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Autore: Laylath    25/10/2013    1 recensioni
Il suo posto era altrove, la sua fedeltà era per un’altra persona, un altro gruppo.
E ne aveva passate tante prima di giungere a loro…
La storia del nostro amato Maresciallo Falman.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang, Vato Falman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 31.
1915. Without coat


 
Se ci fu una cosa che Falman ricordò per sempre del Giorno della Promessa, fu la rapidità con cui senso di vittoria e di sconfitta si alternarono. Nell’arco di pochissimi minuti la situazione precipitava da un estremo all’altro, senza che lui avesse tempo di rendersene pienamente conto: un istante stavano festeggiando la presa del Quartier Generale, e quello dopo si stavano disperando per il ritorno del Comandante Supremo.
Fino all’ultimo non riuscì a capire veramente se erano salvi o meno: era come se la sua mente si aspettasse sempre un nuovo colpo di scena a stravolgere le sue certezze. Perché non c’era niente di normale in quel giorno: a partire dalla loro impresa per arrivare ai nemici che stavano combattendo, passando per quei tremendi minuti in cui la sua anima si era separata dal suo corpo per essere usata, insieme a quelle di tutto il resto di Amestris, come energia per quella mostruosa creatura che era stata denominata Padre.
Era stato un qualcosa che andava oltre il dolore, la disperazione e la sofferenza: tutte le volte che cercava di ripensarci per trovare le parole adatte a descrivere quello che aveva provato, la sua mente si rifiutava di andare oltre un certo punto.
Perché forse è qualcosa di così innaturale che non esistono parole giuste per descriverlo…
Dopo tutto quello che era successo gli sembrò quasi surreale vedere tutti quanti che festeggiavano, abbracciandosi, ridendo e piangendo lacrime di gioia. Si era ritrovato a rispondere automaticamente a quei sorrisi, troppo incredulo per credere davvero in una vittoria definitiva.
Aveva bisogno di una prova tangibile che gli facesse capire che era davvero tutto finito.
E quella prova gli arrivò mentre un gruppo di soldati di Briggs lo coinvolgeva nei festeggiamenti: sentì uno sguardo sulla sua persona così insistente che non poté fare a meno di girarsi verso quel richiamo.
Quel ragazzo basso e occhialuto, con i capelli neri e dritti e il cappotto bianco sporco e strappato… e accanto a lui un uomo robusto dai capelli rossicci, le braccia di entrambi che gli facevano ampi gesti di saluto.
“…Però, cavolo Falman, ricordati che a Central fa più caldo che a nord… quel cappotto pesante, come finiamo la battaglia, te lo potrai anche levare, non credi?”
Le parole che aveva detto Breda al telefono, nemmeno una decina di giorni prima, gli tornarono alla mente e gli sembrarono dannatamente giuste. Mentre andava verso i suoi compagni si slacciò il pesante cappotto nero di Briggs e lo lasciò cadere a terra proprio un attimo prima che Fury gli piombasse addosso e lo abbracciasse, ridendo e piangendo allo stesso tempo. Non aveva fatto in tempo a stringere il ragazzo che anche Breda li aveva raggiunti e li aveva stretti entrambi in un abbraccio da orso: a ripensarci avevano seriamente corso il rischio di soffocare il sergente in quel momento di felicità.
Falman si rese conto che per tutti quelle ultime ore non aveva nemmeno osato pensare che i suoi compagni erano così vicini a lui: l’idea di non poter condividere l’azione con la sua vera squadra l’aveva turbato così tanto che aveva deciso di relegarla in fondo al suo cuore.
Ma in quei momenti, ora che la vittoria era davvero arrivata, poteva permettersi di stare con le persone che contavano davvero: non perché i soldati di Briggs non fossero eccezionali… ma perché Vato Falman aveva posto la sua fedeltà e la sua fiducia in un altro gruppo di persone.
Ed era con loro che aveva atteso per tanto tempo quel momento.
Siamo insieme, siamo di nuovo insieme e abbiamo vinto!
Quella frase esclamata da Fury con la voce rotta dal pianto esprimeva al meglio le loro emozioni.
 
Per Falman quello fu il momento di ritornare con il suo vero superiore.
Mentre veniva accompagnato da Breda e Fury verso le improvvisate tende che fungevano da infermeria, i due lo aggiornarono su quanto era successo: quando gli dissero che il tenente era stato ferito gravemente al collo ed il colonnello aveva perso la vista, si fermò di colpo.
