo alle loro ombre, e cominciò a parlare con voce bassa e pacata: So cosa vuol dire cercare di convivere con esso e alla fine, inevitabilmente, arrendersi.

Siamo tutti senza scampo davanti alla sofferenza, sia se la subiamo sia se la infliggiamo, perché ogni azione scaturita nel nome della violenza porta ad essa. E noi siamo circondati dalla violenza: verbale, psicologica, immaginata, reale. E fisica, come quella che infliggiamo. >> - Notò una scintilla accendersi nello sguardo dell'uomo e proseguì con tono sempre più moderato. - << L'ultimo barlume di vita, l'ultimo sospiro che esalano le nostre vittime ci appartiene. E ci sentiamo grandi, potenti, infiniti. Ma è un attimo, e dopo torniamo nel buio sconforto. >> Annuendo gravemente gli voltò le spalle, incamminandosi per il sentiero che conduceva nel fitto degli alberi.

 

<< Non raggiungerò mai il buio... mai.. e non è sentirsi.. potenti.. non lo è.. è qualcosa che non puoi comprendere, anche se a quanto pare, tu stessa ne fai parte. >> - Disse, a voce seria, nonostante, come anche ella aveva notato, facesse numerose pause, per lasciarsi scorrere i pensieri, troppo rumorosi, all'interno della propria psiche.

Non quel senso in più, oltre l'udito, ch'egli aveva, non più quel disturbo nel sentire suoni differenti, sebbene nel suo più profondo ancora, nella sua psicologia, così contornata d'assurdo, di incomprensibile nel semplice, una psicologia che avrebbe dovuto esser studiata a fondo, ma che nessuno si era preso mai la briga di ascoltare, credendosi forte, troppo forte e d'intelletto, rispetto a lui.

-- Egli, la notò poi, allontanarsi, incamminandosi verso la direzione, cui ella era provenuta. - << Capisco...... >>

- Disse, non condividendo tuttavia tutte le parole della donna, poi, notò un particolare:

I suoi capelli, stavano fluttuando in quel venticello, che si era librato un poco, in quella pacifica atmosfera notturna.

Quei capelli parevano animati, come pure lo sguardo di Porter, uno sguardo sul folle, uno sguardo nuovamente assetato. -

<< Sono... lunghi.. >> - Si limitò a dire, seguendo il passo della donna, tentando di sfiorarle alcune ciocche da dietro, ma qualcosa, in sé, ancora, tentava di fermarlo. Erano troppo simili. Davvero, Webb, l'avrebbe uccisa? Lei, ch'era così simile a lui, e pareva intenzionata a comprenderlo ed ascoltarlo?

Quale mente folle, avrebbe tentato in un, così freddo e macabro omicidio, a discapito della donna? Lui.

Un sorriso mellifluo, si dipinse sull'intero volto di Webb Porter, ma qualcosa, lo fece ancora distogliere da quel desiderio di gelido assassinio: Lucy Sengupta. -

 

<< Sengupta... >> Disse, fermandosi all'improvviso, quasi come se si fosse appena imbattuto in un fantasma, o qualcosa di simile, insomma.

   
 
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