Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Gageta    25/10/2013    1 recensioni
«Dieci, nove…»
Trafalgar Square. Tower Bridge. History Museum. London Eye.
«…otto, sette…»
Un indizio. Tre esplosioni. Un unico, grande, enigma.
«…sei, cinque…»
Tre mesi dopo la sua falsa morte, Sherlock sarà costretto a tornare quando una nuova minaccia si affaccerà su Londra.
«…quattro, tre…»
E lei sarà lì per aiutarlo.
«…due, uno.»
O forse no?
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci siamo, un capitolo ancora e la storia finirà. Mi viene il magone solo a pensarci :’(

Questo è ufficialmente l’ultimo passato, seconda parte del precedente e… beh, si capiranno un po’ di cosucce. Mi dispiace farvi aspettare per sapere come finirà la storia di Montague Street, ma, insomma, io vi avevo avvisato *evita pomodori*

Detto questo vi auguro (per l’ultima volta, la prossima metterò le note alla fine) buona lettura :)

Gage.

 

 

 

HACKER

CAPITOLO XV

Passato - Consulente Criminale (parte II)

 

 

«Buongiorno.»

Alice squadrò la donna che le stava di fronte dalla testa ai piedi, soffermandosi particolarmente sul cappotto blu scuro che indossava. Poi si fece da parte per lasciarla entrare. «Abbiamo visite!» esclamò.

Moriarty si affacciò dalla porta che dava alla sua stanza con la camicia abbottonata solo per metà. Fissò la nuova arrivata con un velo di sorpresa. «Adler...»

«Sono passata a fare un saluto.» Lo sguardo della donna tornò su Alice che la osservava ancora. «E così tu saresti la famosa Maybe...»

Alice annuì impercettibilmente. «E lei la famosa Irene Adler...»

«Colei che ha salvato Sherlock Holmes da morte certa... Dovresti ringraziarla Alice...» Moriarty si espresse in un ghigno sarcastico.

Alice lo ignorò e si rivolse a Irene. «Mi pare di aver già visto quel cappotto...»

La donna sembrò divertita. «Oh sì, l’ho preso solo in prestito... Non mi sembrava opportuno andare in giro per la città completamente nuda.»

Alice si accigliò, mentre Irene si girava verso Moriarty. «Sherlock Holmes è più scaltro di quanto immaginassi. C’è mancato poco che il cellulare finisse nelle sue mani. Ma l’ho protetto con una nuova password, non si sa mai.»

Tirò fuori il cellulare e digitò brevemente il codice, poi lo porse a Moriarty, il quale lo prese soddisfatto. «Dammi qualche decina di minuti.» Si lasciò cadere sul divanetto e cominciò a leggere con la fronte aggrottata.

Alice osservò con attenzione il cellulare, riconoscendone subito la marca. Sorrise mentalmente: Sherlock non ci sarebbe mai arrivato. Poi fece un cenno alla donna, invitandola a sedersi, ma Irene non le badò. Continuava a osservarla con sguardo distante e curioso allo stesso tempo. «Credo di aver bisogno di un paio di abiti.» disse infine, stirando le labbra in un sorriso.

Alice si morse un labbro indecisa, poi andò in camera per uscirne con qualche abito di colore scuro in mano. «Le staranno un po’ larghi, ma è meglio di niente.» Li porse alla donna e Irene allungò una mano per prenderli, indugiando qualche secondo di troppo quando le sue dita sfiorarono quelle della ragazza.

Alice si ritrasse in fretta invitandola ad usare il bagno per cambiarsi.

Quando Irene uscì, Alice dovette trattenere un sorriso di piacere. Le aveva dato i suoi abiti più vecchi, che ormai non usava più da un pezzo: la maglietta le stava larga, l’immagine dei Beatles sbiadita sul davanti e i jeans erano sgualciti e scoloriti in più punti. Ma alla donna non sembrava importare.