“Lui non…” mormorò
“Lui poco fa ha detto che c’è ancora molto da fare – dichiarò Breda – e ha bisogno della sua squadra”
Fu in gentile richiamo all’ordine e Falman abbandonò quella breve momento di sbandamento: come raggiunsero la tenda dove stava il loro superiore, non ebbe nessuna esitazione ad andare verso quella figura che stava seduta a capo chino con le mani fasciate da pezzi di stoffa intrisi di sangue.
“Colonnello, eccomi” chiamò
“Falman? – alzò il capo lui, le iridi di uno stranissimo colore grigio. Eppure quegli occhi erano ancora in grado di ipnotizzarlo, come era successo anni prima – Tutto bene?”
“Sì, signore” sorrise il sottotenente, sicuro che Mustang avrebbe intuito la sua espressione
“Come mai non sei con la Armstrong a festeggiare?” lo prese in giro l’uomo, allungando una mano per dargli una lieve pacca sul braccio. Era cieco, certo, ma quel gesto gli fu così naturale che aveva calcolato perfettamente la distanza a cui si trovava il suo uomo.
“Perché è più giusto festeggiare con la mia squadra, signore” rispose lui
“Qui a Central fa troppo caldo per indossare il cappotto pesante di Briggs, signore. – sogghignò Breda – Falman non aspettava altro che potersela levare”
“Bene così – annuì Mustang – perché ho bisogno di tutta la mia squadra in questo momento. Forza, aiutatemi ad alzarmi e andiamo a cercare il tenente”
“Credo che l’abbiano già portata in ospedale, signore” spiegò Fury
“Beh, forse ne ho bisogno pure io - sorrise amaramente il colonnello, mentre appoggiava la mano bendata alla spalla che Breda gli offriva. – Spero che per voi vada bene stare agli ordini di un povero cieco”
“Signore – sogghignò il rosso – se lei è povero, allora io sono un figurino”
E tutti non poterono far a meno di sorridere a quella battuta: anche dopo tutti quei momenti tremendi, dopo le ferite e i dolori ricevuti, loro trovavano il modo di tener alto il morale.
 
Le truppe di Briggs iniziarono il rientro verso nord circa una settimana dopo la vittoria, quando ormai la situazione aveva iniziato a stabilizzarsi. Tuttavia quegli uomini partirono senza il loro generale: dopo la morte di King Bradley il potere era vacante e Olivier Armstrong ovviamente avrebbe voluto dire la sua in quella faccenda; per cui rimase a Central con il maggiore Miles e una piccola rappresentanza dei suoi soldati.
A quel punto Falman capì di non poter rimandare oltre la questione.
Quel giorno spiegò a Breda e Fury che sarebbe andato in ospedale dal colonnello e dal tenente più tardi.
Dopo diversi giorni che vestiva sempre in borghese, indossò di nuovo la divisa militare, ma senza il cappotto nero e si diresse verso il Quartier Generale dove stavano i soldati che ancora stavano di stanza a Central.
Il Generale Armstrong aveva preso possesso dell’ufficio appartenuto al Generale Raven, una scelta sicuramente non casuale dato che era stata lei ad uccidere quell’uomo.
“Signora” salutò mettendosi sull’attenti e sentendo una leggera apprensione. Quella donna era pericolosa e Falman, avendola vista in azione, sapeva benissimo quanto quella situazione non fosse proprio piacevole. Stava in ogni caso per compiere una sorta di sgarbo nei suoi confronti…
“Tu? – lo squadrarono quegli occhi azzurri, la voce tagliente come la lama che portava alla cintura – Falman, vero?”
“Sottotenente Vato Falman a rapporto, signora” annuì lui
“Mi sembrava mancasse qualcuno in questi giorni” commentò il maggiore Miles e Falman sentì addosso anche lo sguardo di quegli occhi rossi, sebbene nascosti dalle lenti scure degli occhiali.
“Gli altri sono già tornati a Briggs, sottotenente – disse la donna – dovrai restare con me fino a quanto la questione sulla successione al governo di Bradley non sarà decisa”
“Sono qui proprio per questo, signora. – dichiarò Falman, tirando fuori tutto il suo coraggio – Sono venuto a prendere congedo da lei”
Si era aspettato che la lama scattasse verso di lui uccidendolo all’istante o che comunque ci fosse un’aggressione nei suoi confronti. Invece i tratti del viso rimasero freddi e impassibili, come se non avesse nemmeno sentito la sua dichiarazione.
Quella reazione lasciò perplesso il sottotenente che rimase in silenzio, chiedendosi se dovesse dire altro, ma prima che potesse farlo, Olivier Armstrong parlò.
“Sei un uomo di Briggs, Falman. – disse con voce stranamente vellutata – A chi va la tua fedeltà se non a me?”
Ma Falman, trovando uno strano nuovo coraggio dentro di sé, scosse il capo: uno degli attimi che gli era rimasto maggiormente impresso di quel Giorno della Promessa era stato quando si era trovato davanti a King Bradley in persona.
Apri quel cancello, Falman.
La voce calma e piatta di quell’homunculus che gli ordinava di aprire il cancello che avrebbe permesso alle truppe di Central di rientrale… la certezza di essere ormai morto, perché Vato Falman non poteva sopravvivere a quanto gli avrebbe fatto Bradley… la forza di tirare fuori la pistola e chiedere perdono al colonnello….
Mi dispiace Colonnello Mustang… io temo che morirò qui.
Quando si era trovato ad un passo dalla morte, anni prima, per mano di Leon, aveva invocato suo padre. Invece in quel momento aveva chiesto perdono al suo superiore.
“Mi dispiace, signora – disse con voce tranquilla – ma la mia fedeltà va al colonnello Mustang. La mia parentesi sotto il suo comando è stata voluta da Bradley, e ora lui è morto”
“Mustang… – c’era una nota di disprezzo nella voce della donna – da quello che so è in ospedale e ha perso la vista. Che senso ha continuare a stare con lui? Ti sei dimostrato un ottimo elemento, da quanto mi hanno detto, perché vuoi seguire quell’uomo? Briggs è sempre pronta ad accogliere uomini di valore come te.”
Ma Falman sapeva benissimo la motivazione della sua scelta.
Perché quando sono entrato nel suo ufficio per la prima volta e l’ho guardato negli occhi, ho capito che l’avrei seguito ovunque… e non mi ha deluso. Perché io non posso far parte di due gruppi così differenti: la mia fedeltà va ai miei compagni, non agli uomini di Briggs.
“Per lo stesso motivo per cui i suoi uomini seguiranno lei, signora” disse semplicemente, tenendosi quei pensieri per sé.
Olivier Armstrong rimase in silenzio per qualche secondo e poi le labbra piene fecero un sorriso sarcastico
“A quanto pare quel colonnello da strapazzo è in grado di ispirare fiducia anche a soldati come te… non capisco proprio come ci riesca. In ogni caso, se questa è la tua decisione, Falman, torna pure da lui: Briggs non ha bisogno di uomini così legati a Mustang.”
“E’ stato un onore stare al suo servizio, signora – salutò Falman, mettendosi di nuovo sull’attenti e capendo di essere stato congedato – le auguro una buona giornata”
E come le porte si richiusero alle sue spalle, il sottotenente tirò un sospiro di sollievo: ne era uscito indenne.
Quella sera stessa, riferì quei momenti anche al colonnello.
“Hai rischiato grosso, Falman – sorrise sinceramente l’uomo, seduto a gambe incrociate sul letto d’ospedale – quella donna poteva tagliarti a fettine per un simile sgarbo”
“Ho corso il rischio, signore – scrollò le spalle il sottotenente – del resto non abbiamo mai smesso di essere i suoi uomini”
“Già. – c’era una nota di gratitudine nel tono del suo superiore – Non avete mai smesso… Comunque fatti coraggio, Falman: tra qualche giorno il dottor Marcoh guarirà sia me che Havoc, poi risolveremo la questione della successione a Bradley ed infine torneremo ad East City: per pensare ad Ishval è meglio essere il più vicino possibile, non credi? Ed inoltre… ho l’impressione che Central sia ancora un po’ troppo per noi.Per adesso…
“E poi non dimentichiamoci che il nostro neo sottotenente deve riabbracciare la sua mogliettina – sogghignò Breda, dandogli una pacca sulla spalla – è anche troppo tempo che non vi vedete”
Già, Elisa…
Negli ultimi tempi Falman aveva deciso di relegare sua moglie in un angolino del suo cuore considerata la minaccia che incombeva su di loro. Preferiva non pensare all’eventualità di non poterla più rivedere, di saperla morta come tutto il resto della popolazione.