«Perché, Alice, non riporti il cappotto al suo proprietario?»

Alice si voltò di scatto verso Moriarty. «Scusa?»

L’uomo alzò lo sguardo dal cellulare e le sorrise mestamente.

Alice sospirò e prese il cappotto dalle mani della donna, poi uscì.

 

***

 

Sherlock si rivoltò nel letto. Aveva la testa che gli girava e sentiva le palpebre pesanti. Faceva presto John a dirgli che doveva riposare: non capiva che era solo un’inutile perdita di tempo? Doveva subito rimettersi in forze, ma non riusciva neanche a stare in piedi e sentiva che la sua mente si stava lentamente assopendo.

Un suono lo risvegliò momentaneamente. Girò la testa di lato verso il suo cappotto, appeso dietro la porta. Che cosa ci faceva lì? Irene Adler lo aveva addosso quando era scappata.

Con uno sforzo che gli parve enorme si alzò dal letto e barcollò sulle gambe malferme. Si appoggiò alla porta per mantenere l’equilibrio e prese il cellulare dalla tasca.

(7:27 pm)

Alla prossima, signor Holmes.

Rimase un attimo a osservare quelle parole con la mente annebbiata. Con uno sbuffo cancellò il messaggio e stava per uscire dall’applicazione quando avvistò di sfuggita un messaggio sotto l’etichetta bozza. Accigliato lo aprì.

SHER LOCK

PWIA

Cercò di capire che cosa potesse significare ma la testa gli doleva terribilmente e lasciò ricadere il telefono nella tasca del cappotto per tornare a sedersi sul letto.

«John!» Chiamò.

Pochi istanti dopo la porta si aprì e John comparve sulla soglia. «Hai bisogno di qualcosa?»

Sherlock sbatté violentemente le palpebre. «Il cappotto... Come ci è arrivato?»

John sospirò. «La signora Hudson me lo ha portato su. Ha detto che una donna è passata di qui dicendo che lo aveva trovato e pensava che potesse tornarti utile.»

Sherlock provò una fitta dolorosa alla testa, cosa che non sfuggì al medico.

«Vedi di dormire. Eh no, non ti darò niente. Recupererai le forze riposandoti.»

Detto questo richiuse la porta con un tonfo.

 

***

 

«Felice anno nuovo, Alice.» Irene Adler sorrise e sollevò il bicchiere verso di lei, per poi berne un grosso sorso.

Alice la ignorò, continuando a scrivere sul proprio portatile.

Irene sorrise e si distese comodamente sul divano. «A Sherlock avrebbe fatto piacere se gli avessi mandato un messaggio, ne sono certa.»

Alice strinse i denti senza quasi accorgersene. «Nessuno le impedisce di farlo.»

Irene sorrise, osservando il suo profilo, appena rischiarato dalla luce dello schermo nella stanza altrimenti in penombra.

«Ha declinato tutti i miei inviti a cenare con lui, lo sai?»

«Uhm...»

Irene parve leggermente irritata dall’apparente totale disinteresse dell’altra e le si avvicinò, accavallando poi le gambe. «Hai qualche idea del perché l’abbia fatto?»

«A lui, lei non interessa.» Rispose seccamente l’altra.

Irene si morse un labbro pensierosa. «Da te lo avrebbe accettato un invito?»

Alice sembrò oscurarsi. «Lui non accetta niente da nessuno.»

«E questo ti da fastidio, vero?»

Alice distolse lo sguardo dallo schermo e fissò la donna con gli occhi socchiusi.

Irene parve finalmente felice di aver ottenuto la sua attenzione e le sorrise cordiale. «James mi ha parlato molto di te.» Proseguì. Cominciò a giocherellare con una ciocca dei capelli di Alice e la donna si irrigidì. «Devi proprio essere brava... Prova una certa ammirazione nei tuoi confronti... Lo sai?»