Si chiese se avesse sofferto molto in quei tragici minuti in cui l’anima si era separata dal corpo, se anche in lei il ricordo e la consapevolezza fossero presenti… oppure se, dato che era all’oscuro di tutti, quell’esperienza era miracolosamente obliata.
Potersi permettere di ripensare a lei e a cose umane era davvero incredibile.
E la voglia d riabbracciarla era così naturale che ne fu commosso.
Sì, Breda aveva ragione: era anche troppo tempo che non la rivedeva.
Ma a giugno cambierà tutto.
 
La stazione di East City era colma di persone, considerato che era l’ora di maggior traffico ferroviario.
E dunque era del tutto normale che qualche treno accumulasse ritardo…
E ovviamente doveva essere proprio quello che riporta a casa mia moglie.
Falman si grattò la testa con irritazione: sembrava che fino all’ultimo ci fossero imprevisti che si divertivano a tenerlo separato da Elisa. Con invidia guardava coppie che si rincontravano e si baciavano, famiglie felici che uscivano dalla stazione: perché dovevano far attendere tanto solo lui?
“Il treno da Central City è in arrivo al binario quattro”
Finalmente la voce dall’altoparlante annunciò il convoglio tanto atteso.
Con ansia crescente Falman si portò nella banchina del binario quattro, facendosi largo tra le altre persone che aspettavano qualcuno che arrivava.
Avanti, maledetto treno, ridammi mia moglie!
Non si era mai sentito così impaziente in vita sua: con ansia guardò i vagoni passare davanti a lui, sempre più lenti e osservò le porte aprirsi, con la gente che cominciava ad uscire e le voci del saluti che lo circondavano. Guardandosi intorno cercò di individuare il vagone dal quale sarebbe uscita Elisa, ma non ci riuscì: il treno proveniente dalla capitale era così maledettamente pieno.
Si sentì spintonare più volte, goffe parole di scusa da parte di gente che cercava di guadagnare l’uscita in mezzo a quella ressa: perché tutta East City sembrava radunata in quella banchina ferroviaria?
Non andava bene, proprio no. Tuttavia rimase impassibile, sentendo che piano piano la folla intorno a lui diminuiva.
“Vato! Ehi, Vato!”
Fu un tuffo al cuore.
La voce di Elisa risuonò limpida, sovrastando tutto il restante rumore. Girandosi verso sinistra la vide sugli scalini del vagone che gli faceva ampi gesti con il braccio. Indossava un vestito verde chiaro a maniche corte, perché ad East City a giugno faceva già caldo e non c’era assolutamente bisogno di cappotti.
“Eli!” esclamò, andando verso di lei, facendosi largo tra quelle persone sconosciute.
Gli ci vollero meno di venti secondi, ma a lui parvero un’eternità: finalmente le arrivò davanti, i loro visi alla stessa altezza considerato che lei stava ancora in parte sopra il vagone.
“Ciao, soldato! – lo abbracciò lei, con entusiasmo, nascondendo il viso sulla sua spalla – Questa volta sono io in ritardo! Scusa tanto”
“In ritardo…” fu tutto quello che riuscì a dire Falman, stringendola a sé e sollevandola di peso per portarla in una parte della banchina più tranquilla.
“Ehi, ho ancora le valigie in carrozza…” sussurrò lei, ma si capiva chiaramente che era l’ultima cosa che le importava.
Falman la mise a terra e le prese il viso tra le mani.
“Tu non hai idea di quanto mi sei mancata… e non hai idea di quanto ti ami” fu tutto quello che le disse prima di baciarla. Ma forse Elisa aveva i medesimi pensieri in testa, perché la passione con cui ricambiò quel bacio fu incredibile.
“Adesso non ci lasceremo mai più, Vato Falman – dichiarò quando si staccarono – Ti concedo in uso al colonnello Mustang per un certo numero di ore al giorno, ma per il resto sei esclusivamente mio. Ti seguirò ovunque tu vada: non ho più intenzione di stare lontana da te”
“Agli ordini, amore mio” sorrise lui accarezzandole le guance
“Andiamo a casa?”
“Sì, andiamo a casa” annuì il sottotenente prendendola per mano.
Finalmente era tutto al posto giusto.

 
  
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