Alice chiuse il portatile con uno scatto, facendo sobbalzare lievemente la donna. «E fa bene.»

Irene la guardò negli occhi.

Con sgomento Alice si accorse improvvisamente delle pupille lievemente dilatate di lei e sentì crescere la nausea.

«Sei particolarmente attraente.»

Alice non poté fare a meno di sorridere. «E vediamo... Chi sarebbe attratto da me?»

Irene si scostò lievemente con un’espressione turbata sul viso. «Sherlock Holmes e lo stesso Moriarty, per esempio.»

«Nessun altro?» Chiese Alice con un lieve ghigno.

«Nessun altro.» Sorrise Irene di rimando. «Ma penso che siano abbastanza... Per lo meno per te.»

Alice distolse lo sguardo e si fissò le mani. «Sherlock non prova questo tipo di sentimenti.»

Irene rise. «Di una cosa sono certa: è attratto da qualcuno.»

«E da cosa lo deduce?»

Irene la guardò attentamente. «Dal suo comportamento.»

Alice si accigliò. «Se si riferisce alla sua aria continuamente assente le assicuro che è per un altro motivo.»

La Donna sbuffò.

«Che cosa le fa pensare, invece, che James sia in qualche modo attratto da me?» chiese qualche minuto dopo Alice.

Irene sospirò. «Me ne intendo abbastanza di queste cose per capirlo. M’interesserebbe, invece, sapere che cosa ne pensi tu a tal proposito...»

Alice tornò a guardarla e si accorse che Irene si era avvicinata. Lasciò che la distanza diminuisse fino a quando rimase a separarle solo una decina di centimetri e a quel punto parlò. «Penso che non sia niente male.»

Irene si bloccò mentre Alice sorrideva alla sua espressione di lieve imbarazzo. «Jim mi piace.» disse infine, e Irene si allontanò subito con un’espressione truce sul viso.

Alice rise mentalmente al turbamento dell’altra e accavallate le gambe riaprì il portatile.

Irene la osservò distante, ora decisa a ferirla. «Fossi in te starei attenta a quel John Watson. Sembra che lui e Sherlock vadano molto d’accordo, e io me ne intendo abbastanza di queste cose...» ribadì.

Alice le rivolse un’occhiata che nascondeva tutta la sua rabbia e preoccupazione. «Sherlock non merita niente da me, Adler. E ora mi lasci finire il lavoro per Jim...»

In quel momento la porta si aprì ed entrò Moriarty in persona. Dal suo sorriso di scherno non fu difficile capire che aveva ascoltato gran parte della conversazione.

Irene si alzò di scatto.

«È arrivata la carrozza, madamoiselle...» disse l’uomo con un lieve inchino.

Irene si strinse le braccia al petto indignata e gli passò accanto. Poco prima di uscire gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo, poi lasciò l’appartamento.

«Da quando in qua mi chiami Jim?»

Alice si sistemò meglio sul divano. «Da quando ha importanza farlo.»

James Moriarty si sedette al suo fianco. «Sapevo che non avresti abboccato a Irene, è attraente ma non fino a questo punto.»

Alice ghignò.

«Ma non ho ben capito cosa volessi dire con “Sherlock non merita niente da me”.»

Alice chiuse un attimo gli occhi. «Ho sempre fatto tutto quello che mi chiedeva e lui non ha mai fatto niente per ringraziarmi. Non mi ha mai degnato di un’attenzione maggiore di quella che poteva dedicare a una mosca. Non merita il mio affetto.»

James annuì convinto. «E io me lo merito?»

Alice si voltò a guardarlo. «Mi permetti di fare cose ben oltre le sue capacità. Non credo di essermi mai annoiata con te...»

L’uomo le tolse il portatile di mano e le si avvicinò. «Per oggi hai fatto abbastanza.»

 

***

 

«Oh, Jim Moriarty le manda i suoi saluti...»

Sherlock spalancò gli occhi e si raddrizzò sulla poltrona. Picchiettò con le dita sul bracciolo del divano mentre il ricordo di qualche ora prima gli tornava in mente. Irene Adler... No, non si era sbagliato. Il suo polso, le sue pupille. Quelle erano cose che non si potevano controllare e che l’avevano tradita.

Improvvisamente gli passò davanti agli occhi un messaggio.

SHER LOCK

PWIA

E finalmente capì. Non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo mentre si alzava e pronunciava con forza quel «No.» che fece voltare Irene e suo fratello verso di lui.

SHER LOCK. Un notevole gioco di parole. I AM SHER LOCKED. Mentre si avvicinava ad Irene e digitava una alla volta le lettere del codice non poté fare a meno di pensare chi fosse quella donna che gli aveva riportato il cappotto; quella donna che aveva indovinato il codice del telefono e che glielo aveva lasciato scritto.

PWIA. PassWord Irene Adler.

Una donna assolutamente geniale che Sherlock aveva alla fine smesso di allontanare dai suoi pensieri. Quella donna che ora sapeva essere ancora dalla sua parte.

E fu anche per quello che giorni e giorni dopo non venne toccato minimamente dalla notizia che Irene Adler era morta. L’aveva salvata, era vero, ma i suoi pensieri erano rivolti a un’altra donna. E per una volta sorrise alla bravura di suo fratello che aveva capito prima di lui i suoi sentimenti. Forse forse Mycroft lo conosceva veramente bene, più a fondo di quanto aveva immaginato.

 

***

 

Alice passò una mano sulla foto di Sherlock con in testa quello strano cappello da caccia sul giornale. Lo strano caso del mastino di Beskerville, diceva il titolo, l’ennesimo caso risolto insieme a John Watson. Ormai stavano diventando famosi.

Sherlock Holmes e John Watson. Suonavano dannatamente bene insieme.

Alice non poteva fare a meno di pensare a tutti i casi cui aveva personalmente assistito e contribuito. Eppure Sherlock non l’aveva mai degnata di molta attenzione. Non le era mai importato quasi niente di lei. Le bastava ripensare a quando gli aveva detto addio, su in quel laboratorio del Barts, a quanto era rimasto freddo e scostante. Non le aveva chiesto niente di niente: né dove sarebbe andata, né perché o con chi.

Ripensava poi alle parole della Adler. Sembra che lui e Sherlock vadano molto d’accordo. Lei se ne intendeva, lei gli aveva visti insieme, e Alice nonostante tutto cominciava a crederle. Aveva incontrato John Watson una sola volta personalmente, ma le era bastato per notare con quanta preoccupazione aveva reagito alle parole Lo ha voluto Sherlock. come se avesse pensato che era stato Sherlock a volerlo imbottito di esplosivo.

E come poteva dimenticare l’espressione di puro terrore che aveva assunto il volto del detective nel vedere John in pericolo di vita? E la velocità con cui lo aveva liberato della giacca? Mi hai strappato i vestiti di dosso in una piscina buia. Ora sì che la gente parlerà... Quelle parole dette quasi per scherzo le erano rimaste impresse come tatuate. Parole aggiunte a un’infinità di altri discorsi e atteggiamenti che andavano a pungerla uno a uno come tanti piccoli spilli.

Quando James entrò nell’appartamento che condividevano e in cui si nascondevano, quella sera, lo accolse con un bacio che doveva liberarla di tutti quei sentimenti e che lui accolse con entusiasmo.

Fu con rabbia e fissandolo fermamente negli occhi che infine pronunciò quelle parole. «Aiutami a distruggerlo, Jim.»

 

***

 

«A cosa pensi?»

Sherlock sterzò bruscamente, mancando per un pelo una buca nel terreno dissestato. «A niente.»

John rise forzatamente. «E quando mai non pensi a niente?»

Sherlock non rispose. Si era appena lasciato alle spalle Dartmoor e il laboratorio di Baskerville, luoghi che gli avevano fatto pensare molto a quella cosa che cercava continuamente e inutilmente di nascondere.

Non poteva fare a meno di pensare a con quale facilità lei sarebbe riuscita a entrare in quel dannato computer, a raggirare la password, a scoprire dell’esperimento HOUND. O forse erano solo sue fantasie. Forse il laboratorio era abbastanza aggiornato e lei non sarebbe riuscita a fare nulla. Eppure il suo pensiero era costante, a volte sperava di aprire gli occhi e ritrovarsela lì al suo fianco. Ma non doveva farlo, stava diventando come tutti gli altri. Lui non doveva provare sentimenti. Lui aveva deciso ormai da tempo di allontanarli da se stesso.

«Il modo con cui hai scoperto la password del colonnello... È stato... Ah, credo di aver ormai utilizzato tutti gli aggettivi possibili.»

Eccolo, di nuovo. John. Il suo fedele amico John Watson. Quanto ci era rimasto male quando in un eccesso di rabbia gli aveva detto di non avere amici? Lei lo avrebbe capito e non si sarebbe offesa.

John non riusciva a stare zitto. Eppure a Sherlock faceva piacere ricevere quei complimenti. Lei non gliene aveva mai fatti. Tra loro era sempre stato un mettersi alla prova l’un l’altro.

«Non abbastanza veloce.»

«Che cosa?»

Sherlock tenne gli occhi fissi sulla strada davanti a lui. «Non sono stato abbastanza veloce.»

«Scherzi? Quanto avresti voluto metterci?»

Sherlock non rispose e John cominciò a commentare ogni singolo momento di quel loro ultimo caso.

Sherlock non lo ascoltò. Lei sarebbe rimasta in silenzio, avrebbe rispettato quel loro muto accordo e lo avrebbe lasciato in pace. Non avrebbe chiesto nient’altro.

 

***

 

(8:51 pm)

È appena entrato al Barts

Alice guardò di sfuggita il messaggio per poi passare il cellulare a Moriarty.

Lui lo lesse con un sorriso sul volto. «Ci siamo quasi.»

Alice sorrise a sua volta e sistemò le ultime cose nella borsa. Era finalmente tutto pronto. L’appartamento che avevano occupato risultava stranamente spoglio senza tutte le loro cianfrusaglie. Non che Alice ne avesse molte, poi, erano quasi tutte di Jim.

L’uomo le porse la giacca e il cappello. «Allora siamo arrivati al grande momento.»

Alice scosse la testa mentre afferrava i due capi e li indossava uno alla volta. «Il grande momento arriverà tra più di tre mesi, Jim.»

L’uomo fece spallucce. «Beh... La prossima volta ci vedremo per poco. Poi moriremo.»

Alice annuì e lo guardò un’ultima volta. «Ti dispiace?»

L’uomo scosse la testa. «No, non molto a dire il vero. Sarà una fine grandiosa la nostra, se ne ricorderanno tutti per decenni.»

Alice annuì soddisfatta. «È quello che volevamo, no?»

Jim la guardò per qualche secondo, poi la avvicinò e la baciò per l’ennesima volta. Alice si staccò qualche minuto dopo. Gli sistemò la cravatta con affetto gli sorrise. «Ci vediamo, Jim.»

«Prenditi la tua rivincita, Alice. Fallo soffrire anche da parte mia.» sorrise lui.

Alice annuì poi si voltò e aprì la porta.

«Sarà il miglior gioco di tutti i tempi...» Disse Moriarty, appoggiandosi allo stipite della porta.

«Sì, il migliore.» sorrise Alice, poi si voltò e si allontanò verso il Barts; verso Molly, Sherlock e tutto ciò che la sua decisione avrebbe comportato.

Sì, il migliore Moriarty. E lo vincerò io.

   
 
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